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Di Altri Autori (del 31/08/2009 @ 07:20:22, in Internet, linkato 2286 volte)

Pagare le news su Internet, alla stessa stregua di come si scaricano legalmente le canzoni? La possibile risposta di milioni di internauti sarebbe la seguente: ma quando mai. E l'ipotesi di un identico modello commerciale di vendita, buono sia per le informazioni che per la musica, che ponga in regime di libera concorrenza tanto gli editori quanto le case discografiche? Il tema è stuzzicante ancorché particolarmente complesso e di strettissima attualità per quanto riguarda il discorso delle news. L'uscita dei giorni scorsi di James Murdoch, presidente e amministratore delegato di News Corp. per l'Europa e l'Asia nonché rampollo del più famoso papà Rupert, è lo specchio di una delicata questione.

"È giusto far pagare un prezzo equo per le notizie on line - ha detto il figlio del magnate australiano - altrimenti sarà penalizzata la qualità. Il consolidato modello di offrire "free" l'informazione in Rete sarà anche superato ma c'è chi, fra gli analisti di settore, che osserva come il successo del sistema delle notizie a pagamento su Internet si possa concretizzare solo nel caso in cui l'intero mondo del Web faccia "cartello". Senza un accordo definito a tavolino fra i fornitori di contenuti è pressoché scontato, secondo questa visione del fenomeno, che gli utenti continueranno a cercare on line – e soprattutto a trovarle senza problemi – le notizie desiderate. Immaginiamo di dover pagare 10 centesimi di euro una singola notizia su uno dei principali quotidiani italiani on line e tale riflessione ci apparirà probabilmente assai condivisibile.

Una ricetta contro il file sharing: 10 euro mensili per il download illimitato
Il fenomeno della musica gratis ha vissuto la sua epopea negli anni 2000 con Napster e il "peer to peer" ma non è certo tramontato e basti pensare alle migliaia di file musicali scaricati illegalmente archiviati sul computer di un teenager per capirne il perché. Oggi i problemi della major sono soprattutto quelli di far quadrare i propri conti in un contesto in cui i consumi di Mp3 crescono ma non abbastanza per coprire i buchi di ricavi legati al crollo delle vendite di Cd. Un po' come succede, facendo forse un azzardato parallelismo, con le notizie e le case editrici: la frenata sostanziale del gettito pubblicitario nella carta stampata è solo minimamente compensata dai maggiori introiti legati all'advertising on line. Quindi c'è un problema di sistema alla base che va risolto e se Murdoch ha rotto gli indugi confermando di voler perseguire la strada del "pay per view", il settore della musica si interroga se sia necessario intraprendere quanto suggerito da una recente ricerca della UK Music, il consorzio che riunisce buona parte dell'industria discografica inglese. E cioè quello di proporre tariffe fisse per scaricare i brani dalla Rete: rendere più economicamente accessibile la musica al pubblico giovanile, offrendo a 10/15 euro mensili la possibilità di scaricare in modo illimitato - per un determinato periodo di tempo - i brani desiderati ovvierebbe al fenomeno alquanto diffuso fra i ragazzi di età compresa fra i 14 e i 24 anni di copiare i Cd degli amici o di scaricare canzoni con i sistemi di file sharing illegali ancora attivi.

Se, in altre parole, le canzoni fossero disponibili on line a prezzi e condizioni eque le cose potrebbero cambiare anche sostanzialmente e fenomeni come il "ripping" – la tecnica che permette di convertire spezzoni di video musicali scaricabili da YouTube in veri e propri file musicali – tenderebbero probabilmente a ridursi. Difficile, anzi impossibile, che il file sharing illegale o la violazione consapevole del copyright possa invece scomparire del tutto pur in presenza di un servizio di download a pagamento, come il Come With Music di Nokia, che permetta di scaricare in modo illimitato sul proprio pc o sul proprio cellulare i titoli preferiti pescandoli da un catalogo di milioni di brani. Ma se è vero che l'85% dei teenager si dice disposta a considerare un sistema di questo tipo sarebbe già un grande passo in avanti, soprattutto se coloro dediti al download di musica dalla Rete continuassero a comprare Cd in negozio.

Perché pagare una news su Internet?
In chiave notizie, l'azione di rottura di Murdoch si scontra con il fatto che il Web è da sempre il regno dei contenuti gratuiti e spendere dei soldi (quanti poi?) quando si può avere tutto gratis passa per la testa di ben pochi utenti. Eppure se i lettori del Sunday Times on line vorranno rimanere fedeli al proprio giornale lo dovranno pagare a partire da novembre e la stessa sorte toccherà nel 2010 a chi si informa sui siti Internet del Times, del Sun, del News of the World e del Wall Street Journal. La strategia della News Corp. sta suscitando reazioni contrapposte a diverse latitudini e ciò che sembra minarne alla base le (lecite) speranze di successo è probabilmente l'abitudine degli utenti a non acquistare notizie sul Web. Ma in un modo digitale dove tutto ha un prezzo – connessione alla Rete, Sms, applicazioni per cellulari, canzoni, persino le suonerie – salvo rare eccezioni, perché le informazioni professionali (parliamo di giornali on line, non di blog personali) non dovrebbero averlo?
Dietro la scelta di Murdoch ci sono naturalmente motivazioni di business e se il magnate australiano è convinto del fatto che presto altri gruppi editoriali seguiranno il suo esempio molti dubbi rimangono sull'entità del "sacrificio" da chiedere, anzi imporre, ai consumatori. Un prezzo per singola news? Un abbonamento mensile flat per accesso illimitato a tutti i contenuti? Un piano a consumo? Di numeri non se ne fanno ancora ma è sempre più gettonata l'idea che il futuro a breve termine dell'informazione on line potrebbe sfociare in un modello "ibrido", e cioè in siti strutturati per offrire notizie flash gratuite e articoli di approfondimento (e altri contenuti multimediali) a pagamento. Con alle spalle - non è un dettaglio da poco e gli store digitali di Apple ne sono un'evidente conferma - un sistema di pagamento telematico affidabile, veloce e assai semplice da usare.

di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM

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Di Altri Autori (del 07/08/2009 @ 07:30:57, in Pubblicità, linkato 3233 volte)

Per la pubblicità, nel suo insieme, non è certo un momento di vacche grasse. Basta guardare gli ultimi dati resi noti da Nielsen Media Research, relativi al periodo gennaio-maggio 2009, per averne conferma: flessione del 16,5% rispetto al 2008 per un giro d'affari complessivo di poco meno di 3,8 miliardi di euro. Il conteggio comprende vecchi e nuovi media (Tv, carta stampata, radio, cinema, affissioni, Internet e pure Transit, la pubblicità su metropolitane, aeroporti, autobus e tram) e ribadisce una tendenza in atto già dal secondo semestre dell'anno scorso. Le aziende stanno spendendo meno in campagne pubblicitarie – il discorso vale anche per la maggior parte dei cosiddetti "big spender", con in testa Wind, Unilever, Vodafone, Ferrero e Volkswagen – e il solo mezzo che dimostra di essere in attivo è il Web, che segna un incremento nei primi cinque mesi del 7,8%. Per Tv e stampa il bilancio è in profondo rosso: -14,8% di entrate per il piccolo schermo (il dato comprende sia i canali generalisti che quelli a pagamento) e -25,1% per quotidiani e periodici.

Il problema (per gli editori soprattutto) è stringente e torna più che mai d'attualità il tema del cambiamento del "media mix", ossia della diversa distribuzione della spesa in pubblicità sui vari canali di comunicazione. Fra le domande che ricorrono da tempo fra gli operatori del settore ve sono almeno un paio che riguardano la decantata convergenza fra Tv e Internet: il Web sta assorbendo parte dei budget destinati agli spot televisivi o si aggiunge a questi come voce strategica della pianificazione pubblicitaria? È una vetrina che si presta a "replicare" gli spot trasmessi sul piccolo schermo o richiede il confezionamento di campagne mirate? Difficile dare risposte precise per un semplice motivo: l'advertising on line è ancora un mercato giovane, in fortissima evoluzione e in cerca di un suo spazio strutturato all'interno del sistema pubblicitario italiano, dove la Tv fa sempre la parte del leone anche in tempi di crisi (i grandi investitori destinano mediamente il 90% del loro budget a questo media) e dove le concessionarie di pubblicità hanno di fatto in mano il pallino delle operazioni nel gestire gli investimenti delle aziende.

Del rapporto fra Tv e Internet in chiave pubblicitaria se n'è parlato anche di recente alla tappa romana dello Iab Forum (a metà luglio) e in argomento si sono espressi, anche con vedute contrapposte, vari addetti ai lavori. Il Sole24ore.com ha raccolto tali testimonianze a cominciare da quella di Andrew Frank, Vice President Research's Media Team della società di ricerca Gartner, secondo cui "il Web è ancora in silos del marketing mix strategico degli investitori ma presto contaminerà non solo il pc ma tutti i dispostivi digitali presenti in casa: la TV, il telefonino, la console di gioco. L'advertising digitale – ha detto ancora Frank - è una materia complessa e richiede un mix di tecnologia, creatività e capacità analitiche. Gli operatori del settore devono evolvere, le competenze devono essere organizzate, le dinamiche dell'utenza essere adeguatamente monitorate".

Layla Pavone, presidente di Iab Italia, ha un'idea ben precisa del matrimonio fra Web e Tv a livello di spot: "per pensarli in modo integrato come canale di sbocco di una campagna pubblicitaria serve una strategia di comunicazione a monte, perché la relazione con gli utenti dei due media è diversa: lo spot televisivo è emozionale, è un elemento distintivo ed attrattivo, la Rete può proseguire l'azione sul consumatore in termini di awarness del marchio e non solo". A detta di Giovanna Maggioni, Direttore Generale di Upa (Utenti Pubblicità Associati), "Internet sta entrando solo ora nel marketing mix strategico delle aziende. Alcune aziende di alcuni settori lo hanno già fatto, togliendolo dalla pianificazione sulla carta stampata. Chi invece investe generalmente sulla Tv ha destinato al Web una porzione limitata dei budget ma è anche vero che grandi spender tradizionali come le aziende dei beni di largo consumo stanno iniziando a testare il nuovo media. È sicuramente arrivato il momento di spiegare alle aziende il vero valore del mezzo, le sue potenzialità, le sue prerogative rispetto a quelle dei media tradizionali. Creando metriche e modelli ad hoc".

Dal lato operatori, fa fede la riflessione di Carlo Poss, Presidente di Fcp-Assointernet (l'associazione che raggruppa le concessionarie e i gestori diretti di vendita di spazi pubblicitari): "Se la stragrande maggioranza delle aziende si dicono soddisfatte di quello che stanno facendo su Internet e una buona parte dicono di voler crescere gli investimenti pubblicitari in Rete la credibilità del mezzo si commenta da sé. Il Web è interattivo come nessun altro media: si può portare l'utente Internet dove si vuole attraverso tutti gli strumenti a disposizione e anche per questo la dimensione del Web advertising in Italia dovrebbe già essere tre volte tanto il suo valore". Perché in Italia c'è ancora tutta questa reticenza verso il mezzo, perché le aziende della stessa categoria merceologica investono molto di più sul Web in altri Paesi? Secondo Poss "è un problema di sistema Paese" mentre per Paola Marazzini, Agency Head di Google Italia, "gli investitori sono lenti nel recepire le potenzialità del mezzo Internet perché ancora non hanno ancora la consapevolezza di quanto sia integrato il Web nelle logiche di comunicazione e marketing. C'è una fortissima relazione fra i due mondi, Web e Tv, ed è solo questione di fare proprio il concetto". Ma quali sono le sinergie fra video advertising e Tv? "Gli utenti che fruiscono dei due media – completa così il concetto Magazzini – recepiscono il messaggio pubblicitario e il brand più in dettaglio e in modo più pervasivo, con una maggiore "intention to buy": il Web sottintende un approccio "pull" del consumatore verso la campagna mentre la Tv fa leva sul modello "push" e fa da volano, da stimolatore, a quanto si può approfondire sul Web. Che i due media siano sinergici è indubbio".

Un editore che sulla convergenza Web e Tv dichiara di scommettere e parecchio è Mediaset. Per Yves Confalonieri, Vice Presidente di Digitalia 08', la concessionaria che vende gli spazi dei siti e dei canali del digitale terrestre della società di Cologno Monzese. "Sposare la Tv con il Web si può con un approccio video centrico: il meglio dei contenuti televisivi va in diretta sulla Rete. Siamo all'inizio e i numeri sono ancora piccoli ma dal lato utente ci sono le risposte al tentativo di offrire contenuti in modo convergente e dal lato pubblicitario lo sforzo è quello di proporre formati che vanno oltre il display advertising, dedicando spazi su misura agli sponsor. Diventa fondamentale far coincidere la pianificazione pubblicitaria fra Web e TV e in quest'ottica l'importanza di Internet va valutata anche sotto il profilo della sua indubbia capacità di fare brand awarness". I presupposti per realizzare il matrimonio fra i due mezzi, sulla carta, non mancano ed è fuori dubbio che Internet sia il media più usato nel corso della giornata e quello con una reach più vicina a quella televisiva. Che siano due canali pubblicitari complementari, in attesa di essere del tutto convergenti, è altresì inopinabile: affermare che lo spot televisivo può traslocare con successo anche sul Web è invece forse prematuro. A meno che la tecnologia non ovvi ai limiti "imposti" da logiche commerciali spesso ancorate a vecchi modelli.

di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM

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Di Altri Autori (del 06/08/2009 @ 07:47:42, in Internet, linkato 2104 volte)

La Commissione europea ha stilato una relazione all'interno della quale indica l'economia digitale come soluzione per far fronte alla crisi economica.
 
La situazione dello Stivale in termini di connessioni alla rete e utilizzo di internet appare nello studio assai critica: l'Italia si classifica undicesima per la copertura della Dsl, con una percentuale del 95,3% (conducono Francia, Danimarca e Lussemburgo con il 100%), scivola al 15esimo posto, con l'82%, se si parla di copertura nelle aree rurali (svettano ancora Francia, Danimarca e Lussemburgo con il 100%) e crolla in 24esima posizione nella graduatoria delle case connesse alla banda larga. Nella Penisola è solo il 31% della abitazioni a essere collegato a internet veloce, dato superiore solo alle percentuali di Grecia (22%), Bulgaria (21%) e Romania (13%). Si distinguono positivamente Danimarca (74%), Olanda (74%) e Svezia (71%).

Migliora leggermente la situazione se si parla di collegamenti a banda larga nelle imprese: l'Italia è 14esima con l'81%, in una classifica dominata da Francia (92%), Spagna (92%) e Finlandia (92%). 

Scarso l'utilizzo del web da parte degli utenti privati italiani: solo il 35% si connette tutti i giorni (19esimo posto) e uno scarso 15% sfrutta la rete per scaricare legalmente film o musica (27esimo e ultimo posto).

Allargando il campo d'analisi all'intera Unione europea emerge che nel 2008 il 56% degli europei è divenuto un utilizzatore regolare di internet, facendo così registrare un balzo in avanti di un terzo in più rispetto al 2004. Oggi più della metà delle famiglie e oltre l'80% delle aziende ha una connessione a banda larga. La percentuale cresce se si prende in considerazione la fascia d'età 16-24: il 73% usa regolarmente servizi avanzati per creare e condividere contenuti on line, il doppio della media della popolazione dell'Ue.  l 66% degli europei di meno di 24 anni usa internet ogni giorno, rispetto alla media dell'Ue del 43%.

Anche se la 'generazione digitale' sembra restia a pagare per scaricare da internet o guardare online contenuti quali video o musica (il 33% afferma di non essere assolutamente disposto a pagare, pari al doppio della media Ue), in realtà nella loro fascia di età quanti hanno pagato per ottenere questi servizi sono il doppio rispetto al resto della popolazione (10% degli utenti giovani, rispetto alla media Ue del 5%).

"L'economia digitale dell'Ue offre un ampio potenziale per generare forti entrate in tutti i settori, ma per trasformare questa situazione favorevole in crescita sostenibile e nuovi posti di lavoro i governi devono prendere l'iniziativa e adottare politiche coordinate per eliminare le barriere che ostacolano i nuovi servizi - ha dichiarato Viviane Reding, commissaria dell'Ue responsabile della società dell'informazione e dei media - Dovremmo cogliere l'opportunità di una nuova generazione di europei che ben presto deciderà le sorti del mercato europeo. Questi giovani usano molto internet e sono inoltre utenti molto esigenti. Per sfruttare il potenziale economico di questi 'figli dell'era digitale' dobbiamo garantire che l'accesso ai contenuti digitali sia semplice ed equo".

Via Quo Media

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Di Roberto Venturini (del 05/08/2009 @ 07:50:40, in Marketing, linkato 2599 volte)

"Priceless Picks" è il nome dell'applicazione mobile, geocontestuale che Mastercard ha lanciato da poco.

L'app aiuta a identificare punti vendita, marche in offerta, content locale, eventi serali etc.

Il content è in larga parte centrato su contributi user generated - e sfruttando la localizzazione GPS dell'iPhone permette di identificare in modo veloce e senza sforzo i punti vendita più prossimi.

Interessante il target: uomini e donne 30-50 (ovvio, l'iPhone non è proprio roba da ragazzini). Altrettanto interessante il fatto che l'app sarà promossa da Mastercard usando spot televisivi.

Questo è l'indirizzo del sito web su cui si appoggia l'applicazione, con mappa eccetera. Qualche contenuto c'è anche per il mercato italiano: poca roba per ora, qualche commentino turistico... sarà perchè l'applicazione non è disponibile per gli utenti italiani dell'App Store?

Come ampiamente previsto, il futuro del marketing (o almeno di una sua parte) sembra proprio passare dal mobile e dalla geolocalizzazione... sempre ammesso che il pubblico aderisca entusiasticamente a quella che in teoria sembra essere un aproposta allettante, ma che potrebbe essere irrilevante per il dispettoso target che spesso vanifica tutti i brillanti sforzi di noi markettari.

Insomma, come al solito, aspettiamo i dati...

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Di Altri Autori (del 04/08/2009 @ 07:15:03, in Tecnologie, linkato 1975 volte)

Tra Blackberry, iPhone, netbook, notebook e navigatori l'estate degli italiani si prospetta tutt'altro che rilassante.
 
Stando a un'indagine di Doxa commissionata da TomTom, i cittadini dello Stivale non hanno alcuna intenzione di separarsi dai loro gingilli tecnologici durante le vacanze estive: l'apparecchio tecnologico ritenuto più utile in vacanza è il navigatore (per il 37,3% degli intervistati), un accessorio che ha conquistato uomini (41,4%) e donne (33,4%) e persone di tutte le età (compreso il 25,6% - in pratica uno su quattro - di over 55, di solito i più restii alle innovazioni tecnologiche). Al secondo posto viene l'iPod (28%) che conquista il 51,7% degli under 34 ma appena l'8,2% degli over 55. Terzo posto per netbook e pc portatili in genere (26%), quarto per Blackberry e smartphone (9,9%), quinto per le console di videogiochi portatili (8,8%).

Via Quo Media

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Di Altri Autori (del 03/08/2009 @ 07:34:23, in Strategie, linkato 2293 volte)

Alla fine il matrimonio d'interesse c'è stato, anche se non si è tratto di una fusione o di un'acquisizione. L'obiettivo è condividere la piattaforma Web per la pubblicità online. Ed è una notizia ben più importante rispetto a una "semplice" aggregazione di reparti industriali. Perché l'advertising online offre una forma di comunicazione immediata e innovativa, ancora per molti versi inesplorata e vergine (si pensi ai social network come Facebook o allo stesso Youtube, nei quali non è stata ancora trovato un modo soddisfacente per fare pubblicità).

Tuttavia c'è incertezza sulle sorti di questo mezzo pubblicitario. Internet è destinato a diventare una leva per le aziende in quanto offre una visibilità potenzialmente superiore rispetto alla Tv e agli altri media. Nonostante fino all'anno prossimo non si prevedano crescite interessanti. Motivo? La crisi economica e un modello non ancora consolidato. Bisognerà attendere un paio di anni per vedere il vero potenziale del Web. In questo contesto si inserisce la partnership tra Yahoo e Microsoft.

Un piano pluriennale (l'accordo è della durata di 10 anni) che prevede uno scambio di tecnologie molto interessanti. L'obiettivo di questa cordata è affrontare Google: il colosso di Sunnyvale controlla il 65 per cento dei motori di ricerca in Internet, contro un misero 28% ottenuto sommando i pesi delle due aziende che hanno annunciato oggi l'accordo. Carol Bartz, ceo di Yahoo, spiega come la funzione di search sia funzionale a una strategia di adv online, tanto che l'obiettivo della partnersthip è anche di proporsi come seconda forza sul mercato.

Dunque Bing, che è made in Redmond, diventa una piattaforma su cui strutturare nuove strategie di pubblicità a lungo termine. Anche per questo Yahoo e Microsoft condivideranno know-how tecnologici e algoritmi al fine di perfezionare il funzionamento del motore di ricerca e adattarlo alle nuove esigenze. Si tratta di un rapporto esclusivo per entrambe le parti coinvolte, anche se saranno indipendenti e in concorrenza in merito alla proposta commerciale effettiva ai rispettivi clienti. Nella fattispecie, l'attuale motore di ricerca di Yahoo diventerà "powered by Bing" e a Microsoft saranno corrisposte le revenue share sul traffico generato. L'azienda di Redmond riconoscerà una commessione dell'88 per cento dei guadagni generati sulle pagine di Yahoo. Questo per almeno i primi cinque anni della collaborazione. Insomma, un vero panzer della pubblicità online pronto a proporsi a fronteggiare Google.

Ma perché Microsoft ha scelto proprio Yahoo? Per la sua storia decennale in Internet, perché è una comunità più che un portale, per i servizi a valore aggiunto che offre e per le potenzialità di crescita in un mondo virtuale sempre più dominato dal social networking. Non è casuale il recente annuncio di allargamento dell'homepage di Yahoo alle principali community. Tutti ambiti nei quali Microsoft ha tentato di proporsi ma con risultati non esaltanti: è in corso un parziale ridimensionamento delle attività di Msn e molti servizi storici di Redmond legati al Web sono in fase di riorganizzazione. Yahoo gode di una brand awareness sensibilmente superiore. E poi è un sito molto legato ai giovani e a chi naviga in Internet dagli albori, anche per questo è interessante dal punto di vista pubblicitario.

Steve Ballmer, ceo di Microsoft, sostiene che la partnership tra le due aziende possa configurare vantaggi per gli utenti e per le società interessate a fare advertising online, offrendo loro una visibilità superiore. Staremo a vedere. Nel frattempo, siglato l'accordo, l'implementazione avverrà per tappe successive. Affinché Yahoo converta la sua pagina di ricerca sfruttando a dovere Bing ci vorranno almeno sei mesi, se non almeno un anno per una transizione completa. A livello globale, la finalizzazione della piattaforma richiederà 24 mesi. Il 2010 sarà l'anno in cui si potranno saggiare i primi effetti di questo agreement che vale un flusso di cassa di 275 milioni di dollari l'anno almeno per Yahoo. Nessun pericolo per gli utenti: i dati raccolti saranno condivisi solo per il minimo indispensabile. A loro andrà il vantaggio di contare su una reale alternativa a Google.

di Luca Figini su ILSOLE24ORE.COM

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