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Di Max Da Via' (del 18/06/2021 @ 07:11:24, in Marketing, linkato 1537 volte)
  • L’86% degli utenti Internet gioca su qualsiasi tipo di dispositivo e questa cifra non è cambiata quasi mai dal 2015;
  • il gaming online è ora il mezzo dominante, con il 22% dei giocatori che ha acquistato un gioco tramite servizio digitale nell’ultimo mese;
  • il 35% dei followers degli eSport segue un giocatore specifico o una squadra di eSport sui Social Media.

L’industria del gaming online si è consolidata nell’ultimo anno e mezzo, principalmente come conseguenza della pandemia di Covid-19, e secondo le previsioni di mercato dovrebbe superare i 200 miliardi di dollari di entrate nel 2023.

In generale si analizza il gaming online dal punto di vista del mercato, dei Brand e dei giochi disponibili, ma si rivolge poca attenzione ai profili dei singoli giocatori. 

Per riuscire ad intercettare questo target sui Social Media è necessaria una visione a 360 gradi della vita dei giocatori sia online che offline, per capire in profondità cosa caratterizza il giocatore moderno.

Prima di tutto, bisogna sapere che il target “gamers” comprende un ecosistema di diversi sottogruppi e identità. Ci sono persone che giocano per motivi differenti e su dispositivi diversi, oppure che consumano contenuti di gioco – per esempio guardando le dirette su Twitch. Infine ci sono gli eSport, che appartengono a un mondo differente.

LEGGI ANCHE: eSport Marketing: 5 cose da sapere prima di iniziare

Cerchiamo quindi di capire chi sono e cosa cercano i gamers in questo articolo basato sul report “The Gaming Playbook” pubblicato da Global Web Index, che raccoglie i dati tratti dalla ricerca effettuata su 19.488 giocatori di età compresa tra 16 e 64 anni, condotta in 15 mercati (Australia, Brasile, Canada, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Filippine, Spagna, Tailandia, Regno Unito e Stati Uniti).

Da questa ricerca possiamo estrarre 5 insight principali che aiutano a sviluppare una strategia Social efficace per raggiungere i gamers online.

#1 Il target gamers è più vasto di quello che si possa immaginare

Anche se può sembrare che la pandemia di Covid-19 abbia creato una legione di nuovi giocatori, il mondo dei gamers è sempre stato più grande di quello che i Brand si immaginavano.

Il pubblico dei videogiochi infatti è sempre stato consistente – anche se è rimasto sommerso per anni. I dati mostrano che l’86% degli utenti Internet gioca su qualsiasi tipo di dispositivo e questa cifra non è cambiata quasi mai dal 2015. 

Quello che è successo realmente è che il lockdown e la mancanza di altri modi di passare il tempo hanno evidenziato quante sono effettivamente le persone che giocano online.

In particolare, è interessante vedere quanto sia centrale l’aspetto sociale per i giocatori nel 2021 – dato il distanziamento forzato nella vita reale. La maggior parte dei gamers tra i 16 e i 24 anni gioca per socializzare con gli amici (35%) al contrario della fascia 25-34 anni che gioca per il gusto della sfida (30%).

Un dato collegato è anche quello relativo ai tipi di giochi preferiti dagli utenti. Risulta infatti che dal 2018 quelli di simulazione (+24%) abbiano registrato la crescita maggiore, seguiti da rompicapo e strategia (+15%).

Questi tre tipi di giochi diversi hanno alcune caratteristiche in comune, che possiamo identificare con i termini immersione, competizione e cognizione.

Quando parliamo di immersione ci riferiamo modalità di gioco dove i partecipanti simulano la vita in un mondo virtuale persistente, come se fosse un luogo realmente abitato – due tra gli esempi più famosi sono Fortnite e Animal Crossing.

La competizione si riferisce ovviamente a generi basati sul multiplayer competitivo, in particolare il battle royale. Risulta infatti molto difficile ignorare l’impatto che ha avuto – per esempio – Fortnite, che ha permesso a centinaia, se non migliaia di persone, di giocare insieme contemporaneamente.

Per ultimo parliamo di cognizione, un termine che si collega maggiormente ai giochi caratterizzati da meccanismi di risoluzione dei problemi e di ricompense, che offrono un’esperienza completa e complessa che va più in là di una semplice giocata occasionale.

Ovviamente ci sono ancora molti giocatori occasionali, ma possiamo vedere come i giocatori stiano cercando esperienze più stimolanti mentalmente, probabilmente causate dalla necessità di riempire il tempo libero durante il lockdown dovuto alla pandemia.

#2 I gamers possiedono in media due o più console diverse

Se in passato era probabile che un gamer avesse solo una console – per esempio la PlayStation o l’Xbox – negli ultimi anni l’adozione di più console da parte di un singolo giocatore sta diventando sempre più comune, in quanto i consumatori non vogliono essere limitati nei confronti dell’offerta. 

Inoltre, è interessante osservare come i gamers con figli hanno il 24% di probabilità in più di possedere 2 o più console, dimostrando come diversi marchi hanno potere di acquisto su differenti target nella stessa famiglia. 

Per esempio, nonostante Playstation sia il leader in questo segmento, vediamo come il dispositivo Nintendo Switch si è impadronito dello slot della “seconda console” in un anno da record.

Ma anche se le vendite di videogiochi fisici giocano ancora un ruolo importante, c’è stato un calo del 13% tra i giocatori di console tra il primo e il quarto trimestre del 2020 – il che significa che il gaming online è ora il mezzo dominante, con il 22% dei giocatori che ha acquistato un gioco tramite servizio digitale nell’ultimo mese.

Quindi è importante menzionare i servizi di abbonamento che permettono il multiplayer online e offrono ai giocatori news, giochi gratuiti o sconti esclusivi, che attraggono principalmente giocatori frequenti con maggiore capacità di spesa.

Infine, esistono anche servizi di cloud gaming – come ad esempio Xbox Game Pass o PSNow – che forniscono accesso a librerie di giochi meno recenti e aggiornate.

#3 Il videogioco è solo la punta dell’iceberg: quello che conta sono gli acquisti in-app e i componenti aggiuntivi

Le microtransazioni, i DLC (DownLoadable Content) e i componenti aggiuntivi sono diventati importanti fonti di guadagno negli ultimi anni, fino a superare il videogioco stesso.

Molti giochi free-to-play infatti – come Fortnite e League of Legends – hanno guadagnato soldi a palate con gli acquisti in-app di nuovi costumi per i personaggi o upgrade di livello. Activision-Blizzard ha guadagnato $1,2 miliardi di entrate tra luglio e settembre 2020 provenienti esclusivamente da microtransazioni in-game.

La maggior parte dei giocatori nei mercati analizzati afferma di spendere una media di $10 al mese in acquisti in-game. Coloro che spendono di più (arrivando a spendere anche $50 al mese) risultano essere millennial uomini con un reddito alto.

Dall’altro lato le giocatrici donna acquistano più micro-transazioni rispetto ad altri componenti aggiuntivi, probabilmente a causa del loro interesse per i marchi che offrono prodotti personalizzati. 

Se guardiamo invece all’età dei gamers, vediamo come le generazioni più giovani (GenZ) siano molto più propense ad acquistare DLC e abbonamenti stagionali rispetto ai Millennials.

Parlando di console, i giocatori di Xbox e Nintendo Switch hanno maggiori probabilità di acquistare componenti aggiuntivi rispetto ai giocatori di PlayStation. 

Possiamo quindi dedurre che capire chi acquista cosa e perché è fondamentale per riuscire a raggiungere il target corretto in modo diretto.

#4 I Social Media sono la fonte di informazione principale dei gamers

Come succede per qualsiasi altro consumatore, anche ai gamers piace condividere e discutere delle loro esperienze tra loro, soprattutto attraverso i propri canali social. 

Ed è per questo che i giocatori con una presenza attiva sui Social Media possono rivelarsi importanti leve di comunicazione per un Brand. Esiste infatti un vasto ecosistema di comunità online di gamers occasionali o professionali che scambiano pareri e recensioni sui social, ed è fondamentale riuscire ad intercettarli.

In queste comunità si osservano principalmente tre tipi di gamers:

  • Passivi: giocatori le cui opinioni sono ricavate da esperienze di conoscenti stretti o create a partire da contenuti condivisi dai Brand, oppure dalle recensioni degli Streamers online, ma che raramente vengono condivise online con altri utenti;
  • Critici: giocatori che hanno blog tematici, scrivono recensioni online, partecipano alle comunità online o pubblicano spesso sui Social Media. Un pubblico che può risultare influente per plasmare le opinioni degli altri consumatori;
  • Streamer: giocatori che trasmettono in streaming le loro giocate o caricando video su piattaforme di condivisione video; sono paragonabili ai critici, ma in genere più informati ed esperti sul tema.

Vale la pena notare come gli amici – online o offline – rimangono fortemente influenti sulle decisioni e il comportamento dei gamers. Sapere che qualcosa viene consigliato da un amico, che probabilmente ha gli stessi interessi e gusti in tema di videogiochi – sarà sempre importante. 

Inoltre, se da un lato i siti di intrattenimento e le riviste di giochi non vengano particolarmente consultati dal pubblico passivo, vediamo come influiscano notevolmente sugli streamer, plasmando le loro opinioni e di conseguenza i contenuti che probabilmente arriveranno indirettamente al pubblico passivo tramite i Social Media.

#5 Gli eSport catalizzano gli investimenti pubblicitari dei grandi Brand

Nel corso degli anni, gli eSport – ovvero i giochi competitivi professionali – hanno seguito una evoluzione a sé stante, fino a consolidarsi come una delle forme di gaming più famose, ma soprattutto redditizie per i Brand. 

Si prevede infatti che i ricavi pubblicitari provenienti solo dagli eSport sfioreranno i $1,8 miliardi entro il 2023 e gli spettatori totali raggiungeranno i 646 milioni entro lo stesso anno. Inoltre, visto che la pandemia ha ridotto gli eventi sportivi dal vivo, anche gli eSport hanno contribuito a colmare il vuoto sociale e di intrattenimento lasciato alle spalle.

Con rispetto al pubblico generale dei gamers, i giocatori di eSport si differenziano sotto diversi aspetti, in particolare per quanto riguarda il loro atteggiamento nei confronti delle sponsorizzazioni.

In generale, possiamo vedere come Generazione Z e Millennials siano le fasce di età maggiormente interessate agli eSport. Ma anche tra i giocatori più anziani della Generazione X troviamo un 38% di seguaci degli eSport.

Per quanto riguarda il sesso, anche se per anni gli eSport sono stati percepiti come uno spazio dominato dagli uomini, osserviamo un 42% di donne giocatrici rispetto alla controparte maschile maschili al 58%.

Emerge inoltre che oltre la metà dei gamers amano i giochi con forti personaggi femminili e il 35% segue un giocatore specifico o una squadra di eSport sui Social Media. Questo dato suggerisce che una strategia efficace per i Brand potrebbe essere quella di utilizzare squadre e giocatori di eSport come Influencer nelle loro campagne. 

Infine, questo gruppo di giocatori è fortemente concentrato sulla comunità ed è disposto a spendere in prodotti premium, mostrando una maggiore ricettività nei confronti degli annunci.

La ricerca mostra come i follower degli eSport apprezzano molto lo status sociale, il coinvolgimento e l’esclusività, infatti hanno il 33% di probabilità in più rispetto al giocatore medio di volere che i brand gestiscano community e forum tematici.

Sono anche molto più propensi a promuovere il loro Brand preferito quando migliora il loro stato online oppure se hanno accesso a contenuti o servizi esclusivi grazie ad esso.

Per concludere, parafrasando le parole di Nina Mackie – Direttore Global Agency Partnerships di Admix – possiamo affermare che oggigiorno il targeting dei gamers è cruciale per gli inserzionisti.

Il settore del gaming online pesa per 2,5 miliardi dollari dei 2,7 miliardi del mercato globale dei videogiochi e incorpora quasi tutti i dati demografici immaginabili. Per i Brand che cercano di incorporare la pubblicità in-play nei loro piani di marketing, è indispensabile una strategia basata sugli insight per raggiungere il pubblico obiettivo.

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Di Max Da Via' (del 08/06/2021 @ 07:34:28, in Marketing, linkato 1379 volte)

La strada del marketing come pratica aziendale  nasce probabilmente con l’esigenza del produttore e del commerciante di vendere i proprio prodotti, in presenza di una qualche forma di concorrenza. La teoria del marketing, come sistematizzazione di pensieri e pratiche degli uomini di marketing, vede la luce più tardi grazie anche ad ottimi divulgatori come Philip Kotler.
Si possono distinguere diversi approcci al marketing che si sono susseguiti negli anni:

  • Orientamento alla produzione: all’inizio del 900 la domanda è enormemente superiore all’offerta di prodotti e, dunque, l’imprenditore si concentra solo sulla riduzione dei costi di produzione;
  • Orientamento al prodotto: in questa fase l’attenzione dell’azienda è rivolta esclusivamente a migliorare il prodotto, nella convinzione che il consumatore non stia aspettando altro (problema battezzato “marketing myopia” da Theodore Levitt);
  • Orientamento alle vendite: negli anni 50/60 l’offerta inizia a superare la domanda e il problema diventa come piazzare tutti i prodotti disponibili. L’imprenditore punta su tecniche commerciali aggressive, incremento della forza vendita e campagne pubblicitarie a tappeto;
  • Orientamento al marketing: solo negli anni 90 le imprese iniziano a capire l’importanza di sviluppare strategie di business, partendo dalla comprensione dei  bisogni dei clienti. Inizia l’era del marketing.
gli orientamenti al marketing

Con la diffusione di internet si è iniziato a parlare di digital marketing, una definizione che non mi ha mai convinto perché ha spostato pericolosamente l’attenzione solo sulla parte più nuova della pratica di marketing e in particolare sugli strumenti e le tecniche.

Purtroppo l’enfasi sugli strumenti generata dall’hype attorno al digital marketing ha portato un’intera generazione di professionisti a saltare a pie’ pari lo studio dei fondamenti del marketing per buttarsi a capofitto nell’utilizzo dei “tool”. Così facendo molti hanno imparato a usare perfettamente gli strumenti disponibili, ma aderendo inconsapevolmente alla loro logica di progettazione e perdendo di vista gli obiettivi aziendali.

Una nuova classificazione del marketing moderno

Nel mio libro “Marketing Aumentato” propongo una classificazione del marketing in funzione di due variabili: la dinamicità del mercato e la propensione tecnologica dell’azienda.

tipologie di marketing moderno

Se l’azienda si trova ad operare in mercati statici e prevedibili può benissimo far ricorso ad un marketing tradizionale, senza alcun tipo di automazione. Certo, il ricorso ad un set basilare di strumenti digitali usati con un approccio tattico è utile anche in questo caso. Se i concorrenti sono talmente anchilosati da non usarli, anche un utilizzo minimo può diventare un vantaggio competitivo. Si pensi, ad esempio, alla presenza sui social media e all’investimento in social advertising per promuovere alcune specifiche iniziative commerciali. Alcune analisi possono essere svolte saltuariamente su dati strutturati e attraverso fogli di calcolo o utilizzando strumenti analitici nativi (es. Google Analytics per monitorare il traffico).

Quando invece il mercato è meno turbolento e le risorse a disposizione sono inferiori si può anche scegliere un tipo di marketing automatizzato, in cui il team di marketing fa uso di software di marketing automation per svolgere i compiti più standardizzati e ricorrenti (qui la mappa dei software martech italiani). L’obiettivo qui non è ottenere un vantaggio competitivo, ma rendere più efficaci ed efficienti i processi di lavoro, liberando del tempo per attività a maggior valore aggiunto.  

Infine quando il mercato dell’azienda è molto dinamico, con una competizione agguerrita e una domanda mutevole, è necessario passare al marketing aumentato. In questi casi, i manager dovranno dotarsi dei talenti giusti e delle tecnologie più avanzate per sviluppare un moderno approccio al mercato. Qui la tecnologia viene utilizzata in maniera strategica per ottenere un vantaggio competitivo e, magari, ripensare il proprio modello di business.

Qualunque sia lo stadio dal quale si parte, è tempo di ripensare il marketing, partendo dalle basi, ma indossando degli occhiali nuovi, in grado di aumentare la nostra percezione delle possibilità e le nostre capacità di azione

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