Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia secondo i dati Nielsen chiude il mese di novembre in crescita del +2,5%(+1,2% senza search e social), portando la crescita nel periodo cumulato gennaio - novembre a +2,1% rispetto allo stesso intervallo 2017. Stabile, invece, l’andamento nei primi 11 mesi dell’anno se si escludono dal conteggio le stime relative a search e social.
“Alla luce dell’andamento del mercato, il mese di novembre ci ha portato notizie buone e in parte inaspettate”, spiega Alberto Dal Sasso, Ais managing director di Nielsen: “Nonostante la fine annunciata del quantitative easing, il braccio di ferro del Governo con l’Ue e i segnali di minore crescita del Pil a cui assistevamo due mesi fa, il mercato pubblicitario ha messo comunque a segno una buona crescita”.
Relativamente ai singoli mezzi, la tv a novembre cresce del +1,9%, portando al +1% la variazione per il periodo cumulato. Sempre in negativo i quotidiani, che nel singolo mese perdono l’11,4% e consolidano il periodo gennaio-novembre in calo del -6,2%. Stesso andamento per i periodici, sia a novembre che nel periodo cumulato, con cali rispettivamente del -3,4% e del -8,1%. Consolida l’andamento positivo la radio, grazie a una crescita del +7,2% a novembre e del +5,3% negli undici mesi.
Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo delweb advertisingchiude il periodo cumulato gennaio – novembre in positivo a +8,1% (+5% se si escludono il search e il social). In crescita il cinema (+13,3), il transit (+12,7%) e la Go TV (+13%). Rimane in calo l’outdoor (-9,7%).
Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 13 in crescita, con un apporto di circa 171 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti nel periodo gennaio – novembre. Alla buona performance di bevande e alcoolici (+11,8%), distribuzione (+3,1%) e media e editoria (+8,9%), si contrappongono i cali di alimentari (-1,9%), abbigliamento (-6,3%) e telecomunicazioni (-5,3%).
Tra gli altri settori che contribuiscono alla crescitacontinua l’andamento positivo del tempo libero (+31,6%), elettrodomestici (+24%) e servizi professionali (+21,2%). Relativamente all’andamento nel singolo mese di novembre, buone performance per farmaceutici (+10,8%), finanza/assicurazioni (+14,1%) e moto/veicoli (+24,9%).
“Il mercato a dicembre negli ultimi tre anni è sempre cresciuto”, preannuncia Dal Sasso: “Se si dovesse confermare anche per il 2018,l’anno, come previsto, si chiuderà vicino al 2%. Questo risultato sarebbe di buon auspicio per un 2019 privo di eventi sportivi mediaticamente rilevanti ma contraddistinto dallo spartiacque delle elezioni europee: un appuntamento che potrebbe attenuare quel clima di incertezza che ci accompagnerà fino a primavera”.
Le Instagram Stories sono ormai entrate a far parte della quotidianità di tutti noi: circa400 milioni di utenticondividono le proprie Storie ogni giorno, chi per comunicare delle informazioni, chi per mostrare quegli attimi di vita strategici che servono a consacrare un determinato stile di vita e chi per mettere in pratica le proprie velleità creative.
Per i brand non è semplice emergere e farsi ascoltare in una realtà così caotica, in cuiil tool di content creation- le Stories appunto - appiattisce ulteriormente la differenza tra creator professionista e amatoriale.
In realtà, da un’analisi sulle performance delle Instagram Stories, effettuata dalle aziendeBuffereDelmondo, risulta che le Stories più semplici ed efficaci, la cui decodifica risulta immediata, riscuotono più successo rispetto a prodotti professionali di una superiore complessità semantica.
Quindi, le parole chiave che determinano l’efficacia di una Instagram Stories sonosemplicitàecreatività.
Ecco, di seguito, qualchetrucco di designper dare alle vostre Instagram Stories una possibilità in più difarsi notare (e ricordare).
Create uno sfondo a colore pieno per far risaltare le call to action
La sequenza di Instagram Stories - che, per tornare allo studio di Buffer e Delmondo, dovrebbe essere composta danon più di sette frame per mantenere alta l’attenzione dei viewers- dovrebbe mantenere sempre una certa coerenza estetica.
Per questo, qualora ci fosse la necessità di “interrompere” il flusso di immagini con una call to action, vi suggeriamo di determinare il colore dominante della palette utilizzata nella sequenza e creare, sulla base di questo, un background a colore pieno su cui scrivere il proprio testo.
Usate la stessa palette delle immagini di sfondo per creare originali background per il testo
Al di là dei27 colori basiciche offre, di default, la palette di Instagram, è possibilecampionare dalla fotografiainserita in Stories attraverso lo strumento contagocce.
In questo modo è possibile creare sfondi per il testo personalizzati e in armonia con l’immagine di background, o anche semplicemente agire sul colore delle lettere.
Date ai vostri testi un effetto tridimensionale
Non esiste una funzione specifica per aggiungere ombre ai testi e renderli, quindi, tridimensionali. Tuttavia, è possibile ottenere questo effetto attraverso qualche semplice passaggio.
La prima cosa da fare è scrivere una determinata parola del colore che vorremmo avesse la sua ombra (es. nero) e poi riscrivere la stessa parola in un colore differente, andando asovrapporla alla precedente, posizionandola leggermente spostata di lato rispetto alla prima. In questo modo, il colore della parola sottostante donerà l’effetto di profondità desiderato.
Sapete che è possibile animare i vostri font? Per farlo è necessario scaricarel’app Hype Type.
Dall’app è possibile fare direttamente le Instagram Stories e poi aggiungere il testo animato.
Nell’applicazione è possibile trovare diversi stili di testo animato tra cui scegliere, perciò, se non avete la possibilità di realizzare delle animazioni ad hoc per i vostri contenuti di brand, Hype Type vi offre un valido aiuto!
Creare l’effetto arcobaleno
Creare le scritte con effetto arcobaleno non richiede il download di nessuna app esterna e, di per sé, è un’operazione molto semplice, tuttavia richiede un po’ di pratica.
Una volta scritta la vostra parola /frase, selezionatela, mantenete un dito sul cursore del testo e, con l’altro dito, posizionatevi dove vedere il pallino di colore viola. A questo punto, dovrebbe essere disponibile l’intera palette colori:muovete simultaneamente le due dita, l’una sulle varie lettere e l’altra attraverso lo spettro colori. Vedrete che le lettere cambieranno man mano colore!
Usate con cura hashtag e localizzazione
Ora che sapete come rendere più belle e distintive le vostre Stories,parliamo anche di come renderle performanti, aumentando la reach attraverso l’uso deglihashtag.
Come saprete, è fondamentale inserirehashtag, tag o locationall’interno delle vostre storie, per renderle visibili anche a chi non fa parte della vostra cerchia di follower.
Tuttavia, non è consigliato inquinare visivamente i propri contenuti con una serie di hashtag: la soluzione èrendere gli hashtag invisibili.
Farlo è davvero molto semplice: basta inserire l’elenco di hashtag all’interno del contenuto sotto forma di testo e colorarlo dello stesso colore di una parte della propria immagine di sfondo, campionandola (es. il cielo).
A questo punto,diminuendo al massimo il corpo del testo e spostando il blocco di hashtag nel punto campionato, noterete che saranno pressoché invisibili.
Nel 2019 le Instagram Stories rimarranno parte essenziale delle vostre strategie di comunicazione su Instagram, pertanto spendete del tempo a pensare a come incrementare la qualità e l’efficacia dei vostri contenuti e, soprattutto, distinguetevi - rimanendo sempreup to datesugli ultimi trend.
Dall’8 gennaio sarà possibiletargettizzare le TV connesse con campagne su YouTube.
Google ha infattiannunciatol’imminente avvio di unanuova categoria di dispositivi sull’API di AdWords: Connected TV, tramite cui sarà possibile effettuare il targeting e generare reportistica sulle campagne pianificate specificamente su questo tipo di schermi, che comprende device comesmart TV, console di gioco e dispositivi esterni connessi alla rete come Chromecast, Roku e AppleTV.
La nuova categoria, che va ad aggiungersi alle già esistenti desktop, tablet e mobile, farà sì cheper tutti gli annunci TrueView e bumper ads di YouTube sarà possibile automaticamente targettizzare gli spazi pubblicitari su connected TV.
Google ha iniziato a rendere disponibile il targeting delle inventory su TV connesse questo autunno, aggiungendo la tipologia di device “TV screens” alle possibilità di profilazione della piattaforma Display & Video 360 (ex DoubleClick Bid Manager) ad ottobre. Adesso, l’arrivo sulla API di AdWords.
Per quanto YouTube oggi sia per lo più utilizzato da mobile, l’accesso alla piattaforma video da televisori connessi è in crescita. Secondo dati interni di YouTube di giugno,ogni giorno l’app viene fruita su questi dispositivi per oltre 180 milioni di ore.
Facebook Watch, la Tv di Zuckerberg che prova a battere YouTube, arriva in Italia e in tutti i paesi del modo, dopo un anno di sperimentazione (visibile da desktop, mobile e Facebook Lite). I dati mostrano che già400 milioni di personevisitano ogni mese la nuova sezione e 75 milioni lo fanno ogni giorno, rimanendo a guardare video per 25 minuti. Il social network ha anche annunciato la disponibilità globale di Ad Break, un formato pubblicitario di inserzioni nei video da 15 secondi, che dovrebbe permettere agli inserzionisti di pianificare i propri spot pubblicitari e ai creator di monetizzare i propri sforzi.
Mentre in UK/US sono già disponibili i primi prodotti professionali chiamati Facebook Watch Originals (Five Points, Huda Boss, Sorry for Your Loss, Sacred Lies, Confetti, Red Table Talk),in Italia accedendo allasezione Watchsi vedrà una semplice lista di video pescati dalle pagine alle quali si è iscritto l’utente e anche da altre secondo un criterio di engagement ottenuto. Facebook sicuramente nel 2019 investirà molto nella creazione di contenuti originali in altri paesi, nell’offerta di opportunità di monetizzazione per i creator (per rubarli alla concorrenza) e di sponsorizzazione per i brand, ma la strada per diventare lo YouTube-Killer è ancora tutta in salita.
Di Max Da Via' (del 11/12/2018 @ 07:10:44, in Mercati, linkato 1183 volte)
Secondo appuntamento con le previsioni di shopping natalizio dopol'analisi Deloitte Xmas Survey 2018 concentrata sull'Italia. Stavolta la prospettiva è europea conThe Global Consumer 2019, la nuova ricerca Dwf.
Secondo l'indagineil Natale 2018 dell'Europa sarà all'insegna del low-cost, con il 70% dei consumatori che darà priorità nella scelta d'acquisto ai prezzi bassi. Segue un 64% che darà precedenza alla qualità, mentre il 51% selezionerà i propri regali solo in negozi discount.
Per gli acquisti non food, in particolare,il 64% terrà gli occhi aperti sulle promozioni, il 27% darà la precedenza a servizi e promozioni legate alla fidelizzazione offerti in store e il 26% continuerà a prediligere la sicurezza offerta da prodotti di marca (26%).
In continuità con gli ultimi anni si prevede poi unaforte crescita degli acquisti online, con un aumento del 34%(incremento confermato anche dalla ricerca Deloitte).
Rispetto alla media europea, il consumatore italiano si discosta di poco, risultando influenzato negativamente dalle attuali prospettive economiche e politiche generali e, in particolare, sulle prospettive europee dopo la Brexit. Seppur in percentuale superiore rispetto ad altri paesi,meno del 20% dei consumatori italiani ormai pensa di usare il contante per i propri acquisti, che sono guidati dagli sconti (per il 67%), dalla qualità del prodotto (per il 65%) e da offerte low cost (per il 64%). In forte aumento, la fiducia verso gli acquisti online, destinati a registrare una forte crescita, in particolare se confrontati con gli acquisti effettuati in negozio, già trainati dal successo del Black Friday.
I principali obiettivi che guidano l’articolazione di una strategia diomnichannel customer experience per le aziende italianesono ad oggi ancora principalmente di breve periodo e legati al miglioramento della customer acquisition e/o all’incremento delle vendite, entrambi segnalati dal 33% delle aziende analizzate, oltre che il miglioramento dell’engagement (per il 27% del campione).
Sono solo un terzo quelle che oggi personalizzano i contenuti in funzione dello specifico individuo, mentre circa il 44% dichiara di non farlo e il restante 23% del campione sta attualmente lavorando per favorire queste logiche di personalizzazione.
Le strategie di omnicanalità richiedono il coinvolgimento di più funzioni aziendali, ma solo inuna realtà su cinque vi è un elevato grado di commitment e sintonia tra tutte.
Queste sono solo alcune delle evidenze emerse dalla seconda edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience,promosso dalla School of Management delPolitecnico di Milano.
La ricerca si è basata su oltre 100 interviste lato domanda e offerta, una survey condotta su un campione di grandi e medio-grandi aziende italiane appartenenti ai principali settori e tre momenti plenari di confronto e discussione che hanno coinvolto complessivamente oltre 150 aziende della domanda.
Consumatori: cambiamenti in atto
A spingere le aziende verso l’adozione distrategie di omnichannel customer experiencesono icambiamenti in atto nei comportamenti dei consumatori nel processo d’acquisto.
Nel 2018, gli individui che più marcatamente hanno messo in atto tali trasformazioni hanno raggiunto quota 35,5 milioni – in forte aumento (+3,8 milioni vs. 2017) per la prima volta dal 2012 – a dimostrazione del fatto che l’utilizzo di più punti di contatto digitali nel processo di relazione con l’azienda è in continua crescita.
Inoltre, è in corso unaprogressiva convergenza del ruolo degli spazi di comunicazione e di vendita: si riduce sempre più il gap tra il fenomeno dello showrooming (ricerca di informazioni in punto vendita e acquisto online) e dell’infocommerce (ricerca di informazioni online e acquisto in punto vendita), e tra gli eShopper si diffondono percorsi di acquisto che vedono un impiego sinergico, integrato e ibrido di touchpoint online e offline, utilizzati nella ricerca di informazioni e nel momento dell’acquisto.
«Alla luce di tali evoluzioni nei comportamenti dei consumatori, risulta necessario per le imprese saper progettare e veicolare le proprie strategie di relazione, cogliendo non solo la parte razionale, ma anche quella istintiva ed emotiva dei propri clienti», affermaGiuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. «Questo si traduce nella capacità di saper disegnare journey sempre più personalizzati e progettare experience di marca che siano integrate sui diversi touchpoint, sia fisici sia digitali. Purtroppo i dati dimostrano comele realtà aziendali che hanno dedicato un significativoeffortsia allo sviluppo della dimensione strategico-organizzativa, sia di quella legata a dati e tecnologie rappresentino solo il 5% del totale».
Strategia e organizzazione aziendale in ottica omnichannel
L’organizzazione aziendale rimane un grosso freno al pieno sviluppo di strategie omnicanale.Solo nel 20% delle realtà considerate tutte le business unit interessate hanno un elevato grado di commitment.
Nella maggior parte dei casi,le aziende dichiarano un disallineamento nel commitment delle diverse funzioni coinvolte(77%), dovuto a due ragioni differenti: per il 56% sussiste una diversa percezione dei benefici e per il 21% dei casi un disallineamento negli obiettivi specifici di ciascuna funzione.
«Il raggiungimento di un’integrazione sinergica dei diversi punti di contatto attivati dipende strettamente dalla struttura organizzativa dell’azienda. Inoltre, più l’organizzazione è priva di silos organizzativi e profondamente integrata, più l’impresa sarà in grado di cogliere in modo tempestivo le esigenze del cliente, condividere tali informazioni internamente e introdurre le opportune azioni di risposta in tempo reale», dichiaraNicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience.
«Analizzando la situazione italiana emerge che solo per l’8% delle aziende tutte le figure dell’organizzazione partecipano alla gestione dell’omnichannel customer experience, che è nativa e pervasiva all’interno dell’azienda. Nella maggior parte dei casi (44%) esistono figure coinvolte occasionalmente o al bisogno nella gestione dell’omnichannel customer experience, senza una formalizzazione del loro specifico ruolo e per il 41% sono presenti figure coinvolte in modo continuativo e con ruoli dedicati», ha continuato il Direttore.
Dati e Tecnologia
Va inoltre evidenziato che, secondo la ricerca,la quasi totalità delle aziende raccoglie e immagazzina i dati di anagrafica cliente (95% dei casi analizzati)e le informazioni di contatto del cliente (95%).
«Il 90% delle imprese analizzate dichiara di utilizzare alcuni dei dati raccolti per costruire i segmenti funzionali alla progettazione ed erogazione di iniziative di marketing e comunicazione ai già clienti», dichiaraMarta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience. «Eppure i dati utilizzati sono ancora soprattutto quelli più basici e tradizionalmente raccolti(come anagrafica cliente e storico dei prodotti acquistati). Inoltresolo poco più di un terzo degli intervistati personalizza i contenuti delle attività di marketing e comunicazione in funzione dello specifico individuo, mentre circa il 44% dichiara di non farlo e il restante 23% sta attualmente lavorando per favorire queste logiche di personalizzazione».
E ancora meno utilizzano tecnologie adeguate per utilizzare i dati per interagire con nuovi utenti: solo il 28% ha una DMP di riferimento (il 9% delle aziende intervistate si è dotato di una DMP proprietaria; il 19% si affida invece alla DMP di terzi) e solo il 25% usa strumenti di Analytics evoluti (leggi di più su Programmatic Italia).
Le startup impegnate nell’omnichannel customer experience
Nel corso della ricerca sono state analizzate anchele principali startup italiane ed estere operanti in ambito omnichannel customer experience– 530 realtà operanti in tutte le fasi del processo – finanziate da investitori, formali e informali, negli ultimi due anni.
Tra queste giovani realtà,quelle che si occupano di analisi e gestione integrata sui diversi touchpoint del contenuto (26%) o di collezione e integrazione dati (20%) rappresentano numericamente quasi la metà dell’ecosistema di settore.
Il 19% gestisce trasversalmente l’intero processo di omnichannel customer experience management, supportando l’azienda sia nelle fasi di collezione e integrazione dei dati e di generazione degli insight, sia nella comunicazione integrata sui diversi touchpoint.
Sempre con il 19% di diffusione figurano le startup incentrate sulla gestione di un unico touchpoint, ossia quelle realtà che supportano l’azienda nell’automazione e nella personalizzazione dei messaggi su uno specifico canale.
Segue la categoria delle startup focalizzate sulla fase di data activation e, in particolare, sulla Marketing Automation (11%). Si tratta di soluzioni che ricevono in input i dati integrati sul consumatore e li utilizzano per rendere più rilevanti ed efficaci le azioni verso i clienti.
Infine, è stata identificata una categoria residuale (5%) in cui sono state raccolte tutte le startup che non rientrano nei cluster precedenti, come quelle di Salesforce Management o quelle relative survey di feedback, quiz o sondaggi da veicolare ai consumatori.
Il clima che si respira attorno alla blockchain «è simile a quello che toccò al Tcp-Ip, il protocollo alla base di internet, nato nell’82. In pochi all’epoca furono in grado di prevedere la rivoluzione che questa tecnologia avrebbe generato: il Web come lo conosciamo oggi». Non usa mezzi toni Davide Casaleggio se deve giudicare le potenzialità della “catena dei blocchi”: una tecnologia che «non è “definitiva” e sta subendo una forte evoluzione», ma non c’è dubbio che «il vento sta cambiando», afferma nell’introduzione al rapporto “Blockchain for business” messo a punto da Casaleggio Associati.
Il primo rapporto della società di consulenza per imprese dedicata alla tecnologia che è alla base del bitcoin ne sottolinea il valore già nel sottotitolo: «Come la blockchain rivoluzionerà il modo di operare delle imprese». Stando alle stime presentate nel report, entro il 2025 il 10% del Pil mondiale sarà generato da prodotti e servizi erogati con questa tecnologia.
D’altra parte il mercato ha raggiunto nel 2017 i 339,5 milioni di dollari e per il 2021 si stima che arriverà a 2,3 miliardi, che lievitano a 7,7 se si aggiunge anche il valore delle criptovalute. Nello stesso anno gli investimenti nella tecnologia potrebbero arrivare a 9,7 miliardi di dollari, rispetto ai 945 milioni dell’anno scorso.
Nei primi sei mesi del 2018 i venture capital hanno investito 1,3 miliardi di dollari in startup legate alla blockchain, superando già i 900 milioni dell’intero 2017. In Italia quattro startup, sia pur basando all’estero la raccolta di fondi, hanno ricevuto finanziamenti per 70 milioni tramite Ico, superando la somma totale investita dall’intero sistema del venture capital nello stesso periodo nel nostro Paese.
La blockchain generatrice di fiducia. Ma sarà anche macchina della verità?
I vantaggi della blockchain
I vantaggi sono chiari in termini di risparmi: per il solo settore bancario si stima una riduzione del 30% dei costi infrastruttrali, con un risparmio fino a 12 miliardi di dollari l’anno a livello globale. Ma i benefici non si limitano al taglio dei costi, estendosi a «tracciabilità e trasparenza, incremento di fatturato, riduzione dei rischi, creazione di nuove opportunità di business e possibilità di essere più focalizzati sul cliente».
In Europa solo il 3% delle aziende a oggi ha in corso un progetto e il 10% ha attivato un “pilot”. D’altra parte «le resistenze sono ancora forti e principalmente legate alla definizione del modello di business: il 70% delle aziende diffida per mancanza di un chiaro ritorno sull’investimento, il 67% ritiene che la tecnologia non sia ancora matura, il 64% che non ci sia ancora la giusta regolamentazione per utilizzarla, il 62% è preoccupato per la privacy policy, il 59% per la sicurezza della transazione.
A cosa può servire
A oggi la blockchain viene utilizzata su tre livelli di iniziative commerciali che si basano su diverse funzionalità del sistema. Il primo livello è quello legato alla funzione di registro immodificabile, che «permette nella sostanza di avere un notaio digitale che certifica fatti e dati e che attribuisce loro una data certa», con ambiti di applicazione evidenti nei registri pubblici, ma anche per la tracciabilità della filiera, sia in chiave antifrode, che di sicurezza e qualità.
La seconda funzionalità è quella di token, delle monete digitali che non sono riproducibili. I token più noti sono le criptovalute, a partire dal bitcoin, il cui valore «è legato esclusivamente a quello che le persone attribuiscono loro, nonché al consumo di energia necessario per generarle». Ma i token offrono anche la possibilità di attribuirgli un valore del mondo reale, attraverso la cosiddetta “tokenizzazione del valore”.
Bitcoin 10 anni dopo: un mondo ad alta volatilità tra speculazione, promesse e rivoluzione
I token possono anche essere utilizzati per premiare le attività svolte dalle persone, in chiave di incentivo e di loyalty. Ma in prospettiva si può immaginare che possano essere utilizzati come «remunerazione per il lavoro vero e proprio». Esistono già esperienze come Steemit, social network dove si viene ricompensati per scrivere o curare un contenuto.
La terza innovazione portata dalla blockchain è lo smart contract, la tipologia dei contratti che si autogestiscono e che si attuano da soli. Si tratta di uno strumento che apre prospettive nuove di applicazione alle microtranmsazioni, a contratti per eventi ridotti o per la gestione delle forniture delle utilities. Ma che pongono le basi per la creazione di “smart marketplace”, mercati distribuiti dove risulta superflua la figura dell’intermediario.
L’ultimo anello per il mondo fisico
In chiave business, la prospettiva della blockchain, secondo il rapporto di Casaleggio Associati, ha bisogno dell’”ultimo anello”, che collega la catena digitale al mondo fisico», permettendo così alle aziende di «gestire il processo e creare una blockchain che possa generare valore nel mondo reale».
In quest’ottica il rapporto individua tre tipologie di sviluppi di grande potenzialità per le aziende: l’Internet delle cose, oggetti e dispositivi connessi che permettono di registrare eventi e di farne accadere; i sistemi per l’utilizzo di criptovalute nel mondo fisico, che ne trasformano il valore virtuale in reale; il valore legale che permette di rendere vincolanti gli smart contract anche nel mondo fisico.
Non mancano certo le criticità che rendono difficile l’espansione di un mondo oggi percepito come poco trasparente: dal consumo di energia elettrica ai tempi eccessivi per le transazioni, dai fattori legati alla privacy a quelli di sicurezza. Il rapporto si concentra in particolare sulle incognite legate alla gestione dei dati personali in un sistema trasparente e aperto: uno degli snodi centrali è proprio legato alla creazione di sistemi di gestione dei propri dati personali, con la prospettiva di riportare sull’individuo il baricentro della proprietà dei dati.
L'influencer marketing è entrato nella sua fase di maturità, ormai legittimato come una delle possibili leve di comunicazione aziendale. Quella che permette di raggiungere pubblici impermeabili agli stimoli tradizionali, attraverso il coinvolgimento di connettori credibili.
Ma la maturità porta con se diverse sfide. La più importante è quella della misurazione. Le aziende si sono accorte che non basta usare le metriche imposte dalle piattaforme social (prima i fan e i follower, poi l’engagement) per misurare l’impatto delle campagne di influencer marketing. C’è bisogno di un approccio più strategico alla misurazione che parta dagli obiettivi di business e consideri metriche di business. Dopo un anno di ricercheBuzzooleè riuscita – con in collaborazione con Nielsen – a sviluppare un set di metriche e un approccio nuovo in grado di aiutare le aziende a vincere la sfida della misurazione e il settore a maturare.
Due nuove metriche: True Reach e Ad Recall True Reach indica il numero di persone raggiunte dai contenuti prodotti da una campagna di influencer marketing sui diversi canali utilizzati. Questa metrica rappresenta un’innovazione perché permette di stimare la reach anche per quei mezzi che non forniscono nativamente questo dato. Infatti mentre per le attività svolte su Facebook e Instagram questo valore è preciso perché fornito dalle stesse piattaforme, sugli altri mezzi non sarebbe possibile calcolarlo. Ma grazie ad un algoritmo messo a punto da Buzzoole in collaborazione con Nielsen, ora si può avere una estensione a tutti i mezzi del numero degli account raggiunti dalla comunicazione.
Ad Recallè una nuova metrica che stima la percentuale delle persone raggiunte da una campagna di influencer marketing che ricordano di averla vista. Molto utile per scoprire se essa ha fatto breccia nella mente delle persone al di là delle interazioni generate.
I due algoritmi si basano sul confronto tra i principali indicatori delle performance dei social media (il numero dei follower, la frequenza dei post, il tasso di coinvolgimento) con le informazioni raccolte attraverso sondaggi periodici veicolati ai fan/follower iscritti a differenti social media.
Digital Brand Effect Oltre alle metriche descritte i brand interessati possono richiedere la produzione ad hoc di uno studio di “Brand Effect” per approfondire l’effetto di una campagna, secondo diversi KPI di “brand uplift” mediante interviste somministrate a due gruppi: uno di esposti e uno di non esposti. Da questo confronto emergerà il reale contributo della comunicazione su una serie di KPI detti primari (Top of Mind, Awareness spontanea e sollecitata) e secondari (Favourability, Recommendation, Intention to buy). I primi risultati mostrano che le campagne di influencer marketing determinano un impatto positivo su tutti i KPI, soprattutto su quelli secondari, con incrementi tra i 15 e i 20 punti percentuali, passando dal gruppo di non esposti a quello di esposti.
Il Funnel del marketing è una schematizzazione del percorso del consumatore dal primo contatto con l’azienda fino alla fase post vendita. Per anni è stato rappresentato da un imbuto suddiviso in diverse fasi, prima individuate dall’acronimo AIDA (Awareness, Interest, Desire, Action), poi AIDAS (Awareness, Interest, Desire, Action, Satisfaction) per tener conto anche del momento post-vendita. Questa esemplificazione oltre a rappresentare il naturale assottigliamento dei soggetti raggiunti durante il percorso, permette di forzare i marketer a progettare azioni differenziate a seconda della fase e quindi dell’obiettivo della stessa.
Il modello AIDAS
Awareness: comprende le tattiche che hanno come obiettivo la semplice conoscenza del brand Interest: riguarda le azioni per catturare l’interesse più concretamente Desire: è la fase in cui si prova ad accendere il desiderio d’acquisto Action: qui si cerca di trasformare il desiderio in acquisto Satisfaction: infine si punta alla completa soddisfazione del cliente in modo da indurlo a parlare positivamente della sua esperienza e, magari, a ripetere l’acquisto
Le 5A di Kotler
Philip Kotler nel suo Marketing 4.0, considerando gli effetti che la rete esercita sul processo decisionale di acquisto, preferisce parlare di 5 A ossia Aware, Appeal, Ask, Act, Advocate. Se ben eseguita, ogni singola fase risponderà ad un bisogno specifico del potenziale cliente.
Aware: conosco il brand Appeal: mi piace questo brand Ask: valuto le alternative, chiedendo consigli e consultando recensioni Act: decido di comprare il prodotto/servizio Advocate: ne parlo e lo consiglio perché soddisfatto
Il volano del marketing
RecentementHubspot, azienda che produce software di supporto al marketing, ha teorizzato il Flywheel o “Volano del marketing”. L’idea è di porre enfasi sulla circolarità del processo, nel quale l’efficacia di ogni fase sprigiona energia per il successo delle successive. Attract: l’obiettivo iniziale è sempre di attirare l’attenzione del potenziale cliente con contenuti utili (informazioni, approfondimenti, consigli) e senza pensare alla vendita Engage: a questo punto è il momento di entrare in contatto con il pubblico interessato, ma secondi i suoi modi, luoghi e tempi. Intrattenendolo e rispondendo alle sue curiosità, ma anche rendendo semplice la ricerca delle informazioni e l’acquisto Delight: è la fase nella quale puntare alla massima soddisfazione del cliente durante e dopo la vendita (ad esempio semplificando l’accesso al supporto). Se ben eseguita porterà a fidelizzare il cliente e a trasformarlo in promotore del brand.
Ognuno di questi momenti, siccome risponde ad obiettivi specifici, dovrà essere legato a metriche diverse.Nella prima fase può aver senso tener d’occhio le visiti al sito web o il tasso di crescita dei follower sui social media. Nella seconda si potranno considerare le interazioni generate, il numero di messaggi ricevuti dai potenziali clienti, le conversioni. Nella terza si dovrà considerare il grado di soddisfazione, le recensioni, le menzioni positive.
Il mio consiglio è di scegliere uno di questi modelli e provare ad utilizzarlo nel vostro business. Per ogni fase individuate l’obiettivo, le azioni per raggiungerlo e le metriche per misurarne l’efficacia. Vi posso assicurare che si tratta di un ottimo esercizio per iniziare a concepire l’attività di marketing non come monolitica, ma fatta di fasi emicro-momenti.
Qual è il divario tra le aspettative dei consumatori nel nostro Paese ed esperienza offerta dai brand?Risponde l'analisi Authenticity Gap Italiadi Omnicom Pr Group realizzata su 9 settori produttivi e 81 marchi.
Le priorità degli italiani Dal report emerge che il consumatore esperto italiano focalizza le proprie aspettativein primissuCustomer Care (al primo posto con media di priorità di 1,8 su 9),seguito da Innovazione (secondo posto con 2,5 su 9) e Prodotti e servizi a maggior valore (2,9). Appena fuori dal podio il Rispetto dell’ambiente (3,4) e in quinta posizione l’impegno dell’azienda a Fare la cosa giusta (5,2). Meno prioritari nelle aspettative degli italiani, ma comunque rilevanti, i fattori legati a: Contributo alla comunità in cui si opera (6,5 su 9), Cura dei dipendenti (7,1), Performance finanziarie e operative (7,2), Comunicare in modo più frequente e credibile (8,1).
Dove c'è il gap più alto E proprio sul punto più importante, ovvero il Customer care (-30,7%), le aspettative sono maggiormente disattese. Seguono Rispetto dell’ambiente (-21,4%), Innovazione (-21,1%) e Prodotti e servizi a maggior valore (-16,1%). Nota positiva: Tutti gli altri fattori considerati non presentano gap in negativo tra aspettative ed esperienze e in alcuni casi l’esperienza va oltre alle aspettative.
I settori più e meno virtuosi In questo momento i settori che registrano il miglior rapporto tra aspettative vs esperienze risultano essere Automotive, Fashion e Technology mentre Energy & Utilities e Farmaceutico quelli con più aree di miglioramento specialmente in considerazione della grande percentuale degli intervistati che non sa decifrare in che direzione si siano mossi questi comparti negli ultimi 6-12 mesi (verso quindi un’offerta migliore o peggiore). Nel mezzo il food, che per oltre il 43% degli intervistati va in direzione positiva.
La ricerca del fattore sociale Il 75% degli intervistati in Italia vuole che le aziende vadano oltre agli obblighi normativi e si impegnino attivamente per risolvere problemi a sfondo sociale. Inoltre, il 72% si aspetta che le multinazionali guidino lo scambio di idee, prodotti e cultura anche in caso di politiche isolazioniste promosse dai Governi.