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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Strategie (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Max Da Via' (del 08/12/2006 @ 18:07:18, in Strategie, linkato 5675 volte)
Un trend in forte sviluppo che coinvolge diverse aree del largo consumo è rappresentato dalla spesa per l'acquisto di prodotti etici, che in Italia nel solo 2005 è cresciuta di oltre il 27%. Partito come un fenomeno di nicchia, relegato in pochi negozi specializzati, l'acquisto etico ha raggiunto nel corso di pochi anni dimensioni rilevanti.

Questa tendenza non è sfuggita ai grandi gruppi, che stanno progressivamente adeguando la propria offerta in modo da includere anche prodotti etici nel proprio portafoglio. La lista di prodotti equo-solidali disponibili sul mercato si è allungata di conseguenza fino ad includere le più svariate categorie merceologiche: dai tradizionali caffè the e cioccolato fino a prodotti come jeans e carte di credito.

Anche l'acqua minerale ha il suo marchio etico: per ogni bottiglia di acqua Ethos venduta a un dollaro e ottanta Starbucks destina 5 centesimi a favore dei bambini nei paesi in via di sviluppo. American Express ha recentemente lanciato la Carta Red: con ogni acquisto effettuato tramite questa carta si contribuisce al Fondo per la lotta all'Aids ideato da Bono Vox, il leader degli U2. Questa collaborazione ha destato l'interesse anche di altre multinazionali, al punto che Armani, Nike e Converse e numerose altre aziende hanno aderito all'iniziativa contrassegnando una serie di prodotti con un apposito marchio rosso. Tutti i prodotti così contraddistinti contribuiscono con una percentuale del prezzo pagato al sostentamento del fondo citato.

Ma l'interesse per il solidale coinvolge un po' tutti: la prestigiosa catena di grandi magazzini Marks & Spencer propone sui propri scaffali solo caffè e the equo-solidali, mentre Nestlè ha recentemente lanciato un caffè in polvere certificato che garantisce adeguati guadagni ai produttori locali e ne tutela le condizioni di lavoro. Anche il gigante dei jeans Levi's ha dichiarato di selezionare i propri fornitori di cotone scegliendo esclusivamente tra i produttori "organici" certificati.

Oltre agli evidenti vantaggi in termini di immagine (molte multinazionali sono state chiamate al banco degli imputati più di una volta per motivi di carattere etico legati alle condizioni di lavoro che alcuni loro fornitori impongono nei paesi dove avviene la produzione) c'è anche la possibilità di rivolgersi ad un target nuovo e per molti aspetti promettente. Recenti studi evidenziano nfatti come il consumo di prodotti solidali sia in forte espansione nella fascia di età che va dai 15 ai 24 anni, un segmento decisamente appetibile per molte aziende.

Via P5
 
Di Altri Autori (del 18/11/2006 @ 16:06:42, in Strategie, linkato 3784 volte)
Dopo le prime informazioni, arrivano tutti i dettagli con il comunicato. Grazie ad una partnership globale con nomi dello spessore di Skype, Sling Media, Yahoo!, Nokia, Google, eBay, Microsoft, Orb e Sony Ericsson, la Hutchison Whampoa ha annunciato ieri pomeriggio il lancio su scala globale della X-Series.

Gli utenti potranno effettuare chiamate senza limiti dal proprio telefonino grazie a Skype, guardare la televisione con Sling, accedere al proprio PC con Orb e accedere ad internet con Google, Yahoo! e Windows Live Messenger.
Grazie a X-Series, il Gruppo 3 condivide la potenza di Internet mobile a banda larga con i propri partner Internet e soprattutto con i propri clienti, che potranno utilizzare una quantità maggiore di servizi, quando vogliono, come vogliono, senza la paura di pagare, durante l’utilizzo, costi nascosti.

Il cliente pagherà un canone, come accade per la linea fissa, senza sborsare più alcun centesimo. Tutto questo a partire dai primi mesi del 2007.

Questa struttura di addebito ribalta completamente il tradizionale sistema applicato alla telefonia mobile di tariffazione al minuto, a messaggio, a click, ad evento e a megabit. Tutto ciò è possibile grazie al rapido sviluppo delle reti mobili "all IP", agli aggiornamenti della velocità sulle reti HSDPA e HSUPA, delle tecnologie peer-to-peer e ai numerosi miglioramenti nell’efficienza in qualsiasi ambito di attività degli operatori mobili. Come risultato, il costo di fornitura di Internet mobile a banda larga e dei servizi multimediali in mobilità potrebbe continuare a scendere, come è accaduto per la banda larga su linea fissa.

A supportare appieno tutta questa tecnologia ci sono già due terminali: il Nokia N73 e il Sony Ericsson W950i.

via mobileblog
 
Di Gianluigi Zarantonello (del 06/11/2006 @ 13:05:37, in Strategie, linkato 4935 volte)

Che cosa vuol dire realmente fare networking? Una buona definizione, senza pretesa di scientificità, può essere: Networking significa creare e governare le relazioni ed i rapporti d’intera-zione e di scambio con altri soggetti in modo organizzato e consapevole.

Analizziamo i vari aspetti di questa frase.

Partiamo dai verbi, creare e governare, il primo ci indica che le relazioni non sono qualcosa d’imposto dall’alto (anche se in qualche caso può capitare) ma il frutto di un’azione che può partire anche da noi in prima persona, sia spontaneamente sia in reazione ad uno stimolo esterno.

Un elemento importante dunque è la proattività che va poi unito con il se-condo verbo, governare, che ci indica che queste relazioni devono essere an-che gestite nel tempo, sviluppate, coltivate, introducendo nel nostro scenario il lungo periodo.

Andiamo poi all’oggetto, le relazioni e i rapporti d’interazione e scambio, infatti, prima di tutto la relazione può essere vista come un contatto, un possibile canale e uno strumento in più disponibile nel nostro panorama percettivo. L’interazione (personale, professionale, affettiva) e lo scambio (d’informazioni, di aiuti reciproci, etc.) sono il contenuto ed il valore aggiunto, almeno potenziale, della creazione di un rapporto con un altro nodo della ragnatela.

Infine nella definizione troviamo il modo di gestire tutto questo, che deve essere organizzato e consapevole. Come abbiamo già detto stiamo parlando di azioni proattive, dunque la gestione del network deve essere soggetta ad un’organizzazione che non lascia al caso la creazione ed il mantenimento della rete.

Va da sé che tutto questo processo richiede consapevolezza di quanto si fa, non si può pensare che azioni strutturate come sopra siano portate avanti in modo corretto solo istintivamente.

L’analisi della definizione ci porta a comprendere come il fare networking dunque sia prima di tutto una forma mentis, un modo consapevole e motivato di gestione della propria rete che può essere applicato a tutti gli ambiti della vita.

Come tutte le cose questa attività deve essere frutto di valori che l’individuo condivide in maniera profonda e consapevole, come accennavamo nel primo paragrafo infatti il problema del “fare squadra” non è tanto insito nei modi operativi ma nel pregiudizio e nella paura di fondo, in questo caso dell’imprenditore o del manager, che vedono con sospetto l’interazione con altri soggetti per paura di perdere il proprio vantaggio personale o di essere in qualche modo “fregati”.

É giusto dire che non viviamo in un mondo utopico e non è certo il caso di rivelare a tutti informazioni e processi riservati, tuttavia spesso questi atteggiamenti riguardano anche dati che sono necessari, ad esempio, a realizzare un prodotto in modo congiunto, in più certe volte si prova a fare i furbi, cercando di prendere più di quello che si dà.

Invece per fare network in modo corretto è bene avere dei riferimenti di metodo e anche di etica, come viene sottolineato, ad esempio, da Sebastiano Zanolli nel suo libro “Una soluzione intelligente” dedicato proprio al networking.

Riprendiamo dunque alcuni dei concetti fondamentali del libro a proposito di cosa non è fare davvero networking:

1 non stiamo parlando di vendere qualcosa a più persone possibile (ad esempio tramite il multilevel marketing) bensì di trarre il massimo dalle nostre reti di relazione;

2 nella gestione del network ci deve essere un rapporto scambievole, centrato sulle persone e non basato solo su un do ut des immediato. Non è dunque da prevedere una contabilità spicciola ed immediata negli scambi e nelle interazioni fermo restando una reciprocità ed un mutuo vantaggio;

3 fare network richiede rispetto reciproco fra gli interlocutori e spirito di collaborazione, anche per piccole azioni. Questo punto è di fondamentale importanza etica e pratica in quanto è alla base di un rapporto di reale fiducia e collaborazione fra le parti. Solo in questo caso si può pensare di avere una reciproca ed interessante interazione con piena soddisfazione;

4 il networking è un’attività che si sviluppa nel lungo periodo e richiede organizzazione e capacità di gestione, non è affidata al caso, anche perché si opera con delle persone e dunque si deve avere rispetto di loro.

Da queste note, riprese in modo molto sintetico, emerge in modo chiaro che il networking è un’attività che ha per protagonisti le persone, che sono quelle che poi gestiscono i destini delle aziende, e dunque ha tra i suoi pilastri chiave la fiducia ed il rispetto reciproco.

Se in una delle due parti mancano questi elementi non può scattare davvero la relazione e di ciò si renderà conto in breve anche quello dei due che si pone nel modo giusto.

Abbiamo anche detto che ci troviamo in una ragnatela dalla quale non possiamo uscire e dove dobbiamo per forza di cose interagire con degli altri soggetti, a questo punto non sembra molto logico instaurare relazioni instabili e conflittuali quando, con un approccio corretto, possiamo invece ricevere e dare molto al sistema.

É importante sottolineare anche che non stiamo parlando di armonia utopica fra tutte le persone, nel concreto il networking è un’attività che ci permette di fare meglio la nostra attività attraverso il rapporto con altri soggetti perché tale interazione è più ricca, corretta e proficua. Molte delle relazioni che intrecciamo inoltre possono avere la loro utilità concreta in un secondo momento, quando c’è bisogno di quella specifica competenza o di un contatto che la persona con cui abbiamo un buon rapporto ci può procurare.

Quindi è importante sapere che fare networking funziona. Sviluppando e gestendo reti di relazioni in modo limpido, organizzato e rispettoso delle regole si ottengono molti vantaggi che compensano largamente gli sforzi fatti in un primo momento per iniziare, senza contare che avere proficue relazioni d’interazione e scambio con molte altre persone è piacevole ed arricchente anche al dì là del fine strettamente lavorativo

Per saperne di più

Mini e-book “Reti di relazioni nella grande Rete. Networking e Marketing one to one nell’era di Internet”

Gianluigi Zaratonello

 
Di Altri Autori (del 02/11/2006 @ 06:37:05, in Strategie, linkato 2591 volte)

Affrontiamo un aspetto interessante nella formazione e che in verità interessa l’intero processo di gestione della forza vendita, il confronto con i contesti internazionali e la necessità per un’azienda di gestire la diversità culturale.

La Formazione alle vendite è lo sforzo fatto da un datore di lavoro di fornire alla forza vendita l’opportunità di acquisire attitudine lavorative, concetti, regole, contenuti e capacità in modo da aver maggiore successo nell’espletamento del proprio lavoro: fare trattative e perfezionare le vendite” (Dubinsky, 1999).

Ma cosa succede, come deve comportarsi un’azienda in presenza di venditori operanti in Paesi diversi? Pensiamo a realtà aziendali altamente internazionalizzate, in cui la politica di sviluppo su Paesi esteri ha comportato la creazione di una rete di vendita internazionale, Europea ed extraeuropea.

Alcune ricerche hanno dimostrato che la tendenza delle imprese internazionalizzate, chiaramente in relazione al loro grado di internazionalizzazione, è di prediligere una formazione fortemente “market-oriented”.

Le differenze culturali possono tradursi, nell’ambito della vendita, in necessità di approcci diversificati, con stili di comunicazione e di negoziazione adeguati ai diversi contesti.

In questo senso, in organizzazioni che operano su mercati esteri e che devono far fronte ai diversi scenari, la diversità culturale può essere attenuata dalla Formazione, se questa viene adattata in rispetto di queste diversità. Ci sono diversi contributi di ricerca ed analisi comparative circa la Formazione alle vendite in Europa, in Nord Europa (Regno Unito, Olanda e Finlandia) e Sud dell’Europa (Spagna e Portogallo) ad esempio. Le maggiori differenze riscontrate riguardano il valore degli investimenti destinati alla Formazione, il supporto finanziario utilizzato in maggior parte dalle aziende del Sud Europa, e gli effetti dei programmi formativi. Nonostante le imprese del Nord Europa non beneficino di ingenti supporti finanziari di origine nazionale o comunitaria, esse investono maggiori risorse nella Formazione della forza vendita che per di più viene, per la maggior parte, tenuta durante le normali attività lavorative. Al contrario, nonostante buona parte dei programmi formativi sia finanziato, le imprese del Sud Europa sono meno disponibili ad investire denaro in questa direzione e circa due terzi dei corsi è tenuto al di fuori delle ore lavorative. Per quanto riguarda i metodi, differenze sono ravvisate nel fatto che le aziende del Nord Europa prediligono la Formazione interna, mentre quelle del Sud si rivolgono prevalentemente a strutture esterne. Non ci sono grosse differenze in termini di contenuto, piuttosto si riscontrano differenze nell’importanza attribuita ad essi. Ma l’aspetto della diversità culturale non riguarda soltanto la gestione e Formazione di venditori operanti in realtà diverse ma anche le difficoltà che venditori o managers delle vendite possono incontrare in marketplaces caratterizzati dalla convivenza di diverse realtà culturali.

E’ necessario che la Formazione li prepari ad agire in contesti di vendita differenti, sebbene spesso essi, mossi da una falsa sicurezza, non comprendono i benefici di tale tipo di orientamento. (Bush, V.D., Ingram, T.N., “Building and Assessing Cultural Diversity Skills: Implications for Sales Training”, Industrial Marketing Management, Volume 30, No. 1, January 2001, pp. 65-76)

Sono auspicabili ulteriori studi in questo ambito.

Antonia Santopietro


 
Di Max Da Via' (del 30/10/2006 @ 07:25:46, in Strategie, linkato 22901 volte)
Una tendenza in forte crescita, specie nel settore dell’abbigliamento, è il proliferare di negozi monomarca, cioè con prodotti facenti capo ad un unico brand. L’apertura di nuovi centri commerciali, con dimensioni consistenti e una vasta offerta disponibilità di spazi interni, ha ulteriormente favorito una diffusione capillare di negozi monomarca in tutto il territorio.

Per alcune categorie merceologiche il maggiore livello di specializzazione garantito da queste tipologie di negozi è coinciso con una migliore differenziazione in termini di gamma e proposte. Catene di intimo come ad esempio Calzedonia e Yamamay hanno infatti dato un forte impulso al settore, ampliando la gamma di offerta introducendo nello stesso tempo una maggiore creatività e stagionalità nell’assortimento.

Uno dei motivi alla base del successo di questa formula distributiva è la forte specializzazione a livello di prodotto, che rafforza il legame tra consumatore e brand, a tutto vantaggio delle marca. Se nel tradizionale negozio multimarca i legami affettivi più forti del cliente sono quelli relativi all’insegna o a al proprietario in quello monomarca è la fedeltà al brand la variabile fondamentale.
Inizialmente attratto dalla forte specializzazione dei prodotti il consumatore spesso scopre, all’interno del negozio, che l’offerta è molto più ampia di quanto immaginato: Louis Vitton oltre ai tradizionali accessori propone anche vestiti, mentre Geox affianca alle famose scarpe sportive modelli più eleganti ma anche capi di abbigliamento e Montblanc spazia dagli articoli per la scrittura ad una vasta gamma di accessori.

I vantaggi per la marca sono numerosi, dalla maggiore fidelizzazione della clientela all’assenza dei diretti concorrenti spesso presenti nel negozio tradizionale. Anche la citata migliore possibilità di differenziazione, derivante dall’estensione del numero di categorie merceologiche presentate nel punto vendita, consente di affacciarsi in nuovi settori, mentre la velocità di riassorbimento e il legame più diretto con il cliente garantiscono un più rapido aggiornamento della merce.

Un altro aspetto da considerare, specie per i marchi più commerciali, è il maggior valore percepito da parte del cliente nel momento in cui effettua l’acquisto. Il paio di scarpe comprato nel negozio monomarca ha infatti un impatto emozionale diverso rispetto al medesimo acquisto effettuato in un negozio tradizionale, il che può consentire, ad esempio, migliori margini a livello di prodotti.

Il fenomeno dei negozi monobrand è un realtà in forte crescita in America e Asia ma anche in Europa e in particolare in Italia il trend appare positivo, sia per il franchasing che per i negozi di proprietà.
 
Di Danilo Arlenghi (del 17/10/2006 @ 08:28:32, in Strategie, linkato 3288 volte)

Una celebre frase di Peter Drucker afferma: "L'autorealizzazione del manager efficace è elemento vitale della valorizzazione dell'intera organizzazione. I manager che si adoperano per diventare più realizzati nel loro ruolo alzano il livello di vitalità di tutto il sistema di appartenenza".


Modestia e fattività: questi erano gli imperativi del successo manageriale di trent'anni fa, nel quadro di una cultura allora premiante, stante l'andamento dei bilanci di allora, ma oggi obsoleta e non più vincente. Il manager contemporaneo, proprio come un bene, è frequentemente "in vetrina" per ragioni di lavoro e, proprio come un buon prodotto, deve sapersi "vendere" prima ancora di essere "consumato". Se una volta il basso profilo era premiante, oggi chi vuole ottenere meritato riconoscimento del suo contributo o successo personale e professionale ( unitamente a quello della propria organizzazione di appartenenza) deve comunicare e saperlo fare bene per farsi individuare ed apprezzare.


Il dirigente aziendale o l'imprenditore sono oggigiorno prima di tutto persone di relazione:parlano, ascoltano, spiegano, convincono, negoziano, tengono riunioni, partecipano a dibattiti e convegni, fanno conferenze, rilasciano interviste. Sono costantemente in discussione, perchè discuono e sono discussi, sotto la lente della società della informazione e della civiltà della comunicazione. E proprio in questa la comunicazione invade ogni momento della nostra vita, ci circonda, e si fa conoscenza e cultura.


Dal postulato di Watslavick: " Non si può non comunicare", mai più vero di adesso, ne consegue che:" Chi non comunica non esiste". Almeno nel sociale. Gli occhi degli spettatori nel taetro dell'esistenza ci misurano forse più per come recitiamo il nostro ruolo che non per quello che siamo intimamente. Già in tempi non sospetti Machiavelli ammoniva: "Ognuno vede quel che tu pari, pochi comprendono quel che tu sei". Pìù forma che sostanza, insomma. Alla luce di queste premesse preliminari di tutte le capacità di comportamento utili per svolgere una attività manageriale, la più attuale ed indispensabile è quella di esprimersi e comunicare. Per ottenere il giusto consenso. La comunicazione dunque sia come input: ascolto, ricerca ed elaborazione di informazioni, cultura, conoscenza, sia soprattutto come output: visibilità, verbalità, vestibilità, vitalità, vivibilità, autorevolezza, risultato, efficacia.


Comunicare per essere e per esistere tanto umanamente quanto professionalmente.
La comunicazione e la sua abilità di, si estrinseca in particolar modo nella capacità di relazionare con i pubblici di riferimento: amici, parenti, colleghi, superiori, dipendenti, fornitori, clienti, consumatori e tutti gli altri stakeholders. Da una indagine svolta su un campione di più di 3.000 professionisti d'azienda è emerso che tra le attitudini primarie del manager del ventunesimo secolo, la più importante e la più premiante, ancor prima di quelle cosiddette "strategiche: innovare, prevedere, pianificare e decidere", è la capacità di "relazione". Quella che comporta un correlazione continua di contatti e comunicazione con gli altri: saper comunicare ed esprimersi, saper esternare la propria personalità, saper lavorare in gruppo, saper negoziare e saper motivare. Ovvero sapersi trasmettere all'esterno nel modo più valorizzante e autentico; avere un linguaggio chiaro, corretto, convincente; non dimostrare timore dell'interlocutore; essere in grado di dialogare e discutere; saper allacciare e coltivare amicizie, connettersi agli altri, sintonizzarsi all'ambiente esterno, stringere alleanze, allargare rapporti interpersonali, attivare network relazionali.
Perchè ognuno è il se' che decide di essere.
Una vita con vista, una finestra spalancata sulla relazione e sulla comunicazione: per essere apprezzati, sentirsi intonati al proprio tempo, , scambiare con gli altri competenza e umanità, avere successo e sentirsi realizzati.
Una finestra dalla quale il mondo entra e a nostra volta noi usciamo per renderci più accesibili e visibili.


I manager del duemila non sono più remunerati per ciò che sanno, ma per ciò che comunicano di essere. David Rockfeller diceva: " Pago la capacità di trattare con la gente più di qualunque altra capacità al mondo!"

 
Di Gianluigi Zarantonello (del 15/05/2006 @ 17:50:21, in Strategie, linkato 3658 volte)

Diversi articoli su molte testate economiche e non evidenziano come ormai in Italia il mondo delle imprese non possa più ignorare il segmento di mercato degli immigrati.
Stando ai dati dell'articolo gli stranieri regolari sono 2,5 milioni, ossia il 6% della popolazione attiva del nostro paese, una grande opportunità di business.

Naturalmente si tratta di consumatori che si differenziano notevolmente, a livello di bisogni e sistema culturale di riferimento, dagli italiani e che richiedono politiche di mercato e prodotti specifici.

Nell'articolo di Masciaga si segnala come un settore molto interessante sia quello creditizio, dato che sono oltre 600mila i lavoratori stranieri regolarmente residenti in Italia che non hanno un conto in banca su cui, ad esempio, accreditare gli stipendi.
Tra i primi prodotti pensati in tal senso ci sono il conto "Extra" della Banca Popolare di Milano e il conto "People" di Banca Intesa, che si configurano, anche senza particolari iniziative promozionali, come alcuni dei prodotti con i tassi di crescita maggiori dei due gruppi.
Inoltre anche nel settore assicurativo inizia a muoversi qualcosa.

Gli immigrati poi sono dei consumatori di beni di vario tipo, che però richiedono specifici adattamenti per essere conformi a precetti religiosi o a tradizioni culturali che sono molto diverse da quelle dei residenti italiani, un mercato ancora da esplorare pienamente.

Alcuni servizi e prodotti, come le macellerie islamiche, cominciano ad essere diffusi ma il campo di applicazione è molto più ampio: nell'articolo di Masciaga si parla ad esempio della Mecca-Cola e dell'Arab-Cola, bibite con una connotazione "etnica" che sfidano i colossi americani della cola e che vengono distribuite puntando su negozi di kebab e locali islamici.

Quest'ultimo esempio ci porta poi ad alcune considerazioni sul piano della comunicazione.
Infatti per colpire questo target il marketing e la pubblicità tradizionale non sono adeguati, perché partono da valori occidentali che non sono assimilati a pieno da altre culture.
Gli stesi linguaggi e repertori di conoscenze devono invece basarsi su altri serbatoi culturali e molta attenzione va posta ad esempio nel naming (Reeve, 2003), dato che in altre lingue esso può dar luogo a fraintendimenti anche gravi.
Si tratta insomma di superare i tipici problemi della comunicazione cross-cultural (Herbig, 1998), un nodo la cui soluzione essere agevolata dai mezzi di comunicazione che trasmettono nozioni culturali e simboliche agli stranieri (Thompson, 1998) ma che non può essere eluso.

D'altra parte, in una società sempre più multietnica, non possibile pensare ad un'omologazione totale dei bisogni ma bisogna sempre più pensare in un'ottica plurale e aperta a diversi punti di vista.
Insomma come ci ricorda Kotler (2003, pag. 394) "Global marketing yes. Global standadization, not necessarily".
Anche all'interno dei nostri confini.

GIANLUIGI ZARANTONELLO

BIBLIOGRAFIA

HERBIG P.A. (1998), Handbook of Cross-Cultural Marketing, Haworth Press, New York
THOMPSON J.B. (1998), Mezzi di Comunicazione e modernità.Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna
KOTLER P. (2003), Marketing Management, eleventh edition, Prentice-Hall, Englewood Cliffs.
REEVE J. (2003), "Come non si fa: i dieci errori più comuni del naming", Mkt, versione on-line (www.edipi.com/riviste/mkt), datato 1 Dicembre.

 
Di Gianluigi Zarantonello (del 15/02/2006 @ 12:42:13, in Strategie, linkato 2421 volte)

Si parla con grande frequenza negli ultimi anni di fare squadra, di network, di organizzazioni flessibili e reticolari. La tecnologia, soprattutto quella di rete, ha aperto all'uomo spazi inimmaginabili per entrare in contatto e in relazione con i suoi simili. Ne nasce dunque una forma di interazione a distanza che può essere considerata un’evoluzione di quella simultaneità despazializzata creata già da strumenti come il telegrafo o il telefono, l’uomo può interagire in modo sempre più veloce, preciso e ricco con il suo simile senza dover essere presente nello stesso luogo. Una rivoluzione che vale tanto nelle aziende e nelle organizzazioni quanto nella vita privata.

Esperti autorevoli, come il prof. De Toni, applicano oggi la teoria della complessità al management, evidenziando come l’ordine ed il disordine assoluti sono distruttivi mentre una situazione di confine fra i due stati, definita l’orlo del caos, sia l’unica condizione in grado di produrre innovazione, anche e soprattutto attraverso lo scambio di know how e l’interazione.

La teoria della complessità, infatti, si oppone al riduzionismo della scienza classica e sottolinea come dall’interazione di elementi semplici scaturiscano risultati complessi e in parte imprevedibili a priori.

Eppure nella realtà quotidiana la mentalità di chi opera nel business non è sempre pronta ad accogliere il concetto di network, non almeno per quanto riguarda l’applicazione pratica di tale approccio, nonostante i vantaggi notevoli che esso, se ben applicato, offre.

La mia esperienza professionale di gestore di grandi Community sul web e di network relazionali nel mondo fisico, spesso in combinazione fra loro, mi ha insegnato, infatti, che simili centri d’aggregazione possono diventare davvero punti riferimento importanti, per privati ma anche per aziende, per sviluppare relazioni personali e lavorative cruciali legate a determinati ambiti d’interesse. In più oggi alle relazioni personali e professionali con persone che vivono in un'area limitrofa alla nostra è sempre più importante affiancare quelle con interlocutori che si trovano in altre realtà e che, forse, non potremo mai vedere di persona.

In un mondo interconnesso come il nostro costoro diventano degli interlocutori privilegiati e, in certi casi, imprescindibili per la nostra vita e il nostro lavoro. Dunque sapere fare network diventa ancora più importante di un tempo, perché se anticamente la nostra sussistenza ed il nostro benessere (i motivi che ci portano ad aggregarci) dipendevano da chi ci stava vicino oggi possono invece essere influenzate in modo diretto e pregnante anche da realtà lontane.

Se l'optimum quindi è sempre quello di iniziare una relazione a distanza per poi concretizzarla nel mondo fisico bisogna anche capire che non sempre Internet e le altre reti sono spersonalizzanti, poiché sono dei media, dei mezzi, dei contenitori che possono essere plasmati con l'uso intelligente.

Come si sarà intuito dunque io sono un convinto sostenitore del fatto che le tecnologie di rete hanno apportato un grande plus nella gestione e nello sviluppo delle relazioni umane e dunque i network oggi sono quanto mai efficaci. Per questo credo che per affrontare molte delle sfide che il mondo competitivo moderno propone sia meglio la relazione (e dunque l’utilizzo del diverso know how e delle risorse) che l'opposizione, a patto che la costruzione di questo network sia sviluppata in modo onesto e rispettoso dell'interlocutore.

Questo ultimo punto, all’interno dell’organizzazione, pone la necessità di ricorrere a risorse umane sempre più preparate rispetto all’ottimale utilizzo delle tecnologie per la comunicazione e l’interazione ed insieme all’affermazione di un’etica professionale dei rapporti, anche di business, che eviti situazioni di scorretto utilizzo delle reti di relazioni.

Per tutti questi motivi dunque i gestori di network relazionali, community, social network e anche di piattaforme di CRM, purché preparati e seri, potranno avere, a mio avviso un ruolo crescente nelle organizzazioni perché la gestione delle relazioni interne ed esterne sarà nel futuro un asset intangibile sempre più cruciale per tutti. Le aziende faranno bene a tenersi pronte.

GIANLUIGI ZARANTONELLO

 
Di Max Da Via' (del 01/02/2006 @ 07:26:50, in Strategie, linkato 2689 volte)
Se la battaglia per informatizzare i Paesi poveri vale miliardi di dollari non deve stupire che si creino dissapori tra gli attori coinvolti nelle operazioni.

Nicholas Negroponte, fondatore del Massachusetts Institute of Technology, già da tempo ha proposto un progetto di pc low cost, alimentato a manovella, che potrebbe costare un centinaio di dollari. Questo rivoluzionario dispositivo, caratterizzato da uno speciale schermo visibile chiaramente anche alla luce del sole, sarebbe in grado di collegarsi a internet senza linea telefonica e avrebbe in dotazione il sistema operativo Linux, gratuito ed open source. L’assemblaggio dell’innovativo computer low cost, secondo il New York Times, potrebbe essere commissionato alla taiwanese Qanta, che già produce quasi un terzo di tutti i portatili in circolazione.

Nelle intenzioni di Negroponte questo pc dovrebbe essere distribuito gratuitamente ai bambini dei Paesi poveri, perchè possano accedere alla rete senza essere tagliati fuori dalla moderna rivoluzione tecnologica. Il progetto ha già riscosso molto interesse ed è stato apertamente supportato dall’Onu e da sette nazioni (Argentina, Brasile, Cina, India, Nigeria e Thailandia) che hanno dichiarato di essere disposte ad ordinare 7 milioni di macchine per un controvalore di 700 milioni di dollari.

L’avversario diretto di Negroponte si chiama Bill Gates il quale, dopo aver bocciato questo pc, ha presentato la propria ricetta per colmare il divario tecnologico con i Paesi poveri. La soluzione del fondatore della Microsoft consiste in uno speciale telefono cellulare che, collegato ad una tastiera ed ad un televisore, diventerebbe una sorta di computer. Le motivazioni addotte per sostenere questa controproposta si fondano sulla presunta insostenibilità nel lungo termine del progetto di Negroponte. A detta di Gates la sua sarebbe invece una soluzione di più facile attuazione, visto che prima o poi tutti avranno un cellulare, anche nei Paesi emergenti. L’accoppiata del telefono, il cui costo non è però stato finora reso noto, con le reti mobili sempre più diffuse rappresenterebbero quindi il migliore strumento di alfabetizzazione informatica per le popolazioni più povere.

La sfida per l'informatizzazione del Terzo Mondo può dirsi ufficialmente iniziata. Una sfida giocata a colpi di soluzioni high tech che secondo gli analisti vale diversi miliardi di dollari e che non piace a tanti esponenti dell’industria, timorosi delle implicazioni derivanti dalla distribuzione a prezzo stracciato di prodotti che potrebbero invece essere forniti, creando enormi opportunità di business, a valori “di mercato.

Negroponte intanto ha già raccolto 20 milioni di dollari per il suo progetto e sostiene che non trarrà alcun utile da tutte le operazioni legate alla produzione e distribuzione del pc.

 
Di Max Da Via' (del 26/01/2006 @ 07:21:30, in Strategie, linkato 7744 volte)
Walt Disney, azienda leader nel settore dell’entertainment, ha annunciato ufficialmente l’intenzione di voler acquistare Pixar Animation per una cifra che si aggira sui 7,4 miliardi di dollari.

Le due aziende hanno convissuto, tra alti e bassi, a partire dal 1991, dando vita a una nutrita serie di blockbuster cinematografici, con titoli come Toy Story e Alla ricerca di Nemo e più recentemente con Gli Incredibili e il prossimo Cars, in programmazione a partire dal prossimo giugno e che, stando agli ultimi accordi siglati, è il lungometraggio che avrebbe dovuto sancire la fine di questa proficua alleanza.

La Pixar, il cui a.d. è un certo Steve Jobs - a capo anche della Apple - rappresenta una vera e propria success story. Acquistata nel 1986 per 10 milioni di dollari, quando era ancora la divisione di computer grafica di Lucasfilm Ltd, nell’arco di pochi anni ha saputo imporsi nel mercato del cinema d’animazione prima americano e poi mondiale creando, assieme alla rivale Dreamworks recentemente acquistata dalla Paramount Pictures, un vero e proprio genere di grande successo.

Solo grazie alla partnership con la Disney però, con la sua esperienza nello story telling e soprattutto nella distribuzione cinematografica, la capacità creativa della piccola casa di Jobs ha potuto raggiungere il successo che oggi la contraddistingue.

Dopo 2 diversi accordi e una chiusura che ormai sembrava definitiva, ora i rispettivi consigli di amministrazione hanno approvato un accordo che prevede l’emissione di 2,3 azioni Disney per ogni azione Pixar e l'ingresso di Jobs nel management del gigante dell’entertainment.

I capi creativi di Pixar avrebbero inoltre il controllo del famoso studio di animazione della Disney, che ha prodotto le fiabe di animazione più amate in tutto il mondo, e la direzione del Walt Disney Imagineering Group, la divisione specializzata nella progettazione dei parchi tematici.

La decisione di procedere con l’acquisizione si spiega con l’importanza crescente assunta dall’animazione computerizzata, che ha in buona parte sostituito i lungometraggi realizzati con le tecniche tradizionali. Si tratta di un settore nel quale la Pixar si sicuramente mossa per prima e nel quale è saputa rimanere leader indiscussa, con ottimi risultati in termini di remunerazione delle produzioni, nonostante gli attacchi della concorrenza.

Per questo motivo l’a.d. di Disney, Robert Iger, ha deciso di mantenere una stabile relazione anche con la compagnia di Jobs, che ha visto nell’arco di pochi anni crescere esponenzialmente il proprio valore. Solo nel corso dell’ultimo mese infatti le azioni della Pixar sono cresciute del 12%.

Il primo passo tra Iger e Jobs era già stato fatto qualche mese fa, quando la Disney strinse un agreement con iTunes per la distribuzione di alcune serie di successo di proprietà dell’ABC. E c’è già chi pensa che questo ulteriore avvicinamento potrebbe portare ad ulteriori sinergie legate alle nuove tecnologie, come ad esempio alla distribuzione di contenuti in streaming.
 
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