Dell'eruzione vulcanica causata dalle Mentos nella Coca-Cola, ne abbiamo parlato tutti.
Mi sa che si è parlato un po' meno della nuova release - più marchettara - di quest'estate. Coke Zero e Mentos che propellono nientedimeno che David Letterman. 108 bottiglie per spingere a razzo un trabiccolo guidato dal famoso conduttore televisivo per la 53a.
Guardatevi il film qui sotto e per approfondimenti segnalo l'articolo di Advertising Age.
Il consumatore non è un soggetto totalmente razionale: da questo presupposto partono le più recenti teorie di marketing che, accantonata la logica “bisogno-acquisto-beneficio” (rispondente solo in parte alla realtà, in un contesto in cui il consumo risponde prevalentemente a necessità psicologiche), mettono in luce l’aspetto soggettivo e irrazionale del processo d’acquisto. Tali teorie si appoggiano a molteplici studi che ribadiscono l’importanza del fattore emotivo nella decisione del consumatore.
G.Abbate e U.Ferrero, ad esempio, in Emotional assets fanno riferimento alle ricerche neuroscientifiche che negli ultimi decenni hanno studiato l’emisfero destro del cervello, e che hanno dimostrato come nell’animale esistano due modalità di pensiero, l’una razionale (afferente alla parte sinistra del cervello) e l’altra irrazionale (afferente alla parte destra), distinte ma, quel che è importante, interagenti.
Secondo gli stessi autori, questi studi forniscono un apporto importante alla ricerca orientata al mercato poiché consentono di comprendere meglio le scelte del consumatore e, quindi, anche di mettere a punto una comunicazione meno inquinante e più mirata. Il fatto è che la sfida, al giorno d’oggi, non è più quella tra prodotti - per ciascuna categoria merceologica ne esistono fin troppi di qualità equivalente - ma quella tra percezioni attorno ai prodotti; ed è allora la comunicazione, che sulle percezioni lavora, a fare la differenza.
Si parla insomma di marketing emozionale, che Abbate e Ferrero definiscono “l’insieme delle forme interpretative della realtà circostante espresse dalla parte destra del cervello, analizzate attraverso tecniche estremamente raffinate che si servono dei metodi della psicolinguistica applicata secondo parametri e schemi statistici costantemente aggiornati e verificati”.
Le sensazioni soggettive ed irrazionali che concorrono al processo d’acquisto, poi, sembrerebbero dipendere dagli stimoli sensoriali attivati nel consumatore al momento della sua decisione; ne consegue la necessità per l’azienda di trasmettere gli stimoli sensoriali più adatti a convincere il cliente circa l’irrinunciabilità e l’insostituibilità del prodotto. Di questo, appunto, si occupa il cosiddetto marketing polisensoriale (definito quindi in relazione al marketing emozionale), che propone tecniche di vendita e di comunicazione basate sulla sollecitazione strategica di tutti e cinque i sensi del consumatore.
Compito della comunicazione polisensoriale sarà allora quello di estendere i propri contenuti e le proprie capacità espressive oltre il visivo e l’auditivo, ottenendo così due vantaggi, ossia dotare il prodotto di un’identità forte, “a tutto tondo”, e coinvolgere maggiormente il consumatore sia sul piano cognitivo che su quello passionale.
Linguaggi sinestetici
La comunicazione polisensoriale attorno al prodotto può innanzitutto avvalersi di linguaggi di tipo sinestetico. Com’è noto, la sinestesia è una figura retorica basata sulla messa in relazione di due o più sistemi sensoriali (l’espressione “vino vellutato”, ad esempio, assegna una qualità tattile ad un oggetto percepibile invece attraverso il gusto).
Per quanto riguarda l’utilizzo della sinestesia a fini persuasivi, può essere interessante fare riferimento ad alcuni studi a sfondo semiotico, e in particolar modo ad un saggio di G. Ceriani intitolato Dal sincretico al sinestesico: le metafore del sensibile.
L’autrice osserva come al giorno d’oggi il sincretico (N.B. secondo la terminologia semiotica, un testo sincretico è un testo che utilizza più codici espressivi – lo spot pubblicitario, ad esempio, è un tipico caso di testo sincretico in quanto utilizza due codici, visivo e sonoro) si apra sempre più al sinestesico.
Secondo Ceriani, infatti, mediante l’utilizzo di sinestesie, ovvero mediante l’enfatizzazione delle contaminazioni e delle corrispondenze sul piano del sensibile, la pubblicità riesce a creare una relazione più prossima col ricevente e ad attivare il suo consenso, sia abbassando la soglia cognitiva responsabile del giudizio (in semiotica si parla di sanzione) in favore di quella affettiva/sensoriale, sia moltiplicando i percorsi cognitivi, relativi ai sensi chiamati in causa.
In un certo senso, si potrebbe parlare di una pratica al limite del subliminale: “con l’evocazione delle sensazioni si sollecitano direttamente i desideri psico-fisici dell’individuo (la fame, il desiderio di freddo o di caldo, la sete, la voglia di contatti piacevoli ed eventualmente seducenti come quelli attesi, ad esempio, da una stoffa di seta) e si convoca una manipolazione potente ancorché indiretta”.
Stimolazioni sensoriali
Si può anche pensare di puntare a stimolazioni sensoriali più “concrete”, ad esempio con l’immissione di determinati profumi o musiche nel punto vendita.
Gli odori sono dei potenti media grazie alla loro capacità di imprimersi a lungo nella memoria. La loro elaborazione pertiene alla parte emozionale del cervello, ed essi vengono quindi registrati sotto forma di emozioni, strettamente legate alle situazioni in cui sono stati percepiti per la prima volta. Per tale motivo, l’utilizzo degli odori a fini commerciali è un trend che si va sempre più affermando: dagli agenti immobiliari che profumo di caffè, o di torta nel forno, le case da mostrare a dei potenziali acquirenti (perché questi odori attivano emozioni positive, legate a concetti come “infanzia” e “mamma”) ai grandi magazzini che diffondono profumi di campo per indurre il rallentamento dell’andatura dei clienti (che quindi possono dedicare più tempo agli acquisti), si tratta sempre di sfruttamento non ingenuo del potere evocativo degli odori.
Anche la musica è fortemente interrelata alle emozioni e la sua utilità a fini commerciali è ben nota da tempo. Un fenomeno cui si assiste sempre più di frequente è l’utilizzo in pubblicità di canzoni già famose: il passaggio dall’ambito culturale a quello promozionale comporta infatti due notevoli vantaggi, ossia lo “sfruttamento” di emozioni, perlopiù positive, già esistenti (legate alle situazioni in cui la canzone è stata udita precedentemente) e un surplus di popolarità per il prodotto pubblicizzato.
Nel 2010 Ford inizierà a vendere la nota (per noi) auto europea anche negli States.
A supporto, la casa automobilistica ha deciso di usare uno strumento di pre-lancio, fortemente social-media oriented e mirato a generare buzz e "conversazione" nel suo pubblico.
Il programma (Fiesta Movement) ha previsto il recruitment di 100 blogger "influential", scelti tra circa 4,000 che si sono candidati online.
A questi 100 verranno affidate in questi giorni e per 6 mesi le auto, in modo che possano recensirle attraverso un programma di task da compiere e i cui risultati verranno da loro diffusi al proprio seguito (usando anche Flickr, Twitter & co...). Interessante notare che i guidatori verranno sottoposti ad un training per capire come diavolo si guida un'auto Europea...
Partendo dal presupposto che questi 100 blogger non si facciano influenzare dall'azienda, l'operazione ha implicazioni profonde per il modo di fare marketing e business, delegando parte del controllo della comunicazione al pubblico, esponendosi al rischio di commenti negativi da parte dei tester, attivando elementi di imprevedibilità nel processo - che comportano la necessità di reagire in modo flessibile e meno strutturato.
(E sul tema di quanto sia difficile per le aziende destrutturare e flessibilizzare il processo di pianificazione ma sopratutto di decisione e reazione mi sa che presto ci ritorno).
Insomma, come ha detto il responsabile di prodotto, "Ci siamo resi conto che il messaggio è sempre più fuori dalle nostre mani e che ce ne dobbiamo fare una ragione".
Secondo quanto riportato anche da Advertising Age, già in queste fasi iniziali del programma si vedono i primi effetti desiderati - non solo in termini di post da parte dei blogger (al momento relativamente poco interessanti perchè non hanno ancora la macchina) ma in termini di interviste degli happy few da parte di media tradizionali, giornali, TV: i 100 blogger quindi dal bacino di utenza del loro blog riescono a influenzare un pubblico di media più mass, amplificando l'effetto di comunicazione.
Quella dell'attenzione delle case automobilistiche verso i blogger è comunque un tema che si è già innescato, qui da noi c'è sicuramente da citare il (buon) lavoro che sta facendo Fiat...
Come tante altre cose, una stanza d'albergo è un bene esperienziale - cioè sostanzialmente si scopre se è una sola o meno solo quando è troppo tardi.
Con lo scopo di creare buzz ma anche di permettere di sperimentare in qualche modo un prodotto (la stanza, appunto) che normalmente è ben celato agli occhi dei possibili clienti, il Roger Smith Hotel di New York ha pensato bene di fare un accordo con una coppia di visitatori.
Invece di ospitarli in una tranquilla stanza all'ennesimo piano, essi sono stati alloggiati in una stanza a bordo strada, dotata di un'ampia vetrina che permette a chiunque passi di verificare in prima persona come se la passano nella loro permanenza in hotel.
Parallelamente, invece di pagare il conto, la fortunata coppia viene ospitata a gratis per 5 giorni, con l'unico obbligo di tenere le tende aperte (ebbene sì, la loro privacy non è stata totalmente sacrificata sull'altare del marketing) dalle quattro e mezza alle sette e mezza del pomeriggio.
A Chicago (lo sa bene chi guardava E.R.) fa un freddo porco.
Ha quindi molto senso l'iniziativa di comunicazione non tradizionale di Kraft per la sua zuppa pronta "Stove Top Quick Cups".
L'azienda ha deciso di utilizzare una cinquantina di pensiline del bus come punto di contatto (poster) col pubblico; in 10 di queste ha installato un sistema di riscaldamento (una follia dal punto di vista dell'efficienza energetica, btw) ed è poi passata a distribuire campioni *caldi* del prodotto agli infreddoliti utenti dei mezzi (vedi alla voce tryvertising).
Kraft non è nuova a esperimenti in campo comunicazionale - si veda il caso della pubblicità odorosa di cui abbiamo parlato in passato.
Nemmeno le pensiline sono un luogo nuovo per la comunicazione alternativa - si veda lo sfortunato caso delle pensiline al profumo di biscotto.
Nel primo film mai proiettato in pubblico, il 28 dicembre 1895, i fratelli Lumiere mostrarono l’uscita degli operai dalle officine di loro proprietà e c’è perciò chi, un po’ maliziosamente, sostiene che il product placement sia nato con il cinema. La Coca-Cola compare già in un western del 1926, mentre due più recenti pietre miliari sono ET, grazie al quale le caramelle Reese’s Pieces sembrano avere aumentato le vendite del 60% nel giro di poche settimane, e Cast Away, nel quale i marchi FedEx e Wilson sono posti al centro della narrazione.
Dal 2004 il product placement cinematografico (ma non quello televisivo) è legale e regolato anche in Italia, che è subito diventata il terzo mercato mondiale dopo Stati Uniti e Francia per un valore che, nel 2005, era pari a 36 milioni di dollari. Poco rispetto agli Usa dove, nel 2007, il product placement è stato valutato 3,79 miliardi di dollari, ma abbastanza per attirare l’attenzione degli investitori pubblicitari, in un mercato sovraffollato di messaggi soprattutto televisivi e per dare un contributo alle spese di produzione dei film che, in alcuni casi, può anche arrivare al 15-20%, ma che di solito si attesta sotto il 10%. Una boccata di ossigeno, dunque, ma non il toccasana che si ipotizzava solo qualche anno fa.
Dopo alcuni anni di sperimentazione, anche il mercato italiano si sta strutturando ed è perciò puntuale il libro di Daniele Dalli, Giacomo Gistri e Dino Borello (Marche alla ribalta. Il product placement cinematografico in Italia e la sua gestione manageriale, Egea, 2008, 258 pagine + Dvd, 33 euro), che spiega il fenomeno anche attraverso numerose interviste ad agenzie specializzate, produttori cinematografici, distributori e aziende investitrici. Senza nascondere gli eccessi in cui talvolta si è caduti, né le opacità che hanno rischiato di screditare una pratica che, se ben realizzata, può rivelarsi innovativa ed efficace.
I numeri della cinematografia italiana fanno del product placement uno strumento di qualità, anziché di quantità, utilizzabile anche con investimenti limitati. Proprio per questo è davvero importante che l’inserimento dei prodotti in un film non risulti disturbante e si integri, anzi, nella narrazione. Si sono così sviluppate nuove professionalità che mediano tra il mondo cinematografico e quello aziendale e le agenzie più importanti impiegano persino sceneggiatori specializzati. Le campagne più efficaci non si risolvono, inoltre, nel semplice placement ma sono corredate da una serie di iniziative “ex-program” che lo rafforzano e valorizzano: concorsi legati al prodotto e al film, possibilità di interazione tra cliente e impresa via internet e così via.
Tra le aree critiche del product placement, che il libro illustra con casi aziendali concreti, c’è sempre il rapporto con sceneggiatori, registi e attori, non sempre ben disposti nei riguardi dello strumento. Così un’azienda investitrice, Cameo, racconta del placement estremamente positivo delle torte Versa e Inforna in Ho voglia di te, in cui i dolci assumono un significato simbolico perfettamente integrato nella narrazione, che ha reso possibili numerose azioni di supporto mentre il film era nelle sale e in occasione del lancio del Dvd; un placement ben fatto del lievito Pane degli angeli in Una moglie bellissima, ma senza il supporto delle operazioni di rinforzo per l’indisponibilità del regista-attore Leonardo Pieraccioni; e il fallimento delle trattative per l’inserimento di Ciobar in Caos calmo per il rifiuto di Nanni Moretti, nell’occasione solo attore del film.
Il libro, infine, presenta un modello interessante e praticabile di valutazione economica delle operazioni di product placement.
I widget sono piccole applicazioni, fatte con diverse tecnologie, che si possono installare su siti, blog, social network e anche sul proprio desktop. Per quanto ancora poco noti alle aziende sono in realtà un ottimo strumento di comunicazione a poco prezzo e, se ben fatti, molto efficaci.
Negli USA sono sempre più diffusi, e si prevede, entro il 2008, una spesa di 40 milioni per creare, promuovere e distribuire i widget delle aziende (Stime di eMarketer, fonte IAB Blog).
Perché conviene comunicare con un widget?
Prima di tutto un widget è uno strumento simpatico, alternativo al sito istituzionale, meno formale e più originale.
Inoltre il widget si può installare su spazi dove l'azienda normalmente non riesce ad avere una forte comunicazione: i siti personali, i blog, i social network o anche i desktop dei pc.
Infine un widget piacevole esteticamente e funzionalmente ha ottime possibiltà di essere diffuso in modo virale dagli utenti che lo segnalano ai propri amici.
Telefoni cellulari che conquistano primi piani durante le scene madri degli sceneggiati. Scatole di cereali in bella vista che troneggiano fra le mani dei protagonisti durante i dialoghi più importanti. Modelli di automobili che affollano le strade precorse dai personaggi. E' il cosiddetto 'product placement', ovvero quella forma di comunicazione commerciale che prevede l'inserimento o il rifermento di un prodotto in film e programmi, che diventerà parte integrante del mercato pubblicitario televisivo italiano, a seguito di una decisione del Governo.
L'iniziativa darà di certo una mano alle Tv commerciali (a partire da Mediaset e Sky) in un momento in cui gli investimenti pubblicitari languono.
Per aprire il mercato italiano degli spot al product placement, si legge sul quotidiano MF, il governo utilizzerà lo strumento della legge Comunitaria, che sarà approvata oggi dal consiglio dei ministri. L'articolo 17 della bozza prevede il recepimento della nuova direttiva europea sulle Tv senza frontiere, anche se Bruxelles nella sua direttiva vieta il product placement, salvo dare facoltà agli Stati membri di derogare a questo divieto.
A 'dare i numeri' di questo particolare metodo di sponsorizzazione in versione stelle e strisce è stata una ricerca di Nielsen Company, che ha rilevato una crescita del 13% durante il 2007 del numero di investimenti di questo tipo nei palinsesti Usa in prima serata, per un totale di 25.950 apparizioni nella top ten dei programmi che offrono la possibilità di fare product placement.
E' quello che ha cercato di fare, anche solo per un numero, la nota rivista americana This Old House Magazine, del gruppo Time Inc. dedicata ai progetti di ristrutturazione, bricolage etc.
Il numero di Giugno è stato infatto realizzato usando esclusivamente materiale fornito dai lettori.
Il problema di essere "relevant" per il proprio mercato e la tendenza (la moda?) di pensare user-generated hanno portato la rivista a fare questo esperimento, non privo di rischi.
Perchè infatti, spendere dei soldi per leggere sulla carta cose che in fondo posso allora leggere gratis in rete? La rivista è solo un aggregatore di contenuti prodotti dalla gente? O il suo ruolo è quello di portarmi dei contributi professionali che in rete non posso trovare?
Bel casino...
Sicuramente ( e con Fiat 500 lo abbiamo visto chiarissimamente) lasciare che le persone parlino con noi, del nostro prodotto, ci permette un insight nelle loro vite, nei loro desideri, nella loro relazione con il nostro prodotto che sarebbe difficilissimo ottenere in altri modi...
In Inghilterra una società chiamata Bluepod Media ha contrattato con la lega calcistica britannica i diritti per l'uso del Bluetooth come strumento di mobile marketing geolocalizzato (per un certo numero di club )...
Ovvero, per essere chiari (e poi guardate anche il prossimo post, a proposito di buzzwords), , durante le partite delle squadre che fanno parte dell'accordo, nello stadio saranno diffusi via BT contenuti mobili attinenti al team (immagino loghi e suonerie?)
Il download sarà gratuito, il costo sarà coperto dalle aziende che sponsorizzeranno il servizio (pagando all'organizzatore del servizio un tot per ogni download) per poter comunicare in modo innovativo con il target calcistico.