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  mymarketing.it: perchè interagire è meglio!... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Mercati (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 22/09/2015 @ 07:39:17, in Mercati, linkato 1543 volte)

1. Quando cerco di osservare da vicino le implicazioni insite nella Economia on demand, quello che soprattutto mi interessa riguarda: a) le grandissime potenzialità connesse alla rete digitale, pardon alle reti digitali; b) raccogliere elementi di conoscenza volti a capire se il futuro che ci aspetta sia davvero quello di una vita migliore e più densa di soddisfazioni. (Stavo per scrivere: una vita più serena, ma credo che sia meglio lasciar cadere questo taglio analitico. Mi sorge il sospetto che nell’epoca del Prozac una vita migliore non vada di pari passo con una più serena).
Analoghe curiosità le avevo manifestate 15 anni orsono, curando – insieme a Barbara Mazza – un testo sulla “net-economy”.
Siccome le parole sono pietre (lo hanno spiegato bene, ognuno con il suo linguaggio, sia Carlo Levi che Nanni Moretti), le forti implicazioni che, anni addietro, l’innovazione tecnologica portava con sé indusse non pochi osservatori a parlare di “new economy”. Sembrava di aver raggiunto, finalmente, un traguardo strepitoso. Ci stavamo scrollando di dosso il fardello pesante del sistema capitalismo basato sulla spropositata ricchezza di pochi a danno di molti.
Come capita poi spesso nella storia dell’umanità, a una fase di euforia ne succede una di attento discernimento: insomma, una sorta di corsi e ricorsi.
Al termine “new economy” parve più adeguato sostituire la parola “net-economy”, prima di tutto perché quel modo di fare economia di certo non incrinava i fondamenti del modello dominante e poi perché enfatizzare il network, ossia la rete, ossia la possibilità comunicare e fare comunità da una parte all’altra del pianeta risultava il tratto connotante l’aspetto più importante del mondo del business e del management. Tutto vero. Ma soltanto per poco tempo.

2. Da cinque/sei anni a questa parte siamo stati subissati di locuzioni che evocano paesaggi e rapporti inediti pieni di straordinarie possibilità. Ecco pochi esempi.
On demand economyL’Economia on demand sottende un modello basato sull’utilizzo di servizi che sono richiesti dal cliente seduta stante e ai quali, di conseguenza, l’impresa è in grado di rispondere just in time.
La Sharing economy richiama la condivisione di beni e servizi. Si tratta di servizi che possono essere usati da molti; in questo ambiente ritorna a contare di più il valore d’uso piuttosto che il valore di scambio (di marxiana memoria). Nello specifico, e soltanto nello specifico, la proprietà come status symbol tende a stemperare le sua cogenza per far posto alla fruizione e all’accesso.
Peccato che il modello si presenti esattamente rovesciato. Sarò più chiaro: se sei un tipo che indugia ancora nell’acquisto di un’auto piuttosto che avvalerti, al bisogno, della formula del car sharing di sicuro non sei cool e, probabilmente, sei anche un po’ agée.
L’Economia della fiducia è, oggi, assunta nella nuova versione che ha a che fare con il fidarsi dei servizi erogati e, soprattutto, degli operatori/professionisti digitali che li forniscono; la loro efficienza mette in campo un surplus di credibilità che si riverbera sul successo del prodotto relativo. La fiducia è questo, e molto altro ancora. Basterebbe risalire a Sir John Maynard Keynes per conoscere il peso che questo fattore ha esercitato ed esercita nelle transazioni economiche (e non).
La Ubereconomics può essere considerato il modello di business per eccellenza, è quello che ha fatto più discutere, è quello che si propaga di più, è, infine, quello che assomiglia di più alla  Emerging Platform Economy per antonomasia. Uber serve 55 paesi e ha innescato resistenze e conflitti, per dire, a Milano come a Parigi, tanto a Bruxelles quanto a San Francisco. Sta di fatto che ad oggi il fatturato dell’impresa si aggira intorno ai 10 miliardi di dollari. Sarà vera gloria? Vedremo.

3. Quali le conseguenze nella vita della gente? Ove per gente si devono intendere sia le persone in quanto utenti/consumatori, sia in quanto professionisti/lavoratori. Qui si apre una grandissima falla in termini di conoscenza. Tutti concordano sull’equazione tra flessibilità, conoscenza e incertezza, ma la letteratura dice poco più di questo. A me sembra che l’attenzione delle istituzioni sia stata completamente assorbita dalle mirabolanti rivoluzioni indotte dalle piattaforme digitali e dalle relative startup. Mi sembra finanche che la ricerca sociale abbia le armi spuntate rispetto alle importanti trasformazioni in corso sulle condizioni materiali e morali di vita delle persone comuni, quelle in carne e ossa. E che non si chiamano né Travis Kalanick, né Mark Zuckerberg.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 12/10/2015 @ 07:09:22, in Mercati, linkato 1487 volte)

Nel 2015 si stima che gli acquisti per turismo e viaggi in Italia legati a strutture ricettive, mezzi di trasporto e pacchetti viaggio supereranno i 51 miliardi di euro, considerando sia gli italiani che restano in Italia o che vanno all’estero, sia gli stranieri che vengono in Italia. Si registra così una crescita del 3% sul 2014, generata sia dalla componente tradizionale (+1%, a differenza di una sostanziale stabilità nel 2014) sia soprattutto dalla componente più innovativa che passa attraverso i canali digitali (+11%, leggermente superiore alla crescita a consuntivo dello scorso anno del 9%). Il mercato digitale arriva nel 2015 ad un valore complessivo di 9,5 miliardi di euro.

Queste le stime presentate a TTG Incontri dalla seconda edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano, una ricerca tesa ad analizzare le dinamiche della diffusione e il ruolo che le soluzioni digitali possono svolgere a supporto del Turismo. ”Nella scorsa edizione ci siamo domandati se i fenomeni principali non si fossero già spiegati nel mercato, se le innovazioni più rilevanti fossero già avvenute o se le posizioni di mercato fossero oramai consolidate anche sui canali digitali. Erano dubbi certamente infondati“, afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. “I cambiamenti sono ancora in atto in tutti i segmenti dell’industria, sia a livello di innovazioni (si pensi ad esempio a quanto sta accadendo nei servizi durante il viaggio grazie alle tecnologie Mobile) sia a livello di attori e relazioni di filiera (come sta accadendo nel mondo dei trasporti multimodali e del tour operating). È questa infatti la principale evidenza trasversale ai diversi ambiti di ricerca di questo anno di intensi lavori.”

Se segmentiamo la “spesa digitale” (cioè il transato generato online per l’acquisto tramite eCommerce di un prodotto in ambito Turismo) nei tre prodotti oggetto di indagine, ovvero Strutture Ricettive, Trasporti e Pacchetti Viaggio, si evidenziano sempre crescite positive ma con minori differenze. In particolare, il transato digitale delle Strutture Ricettive vale circa 1,5 miliardi di euro nel 2015, in crescita del 12% rispetto al 2014, e pesa il 16% del mercato online complessivo. I Trasporti valgono poco più di 6,8 miliardi di euro nel 2015, in crescita del 9%, e pesano il 72% del mercato. I Pacchetti Viaggio quasi 1,2 miliardi di euro, in crescita del 13%, e pesano poco più del 12% del mercato. Se ci soffermiamo in particolare sul transato digitale delle Strutture Ricettive, poco più del 70% della spesa è destinata agli hotel e il restante 30% alle Strutture extraalberghiere. Mentre per quanto riguarda il settore dei Trasporti, la spesa è suddivisa principalmente tra biglietti aereo (79%) e treno (17%), residuale il resto.

Guardando ai canali digitali da cui provengono gli acquisti emerge che: il transato derivante dai canali diretti online (i siti delle singole Strutture, dei servizi di Trasporti e dei Tour Operator) registrano nel 2015 una crescita del 10%; i canali indiretti, le OTA (Online Travel Agency) e gli Aggregatori crescono invece del 14%. Non cambia però l’incidenza del transato derivante dai canali indiretti sul totale del mercato digitale: rimane infatti costante al 22%, come nel 2014.

Il Turista Digitale durante le varie fasi del viaggio
Il “Turista Digitale” italiano (ossia che ha fatto almeno un’attività online durante una delle fasi del viaggio) è oramai attivo da tempo nelle fasi prima della partenza e ora ricerca molti servizi digitali anche durante il viaggio. Dall’indagine effettuata in collaborazione con Doxa, su oltre 1.000 utenti rappresentativi della popolazione Internet italiana, emerge che il Digital Tourist Journey degli italiani copre un ampio spettro sia di “momenti digitali”, estendendo ad esempio anche al viaggio molte interazioni, sia di “tipologia di servizi digitali” fruiti, distribuendo la propria esperienza online su più servizi legati al viaggio (dal biglietto per le attrazioni alle recensioni, dalla camera dell’albergo all’assicurazione di viaggio).
Il Turista Digitale italiano è particolarmente attivo su Internet in tutte le macro-fasi del viaggio: nei momenti pre-viaggio, l’88% ricerca informazioni e l’82% prenota o acquista qualcosa (alloggio, mezzo di trasporto o attività da fare a destinazione); durante il viaggio il 44% acquista su Internet qualche attività e l’86% utilizza applicazioni in destinazione a supporto dell’esperienza; il 61% fa attività digitali nel post-viaggio.
Il Digital Tourist Journey si sta articolando sempre più e sta spingendo conseguentemente l’offerta a seguirlo nelle proprie azioni, soprattutto durante il viaggio e nelle fasi successive. Una dinamica che può quindi rivelarsi un’ottima opportunità per le aziende.

Le Agenzie di Viaggio alla prova del digitale
Le quasi 800 Agenzie di Viaggio italiane che hanno partecipato all’indagine mostrano segnali positivi a livello di fatturato e utilizzo degli strumenti digitali. Quasi due terzi del campione stima una crescita del fatturato per il 2015. Il dato è trasversale se consideriamo le dimensioni delle Agenzie, sebbene più accentuato per le grandi, che nel 2014 avevano sofferto i maggiori cali e che perciò hanno probabilmente beneficiato maggiormente del recupero complessivo del mercato turistico.

Una seconda nota positiva evidenziata delle Agenzie è l’elevata adozione di strumenti digitali in tutte le diverse attività: l’86% delle Agenzie utilizza strumenti digitali per la promozione; il 68% effettua la ricerca dei viaggi attraverso software o Internet; il 73% utilizza canali digitali per l’assistenza durante il viaggio e il 70% nel post-viaggio. L’89%delle Agenzie gestisce tramite supporti elettronici vari dati sulla clientela, anche se vi è ancora ampio margine di miglioramento per un efficace utilizzo delle informazioni raccolte

Le Strutture Ricettive: punto d’incontro tra turismo “fisico” e digitale
Dall’indagine delle strutture ricettive, che ha coinvolto circa 2000 realtà, si può notare che l’utilizzo degli strumenti digitali è ormai diffuso nelle Strutture Ricettive sia nella gestione delle relazioni esterne (si va dall’89% di utilizzo dei social network al 16% di invio di email pubblicitarie a pagamento) sia nei processi interni (dall’82% dei sistemi di pagamento elettronici al 14% dei sistemi di CRM).
La quasi totalità dei rispondenti (99%) ha ora un sito web e aumenta il numero di coloro che hanno un profilo su un social network (89%). Rimane stabile rispetto al 2014 il livello di diffusione degli strumenti digitali per la gestione dei dati dei clienti (80%), le azioni di promozione (65%) e le prenotazioni dirette via web (29%).
In generale si può confermare che le Strutture Ricettive abbiano ormai abbracciato la digitalizzazione ed ora necessitino di una maggiore conoscenza delle modalità di utilizzo dei singoli strumenti: lo conferma anche il fatto che ben il 45% dei rispondenti afferma di non aver incontrato alcuna difficoltà nell’introduzione complessiva del digitale. Rimane quindi un ampio potenziale in termini di maggiore efficienza ed efficacia che lo sviluppo tecnologico può apportare a tutto il comparto.

E per il futuro “La Ricerca 2015” conclude Filippo Renga, responsabile dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo del Politecnico di Milano “ci ha posti di fronte a un mercato in fermento che esplora aree di potenziale sviluppo e cerca di capire come gestire quelle più consolidate. Mentre alcuni player come i Tour Operator e le Agenzie di Viaggio stanno ancora cercando la strada per affrontare le sfide imposte dal digitale nel pre-viaggio, altri come le OTA (le agenzie di viaggi online) o anche le aziende più dinamiche del trasporto viaggi, sono più concentrate sulle praterie largamente inesplorate della fase della vacanza stessa e del post-viaggio. Altri ancora puntano su segmenti specifici, come i GDS (sistemi informatici per la gestione della prenotazioni) con il business travel. Guardando perciò al futuro, non si può far a meno di evidenziare che tutti gli attori del settore dovranno muoversi velocemente e fare svariati “passi digitali” in molte direzioni, imparando anche dagli inevitabili errori.

Via Tech Economy

 
Di Altri Autori (del 03/11/2015 @ 07:37:11, in Mercati, linkato 1668 volte)

Il libro ci è esploso tra le mani. Mentre ne immaginavamo la morte, o almeno una grave malattia causata dalla digitalizzazione, lui si è semplicemente evoluto. E adesso quasi non lo riconosciamo più. Un po' anche perché ci siamo fissati sull'oggetto piuttosto che sull'uso e sul contenuto.

Il libro occupa spazi simbolici nella mente oltre che fisici sugli scaffali. Il suo trasloco nelle memorie del Kindle non è stato privo di conseguenze. Cambiando il mezzo-carta, il messaggio-libro si è trasformato, in maniera prima carsica e poi sempre più visibile.

Il negozio dove acquistare libri è diventato un servizio per produrli. Al possesso si è sostituito l'accesso. Gli aggregatori di prima grandezza (Amazon, Google, Apple) stanno soppiantando i mediatori tradizionali (i grandi editori) oltre ai canali della distribuzione (dalla scomparsa del colosso americano Borders in avanti). Soprattutto, sta cambiando l'idea settecentesca di autore, inteso come titolare unico dell'idea e della realizzazione del testo. Perché mentre l'unità del libro moderno, figlia di necessità industriali di vario genere (incluse le misure dettate dai punti di prezzo, dai livelli di costo, dal marketing, dalla consistenza fisica della carta e dalla capacità della legatura) esplode, al suo posto arrivano altre narrazioni diffuse, spezzettate, pulviscolari, circolari. Non è una novità.

La battaglia oggi è tra Kindle e iPhone/iPad su quale sia lo strumento migliore per leggere. Cosa sta succedendo? Al di là della moltiplicazione delle narrazioni, dei dati sulle vendite degli ebook reader rispetto ai tablet e degli ebook rispetto ai libri digitali, più in profondità stanno accadendo altre cose più radicali.

Come quelle che fanno a Milano gli artigiani digitali di Bent Shelf (“Il nome è lo scaffale che si flette sotto il peso dei libri”), un gruppo di tre appassionati di narrazioni a fumetti e non solo: hanno creato Comics Fu, servizio di editoria, distribuzione, pagamento, gestione dei contenuti che nel fumetto ha solo il suo primo passaggio. Dentro sono andati autori noti e meno noti, case editrici e soggetti intermedi. Lo scopo del lavoro di Bent Shelf? «Costruire piattaforme che consentano agli autori di distribuire i loro prodotti digitali direttamente ai lettori». L'arma segreta per farlo? Eliminare il lucchetto digitale, il DRM, che cambia la natura dell'atto di pubblicare un ebook. Se c'è il DRM il libro è un servizio a cui il lettore ha solo accesso temporaneo a pagamento. Se non c'è il DRM il libro è un prodotto che il lettore acquista e di cui poi dispone ovunque, su qualunque dispositivo, in qualunque momento.

Lo dice anche Massimo Ferrario, fondatore di Bookrepublic: «Sembrerà banale, ma rinunciare alle protezione è la premessa perché ci possa essere vera innovazione: finché domineranno sistemi chiusi e protetti, l'esperienza di lettura degli ebook resterà molto povera». Lo fa anche Aerbook che ha sposato il native commerce: lo store è ovunque nel web, l'interfaccia è una web app di lettura, il contenuto (qualunque contenuto, anche un libro) è accessibile come un sito web. Tutto open, senza protezioni. Come si producono questi nuovi oggetti digitali? I grandi provider dell'editoria tradizionale come l'americana Adobe hanno adattato i loro strumenti, che restano però costosi e complessi. L'innovazione è arrivata invece da mille rivoli diversi. Come Pubcoder. Piattaforma digitale indipendente per la creazione di libri liquidi: si creano e si possono convertire e fruire su tablet, ebook reader, pagine web, formati ibridi.

Non c'è fine. Poi, vendere un oggetto-libro vuol dire andare oltre al semplice atto del commercio. Humble Bundle, ad esempio, è una piattaforma americana che vende narrazioni digitali: siano esse videogames che libri, fumetti, software, con storytelling o no. È però il modello ad essere diverso da quelli tradizionali: “Pay what you want” (“Paga quel che vuoi”), cioè la vendita in bundle di un insieme di prodotti avviene a prezzi determinati dalla media di tutti gli acquirenti, con una fetta del totale che va in beneficienza (lo decidono gli utenti) e il resto condiviso tra la piattaforma (circa il 15%) e gli autori. Chi sta sopra la media ottiene più prodotti. E quel che si compra è sempre senza DRM. Forse non avete mai fatto acquisti su questo tipo di marketplace ma il cambiamento passa da qui, non da Amazon ed eBay. Le raccolte-eventi danno un'idea dei meccanismi che il digitale ha liberato riconfigurando l'intera filiera della produzione e distribuzione, con la nascita di sistemi di creazione di valore economico e simbolico alternativi a quelli tradizionali. Si può dire, in questo caso, che il libro è solo l'inizio della storia.

Via IlSole24Ore.com

 
Di Altri Autori (del 21/03/2016 @ 07:16:06, in Mercati, linkato 1768 volte)
Se l'Italia fosse fatta solo di bambini saremmo una nazione leader nella lettura. Stando ai dati Aie, il 63,3% dei bimbi tra i 2-5 anni legge o sfoglia un libro almeno una volta al giorno mentre gli adulti che leggono almeno un libro al mese sono scesi dal 43% al 41,4%. Insomma, il mercato è lì e infatti cresce. Rispetto al 2012 le case editrici attive nel settore ragazzi sono salite da 195 a 204 e sale il giro d'affari, con le librerie che nel 2014 hanno totalizzato 168,3 milioni di euro (+5,7% rispetto al 2013) mentre se allarghiamo lo spettro a tutti canali, compresi toy center, uffici postali e grande distribuzione, l'aumento è del 4,3 per cento, pari a 208,6 milioni di euro.

Nell'editoria pura la crescita ha diversi fattori ma il fondamentale è l'aura di cui ancora gode il libro: genitori o parenti non lettori comprano libri anche per sopperire alle proprie mancanze letterarie, senza dimenticare che un libro è sempre considerato un regalo “colto”, che fa bella figura (i regali contano per un 15 per cento sulle vendite). Accanto alla carta però c'è il digitale che nel caso dei bambini è strategico. Non solo e non tanto perché i tablet sono diventanti uno strumento di intrattenimento di primaria importanza. Ma anche perché dai piccoli schermi stanno nascendo nuove forma di letteratura interattivi.
Adulti sempre più digitali spingono i propri figli nella stessa direzione e visto che in futuro ci saranno genitori sempre più versati nella tecnologia, è logico che ci saranno sempre più infanti tecnologici. Ecco quindi che Apple ha intercettato subito questo mercato: fin dal 2011 ha aperto una sezione del suo iTunes store dedicata i più piccoli e a gennaio 2015 l'ha divisa per fascia d'età proponendo contenuti per chi ha meno di 5 anni, dai 6 agli 8 e dai 9 agli 11 anni, una guida utile per i genitori che così possono stare tranquilli circa ciò che scaricano e non a caso la ritroviamo anche nel Play Store di Google. Nei negozi digitali troviamo tanti libri e contenuti di colossi come Disney e Lego ma anche piccoli editori e sviluppatori italiani come Minibombo o Elastico che si distinguono per la cura delle loro produzioni e l'attenzione ai contenuti.

C'è poi chi offre un ponte tra le due culture come Giunti, editore di lungo corso che nel 2015 ha investito 200 milioni di euro in Ebooks&Kids, sviluppatore dedicato solo all'infanzia. Dall'acquisizione del 20 per cento della startup è nata la collana Zerosei che offre il libro cartaceo e l'app in un unico pacchetto. Il mercato insomma è effervescente soprattutto nella fascia d'età più bassa e il motivo è semplice: volumi spesso privi di testo, albi da colorare e giochi per infanti non hanno bisogno di traduzione. Consentono di esportare agevolmente prodotti all'estero senza sovrapprezzi ma anche di importarli, rendendo la concorrenza ancora più agguerrita.

Concorrenza dovuta anche alle basse barriere all'ingresso: ideare e stampare un libro comporta investimenti inferiori ai diecimila euro e le app costano anche meno. Lo scoglio in entrambi i casi è la visibilità che nel mondo cartaceo significa distribuzione e libreria, per le app il risalto sugli store digitali. In entrambi i casi lo si può superare grazie al digitale come dimostra Lostmy.name, casa editrice inglese arrivata a vendere quasi un milione e mezzo di libri cartacei nel mondo offrendoli solamente online.

Via IlSOle24Ore.com
 
Di Altri Autori (del 04/04/2016 @ 07:06:08, in Mercati, linkato 1301 volte)
A pochi giorni dalla pubblicazione dei dati con cui RIAA ha illustrato il panorama del mercato musicale statunitense del 2015, i dati di FIMI confermano anche in Italia l'ascesa dello streaming in tutte le sue forme.

Cresce il mercato, si rileva nello scenario elaborato da Deloitte per i discografici italiani, e questa crescita del 21 per cento, a raggiungere un fatturato di 148 milioni di euro, si deve all'entusiasmo che i consumatori italiani manifestano rispetto a tutti i formati in cui viene distribuita la musica, a partire dalla musica fisica, con una ripresa del CD, in crescita del 17 per cento per ricavi oltre gli 88 milioni di euro, e con la marcia del vinile, in crescita del 56 per cento, a valere il 4 per cento del mercato.

Se è vero che in Italia, a differenza di quanto avviene negli States, il mercato della musica fisica domina ancora su quello della musica immateriale, è altresì innegabile che la musica digitale rappresenti un traino sempre più determinante. Rispetto al quadro del 2014 gli equilibri si muovono verso il pareggio: nel 2015 il digitale costituiva il 38 per cento del mercato, mentre nel 2015 al digitale si è dovuto il 41 per cento del fatturato.

A pochi giorni dalla pubblicazione dei dati con cui RIAA ha illustrato il panorama del mercato musicale statunitense del 2015, i dati di FIMI confermano anche in Italia l'ascesa dello streaming in tutte le sue forme.

Cresce il mercato, si rileva nello scenario elaborato da Deloitte per i discografici italiani, e questa crescita del 21 per cento, a raggiungere un fatturato di 148 milioni di euro, si deve all'entusiasmo che i consumatori italiani manifestano rispetto a tutti i formati in cui viene distribuita la musica, a partire dalla musica fisica, con una ripresa del CD, in crescita del 17 per cento per ricavi oltre gli 88 milioni di euro, e con la marcia del vinile, in crescita del 56 per cento, a valere il 4 per cento del mercato.

Se è vero che in Italia, a differenza di quanto avviene negli States, il mercato della musica fisica domina ancora su quello della musica immateriale, è altresì innegabile che la musica digitale rappresenti un traino sempre più determinante. Rispetto al quadro del 2014 gli equilibri si muovono verso il pareggio: nel 2015 il digitale costituiva il 38 per cento del mercato, mentre nel 2015 al digitale si è dovuto il 41 per cento del fatturato.

Via Punto Informatico
 
Di Altri Autori (del 12/04/2016 @ 07:27:48, in Mercati, linkato 1629 volte)
Pensare al futuro del turismo è un po’ come cercare di prevedere il futuro della rete, è estremamente difficile, ma soprattutto controproducente avventurarsi in questa impresa; la maggior parte delle previsioni che hanno un orientamento temporale che va oltre il breve termine rischiano di non realizzarsi nelle modalità previste, perché non è possibile immaginare il mondo di domani, con gli occhi di oggi, soprattutto perché si presenta spesso un divario tra il “futuro possibile”, il “futuro desiderabile” e “ futuro realizzabile”. I grandi player tecnologici hanno le risorse e gli strumenti per progettare la “governance dell’innovazione”, ma non sono sempre in grado di avere il totale controllo sulle condizioni al contorno che si collocano al di fuori della loro sfera di influenza. Il turismo è un settore interdisciplinare complesso in profonda evoluzione, dai confini sempre più sfumati che è destinato nuovamente a mutare pelle per effetto dei nuovi impatti della prossima ondata della rivoluzione digitale, sempre più pervasiva.

Il turismo del futuro, così come la rete del futuro, dipenderà in larga parte dalle scelte che verranno fatte in termini di apertura, sicurezza, modelli economici, regolamentazioni e più in generale dalle visioni che saranno prevalenti anche di natura politica, nel senso più ampio del termine, decisioni che è estremamente difficile prevedere.

Risulta altresì difficile cercare di delineare le nuove forme di turismo del prossimo decennio. È possibile tuttavia osservare alcuni segnali deboli che si stanno presentando e che con grandi probabilità potrebbero caratterizzare alcune tendenze tecnologiche del turismo dei prossimi dieci anni e su cui come progettista dell’innovazione turistica sto già lavorando oggi.

Ambienti protetti v/s mondi artificiali aperti
Evoluzione dal turismo degli “oggetti” al turismo dei “significati”
Esaltazione delle ipernicchie
La trasformazione dell’esperienza per effetto delle attrazioni turistiche collegate in rete che si trasformeranno in oggetti sociali (social objects)
Mashup delle esperienze turistiche nei grandi eventi “trasformativi”
Nuove aggregazioni di comunità che daranno vita a nuove forme di pellegrinaggio
Il viaggio senza il movimento grazie alla realtà virtuale immersiva che viene declinata per motivazioni omogenee
Turismo auto-diretto ed etero diretto che parte da movimenti culturali
Turismo a tempo variabile, un’ora,  un giorno, un week end, grazie alle nuove frontiere della mobilità iperveloce
Turismo di ruolo ed esperienze proiettive nel passato, nel presente o nel futuro
Ognuno di questi temi richiederebbe di essere trattato in profondità, vorrei invece qui soffermarmi sugli elementi che hanno in comune il futuro del turismo ed il futuro della rete e delle tecnologie digitali, concentrandomi su un aspetto chiave su cui i due settori si troveranno a confrontarsi: la gestione dell’immaginazione delle persone.

L’immaginazione diventerà un elemento centrale nel turismo del futuro, così come nel settore dell’entertainment, per creare nuove offerte che si proporranno di modificare o allargare la realtà dei viaggiatori e di fornire loro nuove esperienze di evasione rispetto alla routine quotidiana.

Questa evoluzione richiederà nuove competenze che cercherò di sintetizzare in una tabella che mette in evidenza i fattori critici di successo a confronto tra oggi e domani.

Come ci appare chiaro, la tecnologia è già oggi un elemento abilitante dell’esperienza e sarà sempre più connettiva ed immersiva.

La capacità di favorire o facilitare lo sviluppo  dell’immaginazione delle persone caratterizzerà una competenza determinante e porterà  ben presto a dare vita a ciò che possiamo definire l’immagination divide. Ci saranno destinazioni turistiche che per ragioni culturali, economiche e organizzative non avranno accesso alle nuove forme di turismo e di conseguenza ai nuovi mercati che si formeranno.

La creazione di modi possibili, alternativi, diversi, proibiti, anticipati, allargati, raffigurati, da esorcizzare, erotici, spirituali, caratterizzerà il futuro terreno di battaglia in diversi settori, tra cui il turismo ed il passaggio dalle tecnologie dell’informazione a quelle dell’immaginazione, di cui parlava Steve Jobs e l’allargamento della filiera turistica, che includerà sempre di più nuovi attori provenienti dal mondo del gaming, dell’entertainment, delle tecnologie, dell’editoria, che oggi non ne fanno ancora parte. In tutti i casi la figura del Designer di Esperienze turistiche, sarà centrale.

Via Tech Economy
 
Di Altri Autori (del 13/04/2016 @ 07:05:09, in Mercati, linkato 1853 volte)
L’E-Learning facilita la creazione di un sistema integrato della conoscenza mediante l’utilizzo delle tecnologie multimediali e di Internet tanto che la sua importanza è stata riconosciuta dall’Unione Europea che, a partire dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, l’ha annoverato tra gli elementi imprescindibili dell’istruzione del futuro.

Secondo una ricerca volta da Docebo, i trend di mercato intorno all’E-Learning sono positivi e in continua crescita: le previsioni parlano di una crescita del 5,8% nell’area dell’Europa Occidentale con un fatturato totale di 8,1 miliardi. Sembra proprio che il futuro della formazione, sia aziendale che per i privati, stia andando verso la digitalizzazione dei contenuti.

MA QUALI I TREND E-LEARNING?

AUTOMATED COURSE AUTHORING

La creazione di contenuti è un processo che richiede tempo ed energia. Oggi, però, tale processo può essere automatizzato in settori di grandi interesse come, ad esempio, quello dell’E-Learning. Questo meccanismo consente di creare corsi online auto-producendo, pubblicando e gestendo autonomamente contenuti. Inoltre, è possibile rilevare, sempre in modo automatico, le preferenze degli utenti così da poter personalizzare ogni aspetto della loro esperienza di apprendimento online. L’attuazione di queste tecnologie comporta un notevole risparmio in termini di tempo e costi.

GAMIFICATION

Per definizione è l’uso di un gioco o del meccanismo di un gioco in contesti non di gioco, come ad esempio appunto un corso online o una piattaforma E-Learning. La gamification a scopo formativo è diventata sempre più popolare negli ultimi anni. Il motivo è semplice: un gioco, in qualsiasi forma, aumenta la motivazione attraverso l’impegno. E in nessun altro ambito l’impegno diventa rilevante come nell’apprendimento e nella formazione a distanza. I corsi organizzati sfruttando le proprietà della gamification, diventano stimolanti, coinvolgenti e piacevoli da fruire. Basti pensare all’avanzamento tramite livelli, elemento che conferisce una concreta sensazione di “evoluzione” del proprio status. O ancora all’assegnazione di un punteggio in seguito ad una serie di azioni svolte.

AUGMENTED REALITY

La Realtà Aumentata è la rappresentazione di una realtà alterata in cui, alla normale realtà percepita attraverso i nostri sensi, vengono aggiunte informazioni supplementari generate da un computer. Queste informazioni aggiuntive possono essere costituite da video, animazioni 3D, file audio e multimediali e possono essere sovrapposte alla realtà fisica mediante diversi dispositivi: mobile device dotati di fotocamera, occhiali o guanti per la realtà virtuale, computer dotati di webcam. La AR offre un ambiente di apprendimento innovativo, stimolante ed immersivo. Si arriva così a parlare di Augmented Learning, in quanto l’utente elabora il proprio il proprio processo di apprendimento attraverso l’interazione con l’ambiente reale o virtuale che lo circonda.

CLOUD COMPUTING

Nonostante le numerose speculazioni a riguardo, le piattaforme di E-Learning basate su tecnologia Cloud sono quelle che, negli ultimi anni, hanno avuto una crescita maggiore. La formazione a distanza rappresenta una risorsa strategica per le aziende, ma si tratta di un mercato esigente che richiede flessibilità, qualità elevata e tempi di realizzazione quanto più possibile brevi. Le soluzioni Cloud consentono di erogare in modo continuativo servizi E-Learning di alto profilo tecnologico godendo di un risparmio economico davvero elevato. Per utilizzare i loro sistemi l’utente non ha bisogno di risorse di calcolo di alto livello, né software né hardware. L’utilizzo della tecnologia Cloud è, quindi, giustificata dal fatto che si può accedere alle informazioni da qualsiasi luogo tramite notebook, personal computer, smartphone o tablet.

BIG DATA

La raccolta di dati rappresenta, da sempre, il vero tesoro di un’azienda. Lo stesso vale anche per i dati raccolti durante il training di un E-Learning. L’utilizzo dei dati permette di affinare la propria strategia e assicura che ogni aspetto del corso sia in linea con i propri obiettivi. Predire trend futuri, individuare pattern all’interno dei dati, classificare categorie di utenti sulla base del loro comportamento: sono alcune delle potenzialità che possono essere messe al servizio delle aziende per estrarre ancora più valore dai propri dati. Questi dati forniscono importanti informazioni su comportamenti e preferenze di apprendimento, così da poter permettere agli sviluppatori di migliorare i propri corsi.

Via Tech Economy
 
Tre miliardi e mezzo di euro. Tanto vale la sharing economy in Italia secondo la ricerca commissionata da PHD Italia  all’Università degli Studi di Pavia (Dipartimento di Scienze economiche e aziendali, docenti Luciano Canova e Stefania Migliavacca). Si tratta della prima ricerca che quantifica l’impatto economico complessivo dell’economia collaborativa nel nostro Paese.

Quanto vale in termini di PIL la sharing economy in Italia attualmente? E quanto varrà nei prossimi dieci anni?

In termini di PIL la sharing economy vale lo 0,2%. La cifra equivale al 10% circa delle risorse stanziate dalla legge di stabilità 2016. A colpire, però, sono soprattutto le previsioni di crescita per i prossimi cinque e dieci anni che, a seconda degli scenari ipotizzati, arrivano a toccare cifre che variano dagli 8,8 ai 10,5 miliardi di euro (per il 2020) e dai 14,1 fino ai 25,2 miliardi di euro (per il 2025).

Premesso che sulla definizione stessa di sharing economy e su cosa debba comprendere il dibattito è ancora molto acceso, la ricerca segue l’approccio della Commissione Europea che considera frutto dell’economia collaborativa le transazioni prodotte attraverso le piattaforme digitali con un modello di business basato sul noleggio o la condivisione di beni e servizi, allo scopo di ridurre il sotto-utilizzo e l’uso inefficiente degli stessi.

Per effettuare la ricerca è stato creato un modello economico ad hoc, battezzato Shaker (Sharing Key Economic Resources) attraverso la metodologia della System Dynamics, un approccio cognitivo che permette di interpretare e modellare qualunque fenomeno, economico così come fisico, sociale, psicologico, costruendo scenari.

SCENARIO BASE In base allo scenario attuale, considerato lo scenario base della ricerca (6,4 milioni di utenti “forti” della sharing economy nel nostro paese) nel 2020 l’economia collaborativa supererà il doppio del suo valore attuale raggiungendo gli 8,8 miliardi di euro, equivalenti allo 0,5% del Pil (9,7 milioni di utenti) e nel 2025 crescerà di oltre il quadruplo rispetto ad oggi, toccando i 14,1 miliardi, cioè lo 0,7% del Pil (12 milioni di utenti).

SCENARIO 1: SHARING BOOST Un primo scenario è basato sull’ipotesi che a decollare sia la popolazione di utenti della sharing economy (dagli attuali 6,4 milioni a 11,5 milioni nel 2020 e 16,5 milioni nel 2025). In termini di valore aggiunto per l’economia, nel 2020 il valore della sharing economy è previsto in 10,2 miliardi di euro (+16% rispetto allo scenario base) e, nel 2025, in 19,4 miliardi (+37% vs. scenario base).

SCENARIO 2: DIGITAL DISRUPTION Lo scenario digital disruption è quello più ottimista, perché ipotizza non solo l’incremento degli utenti della sharing economy (11,6 milioni nel 2020 e 21,4 milioni nel 2025), ma anche un allargamento della popolazione di internauti in assoluto all’interno di tutte le fasce, frutto degli investimenti sulle infrastrutture digitali che andranno probabilmente aumentando. In questo secondo scenario l’impatto economico dell’economia collaborativa risulterebbe pari a 10,5 miliardi nel 2020 (0,6% sul PIL) e a 25,2 miliardi di euro nel 2025 (1,38% sul PIL).

SCENARIO 3: BOLLA E se si trattasse di una bolla? La ricerca prova a rispondere anche a questa domanda e ipotizza, per il 2025, un valore di soli 4 miliardi di euro, dopo aver raggiunto un picco di 14 miliardi di euro nel 2019.

“Quello della sharing economy – commenta Luciano Canova, docente di Economia Comportamentale all’Università di Pavia – è sicuramente un tema caldo del dibattito scientifico, per l’importanza che riveste come trend dell’innovazione sociale e come possibile nuovo paradigma dei rapporti tra economia e società. Mancano ancora modelli di valutazione di impatto economico, per cui abbiamo provato a quantificare il peso economico dei settori coinvolti dall’economia collaborativa e a modellare l’evoluzione da qui a 10 anni del PIL, tenendo conto di alcune leve comportamentali e alcuni dati che riguardano appunto gli utenti dei servizi di sharing. E’ il primo tentativo di stimare il valore economico dell’economia collaborativa in Italia e crediamo che la metodologia della dinamica dei sistemi sia uno strumento utilissimo per presentare scenari e prospettive da qui al 2025”.

Via Spot and Web
 
Di Altri Autori (del 28/09/2016 @ 07:24:35, in Mercati, linkato 1910 volte)
Il 75% dei baby boomers e dei consumatori maturi si dichiara preparato a un'interazione su più canali con i brand, una percentuale vicina a quella dei Millennials (85%). A dirlo, lo studioDigital or Die: The Choice for Luxury Brandspubblicato da The Boston Consulting Group e condotto su oltre 10 mila consumatori in 10 Paesi, Italia inclusa.

«Il digitale è una delle migliori notizie per le aziende del lusso in un momento in cui non ci sono più tanti negozi da aprire e tanti consumatori da conquistare. È un amplificatore molto forte», assicura
Nicola Pianon, Senior Partner e Managing Director di Bcg, coautore dello studio.

Questo fenomeno, tuttavia, non comporta esclusivamente una migrazione dei consumatori dall'acquisto in negozio a quello online (se il 41% dei luxury shoppers cerca beni e servizi online e li acquista online, il 9% fa il percorso inverso), riguarda invece la creazione di un ecosistema piuttosto articolato. Il 31% dei consumatori, per esempio, desidera un servizio di delivery integrato, il 24% vorrebbe invece uguali promozioni su tutti i canali. L'e-commerce vale oggi il 7% del mercato globale del lusso, quota che entro il 2020 dovrebbe toccare il 12%.

E in questo contesto è centrale il ruolo del fashion che, come dimostra una ricerca dell'Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano, in Italia vale oltre € 1,8 miliardi, con una crescita del 25% rispetto al 2015. Non solo: l’e-commerce di moda vale il 10% di tutto l'e-commerce, con un tasso di crescita medio annuo dell’abbigliamento online pari al 30% circa, il doppio rispetto a quello dell’e-commerce nel suo complesso.


Via Business People
 
Di Altri Autori (del 07/10/2016 @ 07:09:42, in Mercati, linkato 1685 volte)
Il Music Consumer Insight Report 2016 (pdf) è una ricerca condotta da IPSOS e finalizzata a delineare il mercato musicale dopo la grande rivoluzione che ne ha investite le strutture, il modello di business, i protagonisti, le dinamiche e gli equilibri. E la fotografia non è solo quella di un mercato profondamente cambiato, ma anche di un immaginario che va stravolgendosi rispetto a pochi anni prima.

Quello che era il ragazzino intento a scaricare MP3 su pc, oggi è diventato il ragazzino disposto a spendere pochi euro per un abbonamento legale con cui accedere a musica dal proprio smartphone. Ciò ha determinato uno spostamento dell’asse gravitazionale del mondo musicale, sempre più lontano dal desktop e sempre più incentrato sui dispositivi portatili, sul traffico dati e sulle playlist. I numeri descrivono fatti inconfutabili: il 71% degli utenti online tra i 16 e i 64 anni accede a musica legalmente e un terzo della fascia tra i 16 e i 24 anni paga per un servizio di audio streaming.

I giovani continuano ad essere fortemente attratti dalla musica e dai suoi personaggi, ma è cambiato radicalmente il canale di accesso (e pertanto tutte le dinamiche ivi correlate): la mutazione non è dunque antropologica ma meramente tecnologica, il che ha spostato le abitudini di fruizione su nuovi strumenti e nuovi servizi, ha modificato le modalità di accesso ai contenuti, ma non ha cambiato il forte feeling che l’utenza media ha nei confronti della musica. Si consuma sempre più musica, insomma, ma in modi completamente nuovi.
Il ruolo di YouTube

Uno di questi, il più diffuso, è YouTube. Il servizio, di proprietà Google, è usato dall’82% dei suoi visitatori per l’ascolto di musica: gratuito, semplice ed efficace, con l’aggiunta delle immagini per quanti vogliano aumentare il coinvolgimento nella fruizione, YouTube è diventato oggi uno degli strumenti più importanti per l’accesso ai contenuti musicali. Se lo si volesse immaginare come la MTV dei Millennials, insomma, non si andrebbe troppo lontano dalla verità.

I motivi per cui si approccia YouTube sono in molti casi legati al desiderio o alla mancata possibilità di investire in contenuti musicali: YouTube è gratis, YouTube consente fruizioni altrimenti non possibili, YouTube consente di accedere alla musica senza dover investire in anticipo su tale operazione. Il denaro è insomma alla base del modello che porta l’utenza online ad ascoltare musica su un servizio nato originariamente come la più grande ed efficiente repository video al mondo.

Ciò ha però alcune ripercussioni sulla ricchezza del palinsesto e sulla cultura musicale diffusa: la maggior parte degli utenti che utilizza YouTube per l’ascolto musicale, infatti, tende a consumare musica già conosciuta e non ha stimoli né desiderio di scoprire nuovi generi, nuovi autori e nuove passioni. Ciò va ad appiattire l’offerta, concentrandola sui grandi nomi e riducendo gli spazi per giovani artisti, generi particolari e nicchie di ascolto.
Il ruolo della musica in streaming

A questa tendenza fa da contraltare il successo dei canali di streaming a pagamento (Spotify e similari), sempre più in voga come strumenti di accesso privilegiato alla musica: la loro grande offerta, il concetto di tariffa flat e la proposta di playlist che vanno ad ampliare i gusti musicali dei singoli rappresentano il miglior spot alla musica legale nella sua complessità, facilitando peraltro anche l’incontro con autori e generi altrimenti di difficile fruizione. In Italia tali strumenti trovano linfa soprattutto sugli smartphone, che gli utenti utilizzano in due casi su tre proprio per l’ascolto musicale in mobilità. L’arrivo di device come Google Home potrebbero estendere il bacino d’utenza della musica in streaming e riportare gli equilibri verso una fruizione casalinga, ed in ogni caso premiano la musica attraverso un abbattimenti di ogni forma di resistenza alla libertà di ascolto.

La pirateria non muore e trova nuove forme espressive attraverso lo streaming ripper, ma la grande vastità di offerte (di molteplice fattura, di ogni prezzo, per raggiungere qualsivoglia tipologia di musica) sta riportando l’utenza verso un approccio legale ai contenuti. Ad avvantaggiarsene sarà l’intero comparto, al netto di alcune deformazioni nel modello di business che le case discografiche stanno da tempo discutendo con i grandi player della distribuzione online.

Via Webnews
 
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