L’industria della moda e dell’eCommerce sta vivendo una rivoluzione grazie a cambiamenti come l’innovazione digitale, l’influenza dei social media e le nuove abitudini di spesa dei consumatori. Sei trend caratterizzeranno il settore nel 2024:
Via Ninja Marketing
]]>Il motivo per cui il metaverso è considerato il fenomeno più discusso in ambito non solo tecnologico, ma anche strategico e comunicativo, è legato alle sue caratteristiche intrinseche. In primis, grazie alla convergenza di più tecnologie –quali non fungible token (Nft), internet of things (IoT), blockchain, machine learning, cloud computing, artificial intelligence (AI), augmented reality (AR), virtual reality (VR), e mixed reality (MR)– il metaverso scardina la struttura del web 2.0, centralizzato e controllato dalle big tech, per realizzarne una versione più user centric (per esempio il web 3.0), in cui ogni utente ha lo stesso valore e contribuisce al funzionamento di una “democrazia digitale”. Tali tecnologie, inoltre, contribuiscono alla ricerca accademica sul comportamento del consumatore, specialmente di Millennials e Generazione Z.
Da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Lum su un campione di consumatori italiani, è emersa l’elevata propensione della Gen Z verso tali tecnologie, l’89% dei quali preferirebbe utilizzare funzionalità digitali nella quotidianità in quanto permettono di amplificare le risposte cognitive, comportamentali, sensoriali e sociali associate ad un prodotto o servizio. Infine, il metaverso rappresenta uno strumento versatile per costruire la brand reputation aziendale, raggiungere un target potenzialmente ampio a livello globale, garantire l’autenticità̀ dei prodotti e la completa tracciabilità̀ della filiera, nonché generare nuove modalità di fan engagement che includano esperienze immersive e multisensoriali.
È proprio la stimolazione multisensoriale la più grande potenzialità del metaverse marketing. Furono Hirschman e Holbrook, nel 1982, a introdurre per primi l'importanza di valutare le esperienze dei consumatori attraverso la lente dei sensi (per esempio esperienze visive, uditive, olfattive, gustative e tattili) mentre Krishna ha definito il marketing sensoriale come quel marketing che coinvolge i sensi dei consumatori, la cui interazione influenza la loro percezione, giudizio e comportamento.
Di conseguenza, le aziende e i brand adoperano il marketing sensoriale per generare risposte favorevoli da parte dei consumatori, esponendoli intenzionalmente a molteplici stimoli in vari punti di contatto, sia fisici che virtuali. Mentre nel punto di vendita questi stimoli sono tipicamente legati al prodotto e all'ambiente, online le interazioni sono limitate allo schermo del dispositivo utilizzato. In questo contesto, l'integrazione delle diverse tecnologie alla base del metaverso (per esempio AR e VR) potrebbe aiutare a sviluppare un'esperienza multisensoriale immersiva, migliorando la disponibilità del consumatore all'acquisto.
Più considerazione viene data al coinvolgimento, alla sensazione e alla reazione degli utenti, più è probabile che gli stessi vivano esperienze piacevoli e, dunque, accrescano la reputazione e il valore di un brand. Emerge perciò la necessità di creare più punti di contatto virtuali tra prodotti e consumatori, innescando percezioni multisensoriali positive tramite contenuti virtuali, tecnologie a realtà aumentata, stimoli congruenti e feedback. Inoltre, i dati raccolti sottolineano l’importanza della facilità d'uso, della credibilità e politiche di reso appropriate di modo da soddisfare le esigenze dei clienti.
La strada per creare valore a lungo termine per i propri clienti passa dalla costruzione di strategie ad hoc per l’ecosistema metaverso, inglobando lo storytelling in questa nuova realtà e favorendo le interazioni tra e con gli utenti.
Via Mark Up
Gli annunci di Facebook non sono altro che post a pagamento pubblicati sulla piattaforma e visibili al pubblico che rientra nel target scelto in fase di progettazione della campagna pubblicitaria realizzati con lo scopo di promuovere un prodotto oppure un servizio che viene offerto dall’azienda.
Tali annunci potranno essere visibili su:
Mentre tra i diversi formati che l’annuncio potrà avere troveremo:
Con una base di utenti attivi su Facebook in continua a crescita, questa piattaforma rappresenta un potente canale pubblicitario perché consente di mostrare i propri annunci a 2,17 miliardi di persone, quasi il 30% della popolazione al mondo; un numero che è di recente cresciuto, come è possibile vedere dal grafico sottostante, complice anche la pandemia vissuta.
Fonte immagine: comscore.com
Dati più recenti ci mostrano inoltre, come la crescita di Facebook non si sia fermata neanche dopo il periodo che per via della pandemia che ha costretto molte persone chiuse in casa potrebbe rendere “falsati” i dati, come ci mostra il grafico sottostante con i dati elaborati da We are social e Hootsuite.
Inoltre stando ai dati dello State of Marketing Trends Report 2022 condotto da Hubspot, nel 2022 Facebook risulterebbe il canale che consente di realizzare un miglior ritorno sull'investimento oltre ad essere il migliore rispetto al coinvolgimento nella top 5 delle piattaforme social
Sebbene questi numeri siano già impressionanti, le motivazioni che spingono ogni anno molte aziende ad affidarsi a Facebook come canale di diffusione dei propri annunci pubblicitari sono anche altre, come ad esempio la possibilità di targetizzazione.
Fare Facebook advertising significa infatti avere la possibilità di filtrare gli utenti che visualizzano un determinato contenuto pubblicitario, mostrando così il post promozionale solo al segmento di pubblico più in linea con i propri obiettivi.
Tra i filtri di selezione che è possibile impostare durante la fase di creazione della campagna per far visualizzare l’annuncio a una determinata fetta di pubblico con specifiche caratteristiche, troviamo infatti:
Facebook e la Rete Display di Google possono essere considerate le più grandi reti pubblicitarie online del mondo se si pensa che Facebook ha più di 2 miliardi di utenti sul proprio sito e Google esegue oltre 40.000 ricerche al secondo.
Google è la piattaforma pubblicitaria a pagamento per clic (PPC) più popolare dove l’inserzionista ha la possibilità di fare campagne a pagamento scegliendo tra:
Solitamente, l’annuncio sarà composto da semplice testo, anche se ci sono in alcuni casi anche opzioni di aggiunta di immagini e nella pratica ciò che verrà fatto con il proprio annuncio sarà mostrarlo ad utenti che stanno cercando sul motore di ricerca prodotti o servizi similari.
Considerando che Google ha circa il 95% degli utenti dei motori di ricerca, possiamo essere certi che pubblicizzando su Google l’annuncio sarà visibile a una base di utenti veramente molto ampia.
Elemento essenziale però, sarà la pertinenza dell’annuncio rispetto alle parole chiave, la qualità dell’annuncio e il budget a disposizione.
Al contrario di Google invece, facendo Facebook Advertising gli annunci verranno mostrati unicamente agli iscritti della piattaforma e per più volte; in questo caso non sarà possibile sfruttare le parole chiave come è possibile fare con le campagne di ricerca di Google per intercettare il pubblico interessato, sarà però possibile restringere il pubblico potenziale che visualizzerà il proprio annuncio selezionando dei criteri precisi creando pubblici personalizzati da usare nelle proprie campagne.
In entrambi i casi è quindi possibile vedere come ci siano molteplici gradi di ottimizzazione possibili da compiere.
Volendo infine fare un confronto tra facebook e Google, oltre a quanto visto fino ad ora, possiamo portare all’attenzione due ulteriori elementi per cui le due piattaforme si differenziano in particolar modo:
Riassumendo, utilizzando Google ADS abbiamo visto come la Rete Display consenta di entrare in contatto con i clienti su oltre un milione di siti web in tutto il mondo permettendo di mostrare i tuoi annunci alle persone che visitano i loro siti o blog di notizie preferiti, mentre la Rete di Ricerca, attraverso l’uso di parole chiave specifiche, consente di intercettare gli utenti che cercano prodotti o servizi similari sul motore di ricerca.
Utilizzando Facebook advertising invece, è possibile mostrare i propri annunci a molti utenti per più volte, raggiungendo quella fetta di utenti potenzialmente più interessati al proprio prodotto o servizio, poiché sul pubblico di destinazione è possibile fare una scelta chiara per filtrare il più possibile i visualizzatori degli annunci.
Su facebook inoltre è possibile creare un funnel che porti attraverso più step alla conversione desiderata.
Principale differenza quindi tra le due piattaforma è quella di andare a rispondere con i propri annunci a due tipologie di domande:
Come decidere dunque quando scegliere Facebook e quando Google?
La decisione dipenderà dagli obiettivi che si persegue attraverso l’attivazione delle campagne pubblicitarie.
Se si desidera intercettare gli utenti che cercano prodotti o servizi similari ai propri attraverso l’uso di parole chiave specifiche, Google sarà la scelta senza dubbio migliore; mentre se si punta specialmente a far visualizzare più volte il proprio annuncio ad una fetta di pubblico potenzialmente interessato e ad accrescere il proprio seguito sui social, ma anche ad arrivare alla conversione seguendo un funnel preciso, Facebook Advertising sarà invece la scelta adatta.
In ogni caso, c’è comunque da sottolineare che non per forza una scelta escluderà l’altra.
Budget permettendo infatti, anche entrambi potrebbero essere la scelta giusta, lavorando seguendo una strategia che punti su più fronti, dove si utilizzi Google ADS per essere scoperti e Facebook Advertising per il follow-up.
Facebook permette ai propri utenti di far crescere il proprio business in quattro modi principali:
A questo scopo, Facebook mette a disposizione diversi strumenti e la maggior parte di questi sono gratuiti.
Vediamone alcuni:
Per la gestione invece di tutte le attività sulle pagine, Facebook mette a disposizione Creator Studio utile per:
Per fare Facebook advertising e impostare una campagna è importante prima di tutto operare in maniera professionale. Per farlo è dunque importante sia per i proprietari delle pagine su Facebook che per le agenzie a cui è affidato il compito di gestione delle pagine o della creazione delle campagne pubblicitarie, aprire e impostare correttamente il Business Manager.
Questo strumento messo a disposizione da Facebook è utile per diversi aspetti tra cui l’assegnazione della proprietà di una pagina, l’assegnazione dei diversi ruoli dati a partner o dipendenti per diverse risorse che possono essere la condivisione di post, l’analisi dei dati, la creazione di inserzioni o un controllo completo sull’account. Una volta eseguite tutte le impostazioni di base, si può passare alla creazione della campagna.
Ecco allora 10 step che riassumono gli elementi fondamentali a cui porre attenzione durante la creazione di un’inserzione:
L’ultimo suggerimento appena dato è certamente quello più importante per ottimizzare i risultati e il budget a disposizione, in quanto consente di vedere quale tipologia di post riesce ad ottenere i risultati migliori così da non spendere il budget inutilmente per una tipologia di post che non dà buoni risultati e non converte come desiderato.
Per fare ciò è fondamentale capire che le campagne una volta impostate non vanno abbandonate ma è essenziale fare test, valutare i risultati guardando sempre gli insight ed essere pronti sempre a fare tutte le modifiche utili ad ottimizzare gli annunci.
Tenendo però presente che le impostazioni in fase di creazione delle campagne sono fondamentali per decretare il successo o meno della stessa.
Un altro elemento a cui prestare molta attenzione per ottimizzare le campagne è quello di scegliere il miglior formato in base agli obiettivi.
Ecco allora formati e obiettivi per cui ciascuno è consigliato:
Per misurare il ritorno delle campagne facendo Facebook Advertising bisognerà calcolare il ROI, ovvero il ritorno sull’investimento e la formula per calcolare il ROI è: (ricavi-costi/costi)*100.
Questo calcolo mostrerà quale è stato il profitto generato dal budget investito. Bisogna però tenere conto che le attività di Facebook advertising possono tradursi attraverso due modi.
Ci potranno essere risultati finanziari, che potranno essere verificati attraverso maggiori entrate o in una riduzione dei costi; ma anche risultati non finanziari come ad esempio azioni del tipo: nuovi fan, interazioni con la pagina etc.
Per poter misurare il ritorno delle campagne su Facebook è dunque fondamentale seguire questi step:
Detto ciò è importante comprendere anche come i costi per fare Facebook Advertising possano essere diversi in base al tipo di mercato di riferimento. Alcuni mercati infatti, se sono più concorrenziali saranno più costosi e viceversa, come mostra il grafico sottostante.
L’arrivo sul mercato di ChatGPT, a fine novembre 2022, ha messo in subbuglio diverse aziende, innescato una sana innovazione (come mostra l’immagine in basso) e riacceso le speranze di una maggiore competizione nel comparto dei motori di ricerca. Ad un mese dal lancio, il chatbot di OpenAI ha conquistato 100 milioni di utenti, tanto da essere spesso “over capacity”, inutilizzabile. E questo, nonostante la sua base dati sia ferma al 2021 (se gli chiedi chi è il presidente del consiglio italiano ti risponde Mario Draghi).
Di conseguenza, l’azienda sta testando un’offerta commerciale che prevede un obolo di 20$ al mese per utilizzarlo con priorità rispetto ai non paganti. Questa offerta si aggiunge all’altra già esistente: la vendita dell’accesso via API alle imprese che vogliono integrare il servizio nei propri prodotti.
La prima grande azienda ad adottare e adattare (si, perché si tratta di una versione personalizzata) il modello linguistico alla base di ChatGPT nei suoi prodotti è Microsoft. Il colosso di Redmond che ha investito in OpenAI fin dall’inizio (si parla di 10 miliardi di dollari), il 7 febbraio 2023, ha annunciato un nuovo Bing potenziato dall’intelligenza artificiale, oltre che l’integrazione nel browser Edge.
Per Bing la soluzione scelta è quella di mostrare la chat con l’IA nella spalla di destra del motore di ricerca, dopo aver cliccato sulla corrispondente voce di menu. La risposta viene corredata anche dall’indicazione delle fonti delle informazioni raccolte e rielaborate dal chatbot.
Nel browser Edge, invece, l’IA animerà due funzioni: “chat” e “compose”. La prima permetterà di sintetizzare il testo di una pagina web o di un documento pdf e fare domande sul suo contenuto. La seconda è pensato per generare testi (es. post e email) da un input iniziale. In futuro è prevista anche un’integrazione con Office.
Il CEO Satya Nadella parla di “un nuovo giorno per la ricerca. La corsa inizia ora e noi abbiamo intenzione di muoverci e di farlo velocemente” (in realtà la corsa è iniziata da tempo e Bing ha solo il 3% del mercato). Il nuovo motore non è ancora disponibile, ma andando sul sito si può vedere una demo e ci si può iscrivere ad una wait list. Mi sembra, comunque, di capire che la chat non sarà attivata di default, quindi il motore continuerà a funzionare nel modo tradizionale.
Google ha un approccio “AI First” dal lontano 2016, quando annunciò massicci investimenti in tecniche di machine learning e deep learning per migliorare i suoi prodotti. Si pensi che in questi anni ha investito 100 miliardi di dollari in IA. Risale al 2017 il suo seminale paper di ricerca che introdusse l’architettura di reti neurali detta Transformer, che costituisce la T del modello GPT (Generative Pre-Trained Trasformer), dato che fu rilasciata in versione open source.
Nel 2021 svelò LaMDA (Language Model for Dialogue Applications) per esplorare proprio la possibilità di usare modelli linguistici per applicazioni di dialogo in linguaggio naturale. Nel 2022 fu la volta di PaLM (Pathways Language Model) il modello più potente con ben 540 miliardi di parametri (ChatGPT è basato su 175 miliardi di parametri).
Dunque Google pur essendo in una posizione di forza, ha deciso di prendersi del tempo per studiare i tanti limiti che questi modelli linguistici hanno e per capire come non cannibalizzare il proprio business basato sulla pubblicità (il classico dilemma dell’innovatore).
Il lancio di ChatGPT ha indubbiamente messo pressione sul management (i fondatori sono stati visti a Mountain View per quello che è sembrato essere un consiglio di crisi) tanto da spingerlo a dare un segnale di vita al mercato.
Così, lunedì 6 febbraio 2023, il CEO Sundar Pichai ha annunciato Bard, un servizio di IA conversazionale basato su una versione più leggera del modello di linguaggio LaMDA. Dunque un tool separato dal motore di ricerca, che ora è nelle mani di alcuni tester fidati e nelle prossime settimane dovrebbe essere aperto a tutti.
Peccato che nella demo mostrata il sistema sbagli la terza risposta. Tanto è bastato a far crollare il titolo in Borsa.
Per Bing la soluzione scelta è quella di mostrare la chat con l’IA nella spalla di destra del motore di ricerca, dopo aver cliccato sulla corrispondente voce di menu. La risposta viene corredata anche dall’indicazione delle fonti delle informazioni raccolte e rielaborate dal chatbot.
Nel browser Edge, invece, l’IA animerà due funzioni: “chat” e “compose”. La prima permetterà di sintetizzare il testo di una pagina web o di un documento pdf e fare domande sul suo contenuto. La seconda è pensato per generare testi (es. post e email) da un input iniziale. In futuro è prevista anche un’integrazione con Office.
Il CEO Satya Nadella parla di “un nuovo giorno per la ricerca. La corsa inizia ora e noi abbiamo intenzione di muoverci e di farlo velocemente” (in realtà la corsa è iniziata da tempo e Bing ha solo il 3% del mercato). Il nuovo motore non è ancora disponibile, ma andando sul sito si può vedere una demo e ci si può iscrivere ad una wait list. Mi sembra, comunque, di capire che la chat non sarà attivata di default, quindi il motore continuerà a funzionare nel modo tradizionale.
Google ha un approccio “AI First” dal lontano 2016, quando annunciò massicci investimenti in tecniche di machine learning e deep learning per migliorare i suoi prodotti. Si pensi che in questi anni ha investito 100 miliardi di dollari in IA. Risale al 2017 il suo seminale paper di ricerca che introdusse l’architettura di reti neurali detta Transformer, che costituisce la T del modello GPT (Generative Pre-Trained Trasformer), dato che fu rilasciata in versione open source.
Nel 2021 svelò LaMDA (Language Model for Dialogue Applications) per esplorare proprio la possibilità di usare modelli linguistici per applicazioni di dialogo in linguaggio naturale. Nel 2022 fu la volta di PaLM (Pathways Language Model) il modello più potente con ben 540 miliardi di parametri (ChatGPT è basato su 175 miliardi di parametri).
Dunque Google pur essendo in una posizione di forza, ha deciso di prendersi del tempo per studiare i tanti limiti che questi modelli linguistici hanno e per capire come non cannibalizzare il proprio business basato sulla pubblicità (il classico dilemma dell’innovatore).
Il lancio di ChatGPT ha indubbiamente messo pressione sul management (i fondatori sono stati visti a Mountain View per quello che è sembrato essere un consiglio di crisi) tanto da spingerlo a dare un segnale di vita al mercato.
Così, lunedì 6 febbraio 2023, il CEO Sundar Pichai ha annunciato Bard, un servizio di IA conversazionale basato su una versione più leggera del modello di linguaggio LaMDA. Dunque un tool separato dal motore di ricerca, che ora è nelle mani di alcuni tester fidati e nelle prossime settimane dovrebbe essere aperto a tutti.
Peccato che nella demo mostrata il sistema sbagli la terza risposta. Tanto è bastato a far crollare il titolo in Borsa.
Va Vincos blog
ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer) è un chatbot specializzato nella conversazione con gli essere umani basato su intelligenza artificiale e machine learning.
Sviluppato da OpenAI, è stato addestrato a partire dai modelli Instruct GPT ed è in grado di generare testi di varia lunghezza e complessità in base alle richieste dell’utilizzatore. L’applicazione può essere utilizzata attualmente per diversi scopi: instaurare un modello di conversazione, scrivere email e messaggi commerciali, redigere descrizioni di prodotti, creare contenuti per i social e compilare script di codice con una certa affidabilità.
La qualità degli output prodotti è sorprendente, tanto da giustificare l’idea di utilizzarlo a fini SEO, ma ci sono diversi aspetti da comprendere prima di prendere in considerazione il suo utilizzo per queste attività.
ChatGPT è utilizzato principalmente per generare testo in modo autonomo in base ai prompt forniti. Può essere utilizzato in molti ambiti diversi, tra cui:
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Per generare testi con ChatGPT è necessario fornire un prompt al modello: il prompt è il testo di input che viene fornito per generare il testo in uscita e può essere qualsiasi cosa: una frase di partenza per scrivere un articolo o un racconto o una domanda per la quale si vuole ottenere una risposta.
Può quindi trattarsi di una singola frase o di un paragrafo intero, a seconda delle esigenze specifiche (per esempio, un prompt può essere la richiesta di revisionare un testo alla ricerca di errori).
Inoltre, il prompt può essere utilizzato per generare testo continuando una storia o un discorso già esistente, in modo da generare testi più coerenti e plausibili. In generale, più è preciso e specifico, più preciso e specifico sarà il testo generato da ChatGPT.
ChatGPT è un modello di apprendimento automatico chiamato Large Learning Model.
Un modello di apprendimento di grandi dimensioni è un’intelligenza artificiale addestrata su grandi quantità di dati in grado di prevedere la parola successiva in una frase.
Più dati sono disponibili per l’addestramento, migliore sarà il risultato: a volte i modelli linguistici di grandi dimensioni sviluppano capacità inaspettate.
L’Università di Stanford, infatti, ha documentato come un aumento dei dati di addestramento abbia permesso a GPT-3 di tradurre un testo dall’inglese al francese, anche se non era stato addestrato specificamente per questo compito.
I grandi modelli linguistici come GPT-3 (e GPT-3.5, che è alla base di ChatGPT) non sono infatti addestrati per svolgere compiti specifici, ma vengono addestrati con un’ampia gamma di conoscenze che possono poi applicare ad altri domini.
Il processo è molto simile al modo in cui impariamo noi esseri umani. Per esempio, impariamo i fondamenti della falegnameria, possiamo applicare quelle conoscenze per costruire un tavolo, anche se non ci è mai stato insegnato specificamente come farlo.
Il GPT-3 funziona dunque in modo simile al cervello umano, in quanto contiene conoscenze generali che possono essere applicate a più compiti.
ChatGPT incorpora un altro modello linguistico di grandi dimensioni, chiamato InstructGPT, che è stato addestrato ad accettare le indicazioni degli esseri umani e le risposte lunghe a domande complesse.
Questa capacità di seguire le istruzioni rende ChatGPT in grado di ricevere istruzioni per creare un output su praticamente qualsiasi argomento e di farlo in qualsiasi formato, rispettando i vincoli imposti, come il numero di parole e l’inclusione di punti specifici dell’argomento.
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Appare ormai chiaro che ChatGPT sia in grado di scrivere contenuti testuali praticamente su qualsiasi argomento, perché è addestrato su un’ampia varietà di testi disponibili al pubblico.
Tuttavia, presenta delle limitazioni che è importante conoscere prima di decidere di utilizzarlo per un progetto SEO.
Il limite più grande è che ChatGPT non è affidabile al 100% sulle informazioni. Il motivo per cui è impreciso è che il modello si limita a prevedere quali parole dovrebbero venire dopo la parola precedente in una frase di un paragrafo su un determinato argomento. Non si preoccupa dell’accuratezza perché non è quello il suo compito specifico.
E fornire una giusta informazione dovrebbe essere la preoccupazione principale di chiunque sia interessato a creare contenuti di qualità.
La precisione delle risposte generate da ChatGPT dipende da diversi fattori, tra cui la qualità e la quantità dei dati di addestramento utilizzati per addestrare il modello, la qualità del prompt fornito e la configurazione dei parametri del modello.
In generale, quanto più grande è il dataset utilizzato per addestrare il modello, tanto più preciso sarà il modello nella generazione del testo. Inoltre, quanto più preciso e specifico è il prompt fornito, tanto più preciso sarà il testo generato. Tuttavia, alcuni ambiti possono essere più difficili da generare rispetto ad altri, come ad esempio quelli tecnici o scientifici.
In generale, si tratta uno strumento molto potente ma non è infallibile. Le risposte generate possono contenere errori o imprecisioni, quindi è importante rivedere e verificare il testo generato prima dell’utilizzo.
ChatGPT non può occuparsi e scrive di qualunque argomento: è specificamente programmato per non generare testo su argomenti violenti, sesso esplicito e contenuti dannosi (come, ad esempio, le istruzioni su come costruire un ordigno esplosivo).
Un’altra limitazione è che non è a conoscenza dei contenuti creati dopo il 2021. Quindi, a meno di non utilizzare ulteriori addon per integrarlo al motore di ricerca, se i contenuti che vogliamo produrre devono essere aggiornati e freschi, ChatGPT nella sua forma attuale potrebbe non essere poi così utile.
Un limite importante da tenere presente è che è addestrato per essere utile, sincero e innocuo: sono pregiudizi intenzionali incorporati nella macchina per evitare i comportamenti negativi.
Si tratta certamente di un’impostazione con buone intenzioni, ma che non può fare a meno di modificare il risultato rispetto a quello che potrebbe idealmente essere, minando la neutralità della risposta: il bias cambia l’output producendo un testo “meno neutrale”.
ChatGPT richiede istruzioni dettagliate per produrre un contenuto di qualità: più istruzioni gli vengono fornite, più sofisticato sarà il risultato.
Questo è sia un punto di forza ma anche un limite di cui essere consapevoli: meno istruzioni ci sono nella richiesta di contenuto, più è probabile che l’output condivida un output simile con un’altra richiesta.
Il sistema è progettato per scegliere parole completamente casuali quando prevede quale dovrebbe essere la parola successiva in un articolo, quindi è logico che non si plagi da solo, ma se vogliamo ricevere in risposta un contenuto assolutamente originale e di qualità superiore, abbiamo bisogno di impiegare molto tempo nella compilazione del prompt da sottoporgli.
Gli sviluppatori di Google e di altre organizzazioni hanno lavorato per molti anni su algoritmi in grado di individuare con successo i contenuti generati dall’intelligenza artificiale.
Hanno scoperto che alcune caratteristiche statistiche del testo generato dall’intelligenza artificiale, come i punteggi dell’indice di Gunning-Fog e dell’indice di Flesch, erano utili per prevedere se un testo fosse stato generato dal computer, anche se il programma aveva utilizzato un algoritmo progettato per eludere il rilevamento.
I testi generati con l’intelligenza artificiale includono una sorta di filigrana che li rende identificabili. I ricercatori OpenAI hanno sviluppato un watermarking crittografico che aiuterà a rilevare i contenuti creati attraverso un prodotto OpenAI come ChatGPT.
Questo watermark potrebbe consentire una differenziazione nelle operazioni di crawling e pregiudicare il posizionamento del contenuto in risposta alla query di un utente sui motori di ricerca.
Oppure, dare vita a una sorta di “crawling etico” e trasparente, evidenziando una differenza tra un contenuto generato da un algoritmo e un testo scritto da un essere umano.
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Cosa si rischia utilizzando le AI per la generazione di testi da pubblicare sotto forma di articoli a fini SEO?
Partiamo col dire che è ormai abbastanza scontato che i contenuti AI generated siano rilevabili, sebbene molti sostengano che non ci sia modo per Google di sapere se un contenuto è stato generato o meno con l’Intelligenza Artificiale.
La questione è più o meno già risolta, tanto che persino i contenuti che utilizzano algoritmi anti-rilevamento possono essere rilevati: il rilevamento di contenuti generati dalle macchina è stato oggetto di ricerca per molti anni, compresa la ricerca su come rilevare i contenuti tradotti automaticamente da un’altra lingua.
John Mueller, Senior Search Analyst / Search Relations team lead di Google, nell’aprile 2022 ha affermato che i contenuti generati dall’intelligenza artificiale violano le linee guida di Google.
“Per noi questi contenuti rientrano ancora nella categoria dei contenuti generati automaticamente, che rappresentano una violazione delle linee guida per i webmaster.
E le persone hanno generato automaticamente contenuti in molti modi diversi. Per noi, se si utilizzano strumenti di apprendimento automatico per generare i contenuti, è essenzialmente come se si mescolassero le parole, si cercassero i sinonimi o si facessero “trucchi di traduzione”, quindi lo consideriamo spam“.
Google ha anche recentemente aggiornato la sezione “contenuti generati automaticamente” della pagina per gli sviluppatori dedicata allo spam. Creata nell’ottobre 2022, è stata aggiornata alla fine di novembre 2022. che recita:
“Il contenuto generato automaticamente (o “autogenerato”) è un contenuto che è stato generato programmaticamente senza produrre nulla di originale o aggiungere sufficiente valore“.
Il semplice fatto di essere un contenuto generato automaticamente non lo rende “spammoso”. È la mancanza di tutti i valori aggiunti e delle qualità generali a rendere questi contenuti problematici.
Poche settimane prima del rilascio di ChatGPT, i ricercatore di OpenAI hanno dichiarato che il watermarking è “auspicabilmente” in arrivo nella prossima versione di GPT.
Come accennato in precedenza, questa scelta etica potrebbe fornire ai motori di ricerca (e ai lettori) chiare indicazioni sulla fonte di provenienza di un testo o un articolo, pregiudicandone il posizionamento o la percezione riguardo all’affidabilità.
Affidare la creazione di contenuti a un’intelligenza artificiale e pubblicarli così come sono potrebbe non essere l’uso più efficace dell’intelligenza artificiale, se non viene prima verificata la qualità, l’accuratezza e l’utilità dei contenuti; attività che richiede tempo, lavoro e precisione assimilabili a una produzione originale.
Un uso attualmente accettabile di strumenti di intelligenza artificiale per la SEO come ChatGPT, potrebbe essere quello di impiegare l’algoritmo per riassumere lunghi testi da condensare in una metadescription (Google ha affermato espressamente che questa pratica non è contraria alle sue linee guida).
Oppure, fornire una bozza o un brief su un determinato argomento da sviluppare in modo autonomo, lasciando alla macchina il compito più noioso di ricerca e di analisi.
Instagram lancia la funzione Note ("Notes" nella versione inglese).
Si tratta di una funzionalità definita come un nuovo modo per condividere i propri pensieri e vedere cosa stanno facendo gli amici. Brevi post, della lunghezza massima di 60 caratteri, che possono contenere soltanto testo ed emoji.
L'azienda sta introducendo diversi cambiamenti significativi, tra cui spicca la feature Note. Con Note, gli utenti possono aggiornare i loro amici usando solo testo ed emoji, utilizzando un formato diverso rispetto alle immagini e ai video per cui Instagram è più conosciuto.
Altre nuove funzionalità sono in fase di lancio nelle Storie e introdurranno nuovi modi per condividere con i gruppi.
Tra tutte le nuove funzioni annunciate, Instagram Notes è forse la più interessante, in quanto aggiunge un modo per comunicare con gli altri utilizzando solo il testo. Anche se questa nuova introduzione ricorda vagamente Twitter, l'attuale implementazione ha un'interfaccia utente molto diversa.
In Instagram, gli utenti possono lasciare note andando in cima alla loro casella di posta, quindi selezionando i follower che seguono o altri dall'elenco "Amici stretti". Hanno così a disposizione 60 caratteri di testo o emoji per scrivere la nota.
La nota apparirà in cima alle caselle di posta degli amici per 24 ore e le risposte arriveranno come DM.
Sebbene il formato in sé differisca dal feed in tempo reale di Twitter, l'utilizzo delle Note potrebbe avere una certa sovrapposizione col servizio, per il tipo di input che viene richiesto ("Cosa stai facendo?") e per il numero limitato dei caratteri.
Secondo un sondaggio della B2Bmarketing.net and Circle Research, il 61% delle aziende ha dichiarato di aver trovato difficile il processo di implementazione e adozione di tecnologie legate alla Marketing Automation.
La Marketing Automation è uno strumento potente che può essere utilizzato per generare lead e guidare le vendite, ma è valido solo se ne utilizziamo tutte le funzionalità.
Ecco alcuni consigli utili e 7 migliori pratiche su come far funzionare la Marketing Automation per la propria azienda.
La parola automazione potrebbe farci pensare a campagne impersonali. Utilizzare l’automation significa automatizzare gli sforzi di marketing, ma è importante non commettere l’errore di pensare che si tratti di un processo automatico.
È necessaria, infatti, un’attenta pianificazione e considerazione di chi riceverà il messaggio, questo ci permetterà di creare campagne di successo, con destinatari ben definiti.
Il modo migliore per farlo è trovare le buyer personas. Si tratta di profili immaginari dei clienti ideali, in grado di aiutarci ad analizzare dati demografici, sfide, esigenze ed interessi.
Questi profili riescono a guidarci nella creazione di campagne marketing che offrono valore al pubblico adeguato e convertono i lead in clienti.
Puoi creare le persone in base ai dati dei clienti e alle ricerche di mercato, utilizzando strumenti come:
Una volta chiarito quale è il target, è possibile adattare il contenuto delle campagne automatizzate alle esigenze dei clienti ed evitare la dispersione dei contenuti e del budget.
LEGGI ANCHE: Buyer Personas Template: impara ad usare il tool definitivo per individuare il cliente ideale
Le aspettative del pubblico non rimangono statiche ma si evolvono man mano che gli individui si muovono nelle varie fasi del loro customer journey.
Le campagne automatizzate dovrebbero riflettere questo alimentando i lead con il contenuto giusto per la fase in cui si trovano.
Si può iniziare creando una mappa del percorso cliente, una rappresentazione visiva di tutti i punti di contatto che un cliente attraversa.
Questo permette di decidere cosa i clienti dovrebbero ricevere e quando ed aiuta a costruire workflow di automazione marketing.
Ad esempio, è possibile impostare una serie di email di benvenuto automatizzate per le persone che si iscrivono per la prima volta alla newsletter.
Poiché i messaggi saranno indirizzati a nuovi lead, invece di essere eccessivamente promozionali le comunicazioni dovranno creare fiducia prima di tentare di convertire.
È quindi possibile utilizzare un software di automazione per personalizzare i passaggi successivi in base al modo in cui i contatti interagiscono.
Una volta che un cliente è stato convertito, il viaggio dell’acquirente non dovrebbe finire lì.
Ulteriori campagne mirate possono aiutare a sostenere il loro coinvolgimento e a mantenerli fedeli al marchio. Per i clienti appena convertiti, questo potrebbe assumere la forma di un flusso di lavoro di “onboarding” che li guida attraverso la configurazione con il prodotto o servizio.
Nel frattempo, è possibile sempre rivolgersi ai clienti attuali con contenuti specifici per riaccendere il loro interesse.
A questo punto diventa necessario avere informazioni precise sulle persone che compongono il pubblico.
Per assicurarci di inviare messaggi solo a coloro che rappresentano il nostro target, la marketing automation non riguarda semplicemente l’esecuzione di campagne su larga scala ma può aiutarci a raccogliere i dati necessari per una segmentazione del pubblico sempre più corretta.
È possibile dunque iniziare a costruire un’immagine di ogni contatto nella fase di acquisizione del lead attraverso le domande sul modulo di iscrizione.
Le informazioni cruciali variano a seconda dell’attività, come le esigenze e le motivazioni dei clienti.
Ad esempio, in un contesto B2C i dati demografici sono spesso un fattore importante, mentre nel marketing B2B il profilo aziendale, come le sue dimensioni e il settore, è più rilevante.
Ad ogni modo questi dati comportamentali, come i contenuti con cui gli utenti interagiscono e gli acquisti che effettuano, offrono preziosi indizi sugli interessi di un cliente.
Con le informazioni raccolte, si può utilizzare la segmentazione degli elenchi per raggruppare i contatti in base alle qualità condivise e creare diverse customer journey automatizzati su misura per loro.
Il comportamento dei contatti può dare un’idea del livello di interesse per l’azienda, questo aiuta a determinare in che punto del funnel si trovano, in modo da poter indirizzare meglio le campagne automatizzate.
La creazione di un modello di punteggio dei lead vuole dire dare un valore numerico alle diverse azioni che i consumatori portano a termine. Le azioni potrebbero essere qualsiasi cosa, dalla visualizzazione di un post del blog, alla partecipazione a un webinar, alla visita della pagina dei prezzi.
Quindi, assegnando punti ai lead in base alle loro azioni, il punteggio ci restituirà il loro potenziale.
Una volta che è stata stilata la “classifica”, saremo in grado di identificare quali lead sono pronti per essere “consegnati” alle vendite e quali richiedono un ulteriore “nutrimento” per massimizzare le conversioni.
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L’email automation è il modo più comune per i team di marketing di iniziare ad automatizzare le loro campagne. Per usare un software al pieno del suo potenziale occorre esplorare l’integrazione di altri canali nei flussi di lavoro.
Limitarsi a un canale significa perdere opportunità. Mettendo in contatto i clienti in vari modi, è possibile massimizzare le possibilità. Inoltre, a seconda della natura del messaggio, un certo canale potrebbe essere più adatto di altri.
Il marketing SMS, ad esempio, ha più immediatezza dell’email. Questo lo rende efficace per i messaggi sensibili al tempo come promemoria e follow-up.
Supponiamo che stiamo creando un workflow automatizzato per i partecipanti di un evento.
Potremmo iniziare con una serie di email automatizzate che condividono informazioni sull’evento, quindi utilizzare un messaggio SMS come promemoria finale.
Subito dopo l’evento potremmo inviare un ringraziamento via SMS ai partecipanti insieme a una richiesta di compilare un sondaggio di feedback. Questo potrebbe essere seguito da ulteriori email che mirano a coltivare la relazione.
Potremmo anche combinare l’email marketing con le ads sui social media per aumentare i punti di contatto dei clienti.
Ad esempio, se la nostra è un’azienda eCommerce potremmo già utilizzare l’automazione per inviare email dei carrelli abbandonati e convincere coloro che non sono stati persuasi a comprare tramite annunci social.
Un grande punto di forza per l’adozione della Marketing Automation è la promessa di risparmiare tempo prezioso, soprattutto se la nostra è una piccola impresa che cerca di massimizzare l’efficienza con risorse limitate.
Tuttavia, molti si limitano all’automazione delle campagne quando ci sono altre attività manuali che potrebbero eliminare, a seconda della funzionalità del loro servizio di Marketing Automation.
Questo non solo libererebbe ancora più tempo, ma riduce anche il rischio di errore umano.
Per iniziare, ecco alcune idee per le attività che potresti automatizzare:
Invece di gestire manualmente le liste di contatti, possiamo tenerle aggiornate utilizzando l’automation per aggiungere contatti in base a trigger a seguito di azioni intraprese. Ad esempio, il flusso di lavoro riportato di seguito crea un elenco di contatti che si sono convertiti in clienti monitorando gli acquisti.
Per assicurarti di contattare solo gli iscritti che sono ancora interessati, dovresti rimuovere regolarmente quelli che non sono coinvolti. La Marketing Automation può fare questo lavoro per te in background. Basta impostare un flusso di lavoro che rimuova i contatti quando soddisfano i criteri per essere inattivi.
Per assicurarti che il team di vendita contatti i potenziali clienti il prima possibile, è possibile assegnare automaticamente lead qualificati a un rappresentante. Possiamo anche assicurarci che la persona giusta si occupi di ogni lead aggiungendo criteri per l’assegnazione, come il tipo di azienda o la posizione.
Una volta configurate le automazioni, non lasciamo che il software prenda il sopravvento.
È consigliabile continuare a monitorare i risultati della marketing automation per sapere cosa funziona e cosa no. Queste informazioni ci aiuteranno a perfezionare la strategia in futuro e ad apportare tutte le modifiche necessarie ai vari flussi di lavoro.
Il modo in cui il pubblico interagisce con le campagne aiuterà a capire se i contenuti con i quali sono venuti in contatto rispondono alle loro esigenze.
Ad esempio, i forti tassi di apertura e di clic sono un segno che i messaggi stanno raggiungendo il segno, mentre l’annullamento dell’iscrizione suggerisce una mancanza di rilevanza per il destinatario.
Non dimenticare di esaminare anche i risultati a livello di segmento. Questo permette di capire se staimo dividendo il pubblico in modo efficace.
In definitiva, la Marketing Automation dovrebbe aiutarci a spostare le persone lungo il buyer journey.
Quindi non è sufficiente che interagiscano con i contenuti a meno che non portino alla conversione. Il monitoraggio del tasso di conversione per ogni fase della canalizzazione aiuterà a identificare se i clienti si muovono in punti specifici e sarà quindi possibile regolare i workflow per migliorare tutto il processo.
La Generazione Z è la protagonista del mercato, il vero focus delle ricerche di marketing, perché in grado di offrire spunti interessanti per l'impresa circa l'orientamento per gli anni futuri.
È la generazione dei nativi digitali che guarda ai social per scovare e partecipare alle tendenze culturali. "Partecipare" è proprio la parola chiave che li caratterizza: è composta da individui creativi, che vogliono esprimersi e far parte di quel processo di vendita che li porta ad essere consumatori. Desiderano condividere creatività, non tanto i propri stati e aggiornamenti personali, (tipico dei Millenial), come mostra la ricerca di Globalwebindex.
Secondo una ricerca di Adolescent Content, solo l'8% della Generazione Z crede che i brand li capisca a fondo, la maggior parte lamenta di non essere coinvolti da loro. È un popolo definibile come fluido, che migra dove trova spazio di espressione, ma quasi esclusivamente all'interno del mondo dei social network, come dimostrato da uno studio di Essence, secondo cui il 77% dei giovanissimi afferma di fare acquisti tramite i social.
La predilezione della Generazione Z per i social cambia il concetto di marketing, "...Cominciano ora ad avere un buon poter di spesa, e sono autori di uno dei più grandi cambiamenti culturali del mondo moderno. Le loro decisioni avranno impatto a lunghissimo termine, in positivo", ha affermato Liz Toney, co-fondatrice dell'agenzia di marketing PRZM, specializzata sulla Generazione Z.
Per affermare il proprio brand non ci si può più sedere sul bordo del fiume in attesa che emergano grandi trend, aspettare che un'idea oltrepassi la soglia della diffusione potrebbe essere già tardi! Bisogna capire come far penetrare il brand nel mondo della Generazione Z, tenendo conto delle caratteristiche che la contraddistinguono.
Il punto di forza potrebbe essere la ricerca di nuove piattaforme, sottoculture, tendenze non ancora esplose ma dal forte potenziale.
TikTok è l'esempio più eclatante: in soli 5 anni ha raggiunto 1,2 miliardi di utenti attivi, perché qualcuno, in tempi non sospetti, ha creduto e puntato sul fenomeno. Ora TikTok non è più un evento di nicchia ma il re dei social network, riuscito a superare, in numeri, quelli già affermati come LinkedIn, Twitter e Snapchat.
Analizzare una sottocultura è vantaggioso, soprattutto se si è i primi, ma ciò che è fondamentale è avere naso per quelle carte che possono mostrarsi vincenti.
Il concetto di community continua ad essere il pilastro delle strategie social: la parola comunità fa pensare agli esseri umani non tanto ai numeri. I ragazzi vogliono creare una connessione emotiva con il brand e con i coetanei, e in questo sappiamo quanto l'influencer sia importante.
Ma visto che questa figura non è più una novità, così come il micro-influencer, è bene puntare gli occhi sui nano-influencer.
I nano-influencer sono personaggi con un numero di follower limitato (1000-10000 circa), spesso hanno un pubblico di nicchia e un'influenza locale. Hanno un ingaggio dal prezzo ridotto, generalmente infatti l'entrata del lavoro di influencer non è l'unica fonte di sostentamento. E proprio quest'ultimo aspetto è un fattore che gioca a loro vantaggio, mostrano una real life, simile a quella dei tanti giovanissimi, che quindi si identificano con facilità, mostrando un maggior livello di fiducia.
Affidarsi a influencer di questo tipo, apparentemente, sembrerebbe comportare una riduzione delle vendite, in realtà non è importante tanto il numero di follower quanto l'engagement che porta gli utenti a credere nel prodotto: spesso hanno un engagement superiore ad un micro influencer perché i follower sono davvero interessati e intorno a loro si crea una community nella quale si interagisce con facilità.
Per attrarre l'attenzione della Generazione Z bisogna guardare al piccolo, scavare e individuare le novità che consentano di creare ambienti in cui i giovani possano sentirsi protagonisti.
Ogni social network ha un pubblico e delle dinamiche proprie da saper sfruttare. Per fare il salto di qualità bisogna guardare avanti e non ostinarsi a spremere i social già famosi.
Ecco qualche esempio:
Discord: lanciata nel 2015 dalla piattaforma statunitense VOIP, è cresciuta rapidamente fino a 350 milioni di utenti. Nata per offrire ai giocatori di videogiochi un modo per comunicare, oggi riguarda tutti gli utenti che vogliono creare una comunità: dopo aver aperto un server si creano delle stanze suddivise per argomenti, tramite chat, scritte e vocali.
Le chat, pur essendo private, (vi si partecipa tramite link di invito), possono essere molto ampie e connettere youtuber e nano-influencer con i seguaci. L'app sembra invertire la logica dei like, del numero di follower e degli algoritmi tipici del presente, piuttosto ricorda le chat degli anni '90-2000.
L'azienda ha l'opportunità, ad esempio, di aprire un server aziendale dedicato all'assistenza clienti, con i quali può connettersi e chattare direttamente o comunicare tramite livestreaming, arrivando direttamente al target.
Dispo: fondata nel 2019 dalla star di YouTube David Dobrik e Alexis Ohanian, è il social che lancia la sfida ad Instagram e all'uso incontrollato dei filtri. Funziona come una vecchia macchina fotografica usa e getta, (da cui prende il nome), le fotografie scattate appaiono nei feed degli utenti 24 ore dopo averle scattate (proprio come se dovessero essere sviluppate), e possono essere raccolte in album definiti rullini (rolls).
Riflettendo bene potrebbe risultare un'occasione rispetto ad Instagram, ormai noto a tutti, permettendo di trovare spazio più facilmente, ad esempio, affidandosi ad un influencer che invita i follower a condividere foto in un album comune.
Poparazzi: il social anti-selfie, basato anch'esso sulle foto, ma scattate dagli altri. Fondata dai fratelli Austen e Alex Ma, permette di creare un profilo che si arricchisce di foto in cui l'utente viene taggato da altri, come dei paparazzi, appunto. Non ci sono didascalie, like, commenti, e nessuna modifica agli scatti.
"Una nuova app di condivisione foto che si concentra sul conservare i momenti autentici con gli amici", si legge nella presentazione su Medium, The anti-selfie club.
Il fatto di non poter modificare le foto dopo che siano state pubblicate, da parte dell'utente taggato, fa sorgere il problema di eventuali scatti imbarazzanti. A tal proposito, si può chiederne l'eliminazione, o limitare, nelle impostazioni, la possibilità di taggare solo alle persone più fidate.
D'altronde, la questione privacy riguarda, in vari m0di, tutti i social, basta essere accorti e responsabili.
Quello dell’eCommerce, soprattutto in seguito alla pandemia da Covid-19, è un settore sempre più competitivo che vede consumatori via via più esigenti e tecnologie sempre più avanzate.
PayPlug ha fatto il punto sulle dieci tendenze eCommerce che gli eMerchant dovrebbero seguire nel 2022.
Sempre più lontane dalla pura funzionalità di interazione e discussione, tra lo shop Instagram, il marketplace Facebook e l’hashtag #TikTokMadeMeBuyIt, le piattaforme social si stanno trasformando gradualmente in veri e propri marketplace, tanto che il 53% dei 16-24enni utilizza proprio i social media per trovare un brand.
Il Livestream Shopping, ovvero la vendita online tramite video in diretta social, si è rivelata un’ottima leva di conversione rispetto ai canali tradizionali dell’eCommerce.
Nata all’inizio della crisi sanitaria, questa strategia non è solamente una prerogativa dei giganti dell’eCommerce: anche le PMI la stanno sfruttando sempre di più per connettersi con la propria community e aumentare le vendite, non solo sui social network, ma anche su marketplace ed eCommerce, grazie a piattaforme come Marlene, già utilizzata da noti brand come Upim, Dmail e Kasanova.
A causa del rafforzamento delle norme relative alla protezione dei dati personali, i browser web stanno gradualmente disattivando i cookie di terze parti.
Per continuare a offrire servizi personalizzati online nel rispetto della privacy, gli eMerchant possono contare sui first party data, o dati proprietari, raccolti cioè in modo diretto dal proprio pubblico: una strategia potenzialmente molto efficace in termini di produttività – considerando che fidelizzare i propri clienti è meno costoso e più redditizio che trovarne di nuovi – e già adottata dal 61% delle aziende.
Si tratta, in particolare, di dati affidabili, quasi sempre gratuiti e facili da raccogliere, per esempio attraverso le interazioni degli utenti sul sito web, le mail e gli sms o i CRM dei punti vendita, che aiutano l’azienda nella personalizzazione dei prodotti e servizi offerti basandosi sulla cronologia degli acquisti e il comportamento dei clienti.
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Il commercio conversazionale, ovvero l’atto di vendere prodotti e servizi intrattenendo una conversazione personalizzata con i propri clienti tramite SMS, email, applicazioni di messaggistica e chatbot, sta assumendo un ruolo fondamentale all’interno di una customer journey di successo, tanto che la crescita annuale prevista per il mercato globale dell’assistenza virtuale entro il 2028 è pari al +28%.
Per gli eMerchant, dunque, sarà sempre più importante fare uso di agenti conversazionali dotati di intelligenza artificiale per comunicare in tempo reale e potenziare le relazioni con i propri clienti, garantendo consigli personalizzati in base alle risposte dell’utente.
In Italia, il 37% degli utenti utilizza attualmente la ricerca o i comandi vocali almeno una volta al mese, contro il 30% nel 2019.
Per soddisfare questa tendenza crescente, acquisire nuovi clienti e convertire in maniera efficace sul web, gli eMerchant possono contare sul VEO (Voice Engine Optimization), una variante della SEO che consiste nell’utilizzare parole chiave a coda lunga che corrispondano ai modelli di linguaggio naturale degli utenti.
Il pagamento non è più un semplice mezzo per incassare denaro, ma contribuisce a tutti gli effetti a migliorare l’esperienza cliente sia in negozio, grazie agli mPOS che riducono la coda in cassa e facilitano il rispetto delle norme sanitarie vigenti, sia online, con la funzionalità Buy Now Pay Later, che consente agli esercenti di adeguarsi alle richieste del mercato emergenti e proporre ai clienti di pagare in più rate, aumentando il potere di acquisto di questi ultimi.
Il 63% degli italiani ha manifestato la necessità di sistemi di sicurezza più efficaci per quanto concerne i pagamenti online: sarà quindi necessario per gli eMerchant proporre metodi di pagamento sicuri ma allo stesso veloci e fluidi, ottimizzando la gestione delle carte e diminuendo il tasso di transizioni rifiutate, migliorando così l’esperienza del cliente e aumentando la redditività.
Rendere un sito web accessibile al maggior numero di persone possibile dovrebbe essere una priorità per gli eMerchant, visto che il 5% della popolazione italiana è diversamente abile e il 51% degli over 65 usa Internet.
In questo contesto, una nuova sfida per gli eCommerce sarà proprio quella di realizzare UX sempre più lineari, intuitive e accessibili: un’interfaccia semplice, colori contrastanti, caratteri sufficientemente grandi e testo alternativo per ogni immagine sono tutti elementi che contribuiscono a realizzare un’esperienza utente fruibile ai più.
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La crisi sanitaria ha aumentato notevolmente l’attenzione degli italiani nei confronti della sostenibilità. Il 43% di essi, in particolare, teme che l’aumento delle vendite online rappresenti una minaccia per l’ambiente, soprattutto relativamente agli imballaggi non riciclabili e alle emissioni dovute al trasporto.
Fornire una scelta più ampia di prodotti e imballaggi sostenibili e creare una supply chain sostenibile saranno indiscussi punti di forza per gli eMerchant, tanto che la crescita prevista per l’uso di imballaggi ecosostenibili nell’eCommerce entro il 2022 è pari al 50%.
L’83% delle aziende italiane considera l’omnicanalità una priorità, ma meno del 10% l’ha pienamente integrata nella propria strategia.
Dopo aver capito l’importanza della presenza su più canali, gli esercenti devono riadattare la loro organizzazione interna e integrare gli strumenti adeguati a stabilizzare questo modello, per garantire agli utenti una customer experience più fluida e completa.
Via Ninja Marketing
Esperienze digitali come Second Life e The Sandbox sono solo dei vaghi albori del metaverso potenziale che ci aspetta secondo gli avanguardisti tech. Parliamo infatti di uno spazio dove saranno garantite esperienze senza frizioni, sincrone sia nello scorrimento del tempo che nella condivisione collettiva, dove le azioni del nostro "io-avatar" impatteranno su quelle del nostro "io-reale" e così via. Questo con tutte le relative e ovvie conseguenze anche sul mondo degli acquisti e del business, tra criptovalute, nft e blockchain che già stanno aprendo molte nuove strade.
Il noto neuroscienziato e professore di business Moran Cerf, che troverete intervistato sul numero di Mark Up di marzo 2022, ci ha parlato di un futuro in cui il marketing diventerà far provare alle persone i profumi, gli shampoo e i vini riproducendo direttamente nel loro cervello la relativa sensazione olfattiva, tattile e di gusto del prodotto, senza che tuttavia queste si muovano dalla loro postazione casalinga. A mancare, ancora una volta, sono tra le altre cose i dispositivi, ma gli ultimi decenni ci hanno insegnato che bisogna essere open-minded su ciò che è solo "fanta" e su ciò che è profezia auto-avverante. E se c'è chi ci scommette con i propri capitali le probabilità aumentano.
Un esempio concreto di questi scommettitori? Carrefour, che ha acquistato un terreno pari a 36 ettari di superficie nel mondo virtuale del videogioco The Sandbox, pagato con la criptovaluta Ethereum una cifra pari a circa 300mila euro. Uno spazio per eventi o lanci di prodotti che fa parte della più ampia sperimentazione da parte della catena retail delle nuove tendenze, come ha dichiarato la figura aziendale dedicata proprio alla trasformazione digitale (Élodie Perthuisot in un'intervista a Le Figaro). Non a caso l'azienda ha dichiarato un certo interesse anche per l'ambito degli nft.
Anche Adidas Originals si è comprato uno spazio su Sandbox dove si parla di offrire un’esperienza di gioco immersivo e di acquisto di abbigliamento tramite nft. Nike, dal canto suo, ha acquisito Rtfkt Studios, realtà online del fashion che si occupa di creare sneaker digitali. Marcia indietro, invece, di H&M sull'apertura di uno store virtuale con Ceek, piattaforma sociale basata sulla realtà virtuale.
Come evidente, si tratta di passi diversi e sperimentali in un ambito che sta a sua volta evolvendo ma che, se guardati nel loro complesso, restituiscono un interessante quadro di nuove possibilità e prospettive. Rispetto all'epoca dei primi social e dei primi eCommerce molti sembrano aver capito che l'innovazione necessaria per essere competitivi sul mercato del domani richiede il tempo delle prove e della lungimiranza.
Guardando a un futuro più prossimo, secondo i Fjord Trends 2022 il metaverso è un'esplosione culturale pronta a manifestarsi da un momento all'altro. "Sarà una nuova frontiera di internet su cui convergeranno tutti i livelli esistenti di informazioni, interfacce e spazi attraverso i quali le persone interagiscono. È un luogo in cui si potranno generare profitti, creare nuove opportunità lavorative e offrire infinite possibilità alle persone di contribuire alla costruzione o evoluzione dei brand. Il metaverso non esisterà solo attraverso schermi e cuffie ma includerà anche esperienze e luoghi del mondo reale in dialogo con il mondo digitale".
A breve distanza dall'annuncio di una partnership tra The Sandbox e Bric, il Metaverso accoglie un ulteriore attore entro i confini del proprio universo digitale.
Arianee, tra le principali piattaforme attivo nel settore web3, ha infatti annunciato il raggiungimento di un accordo con il team di The Sandbox. Le due compagnie, in particolare, hanno concordato sulla possibilità di unire le forze per proporre un servizio in grado di unire asset reali e virtuali mediante soluzioni NFT. Il progetto sfrutta il principio di "metaverse ready": "Il concetto è semplice. - dichiarano i due neo-partner commerciali - se possiedi un NFT nella vita reale, puoi ottenere quello corrispondente in The Sandbox e viceversa. I brand che creano NFT su entrambe le piattaforme saranno in grado di offrirli ai propri clienti mediante un'interfaccia semplice".
Per il momento, vige ancora il più stretto riservo sull'identità dei marchi coinvolti nel progetto, con i primi annunci in merito che verranno condivisi nel corso della primavera di quest'anno. Questi ultimi, ad ogni modo, dovrebbero coprire le più disparate attività commerciali, tra dispositivi indossabili, organizzazione di eventi e molto altro ancora. Al momento, tra i partner di Arianee si contano già brand del calibro di Moncler, Breitling, Mugler, Panerai, IBM, Ba&Sh, IWC, Paris Fashion Week e il gruppo Richemont.
In chiusura, ricordiamo che al momento The Sandbox è protagonista al Museo della Permanente di Milano, nell'ambito di una mostra dedicata all'arte digitale e agli NFT.
Come ogni anno faccio il punto sull’utilizzo dei social media in Italia, rielaborando i dati di Audiweb powered by Nielsen. Nel corso del 2021 ogni mese hanno navigato in rete 44,3 milioni di italiani (dati riferiti agli utenti da 2 anni in su), pari al 74,5% della popolazione (+2,2% rispetto al 2020). Nel giorno medio, invece, lo hanno fatto 37,1 milioni di persone, pari al 62,3% della popolazione (+8,2%).
Lo strumento preferenziale di accesso rimane lo smartphone, usato da 39,1 milioni di persone ogni mese (+5,1%) e da 33,7 milioni nel giorno medio, con una crescita del 12,8%.
Prima di addentrarci nell’analisi dei social media, è importante sapere che, in questo caso, l’universo di riferimento è rappresentato dagli utenti della fascia 18-74 anni (sia per la fruizione da computer che da mobile). Al momento la navigazione da mobile da parte di minori di 18 anni non è rilevata, dunque è probabile una sottovalutazione dell’impatto dei servizi usati prevalentemente in mobilità da questo segmento della popolazione.
Questa volta non farò confronti con l’anno precedente perché non sarebbero coerenti dato che Audiweb ha effettuato un adeguamento del suo sistema di rilevazione in vista del nuovo scenario cookies. Voi se volete potete dare un’occhiata ai dati del 2020.
Considerando le medie mensili del 2021, il social più usato dagli italiani è stato YouTube, che ha collezionato un audience di 35,4 milioni di persone al mese. Col fiato sul collo Facebook, che ha fatto registrare una media di circa 35 milioni di utilizzatori. Sul podio permane anche Instagram con 28,4 milioni di utenti.
In quarta posizione arriva Pinterest con un pubblico di 20,7 milioni di aficionados, che supera LinkedIn fermo a 18,3 milioni di professionisti (in preoccupante calo durante gli ultimi mesi dell’anno). L’alto valore di Pinterest potrebbe essere dovuto al traffico che riceve da Google Immagini.
Twitter riesce a coinvolgere 11,5 milioni di persone, grazie soprattutto alla sua capacità di “stare sulla notizia” e sui trend del momento.
Il fenomeno degli scorsi anni, TikTok continua ad ampliare la sua audience e ad arrivare a 9,6 milioni di persone (dai documenti ufficiali sappiamo che l’utenze effettiva ad aprile del 2021 era di 12,5 milioni di italiani).
Un’altro social da guardare con interesse è Twitch che riesce a catalizzare l’attenzione di 4,7 milioni di spettatori. Tiene Reddit che raccoglie nei suoi forum 3 milioni di persone. I social che fanno più fatica sono Snapchat, che ha un’audience di circa 2 milioni di utenti, e Tumblr con 1,8 milioni di irriducibili.
In questa disamina non considero i servizi di messaggistica istantanea, ma c’è ne è uno, Telegram, che in questi anni ha assunto una forma ibrida di strumento privato e pubblico (i canali pubblici sono visibili, funzionando come account Twitter). Il servizio del russo Pavel Durov ha trovato terreno fertile nel nostro paese: gli italiani che lo hanno utilizzato nel 2021 sono stati ben 17 milioni.
Via Vincos BlogDAO è l’acronimo di Decentralized Autonomous Organization ossia organizzazioni, con scopo di lucro o no-profit, che sfruttano la tecnologia blockchain per essere autonome e decentralizzate.
L’autonomia è raggiunta attraverso l’utilizzo di Autonomous Agent, agenti software programmati ed eseguiti per compiere determinati compiti senza l’intervento umano (un po’ come i virus informatici, ma qui si chiamano smart contract e si usano per l’esecuzione automatica delle regole che ci si è dati).
La decentralizzazione indica l’assenza di una gerarchia, sostituita da meccanismi di coordinamento e voto sulle decisioni da prendere, abilitati dalla blockchain.
Il termine DAO si usa anche per riferirsi al software che serve a gestire le organizzazioni e che gira su reti blockchain. La maggior parte delle DAO funzionano su rete Ethereum, ma altre sfruttano Polkadot, Cosmos, EOS e Cardano. Il primo a concepire quest’idea è stato proprio il co-fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin, che nel 2014 le chiamò DAC (Decentralized Autonomous Corporations).
In pratica, chi costituisce una DAO emette dei token fungibili nativi (tipicamente aderenti allo standard ERC-20), che danno alcuni diritti e utilità ai possessori (a volte bisogna acquistare più token per avere diritto di voto). Il fondatore dell’organizzazione, nella maggioranza dei casi, decide di metterli in vendita, per cui chi li acquista diventa automaticamente membro (in questo caso la DAO viene detta “permissionless”).
Questo approccio technology based all’organizzazione aziendale ha dei vantaggi:
I possibili svantaggi di una DAO sono:
Uno dei primi casi di organizzazione autonoma decentralizzata è stato TheDao, un fondo di capitali di ventura decentralizzato che, nel 2016, raccolse 150 milioni in Eth. La storia è emblematica della peculiarità di questa nuova forma socio-tecnica, perché il fondo fu oggetto di un furto di 60 milioni e poi del loro rocambolesco recupero grazie ad un controverso “hard fork” sulla blockchain Ethereum.
Recentemente ha fatto parlare di sé ConstitutionDAO, un gruppo temporaneo riunitosi per raccogliere fondi tramite i quali acquistare la prima versione stampata della Costituzione degli Stati Uniti. Nonostante la raccolta di oltre 45 milioni di dollari, l’asta da Sotheby’s è stata vinta da un privato. Sfumato il sogno comunitario, la DAO è stata sciolta e i finanziatori rimborsati (anche se al netto dei costi di “gas fee” da pagare per l’uso della rete Ethereum).
Al momento della scrittura di questo post si contano più 4.200 DAO, che servono a dare una forma organizzativa ad aziende con obiettivi diversi. Cumulativamente, le loro tesorerie hanno superato i 13 miliardi di dollari (+3.200% rispetto al 2001). Seguendo la tassonomia di Coopahtroopa si possono distinguere:
La comunità cripto ha creato una serie di strumenti che aiutano chi vuole creare e gestire una DAO senza partire da zero:
Per orientarsi tra le organizzazioni esistenti si può usare Deep DAO che offre la possibilità di filtrarle secondo diverse metriche: capitale raccolto, membri, proposte, votanti.
La democratizzazione delle aziende attraverso l’automatizzazione dei meccanismi decisionali potrebbe rivelarsi un’utopia, ma non c’è dubbio che per alcune iniziative temporanee e con scopi precisi, le DAO potrebbero rivelarsi una soluzione agile ed efficace (Ukraine DAO, creata dalla fondatrice della band Pussy Riot, ha raccolto 6,75 milioni in Eth per il popolo ucraino). Ma siamo solo agli inizi. Il tempo e le applicazioni reali ci diranno quanto questo strumento potrà reggere alla prova dei fatti.