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Il consumatore che venne da lontano
Di Gianluigi Zarantonello (del 15/05/2006 @ 17:50:21, in Strategie, linkato 3706 volte)

Diversi articoli su molte testate economiche e non evidenziano come ormai in Italia il mondo delle imprese non possa più ignorare il segmento di mercato degli immigrati.
Stando ai dati dell'articolo gli stranieri regolari sono 2,5 milioni, ossia il 6% della popolazione attiva del nostro paese, una grande opportunità di business.

Naturalmente si tratta di consumatori che si differenziano notevolmente, a livello di bisogni e sistema culturale di riferimento, dagli italiani e che richiedono politiche di mercato e prodotti specifici.

Nell'articolo di Masciaga si segnala come un settore molto interessante sia quello creditizio, dato che sono oltre 600mila i lavoratori stranieri regolarmente residenti in Italia che non hanno un conto in banca su cui, ad esempio, accreditare gli stipendi.
Tra i primi prodotti pensati in tal senso ci sono il conto "Extra" della Banca Popolare di Milano e il conto "People" di Banca Intesa, che si configurano, anche senza particolari iniziative promozionali, come alcuni dei prodotti con i tassi di crescita maggiori dei due gruppi.
Inoltre anche nel settore assicurativo inizia a muoversi qualcosa.

Gli immigrati poi sono dei consumatori di beni di vario tipo, che però richiedono specifici adattamenti per essere conformi a precetti religiosi o a tradizioni culturali che sono molto diverse da quelle dei residenti italiani, un mercato ancora da esplorare pienamente.

Alcuni servizi e prodotti, come le macellerie islamiche, cominciano ad essere diffusi ma il campo di applicazione è molto più ampio: nell'articolo di Masciaga si parla ad esempio della Mecca-Cola e dell'Arab-Cola, bibite con una connotazione "etnica" che sfidano i colossi americani della cola e che vengono distribuite puntando su negozi di kebab e locali islamici.

Quest'ultimo esempio ci porta poi ad alcune considerazioni sul piano della comunicazione.
Infatti per colpire questo target il marketing e la pubblicità tradizionale non sono adeguati, perché partono da valori occidentali che non sono assimilati a pieno da altre culture.
Gli stesi linguaggi e repertori di conoscenze devono invece basarsi su altri serbatoi culturali e molta attenzione va posta ad esempio nel naming (Reeve, 2003), dato che in altre lingue esso può dar luogo a fraintendimenti anche gravi.
Si tratta insomma di superare i tipici problemi della comunicazione cross-cultural (Herbig, 1998), un nodo la cui soluzione essere agevolata dai mezzi di comunicazione che trasmettono nozioni culturali e simboliche agli stranieri (Thompson, 1998) ma che non può essere eluso.

D'altra parte, in una società sempre più multietnica, non possibile pensare ad un'omologazione totale dei bisogni ma bisogna sempre più pensare in un'ottica plurale e aperta a diversi punti di vista.
Insomma come ci ricorda Kotler (2003, pag. 394) "Global marketing yes. Global standadization, not necessarily".
Anche all'interno dei nostri confini.

GIANLUIGI ZARANTONELLO

BIBLIOGRAFIA

HERBIG P.A. (1998), Handbook of Cross-Cultural Marketing, Haworth Press, New York
THOMPSON J.B. (1998), Mezzi di Comunicazione e modernità.Una teoria sociale dei media, Il Mulino, Bologna
KOTLER P. (2003), Marketing Management, eleventh edition, Prentice-Hall, Englewood Cliffs.
REEVE J. (2003), "Come non si fa: i dieci errori più comuni del naming", Mkt, versione on-line (www.edipi.com/riviste/mkt), datato 1 Dicembre.