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Very Young People
Di Altri Autori (del 01/12/2008 @ 07:16:15, in Marketing, linkato 1946 volte)

La generazione Y, i teenager, i bambini di ieri e gli adulti di domani, costituiscono oggi
un target importantissimo. Un target cui fare attenzione, su cui investire, soprattutto in comunicazione.

Le aziende spendono oggi in comunicazione verso i giovani più del doppio di quello che spendevano 10 anni fa (CBS, 2008). Ma non è solamente la quantità di spesa, ma la qualità. Si è passati dal tradizionale messaggio pubblicitario, in tv o su stampa, al below the line o al non convenzionale. I ragazzi sono molto ricettiviverso promozioni e iniziative pubblicitarie, partecipano volentieri ad eventi, concorsi ed iniziative sponsorizzate, ma ancor di più amano dialogare tra di loro e con il brand di riferimento.

Sono “animali sociali”, aperti al confronto, si influenzano a vicenda, alimentando ciò che tecnicamente viene definito buzz (passaparola). Basta colpire il target giusto, quello degli young opinion leader, dell’MTV Generation per far scattare quella molla che rappresenta la fortuna del brand oggetto del “ronzio”. Se le aziende riescono a scavalcare le barriere della pubblicità tradizionale, puntando a coinvolgerli, divertendoli e rendendoli protagonisti del dialogo, diventano una miniera d’oro.

A rendere il tutto più facile, inutile dirlo, lo sviluppo impetuoso e continuo delle nuove tendenze legate alla tecnologia e ad Internet. Secondo l’annuale indagine Doxa i teenager adorano la tecnologia. Quasi il 60% di essi, in Italia, dedica al web almeno 4 ore settimanali. Il 91% ha un cellulare, con fotocamera (75%) ed utilizza gli mms (67%). Per non parlare di You Tube o dei Social Network (Facebook su tutti…), passando per l’esplosione dei blog personali. Sono questi i modi migliori per lo sviluppo di un dialogo continuo e proficuo Brand-to-People (young people, of course).
Ma cosa ne pensano gli addetti ai lavori?

Rispondono ai nostri interrogativi, in una sorta di intervista doppia, Roberto Maggio, dell’agenzia Caleidos TeenAgency e Piergiovanni Sciascia, project manager del gruppo RCS Quotidiani – Gazzetta dello Sport. Entrambi i team studiano quotidianamente come riuscire a dialogare al meglio con i teenager ed i giovani in generale e ce ne hanno dato un esempio con due campagne di successo: Eastpack e Gazzenda.

Perché il target dei giovani è più promettente di quello degli anziani, pur
essendo quest’ultimo in enorme crescita in numero assoluto?

Maggio: È molto semplice: perché i ragazzi di oggi saranno gli anziani di domani, quindi è fondamentale arruolarli subito! Ironia a parte, l’adolescenza è sempre meno una fascia di età ben definita, ma si è trasformata piuttosto in una condizione dell’anima.Senza fare della sociologia improvvisata o attribuire un valore negativo o positivo al fenomeno, per chi si occupa di comunicazione questo significa che gli argomenti, i linguaggi, le metafore, i canali individuati per “parlare ai giovani” hanno oggi un’efficacia ben più ampia, e alimentano stili di consumo largamente condivisi.

Sciascia: La valutazione della “bontà” di un target non dipende solo dal valore dimensionale ma anche dalla capacità dello stesso di essere ricettivo e propositivo allo stesso tempo. Mi spiego: verissimo che il target degli anziani è quello più numeroso in termini assoluti (la popolazione italiana in media sta invecchiando, gli over 65 italiani sono sempre di più, con maggior “tempo libero” a disposizione e, soprattutto, con buone possibilità di spesa) ma è anche vero, e non è un dettaglio trascurabile, che gli anziani sono anche quelli meno sensibili al cambiamento ed alle nuove abitudini di consumo. I “giovani”, considerati in senso lato, sono di contro sempre più emancipati per gusto, capacità d’acquisto e riescono a relazionarsi meglio, in modo attivo e passivo, con la comunicazione e l’informazione, diventando così un ibrido tra produttori e consumatori. Diventa molto importante pertanto riuscire a parlare il loro linguaggio, anticipare le mode del momento e diventa fondamentale la capacità di rinnovarsi ed evolversi così come cambiano costantemente le loro identità.

Su quali leve bisogna puntare per catturare l’attenzione del target dei teenager?

Maggio: Potrà sembrare trito, ma la leva più efficace è la provocazione. Attenzione però a non confondere la provocazione con la trasgressione fine a se stessa. Intendiamo
provocazione come capacità di chiamare in causa i ragazzi, di stimolare una reazione, una presa di posizione. Un’affermazione forte porta a schierarsi, a rispondere,
soprattutto in un’età nella quale l’impeto ad aderire o a contestare è fortissimo. In questo modo si crea l’occasione per instaurare un dialogo effettivo tra brand e target.
Dall’efficacia di questa dinamica di coinvolgimento nasce il successo di un’operazione.

Sciascia: Ai ragazzi piace sentirsi coinvolti e per tale ragione credo che iniziative che li trascinino e che non li rendano solamente passivi nei confronti di iniziative pubblicitarie
siano le soluzioni da percorrere. E’ fondamentale pertanto entrare a far parte delle loro regole, dei loro rituali, del loro linguaggio, mostrarsi loro complici e soprattutto
sorprenderli di questo. Gazzenda si pone questi obiettivi già in fase di ideazione e progettazione: vuole essere un’agenda complice, empatica, vicina che interpreta il
pensiero dei ragazzi nei confronti delle ore “passate a scuola” ma, allo stesso tempo, sensibile ai bisogni dei giovani in quanto, utilizzando l’ironia e la sdrammatizzazione,
parla di qualcosa che i ragazzi avvertono come “realistico”. Seguendo questa linea, abbiamo anche cercato di sviluppare una campagna pubblicitaria coerente con l’immagine
stessa di Gazzenda.

Si sente parlare molto di marketing non convenzionale. A tuo parere sono strumenti
adatti per dialogare con i giovani d’oggi, alla luce del boom dei social
network, e di tutte quelle tendenze sviluppatesi su internet?

Maggio: Se i “giovani d’oggi” sono gli esponenti della generazione Y, ovvero quelli formati nella consuetudine con il web e i media digitali, per i quali l’interazione con i
contenuti e la possibilità di influenzarli, alterarli, contribuire a crearli è più che naturale, direi che quella del marketing non convenzionale è la strada maestra. Il flusso
unidirezionale della pubblicità “tradizionale”, che non prevede feedback né tantomeno interventi critici, non è in grado di coinvolgere e mobilitare i ragazzi come
invece hanno dimostrato di poter fare le tecniche di guerrilla, il viral, il grassroot marketing, l’utilizzo intelligente degli user generated content e delle social utility.

Sciascia: Personalmente, credo molto nelle iniziative di guerrilla: lo scenario attuale è caratterizzato da un flusso comunicativo continuo e sovrabbondante dove catturare
l’attenzione del target è l’obiettivo principale nonché impresa ardua. In quest’ottica, il marketing non convenzionale rappresenta l’opportunità di colpire facendo leva
sul fattore “curiosità” che innesca un meccanismo d’interesse verso l’azione messa in atto e, di riflesso, sul prodotto pubblicizzato, con il vantaggio di essere a basso costo.
Per quanto riguarda il rapporto col web, penso che l’originalità del messaggio e del mezzo usato siano gli elementi che servano ad attirare l’attenzione in un’iniziativa
di guerrilla: pertanto anche il web, utilizzato in modo originale, può considerarsi una piattaforma ideale a stimolare l’interesse e a far scaturire forti elementi virali utili ad
innescare un effetto “eco”, dove il contagio di un interesse verso qualcosa passa da un utente all’altro, soprattutto su Internet dove la comunicazione è tra pari e la rete
diventa il veicolo del contagio.

In base alla tua esperienza personale, riferita a campagne non convenzionali
rivolte al target young, quale aspetto si è rivelato più importante ai fini di un
buon dialogo brand-to-people?

Maggio: Riprendendo una risposta precedente, si tratta della giusta provocazione. Per citare un’esperienza recente, ovvero la campagna “Wanna last longer?” per Eastpak
Apparel, l’idea di utilizzare una bambola gonfiabile maschile – battezzata Billy I-doll– come testimonial di un brand il cui pay off è “Built to resist” si è rivelata una scelta
azzeccata, come dimostrano le oltre 300.000 visualizzazioni del web commercial su YouTube, le migliaia di contatti su MySpace e Facebook, le reazioni all’apparizione
dei bamboli nelle strade di Milano e Roma. Lo dimostrano anche le diverse interpretazioni che i ragazzi e gli osservatori (giornalisti, blogger, marketer…) hanno dato sia
del viral che delle performance: da satira del proibizionismo cattolico a contributo alla lotta al precariato, fino a momento di riflessione esistenziale sul tema: siamo tutti potenzialmente
degli oggetti, pronti a essere usati? Una pluralità di significati possibili che moltiplica le possibilità di “fare propria” la campagna.

Sciascia: Credo che l’aspetto più importante ai fini della buona riuscita di una campagna non convenzionale sia senza dubbio quello di raggiungere il target desiderato
sfruttando, se possibile, la visibilità data dai media, ma anche quello di sorprendere e stupire in modo positivo, ponendosi essenzialmente l’obiettivo di attirare l’attenzione
su di sé attraverso l’originalità del messaggio, del mezzo e del linguaggio utilizzato. L’obiettivo dell’iniziativa di guerrilla di Gazzenda è stato proprio questo: Gazzenda
vuole stupire, non solo per ricchezza/personalità, ma anche per la distanza dal mondo sportivo/maschile che il nome potrebbe evocare accostandola, in modo errato, al
“mondo Gazzetta”. Il diario di Alice, in tal senso ha posto attenzione e luce su Gazzenda, fornendo uno spunto di riflessione sul bisogno e la necessità che i ragazzi
hanno di comunicare, di esprimersi e di fissare a modo loro su carta il piacere legato ad alcuni momenti (più o meno belli) della propria vita.

Via Marketing Journal