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  mymarketing.it: perchè interagire è meglio!... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Internet (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 05/10/2009 @ 07:20:34, in Internet, linkato 1263 volte)

Ottobre è un mese importante per Microsoft. Infatti, insieme al lancio del nuovo sistema operativo per i PC, Windows 7, atteso per il 22 ottobre, il 6 ottobre verrà ufficializzato il lancio di Windows Phone 6.5, il sistema operativo per i cellulari.

Ma le novità non finiscono qui: infatti, per i cellulari di nuova generazione è prevista la creazione del MarketPlace, un negozio virtuale dove scaricare le applicazioni per il telefono, gratuite e a pagamento e prima della fine dell'anno verrà attivato anche per i modelli dotati di sistema operativo precedente. Microsoft, nel frattempo, è impegnata nel supporto degli sviluppatori che potranno realizzare applicazioni che possono essere vendute in ogni paese del mondo, creando anche eventi con le principali università italiane. Inoltre, per la prima volta, Microsoft venderà direttamente il proprio software per PC attraverso internet.

E' già attivo il sito dove si possono acquistare i tools di sviluppo per i programmatori e i programmi per la produttività in ufficio. Il pagamento, attraverso carta di credito, anche ricaricabile, permette l'immediato scaricamento dell'applicazione, eliminando i tempi di consegna. Si può masterizzare il file scaricato, salvarlo su una chiavetta e, chiaramente, richiedere l'invio di una copia su DVD (in questo caso, si pagherà la spedizione).

Due le particolarità. La prima è che l'utente potrà scaricare per 3 volte il prodotto acquistato nell'arco di un anno, per cui è ipotizzabile che Microsoft stia iniziando ad attrezzarsi a forme di noleggio delle applicazioni, come annunciato per Office 2010. La seconda è che Windows 7 sarà disponibile in digitale, probabilmente, dalla mezzanotte e un minuto del 22 Ottobre, prima quindi dei negozi tradizionali.
 
di Gigi Beltrame su ILSOLE24ORE.COM

 
Di Altri Autori (del 07/10/2009 @ 07:04:24, in Internet, linkato 2222 volte)

Oggi parliamo di SEO, e di alcune informazioni fondamentali per il posizionamento del proprio sito web nei motori di ricerca. In particolare dei fattori più importanti da considerare nell’ottimizzazione delle nostre pagine web.

Vediamo quali sono i 5 elementi dal peso specifico maggiore per un ottimo posizionamento:


1. Il primo fattore riguarda l’anchor text di tutti i link in entrata al vostro sito web. Per chi non lo sapesse Google, ma anche tutti i motori di ricerca in generale, usano gli anchor text degli altri siti che ci linkano per capire di cosa tratta il nostro sito, ma soprattutto per capire le keywords con la quale indicizzarci nelle pagine di ricerca. Quindi è sempre meglio avere link in entrata provenienti da anchor text contenti keywords piuttosto che anchor text che riproducono la nostra url.

2. Il secondo elemento riguarda le parole chiave nel tag title. Più sarà unica e di qualità la keyphrase che inseriamo nel nostro title e più saranno di qualità i nostri risultati nei motori di ricerca. Importante dunque assicurarsi che la pagina che si sta ottimizzando abbia nel tag title la parola chiave per noi più importante. Se possibile è meglio includere sola la frase chiave, così questa avrà più peso e maggiore importanza. Va evidenziato che questo fattore riguarda si il tag title della nostra web page ma anche il tag title dei siti che ci linkano. Più le keywords dei siti che ci linkano saranno di qualità e analoghe alle nostre, rispettivamente nei loro title e nelle loro description, e meglio sarà anche per noi che da queste pagine web veniamo linkati.

3. Il terzo fattore è la link popularity, un termine che riecheggia molto nell’ambito SEO e che ha una stretta correlazione con il Page Rank. Con questo termine si indica la quantità e la qualità dei link nella rete che puntano al nostro sito web. Importante in questo caso che i link provengano da siti che hanno per Google un’ottima reputazione e di conseguenza un buon Page Rank. Fondamentale dunque la costruzione di collegamenti che hanno un buon PR Google. Diciamo così più il nostro sito viene citato, più avrà ottimi risultati nelle pagine di risposta Google, ancor più se le citazioni vengono da siti autorevoli.

4. Il quarto elemento di elevata importanza riguarda la diversità dei domini che ci linkano. Se ad esempio abbiamo 100 link dallo stesso dominio avremmo benefici minori rispetto ad averne 100 da 100 siti diversi.

5. Il quinto e ultimo fattore riguarda la parola chiave nel dominio principale, o meglio, nella url del sito. Siti che hanno la parola chiave che si vuole indicizzare nella url hanno risultati migliori e persistenti nel ranking Google rispetto a quelli in cui non è contenuta. Parliamoci chiaro questa non è una regola assoluta, ci sono siti che magari non hanno la keyword nel dominio principale e comunque hanno ottimi risultati, anche migliori magari, ma solo grazie all’esperienza ed alla persistenza nel lavoro di ottimizzazione. Va quindi sottolineato che includere la keyword nella url aiuta sempre.

Via Marketing Journal

 
Di Altri Autori (del 09/10/2009 @ 07:53:36, in Internet, linkato 2029 volte)

Cos’è il Widget Marketing? Con il termine Widget si indicano tutte quelle piccole applicazioni, molto leggere, che rimangono costantemente attive sul desktop fornendo svariati servizi di calcolo, news, o intrattenimento. Tra le loro funzioni la più interessante è quella di ricevere in tempo reale ogni sorta di informazione da internet, facendo risparmiare la necessità di visitare diversi siti web.

I Widget funzionano grazie ad un motore che nei sistemi Mac è integrato e prende il nome di Dashboard, mentre per i pc non ne esiste uno compreso nel sistema Windows, ma ne sono disponibili alcuni da scaricare, il più completo e diffuso dei quali è sicuramente Yahoo! Widgets Engine.
Cerchiamo di capire perchè i Widget rappresentano il futuro prossimo del branded content. Le motivazioni principali sono sicuramente due: la facile diffusione e la praticità di utilizzo.

La distribuzione di questi programmi è completamente libera e gratuita e tra breve gli stessi Widget che oggi utilizziamo con il computer potranno essere usati con il telefono cellulare: la rivoluzione è arrivata con iPhone di Apple, ma anche Nokia sta sviluppando una tecnologia simile. Ci sono tutti i presupposti per effettuare un salto di qualità dai “tradizionali” siti web interattivi e bypassare i canonici sistemi di navigazione web.

Con l’utilizzo del Widget gli utenti possono stringere un rapporto più stretto con la marca. Il brand, dal canto suo, può scegliere se creare un contenuto che trasmetta puramente il proprio messaggio, oppure creare una sorta di estensione dei valori del marchio.

Possiamo citare due esempi, entrambi dello scorso anno, che rappresentano questi due diversi approcci:
* H&M ha creato un Widget puramente legato alla propria catena di moda, che fornisce notizie in tempo reale sulle ultime novità disponibili nei negozi o altre attività promozionali, dedicato quindi esclusivamente agli estimatori del brand.
* Adidas, invece, ha scelto di fornire news in tempo reale raccolte da diverse fonti (Yahoo!, Sky, Radio 1) durante i mondiali di calcio in Germania, aggiungendo un pizzico di personalità con servizi esclusivi e speaker d’eccezione come David Beckham: di certo un modo per consolidare il rapporto con i propri consumatori ed eventuali prospect.
* Altri esempi: Purina ha creato un servizio meteo al quale gli utenti possono inviare le foto dei propri animali per vederli apparire sullo sfondo; Honda, per la sua Acura RDX, fornisce bollettini del traffico in tempo reale ricreando una delle novità del navigatore installato sulla vettura; Sony Pictures ha utilizzato un Widget per promuovere il film Zathura; il Rijksmuseum di Amsterdam regala immagini e informazioni sui capolavori esposti; ultimo, in ordine di tempo, il Rabbit Widget di Volkswagen che aggiorna in tempo reale su eventi gratuiti tra concerti, mostre, spettacoli e feste nelle principali città statunitensi.

Siamo sicuramente ancora agli albori del Widget Marketing: i casi esaminati non sono certo eclatanti e non riescono ancora a eguagliare lo sfruttamento di potenzialità del sistema ottenuto da altri Widget non brandizzati, ma si tratta pur sempre di una prima fase di rodaggio che sicuramente porterà a migliorie.

Da questi esempi possiamo intanto capire cosa fare e non fare per ottenere la massima efficacia:
* Fornire un servizio o una fonte di intrattenimento (Honda ha registrato più 10.000 download in un mese).
* Cercare di essere poco invasivi (purtroppo non basta una grafica decorativa come quella utilizzata da H&M)

Riguardo agli aspetti tecnici, utilizzare i motori standard, ovvero Dashboard e Yahoo! Widgets: sul web popolano altri pseudo-widget che non stanno risquotendo molto successo perchè forzano gli utenti a complicate installazioni di diversi motori (andando contro al principale plus dei Widget, la semplicità).

Non dobbiamo dimenticare che alla base dell’approccio del branded content c’è sì l’intrattenimento del consumatore, ma bastano dei piccoli errori per far sì che egli viva la marca in un modo indesiderato. E’ un peccato che le marche non siano ancora in grado di sfruttare a pieno i benefit di questo nuovo mezzo utile, poco invasivo e durevole, ma siamo sicuri che si tratti solo di una questione di tempo. Irrisoria.

Via Marketing Journal

 

Qualche giorno fa ho parlato di Enterprise 2.0 ed ho citato anche due interessanti post di Leonardo Bellini (li trovate qui e qui) sui 10 principi delle reti sociali ripresi da il Passaparola di Emanuel Rosen.

Dal momento che ho sottolineato che la costruzione dell’enterprise 2.0 parte da un clima organizzativo e culturale ho provato ad applicare alcuni dei 10 principi in questione alla comunicazione interna e mi sembra che vi siano degli spunti interessanti su cui riflettere.

Un grafo di social network analysis, fonte http://www.thedailybit.net

1° : le reti sociali sono invisibili, al di là dei disegni fatti sull’organigramma da sempre si creano delle reti di relazioni e collaborazione tra diverse aree e funzioni, in presenza di un sistema di condivisione fluido e accettato da tutti delle informazioni questa situazione non potrà che essere massimizzata crescendo oltre le previsioni che si possono fare all’inizio.

2° : simile cerca simile (Affinità elettive) e 3° : chi si assomiglia tende a raggrupparsi,  il che può creare paradossalmente dei problemi, perché tende a mantere l’informazione all’interno di gruppi di lavoro chiusi. Questo viene evidenziato anche nel 5° principio: le informazioni restano intrappolate nei gruppi. L’abilità di chi governa le informazioni deve essere dunque quella di portare costantemente a contatto gruppi diversi e farli interagire in un ambiente comune.

Al contrario, il fatto che persone che non sono in un rapporto diretto e continuativo (legame forte) entrino in interazione con altre aree e con le loro informazioni esalta la forza dei legami deboli “scoperti” da Mark Granovetter che sono l’oggetto dell’8° principio (i legami deboli sono sorprendentemente forti).

Nel momento in cui il clima organizzativo e gli strumenti tecnologici permettono l’accesso alle informazioni e alle conoscenze da parte di molteplici persone, anche senza un’interazione personale approfondita, saranno proprio i legami deboli a far viaggiare la collaborazione attraverso i diversi gruppi, tramite delle persone che fanno da connettori e nodi di rete (6° principio).

La tecnologia ovviamente potenzia alla grande il potere dei legami deboli (9° principio) mettendo il dubbio il tradizionale limite posto dal numero di Dumbar e permettendo anche in grandi organizzazioni l’interazione e la condivisione fra centinaia di persone.

E dunque che cosa ci dice questa breve carrellata di principi applicati alle organizzazioni?

1) Le informazioni devono essere accessibili anche al di fuori dei propri gruppi abituali di lavoro disegnati sull’organigramma.

2) Per fare questo ci deve essere un clima organizzativo e delle policy che incentivino le persone a non tenere per sè le informazioni e ad essere proattive nell’utilizzo di quelle rese disponibili da altri.

3) Nel momento in cui le persone sono aperte a questo approccio è necessario dare loro degli strumenti tecnologici semplici e potenti per parlarsi e per mettere in circolo l’informazione.

La vostra esperienza lavorativa è così o c’è ancora da lavorare?

Gianluigi Zarantonello

via http://webspecialist.wordpress.com

 

L’apertura della 7° edizione dello IAB Forum ha messo drammaticamente in evidenza lo stato delle cose: Internet cresce di anno in anno, di mese in mese e quasi di giorno in giorno, ma il potere politico, economico e mediatico che potrebbe sfruttare questa crescita come volano per una ripresa del paese e un’accelerazione del tasso di innovazione dell’intero ‘Sistema Italia’ sembra non accorgersene.

Nella prima parte del suo intervento di apertura dei lavori, Layla Pavone (nella foto), presidente di IAB Italia, ha mostrato attraverso una serie di numeri e fatti incontrovertibili lo sviluppo di un mercato che, unico fra i suoi pari, continua a conquistare terreno, a crescere e a erodere quote ai competitor.

Provocatorio fin dall’apertura, lo speech si è domandato - e ha domandato alle oltre 7.000 persone iscritte online all’evento che si tiene in questi due giorni a Milano -, se Internet possa veramente risollevare le sorti dell’economia italiana.

La prima risposta è nella fotografia del popolo del web: quasi 23 milioni di utenti, pari al 43% della popolazione, concentrati al 55% nella fascia fra i 25 e i 54 anni (quindi non così giovani come si dice, o almeno non soltanto), all’88% collegati in banda larga per 50 ore al mese e 102 minuti al giorno nella fascia oraria fra le 8 del mattino e le 11 di sera.

La presidente di IAB ha quindi sottolineato “Il ruolo crescente e centrale di Internet nella ricerca di informazioni su prodotti e servizi da parte di utenti sempre più multitasking - proprio perché l’uso del web è complementare a quello degli altri media e in particolare della tv - ma al tempo stesso più volubili nelle proprie scelte d’acquisto”.

Fondamentale anche il quadro delle attività online degli italiani: 13,1 milioni (il 57% degli utenti di Internet) si informano e leggono news - e molti di loro non sono lettori abituali di carta stampata; 17,6 milioni (il 77%) partecipano ai social network e intrattengono relazioni interpersonali con i propri amici in una logica peer to peer; 18,3 milioni (l’80%) adoperano il web per intrattenimento.

“Tutto ciò - ha ribadito Pavone - richiede una riflessione approfondita sui concetti di qualità e autorevolezza dei contenuti”.

E ancora: 13,5 milioni sono gli unique viewers dei video online, un audience a tutti gli effetti di dimensioni televisive, e 11,8 milioni sono gli utilizzatori di smartphone (il 27% dei quali usa il web in mobilità, mentre il 20% utilizza la mail sul suo dispositivo).

Pavone ha quindi disegnato uno scenario ‘virtuoso’ caratterizzabile e riassumibile attraverso 7 fenomeni: la crescita del consumo dei media; la frammentazione delle audience; la partecipazione; la personalizzazione; l’evoluzione delle tecnologie; il cambiamento generazionale; e per finire, lo sviluppo di nuovi modelli di business e nuove fonti di revenue.

Di più, nel momento in cui tutte le piattaforme saranno finalmente integrate - dal pc al satellite, dal digitale terrestre televisivo fino all’Iptv - idealmente attraverso un unico set-top box, si apriranno le porte al salto successivo,

“Quello del behavioural targeting, che consentirà di seguire le persone non dipendendo dalle piattaforme ma in funzione delle loro abitudini e dei loro bisogni”.

Un’integrazione che, peraltro, sta già avvenendo sul fronte mobile.

Per quanto riguarda il 2009, Pavone conferma la stima elaborata lo scorso giugno insieme ad Assocomunicazione per un tasso di crescita del 10,5% rispetto all’anno scorso.

“Oggi siamo al +6%, ma sono convinta che l’ultimo trimestre ci permetterà di risalire e recuperare” ha detto Pavone, che non ha del resto alcun dubbio sul fatto che la crescita continuerà anche in futuro: “In particolare, grazie al sempre maggiore impatto dei rich media, misurato e certificato dalle indagini sul ricordo, potrà e dovrà crescere la quota di investimenti dedicata al branding rispetto a quanto si investe oggi nell’area del direct response.

Sarebbe anche ora di superare il luogo comune secondo il quale il clickthrough è l’unico indicatore della performance di una campagna online, cominciando piuttosto a ragionare - salvo casi specifici e particolari - in termini di acquisizione dei clienti”.

E ha proposto una metafora: come nessuno di noi vorrebbe vivere esclusivamente in una sola stanza di casa, così le aziende dovrebbero essere presenti in tutte le “stanze” del web, quella (guidata dalla distribuzione) dei portali, della search e dell’advertising online, ma anche quella (guidata dal brand) dei siti web aziendali, e quella (guidata dai consumatori) dei social network, dei blog e degli UGC…

E l’Italia resta a guardare
La parte finale del discorso, partita ancora una volta da dati reali e fatti concreti, è stata rivolta a una questione squisitamente “politica”.

“Poco più di un mese fa - ha ricordato il presidente di IAB Italia -, in Gran Bretagna si è assistito a un fenomeno storico: gli investimenti web hanno superato quelli televisivi.

Certo il mercato è diverso, ci sono meno reti tv generaliste e la BBC non accetta pubblicità, ma il dato rimane importante è va letto in termini di trend.

I fattori chiave di quel successo sono molti: lo sviluppo di nuovi formati, l’interattività, il boom dell’e-commerce e dell’offerta di prodotti e servizi online, la banda larga disponibile al 92% della popolazione e la sua penetrazione, al 76%, fra i navigatori…

Ma soprattutto una cultura che ha portato, nel maggio di quest’anno, al Digital Britain Act di Gordon Brown, che fissa proprio nella Rete e nella digitalizzazione infrastrutturale del paese le linee guida per il suo sviluppo futuro”.

Via Marketing Journal

 
Di Roberto Venturini (del 13/11/2009 @ 07:24:23, in Internet, linkato 2975 volte)

Riprendo da questo servizio di Journal du Net (in francese) la classifica dei 10 operatori che fanno la top ten dell'e-com in Italia (in termini di visite, non di fatturati...).

1. eBay.it: a Giugno, secondo Comscore, avrebbe avuto 9,4 milioni di Visitatori Unici.

2. Expedia.it, 2,6 milioni; ma se ebay ha fatto nel mondo dei profitti, expedia ha fatto delle perdite, quest'anno...

3. Apple.it 1.8 milioni di visitatori unici e dei bei fatturati.

4. Sorpresa, il primo operatore italiano è... Ferrovie dello Stato, con 1.8 milioni di visitatori.

5. Mi aspettavo di trovare un po' più in alto Amazon, con 1.2 milioni di visitatori.

6. Grandi complimenti a Olivero.it - sito italiano che fa gli stessi numeri di Amazon (abbigliamento sportivo etc), emanazione di un negozio "fisico" dalla storia trentennale che è sbarcato sull'e-com nel 2009; 1.2 milioni, appunto

7. 3Suisses.it - dal gruppo Otto, il leader mondiale della vendita per corrispondenza, 1.2 milioni.

8. HP, con 1.1 milioni.

9. Altro Italiano, Internetbookshop, 1.1 milioni (se sommiamo ibs e Amazon ci rendiamo conto che la cultura vende...; - )

10. Priceline / Booking.it con 1 milione di visitatori.

 

Qualche settimana fa sono stato al Venezia Camp 2009 e come sempre quando si parla e ci si confronta con altre persone sono tornato a casa con degli spunti interessanti.

Immagine tratta da http://geekandpoke.typepad.com/geekandpoke/

Uno in particolare mi ha fatto venire voglia di scrivere questo post: se il web è un luogo relazionale dove ci si incontra fra persone che cosa ci fa lì un’azienda e che senso ha per me iniziare un dialogo con un prodotto, come il frullatore di cui sopra?

Non è sicuramente un’osservazione priva di logica, e spesso la realtà dei fatti, specie in Italia, dà ragione agli scettici.

Dal mio punto di vista però è prima di tutto necessario distinguere fra presenze intelligenti e presenze sbagliate sul web 2.0 (termine che mi piace sempre meno, e ho già spiegato perché): che cosa vuole ottenere la nostra fabbrica di frullatori? E la strategia che ha messo in pista per farlo è quella giusta? E mi pongo in modo adatto ai miei interlocutori?

Non è un discrimine da poco: non è detto che i miei clienti vogliano parlare con me di quello che decido unilateralmente e in ogni caso non lo faranno per forza negli spazi che ho creato io.

L’approccio post in effetti prevede diversi livello di coinvolgimento dei pubblici, dal puro ascolto fino alla collaborazione attiva che porta alla trasformazione dell’azienda stessa.

C’è poi un punto tanto banale quanto chiave: le aziende sono fatte di persone e se entriamo in contatto con queste ultime sicuramente svilupperemo delle relazione, ammesso esse che ci parlino con voce personale e umana, come chiesto dal Clue Train Manifesto (tesi n°3).

In questo caso potremo valutare se lo scopo per cui l’azienda ci ingaggia in questo rapporto è realmente utile per noi, come quando questo porta a soddisfare i nostri bisogni di cambiamento, evoluzione e diversa fruizione di un prodotto o servizio.

Non tutte queste relazioni sono davvero personali ma vi viene da chiedere se altrettanto possono essere definite quelle con tante connessioni ignote di un social network di cui abbiamo accettato l’amicizia in modo automatico.

Sono punti di contatto, occasioni, che partendo dal piccolo possono però smuovere grandi cose.

Non mitizziamo dunque troppo i rapporti di relazione sulla rete (quasi tutti per diventare qualcosa di più passano per un incontro personale) e cerchiamo di avere non pregiudizi verso le aziende, nemmeno quando facciamo due chiacchiere con un frullatore (molto meglio, con una pr di frullatori).

In fondo l’unico web relazionale cattivo è quello fatto male e con obiettivi sbagliati, per cui idee chiare e mente aperta, mi raccomando (aziende o privati che siate)!

P.S. attendo con ansia i pareri di eventuali produttori di frullatori 2.0…come loro!

Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com

 

Eccomi qui a scrivere sul blog dopo un periodo di assenza dovuto all’ultimazione della nuova versione del sito istituzionale dell’azienda per cui lavoro.

Amleto

Un dubbio amletico: quale la scelta strategica più giusta?

In questo periodo ho avuto modo di accumulare diverse riflessioni, oggi ve ne propongo una che credo sia di una certa valenza strategica per un’azienda che vuole essere presente sul web: meglio creare propri servizi innovativi o usare gli strumenti offerti già fatti dai big della rete?

Nessuna delle due strade è giusta a priori e occorre fare una breve panoramica sulle due scelte.

Non è necessario inventare ogni volta la ruota
: sicuramente questa è l’argomentazione chiave per dire che, ad esempio, sviluppare uno strumento di video sharing aziendale o un social network proprio (con tutte le difficoltà del caso) è una fatica notevole e in molti casi inutile quando ci sono già servizi simili sulla rete, come YouTube e Facebook.
Loro hanno risorse e know how per migliorare i servizi (che sono il loro core business) nonché milioni di utenti già iscritti che frequentano i loro siti.

Non è logico consegnare ad altri il bene più prezioso di un sito, i suoi utenti registrati
: questo è invece l’argomento più significativo per dire che basare tutta la propria strategia su social media di terzi dove abbiamo una nostra pagina equivale a regalare a questi servizi le email e i lead in genere degli utenti. Ossia state lavorando per loro e non per voi stessi.

Trovo entrambe le cose vere e dunque la mia opinione è che ci vuole una scelta di equilibrio
: la vostra fan page su Facebook o i vostri Tweets nella maggior parte dei casi sono troppo difficili da replicare su piattaforme proprie ma devono invece essere un punto di contatto che vi consente di portare alla registrazione sul vostro sito degli utenti.
E’ inutile ambire a creare una vostra piattaforma dove potete sfruttare l’esistente ma dovete avere la lungimiranza di usare tutti questi strumenti come leve di marketing e fonti di contatti per sviluppare la vostra propria strategia sui vostri propri media.

Questo non esclude nemmeno l’adozione di piattaforme di social media marketing white label per creare circuiti propri dove convogliare chi avete ingaggiato sugli altri media ma credo che tale strategia, senza un’ampia distribuzione della propria azienda sul web, rischi di essere poco visibile e di attirare troppo pochi contatti.

In conclusione dunque il mio consiglio è di usare con intelligenza gli strumenti free esistenti per favorire i vostri siti proprietari e di non avventurarvi da zero nello sviluppo preferendo piuttosto soluzioni customizzabili e brandizzabili fatte da esperti del settore.

Voi che cosa ne dite?


Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com

 
Di Altri Autori (del 03/12/2009 @ 07:22:24, in Internet, linkato 1455 volte)

Il 70% dei cittadini britannici comprerà almeno uno dei propri regali di Natale online, dice una ricerca di Deloitte su mille consumatori.

L’e-commerce si diffonde a macchia d’olio e può ormai contare su un giro d’affari imponente e in costante crescita.

Nel Regno Unito, il settore frutta 25 miliardi di sterline annue, contro i 9 miliardi del 2005.

Via Quo Media

 
Di Gianluigi Zarantonello (del 07/12/2009 @ 08:00:00, in Internet, linkato 1727 volte)

Credo che in Italia sia piuttosto diffusa una falsa percezione della diffusione del web e delle nuove tecnologie in genere, che porta spesso le aziende a fare errori più o meno gravi.

Come ho scritto più volte un corretto approccio strategico tiene presente della penetrazione del web presso il proprio target e parte dagli obiettivi che ci poniamo nel comunicare con esso per poi, solo alla fine, scegliere la tecnologia.

Va benissimo allora prendere a riferimento le tecnolgie più trendy ma rendiamoci conto che l’Italia non è un paese all’avanguardia: secondo l’Osservatorio Italia Digitale 2.0 solo il 47% della popolazione tra 15 e 74 anni accede tramite internet ai servizi disponibili on-line; 1/3 delle aziende continua a non essere in rete, e tra le microimprese il tasso sale al 43%.

il vostro sito causa queste reazioni?

Questo dato non deve scorraggiare la ricerca dell’innovazione ma richiede equilibrio, non dobbiamo innamorarci delle nostre teorie ma capire, ascoltando molto, che cosa gli utenti già utilizzano per puntare prima di tutto su questi strumenti. Solo su questa base si potranno poi aggiungere servizi ed opportunità per proporli ai navigatori, magari diventando un tramite per far sperimentare. In caso contrario ci troveremo a chiederci, ad esempio, perché nonostante tutti i nostri clienti non conversano con noi sul nostro sito.

Purtroppo le mode influenzano invece molto le scelte aziendali, puntando su tecnologie di cui tutti parlano ma che gran poche persone usano davvero (ricordate Second Life?).

Com’è la vostra esperienza in tal senso?

Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com

 
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