L'influencer marketing è entrato nella sua fase di maturità, ormai legittimato come una delle possibili leve di comunicazione aziendale. Quella che permette di raggiungere pubblici impermeabili agli stimoli tradizionali, attraverso il coinvolgimento di connettori credibili.
Ma la maturità porta con se diverse sfide. La più importante è quella della misurazione. Le aziende si sono accorte che non basta usare le metriche imposte dalle piattaforme social (prima i fan e i follower, poi l’engagement) per misurare l’impatto delle campagne di influencer marketing. C’è bisogno di un approccio più strategico alla misurazione che parta dagli obiettivi di business e consideri metriche di business. Dopo un anno di ricercheBuzzooleè riuscita – con in collaborazione con Nielsen – a sviluppare un set di metriche e un approccio nuovo in grado di aiutare le aziende a vincere la sfida della misurazione e il settore a maturare.
Due nuove metriche: True Reach e Ad Recall True Reach indica il numero di persone raggiunte dai contenuti prodotti da una campagna di influencer marketing sui diversi canali utilizzati. Questa metrica rappresenta un’innovazione perché permette di stimare la reach anche per quei mezzi che non forniscono nativamente questo dato. Infatti mentre per le attività svolte su Facebook e Instagram questo valore è preciso perché fornito dalle stesse piattaforme, sugli altri mezzi non sarebbe possibile calcolarlo. Ma grazie ad un algoritmo messo a punto da Buzzoole in collaborazione con Nielsen, ora si può avere una estensione a tutti i mezzi del numero degli account raggiunti dalla comunicazione.
Ad Recallè una nuova metrica che stima la percentuale delle persone raggiunte da una campagna di influencer marketing che ricordano di averla vista. Molto utile per scoprire se essa ha fatto breccia nella mente delle persone al di là delle interazioni generate.
I due algoritmi si basano sul confronto tra i principali indicatori delle performance dei social media (il numero dei follower, la frequenza dei post, il tasso di coinvolgimento) con le informazioni raccolte attraverso sondaggi periodici veicolati ai fan/follower iscritti a differenti social media.
Digital Brand Effect Oltre alle metriche descritte i brand interessati possono richiedere la produzione ad hoc di uno studio di “Brand Effect” per approfondire l’effetto di una campagna, secondo diversi KPI di “brand uplift” mediante interviste somministrate a due gruppi: uno di esposti e uno di non esposti. Da questo confronto emergerà il reale contributo della comunicazione su una serie di KPI detti primari (Top of Mind, Awareness spontanea e sollecitata) e secondari (Favourability, Recommendation, Intention to buy). I primi risultati mostrano che le campagne di influencer marketing determinano un impatto positivo su tutti i KPI, soprattutto su quelli secondari, con incrementi tra i 15 e i 20 punti percentuali, passando dal gruppo di non esposti a quello di esposti.
Il Funnel del marketing è una schematizzazione del percorso del consumatore dal primo contatto con l’azienda fino alla fase post vendita. Per anni è stato rappresentato da un imbuto suddiviso in diverse fasi, prima individuate dall’acronimo AIDA (Awareness, Interest, Desire, Action), poi AIDAS (Awareness, Interest, Desire, Action, Satisfaction) per tener conto anche del momento post-vendita. Questa esemplificazione oltre a rappresentare il naturale assottigliamento dei soggetti raggiunti durante il percorso, permette di forzare i marketer a progettare azioni differenziate a seconda della fase e quindi dell’obiettivo della stessa.
Il modello AIDAS
Awareness: comprende le tattiche che hanno come obiettivo la semplice conoscenza del brand Interest: riguarda le azioni per catturare l’interesse più concretamente Desire: è la fase in cui si prova ad accendere il desiderio d’acquisto Action: qui si cerca di trasformare il desiderio in acquisto Satisfaction: infine si punta alla completa soddisfazione del cliente in modo da indurlo a parlare positivamente della sua esperienza e, magari, a ripetere l’acquisto
Le 5A di Kotler
Philip Kotler nel suo Marketing 4.0, considerando gli effetti che la rete esercita sul processo decisionale di acquisto, preferisce parlare di 5 A ossia Aware, Appeal, Ask, Act, Advocate. Se ben eseguita, ogni singola fase risponderà ad un bisogno specifico del potenziale cliente.
Aware: conosco il brand Appeal: mi piace questo brand Ask: valuto le alternative, chiedendo consigli e consultando recensioni Act: decido di comprare il prodotto/servizio Advocate: ne parlo e lo consiglio perché soddisfatto
Il volano del marketing
RecentementHubspot, azienda che produce software di supporto al marketing, ha teorizzato il Flywheel o “Volano del marketing”. L’idea è di porre enfasi sulla circolarità del processo, nel quale l’efficacia di ogni fase sprigiona energia per il successo delle successive. Attract: l’obiettivo iniziale è sempre di attirare l’attenzione del potenziale cliente con contenuti utili (informazioni, approfondimenti, consigli) e senza pensare alla vendita Engage: a questo punto è il momento di entrare in contatto con il pubblico interessato, ma secondi i suoi modi, luoghi e tempi. Intrattenendolo e rispondendo alle sue curiosità, ma anche rendendo semplice la ricerca delle informazioni e l’acquisto Delight: è la fase nella quale puntare alla massima soddisfazione del cliente durante e dopo la vendita (ad esempio semplificando l’accesso al supporto). Se ben eseguita porterà a fidelizzare il cliente e a trasformarlo in promotore del brand.
Ognuno di questi momenti, siccome risponde ad obiettivi specifici, dovrà essere legato a metriche diverse.Nella prima fase può aver senso tener d’occhio le visiti al sito web o il tasso di crescita dei follower sui social media. Nella seconda si potranno considerare le interazioni generate, il numero di messaggi ricevuti dai potenziali clienti, le conversioni. Nella terza si dovrà considerare il grado di soddisfazione, le recensioni, le menzioni positive.
Il mio consiglio è di scegliere uno di questi modelli e provare ad utilizzarlo nel vostro business. Per ogni fase individuate l’obiettivo, le azioni per raggiungerlo e le metriche per misurarne l’efficacia. Vi posso assicurare che si tratta di un ottimo esercizio per iniziare a concepire l’attività di marketing non come monolitica, ma fatta di fasi emicro-momenti.
Qual è il divario tra le aspettative dei consumatori nel nostro Paese ed esperienza offerta dai brand?Risponde l'analisi Authenticity Gap Italiadi Omnicom Pr Group realizzata su 9 settori produttivi e 81 marchi.
Le priorità degli italiani Dal report emerge che il consumatore esperto italiano focalizza le proprie aspettativein primissuCustomer Care (al primo posto con media di priorità di 1,8 su 9),seguito da Innovazione (secondo posto con 2,5 su 9) e Prodotti e servizi a maggior valore (2,9). Appena fuori dal podio il Rispetto dell’ambiente (3,4) e in quinta posizione l’impegno dell’azienda a Fare la cosa giusta (5,2). Meno prioritari nelle aspettative degli italiani, ma comunque rilevanti, i fattori legati a: Contributo alla comunità in cui si opera (6,5 su 9), Cura dei dipendenti (7,1), Performance finanziarie e operative (7,2), Comunicare in modo più frequente e credibile (8,1).
Dove c'è il gap più alto E proprio sul punto più importante, ovvero il Customer care (-30,7%), le aspettative sono maggiormente disattese. Seguono Rispetto dell’ambiente (-21,4%), Innovazione (-21,1%) e Prodotti e servizi a maggior valore (-16,1%). Nota positiva: Tutti gli altri fattori considerati non presentano gap in negativo tra aspettative ed esperienze e in alcuni casi l’esperienza va oltre alle aspettative.
I settori più e meno virtuosi In questo momento i settori che registrano il miglior rapporto tra aspettative vs esperienze risultano essere Automotive, Fashion e Technology mentre Energy & Utilities e Farmaceutico quelli con più aree di miglioramento specialmente in considerazione della grande percentuale degli intervistati che non sa decifrare in che direzione si siano mossi questi comparti negli ultimi 6-12 mesi (verso quindi un’offerta migliore o peggiore). Nel mezzo il food, che per oltre il 43% degli intervistati va in direzione positiva.
La ricerca del fattore sociale Il 75% degli intervistati in Italia vuole che le aziende vadano oltre agli obblighi normativi e si impegnino attivamente per risolvere problemi a sfondo sociale. Inoltre, il 72% si aspetta che le multinazionali guidino lo scambio di idee, prodotti e cultura anche in caso di politiche isolazioniste promosse dai Governi.
Si chiama "addressable tv", ed è un tipo di pubblicità mirata sui cui le aziende statunitensi hanno investito 2,25 miliardi di dollari solo quest'anno, con un incremento del 79% rispetto allo scorso anno, con la prospettiva di diventare un terzo della pubblicità totale nelle trasmissioni audiovisive entro il 2022.
A rendere particolarmente allettanti gli spot della "tivù indirizzabile" per le imprese, è il fatto che questi non sono trasmessi in modo uguale per tutti come avviene tradizionalmente, ma vengono visualizzati dai telespettatori in modo personalizzato in base alla loro segmentazione (come l'ubicazione geografica, fasce d'età, sesso, etc.), ma anche ai loro gusti ed abitudini di consumo.
In Europa i televisori HbbTv (Hybrid broadcast broadband TV) che sono abilitati a ricevere questa tipologia di pubblicità sono già 44 milioni, di cui quattro milioni solo in Italia, ed alcune emittenti operanti anche nel nostro paese hanno già iniziato ad avvalersene, ma inun suo articolo pubblicato sul sito di Federprivacy,il presidente della principale associazione italiana dei professionisti della protezione dei dati solleva non poche perplessità:
"Con le moderne smart tv, un quarantenne dirigente d'azienda può vedere uno spot che gli propone una costosa berlina full optional, mentre nello stesso momento un suo coetaneo operaio sintonizzato sulla stessa emittente può invece visualizzare una pubblicità su un'utilitaria economica, magari da pagare a rate - spiega Bernardi - Le tecnologie basate sugli algoritmi e l'analisi dei comportamenti degli utenti utilizzate per la pubblicità su misura in televisione aprono criticità su vari fronti riguardanti i diritti fondamentali dell'individuo, con potenziali rischi di discriminazione e condizionamento delle opinioni personali, e non per ultimo sul rispetto della normativa sulla privacy."
In base al Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati personali, quando l'utente viene profilato per potergli proporre spot pubblicitari su misura in base all'analisi del suo comportamento, dei suoi gusti e delle sue abitudini di consumo, deve esserne infatti informato preventivamente in modo trasparente ed essere in grado di esprimere in modo consapevole il suo consenso, con il diritto di revocarlo in qualsiasi momento con la stessa facilità con cui lo ha manifestato, sapendo quindi come fare e a chi rivolgersi, e nel caso reputi tale trattamento troppo invasivo, deve anche potervisi opporre.
Anche se il fenomeno della "addressable tv" sembra destinato a vedere presto una larga diffusione anche in Europa ed in Italia, è quindi necessario rispettare le regole del GDPR, anche perché le sanzioniper chi non rispetta la privacy degli utenti possono arrivare fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato annuo globale dei trasgressori.
Quanto è utilizzato l'influencer marketing dalle aziende in Italiae con quale livello di soddisfazione? Quanto si è speso e si spenderà in futuro? Risponde il primo Osservatorio sull’influencer marketing promosso da Ied Milano ed Akqa.
Metodologia. I dati sono frutto di una survey condotta tra luglio e settembre su professionisti dei comparti marketing e prodotto, digital pr e social media, e sul top management di aziende di vario settore attive in maggioranza a livello nazionale, con una predominanza di pmi (45% degli intervistati) e multinazionali (39%) nonché una certa presenza di consulenti (8%) e start-up (7%).
Chi investe di più Dall’indagine emerge che il 64% degli intervistati ha fatto ricorso nell’ultimo anno ad operazioni di influencer marketing, per il 62% in modo continuativo e attivando quindi le quattro leve essenziali di questo tipo di attività – scouting, strategia, ideazione creativa, reportistica e analisi – per il restante 38% in modo discontinuo e occasionale. Nello specifico, le realtà che maggiormente hanno strutturato attività continuative sono le start-up (il 70% ha risposto in maniera affermativa); ad aver fatto ricorso invece ad attività one shot sono invece per lo più le pmi (45%). Le multinazionali, infine, mostrano di aver investito di più nel trend in termini quantitativi.
Spesa e proiezioni future Parlando degli investimenti, dai dati emerge che il 21% di chi ha attivato operazioni di influencer marketing ha speso più di 50 mila euronell’ultimo anno mentre solo il 5% ha speso 0 euro, ossia ha condotto operazioni di questo tipo senza investire risorse economiche. Il 36% ha investito da 1.000 a 10mila euro, il 39% da 10 a 50 mila. Ad aver allocato budget più consistenti sono – come è prevedibile – le multinazionali (30%), mentre ad essersi “arrangiate” a costo zero sono per lo più start-up (10%), che risultano essere però anche le più rappresentative (60%) nella fascia di spesa da 1.000 a 10 mila euro.Positiva la proiezione sugli anni successivi, che testimonia un buon Roi sulle operazioni: il 65% di chi ha già investito in influencer marketing lo scorso anno dichiara di aver aumentato il budget per il 2018 e il 79% di questi prevede un incremento ulteriore per il 2019.
Grado di soddisfazione Il 24% degli intervistati non si ritiene soddisfatto del lavoro svolto con gli influencer. Le prevalenti motivazioni dichiarate sono i problemi di misurazione de risultati/Kpi (per il 28%), la mancanza di pianificazione/strategia sul lungo periodo (26%), la mancanza di fiducia nell’influencer marketing (21%), la scarsa professionalità/disponibilità dell’influencer (11%), la scelta errata dell’influecer problemi (9%). Rispetto ai criteri di valutazione dell’adeguatezza dell’influencer spiccano, invece, l’affinità con il brand (35%) e l’allineamento all’audience target (19%), a cui seguono l’analisi quali/quantitativa dei contenuti (13%) e l’influencer score (7%).
Le ragioni del mancato utilizzo Se il 36% degli intervistati dichiara di non aver mai attivato iniziative di influencer marketing, l’indagine analizza anche i motivi di questa scelta. Dalle risposte del campione emerge che le ragioni prevalenti sono - nell’ordine –la diffidenza verso questo tipo di attività, la mancanza di necessità, la mancanza di strategia, i limiti di budget, il core business b2b (con un target difficilmente raggiungibile attraverso influencer che parlano al grande pubblico), la difficoltà nell’individuare un partner giusto. Se la percentuale di chi non si è rivolto all’influecer marketing non è indifferente, le proiezioni per il futuro sono però positive.Il 29% dei non utilizzatori tra gli intervistati dichiara infatti di voler iniziare a utilizzarlo prossimamente.
A chi ci si rivolge Dai dati della survey emergono anche importanti evidenze sulruolo delle agenziein questo tipo di operazioni. Il 60% degli intervistati che hanno fatto ricorso all’influencer marketing si è rivolto per l’ideazione e la conduzione dei progetti ad agenzie specializzate (36%) e agenzie social (29%), mentre un restante 14% si è rivolto direttamente a network di influencer.I dettagli mostrano come il valore percepito nell’affidarsi a professionisti esterni sia molto alto per quanto riguarda la fase di scoutingdegli influencer più idonei per una campagna, attività al primo posto per preferenza tra i servizi richiesti alle realtà specializzate (38% dei rispondenti). Seguono, nell’ordine, la reportistica e analisi (26%), la strategia 20%, l’ideazione creative (16%).
Se ti dicessimo che è possibileportare il tuo account Instagram da poche centinaia a migliaia di follower in meno di un anno, cosa penseresti? Forse immagineresti l’account di qualche Influencer diventato all’improvviso popolare. Invece, ci sono molti profili business che riescono nell’impresa, grazie a contenuti coinvolgenti e coerenti.
Come riescono nell’impresa queste aziende? Per far crescere la propria communitynon puntano (solo) sull’advertising. Ragionando sulla natura di Instagram e su quello che gli utenti si aspettano di vedere, puntano su contenuti in linea con il loro lavoro, tratti dal mondo della grafica, dell’arte, dell’illustrazione e della moda.
Questo non significa che l’advertising non serva, ma ci insegna come adottare una digital strategy efficace possa dare risultati altrettanto importanti.
Ecco quindi alcuni suggerimenti importanti per impostare al meglio la tua strategia sul social visuale per eccellenza, quello su cui oggi non puoi proprio mancare.
Immagine, composizione e tema
Ilsoggettodell’immagine,lo stile e la composizionesono elementi cruciali per il tuo feed. Lo è ancora di piùil colore.
Un tema cromatico, applicato a ogni fotografia, crea una piacevole esperienza visiva per chi scorre il tuo feed, e costringe gli utenti aguardare l’insieme, e a non soffermarsi sulla singola immagine.
Certo, mantenere una certa coerenza estetica ti richiederà del tempo. Ti serviranno non più diqualche ora a settimana per pianificareil flusso del tuo feed, e ragionare su blocchi di post che renderanno riconoscibile il tuo account.
Tone of voice e didascalie
Le didascalie delle foto, lo sappiamo, permettono di contestualizzare e attribuire un significato all’immagine. E questa regola non scritta vale soprattutto nei casi in cui si cura un feed con immagini di altri.
Nel caso di una rivista ad esempio, si può mantenere untone of voice amichevole, che dia risalto ai protagonisti degli articoli condivisi, ma mantenendo unostile informativo, orientato all’approfondimento.
La scelta migliore sono didascalie sintetiche, che includano icredit etagghino le persone ritratte.
Ovviamente puoi sperimentare anche didascalie più lunghe. Testa etrova il formato più adatto al tuo target.
Tag e hashtag
Glihashtagsono fondamentali permassimizzare la copertura di un post. Quando un post utilizza un hashtag, diventa visibile all’interno del flusso legato a quel determinato hashtag, tanto più se riesce a ottenerele prime posizioni del feed.
Pochi, tanti, quanti hashtag dovresti usare? Per fare in modo che gli hashtag siano efficaci all’awareness del tuo account, ti consigliamo di identificarne almeno 50 e non oltre il centinaio, per iniziare,di dimensioni diverse, evitando di usarli tutti insieme e di usare sempre gli stessi.
Insomma il giusto mix prevedeun uso moderato e variegato di hashtag, con dimensioni diverse, ovvero di 1M, 500k, 250k, 10k, 2k, 900 post, ecc. Scoprire quanti post sono associati a un hashtag è semplicissimo. Basta digitare#seguito dalla parola chiave che ti interessa, e il motore di ricerca interno a Instagram ti mostrerà quante persone, hashtag o luoghi sono collegati alla parola chiave.
Costanza nella pubblicazione
Per aumentare il numero di follower è importantepostare con frequenza e costanza. Quando un feed è silente o ha una scarsa attività, potrebbe perdere follower o avere un engagement estremamente basso.
Per ottenere dati attendibili sul rendimento dell’account, prova ad esempio a pubblicare due volte al giorno, sei volte alla settimana, e poi riduci la pubblicazione a un post al giorno. Infine diminuisci il numero di giorni nei quali pubblicare.
Per occupare il primo posto, restarci, ed essere fonte d’ispirazione per gli utenti, la chiave è lavorare a tutti gli elementi che abbiamo affrontato finora.
Qualche altro consiglio?Cura il tuo avatar e la bio, personalizza e condividi il tuonametag,partecipa alla vita della community, e non dimenticare dimisurare il rendimento dell’attività, per capire in che modo migliorare la tua strategia visual su Instagram.
Il medium con la maggiore penetrazione rimane la TV, ma quella lineare al 89,9%, continua a calare del 2,3% rispetto all’anno precedente. Crescono gli spettatori via web tv e smart tv (30,1%) e quelli che guardano la televisione in mobilità (25,9%). Le piattaforme tv digitali (Netflix e simili) salgono al 17,9%, con punte del 29,1% tra i giovani under 30;
Flessione anche per la radio tradizionale (56,2%), compensata dall’ascolto via pc (17%) e smartphone (20,7%).
Crollano i lettori dei quotidiani cartacei dal 67% del 2007 al 37,4% di oggi, ma crescono di poco quelli delle versioni online (26,3%). Gli aggregatori di notizie sono consultati dal 46,1% degli italiani.
I connazionali che usano la rete passano dal 75,2% al 78,4%, con una differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno e del 33,1% dal 2007.
Gli italiani che si dichiarano utenti dei social network passano dal 67,3% al 72,5%. L’app più usata resta WhatsApp che guadagna 1,8 punti in un anno (al 67,5%), ma ne perde 4 tra i giovani di età compresa tra i 14 e i 29 anni (all’81,6%). Facebook continua a primeggiare tra i social network ma il suo utilizzo resta inchiodato al 56% della popolazione e cala di 9 punti tra gli adolescenti. YouTube, invece, è la destinazione del 52% della popolazione (+2 punti), ma cala per la prima volta tra i giovani di circa 5 punti. Tonfo annunciato per Google+ (-14) e flessione minore per Twitter (-1,3 nel complesso -2,5 tra i giovani) e LinkedIn (-1,1 in generale e -5 tra i giovani). L’unico a crescere sensibilmente è Instagram che guadagna ben 5,7 punti percentuali e 6,6 punti nella fascia “young”. Bene anche Telegram che guadagna circa 3 punti in entrambe le coorti, mentre Snapchat rimane stabile nella popolazione (5,7%) ma cresce di un punto tra i giovani (al 16%).
Sul versante e-commerce Amazon è usato dal 31% della popolazione (+4,4), mentre eBay pur mantenendo la sua utenza al 18%, continua a perdere i giovani (-2,7%).
Queste le percentuali CENSIS raccolte attraverso il metodo delle interviste. Se volete conoscere l’ampiezza dell’utenza dei vari social media in Italia, sintesi di diverse fonti in mio possesso, vi consiglio di tenere d’occhio la pagina dell’Osservatorio Social Media.
È questoil tempo che l’utente medio dedica ogni giorno alla fruizione di contenuti. Un tempo destinato ad aumentare di soli 18 minuti nei prossimi 5 anni, il che significa che l’attenzione umana, già praticamente satura, è il nuovo terreno di competizione per tutti i player, fuori e dentro la rete.
Per descrivere il fenomeno in USA si è arrivato a parlare addirittura di“peak media”.
Il digitale è ovviamente il mezzo più usato per la fruizione del contenuto: un cambiamento reso possibile dall’ascesa di internet, che ha costretto non solo i merchant e i service provider ma anche i gruppi editoriali a ripensare il proprio modo di fare business.
Perché quindi l’affiliate marketing?
Ilfatturato pubblicitarioderivante dalla stampa è infattiin calo costante dal 2012e il duopolio diFacebook e Googleha reso necessario trovare strategie pubblicitarie alternative.
Ecco quindi perché sono sempre di più i gruppi editoriali che potremmo definire “tradizionali” che si stanno rivolgendo all’affiliazione, un business in continua crescita chevale oggi 13 miliardi di euro a livello globale(fonte: The Awin Report 2017/2018), per aumentare le entrate. Una scelta fatta anche per compensare l’inefficienza e la mancanza di risultati di altri metodi di monetizzazione standard, quali ad esempio gli annunci display, e in grado di arginare anche il crescente utilizzo degliad blockerda parte degli utenti.
Tutto questo grazie a un semplice principio:la non invasività. Il lettore è sempre al primo posto e quello che gli si offre è un vero e proprio servizio; una lettura non solo interessante ma anche utile grazie areview di prodotto, gallerie di immagini e link ai siti dei brandche vendono l’oggetto del desiderio (il 43% delle vendite è influenzato da consigli e promozioni). L’obiettivo è trovare i prodotti giusti per i propri clienti, non viceversa. Lettori soddisfatti si trasformano in clienti felici e in una vittoria sia per il merchant che per il publisher. Grazie atecnologie di tracciamento, il sito che ha originato il click dell’utente, l’editore appunto, riceverà una commissione commisurata alla vendita che ha generato.
Importante è ovviamentepiena trasparenzae dichiarare quindi la finalità commerciale dietro questa attività, all’inizio o alla fine dell’articolo in questione: a differenza di quanto si pensa, gli utenti non hanno alcun problema a riguardo e anzi apprezzano contenuti ben fatti che aiutano a rimuovere quell’alone di incertezza che aleggia tutti gli acquisti effettuati online (“il prodotto che ho ordinato sarà come quello della foto? E se fosse di scarsa qualità?”). Il lettore saprà cosa compra ancora prima di ricevere il prodotto davanti alla porta di casa.
Gli stessi influencer d’altronde ci stanno abituando ormai aglihashtag #ad, #adv e #advertisingall’interno di post e story.
All’estero troviamo tanti importanti nomi dell’editoria che già lavorano con network d’affiliazione come ilTime, Telegraph, DailyMail, Independent e Business Insider. Grazie all’expertise acquisita sul mercato USA e UK infatti, da sempre precursori delle tendenze del digitale europeo, ilnetwork di affiliazione internazionale Awinha già raccolto interessanti insight e best practice.
I dati dell’affiliazione
I gruppi editoriali che hanno iniziato a lavorare con l’affiliate marketing hanno registratoun aumento del 31% del trafficoeuna crescita del 53% delle venditeche hanno contribuito a generare tra gennaio – aprile 2017 vs. gennaio – aprile 2018. Un altro fattore rilevante è comel’utilizzo dei codici scontoall’interno dei propri contenuti aumenti notevolmente i tassi di conversione, che hanno raggiunto il 2,28%, a differenza di una media di settore dell’1% -2%. Interessante anche notare come lo share delle vendite effettuatevia desktop e mobilesia praticamente 50-50 (con rispettivamente il 54% vs. il 46%), che aiuta a contestualizzare come vengono fruiti digitalmente i contenuti dei grandi editori. Per finire, i contenuti non conoscono limiti di tempo:gli articoli contribuiscono a generare revenue fino a 33 mesi dopo la loro pubblicazione, e senza costi aggiuntivi (SEO, baby!).
Anche in Italia ci si prepara a seguire queste orme e sono già attive le partnership conViviMilano,Notizie.it, Consigli.it, Today.it e Il Post. Proprio con Il Post ad esempio è stato realizzato un articolo in occasione del Black Friday 2017, che ha coinvolto, tra gli altri, alcuni clienti del network Awin (Unieuro, eDreams, Euronics, La Feltrinelli), che hanno registrato un AOV di 131 euro.
Grazie all’expertise del gruppo,Awinfornisce consulenza a tutte le realtà che desiderano avvicinarsi al mondo della pubblicità personalizzata, aiutandoli a stabilire che tipo di contenuto scegliere e quali strumenti utilizzare per rendere più efficace l’attività di promozione.
‘Se non puoi batterli fatteli amici’. E trasformali in una ‘categoria-di-scelta’ del tuo negozio online. È il pensiero che sta prendendo piede negli e-tailer statunitensi che stanno dedicando spazi alle influencer all’interno dei propri shop online. Non più solo testimonial, ma vere e proprie promoter commerciali, coinvolte soprattutto da realtà fashion e beauty, ma non solo. Spazi in cui poter suggerire prodotti alle utenti, spesso proprie follower sui social network. Collaborazioni firmate a quattro mani con l’e-tailer o, semplicemente, una selezione di items prescelta dalle star del web. Alla fine, dunque, oltre alle selezioni per brand, tipologia merceologica o prezzo, si potrà scegliere anche per influencer.
“Le persone non acquistano più seguendo un brand, acquistano perché hanno una connessione personale con qualcuno, queste nuove strategie retail seguono quest’idea”, riassumeIvka Adam, fondatrice e CEO del brand di gioielliIconeryche, all’interno del proprio sito, ospita una sezione dedicata a celebrities e influencer. Le commissioni sulle vendite, riportaWwd, possono variare dal 5% fino al 25 per cento.
“In molti casi, il ruolo di un retailer – suggerisceKirsten Greendella società di venture capital Forerunner Ventures – è stato quello di creare un contesto intorno a un prodotto. Gli influencer hanno l’opportunità di essere un mini store in sé perché possono mostrare il prodotto attraverso le proprie raccomandazioni e le modalità d’uso, è parte di un trend in ascesa che sta rimappando l’ecosistema retail ridefinendo i ruoli di tutti diversi player e l’aspetto dei loro business”.
I 20 anni della nascita di Google segnano un nuovo capitolo della storia del motore di ricerca, che ha modificato profondamente il nostro modo di acquisire informazioni e conoscenza. Da oggi la ricerca cambia sulla base di tre paradigmi:
da risposte a percorsi: non più semplici risposte a domande degli utenti, ma la proposizione di percorsi di ricerca, sulla base degli interessi;
da query all’assenza di query: non ci sarà necessità di fare una specifica richiesta, ma il motore farà emergere contenuti su misura per l’utente;
da testo a immagini: i risultati saranno più visivi (foto, video, storie)
Tutti questi cambiamenti sono resi possibili dai miglioramenti delle tecniche di Intelligenza Artificiale, che oggi sono in grado di comprendere concetti e non semplici parole.
Da risposte a percorsi Oggi gli utenti non fanno ricerche una tantum, ma spesso ritornano su ricerche precedenti. E così Google ha pensato di introdurre le “Activity Cards” che mostreranno le pagine visitate in precedenza e le query effettuate (eliminabili all’occorrenza) in modo da rendere più immediate le successive interrogazioni. Queste Card potranno essere salvate e organizzate in “Collections” tematiche (tipo Pinterest).
Topic Layer Il miglioramento delle capacità di ricerca passa anche dal potenziamento del cosiddetto “Knowledge Graph” ossia quell’insieme di relazioni tra fatti (persone, eventi, luoghi, argomenti) che Google costruisce nel tempo e che gli permette di “comprendere” le domande di ricerca. Viene introdotto il concetto di “Topic Layer” per descrivere la capacità del sistema di individuare e mostrare una serie di sotto argomenti (quindi articoli sempreverdi e nuovi) legati alla chiave di ricerca principale.
Il Feed diventa Discover Il News Feed, il flusso di notizie cui si accede usando l’app mobile di Google, usato da 800 milioni di persone al mese, viene rinominato “Discover”. Presto apparirà quando si aprirà google.com da un browser su dispositivo mobile. Il suo compito è di mostrare le news del giorno e quelle più rispondenti agli interessi del singolo utente. Ogni notizia sarà accompagnata da una sorta di tag tematico che, cliccato, farà partire una ricerca più ampia sullo specifico argomento. Si potrà decidere di seguire o smettere di seguire un topic, segnalando a Google l’interesse verso lo stesso.
Da testo a immagini I risultati della ricerca saranno sempre più visivi. Ad esempio conterranno le Storie AMP, il formato mobile promosso da Google che è in grado di contenere foto, video, testi al fine di raccontare una notizia. Ogni frammento della storia, cliccato, porterà a scoprire nuovi contenuti (attraverso la ricerca). La cosa interessante è che queste storie saranno composte automaticamente da un sistema di Intelligenza Artificiale.
Nella SERP vedremo anche più video, le cui anteprime saranno selezionate da un sistema di “computer vision” in modo permettere una immediata identificazione di quelli più rilevanti.
La sezioneGoogle Imagesverrà profondamente rinnovata in modo da mostrare sia le ricerche correlate alla parola inserita, sia delle descrizioni di contesto insieme alle foto. In pratica diventerà Pinterest. Saranno privilegiati i contenuti nuovi e quelli provenienti da siti autorevoli che danno grande spazio ai contenuti visivi. Verrà aggiunta anche la funzioneGoogle Lens, che permetterà di eseguire ricerche visive di dettaglio rispetto agli oggetti contenuti in una foto.
In definitiva i risultati di ricerca di Google conterranno meno link blu, più elementi visivi, dati strutturati e tasti-scorciatoia per semplificare le operazioni successive di ricerca. Chi pubblica sul web probabilmente dovrà puntare ancora di più sulla qualità, anche visiva, e sull’aggiornamento dei contenuti.