Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ormai si parla con insistenza del Web 2.0, nel quale la partecipazione degli utenti ha reso difficile distinguere fra chi è produttore di contenuto e chi spettatore, tanto che il Time ha dedicato ai blogger e a tutti coloro che scrivono e vivono in rete la sua copertina con il titolo di uomo dell’anno.
Per chi come me ha iniziato a lavorare fin dal 2002 su community e siti dove erano gli utenti a produrre gran parte del contenuto tutto ciò è fonte di una certa soddisfazione, a dispetto di chi allora non credeva in queste cose. Proprio però perché frequento da tempo questi ambiti non posso fare ameno di notare come tutto questo sia una grande fonte di complessità e ponga notevoli problemi agli operatori della rete e della comunicazione in genere.
Come si può infatti porre dei confini a questo mondo frenetico e magmatico? Chi a questo punto ha il dovere e l’onere del controllo? Dove finisce il professionista ed inizia il semplice appassionato?
E ancora, non dimentichiamoci che esiste un motivo per cui i motori di ricerca sono da sempre la seconda applicazione in rete dopo la posta elettronica: l’overload di informazioni.
Per questo il fatto che tutti si possano scambiare a grande velocità informazioni attraverso sistemi veloci e quasi automatici, come ad esempio i feed rss, e che i video dei telegiornali a volte siano anticipati e propagati da You Tube crea nuove sfide, moltiplicando e riflettendo all’infinito l’informazione, intesa in senso ampio.
Nello specifico questa velocità richiede nuovi professionisti che conoscano questi meccanismi e sappiano selezionare in questo mare in tempesta l’informazione, il dato, la notizia che serve di volta in volta a quella esigenza cui sono chiamati a rispondere.
Ad una velocità superiore ai concorrenti.
Un po’ giornalisti e un po’ informatici con un pizzico di spirito manageriale i nuovi protagonisti della rete, del futuro web 3.0 o come altro si chiamerà, saranno coloro che riusciranno a governare e guidare le migliaia di fonti senza però reprimere la forza creativa di chi le produce.
In parte ciò è una rivincita dell’uomo e del suo discernimento, non c’è infatti motore di ricerca semantico che possieda la ricchezza del pensiero umano.
Per questo il nuovo professionista del web dovrà conoscere al meglio gli strumenti della ricerca, indispensabili per fare fronte alle quantità, ma poi dovrà sapere distinguere con la propria testa e capire cosa ha davanti.
Non è una sfida semplice ma proprio per questo è quanto mai accattivante...
Gianluigi Zarantonello
Fra le letture estive in arretrato che ho recuperato, interessante questo articolo del NY Times, su ricette e social networking.
In effetti ho sempre scommesso sul potenziale di interesse dei siti di ricette online, visitate in Maggio da oltre 50 miliioni di Internauti Americani, circa un 30% della popolazione navigante ( e che visito spesso anch'io - tra i miei preferiti il sito della BBC e CHOW).
D'altro canto il fenomeno di networking sociale in corso ha a questo punto ormai ridefinito alcuni parametri strutturali della nostra società e della nostra socializzazione; ed è in grado di aggregare numeri importanti di persone - spesso contraddistinte da passioni, interessi che gradiscono consividere, spesso sfoggiando le proprie abilità.
Inevitabile dunque una convergenza tra i due ambiti, con parecchi dei principali siti di ricette che si stanno affrettando ad introdurre elementi di social networking al proprio interno - si parla di Epicurious o di myrecipes.com (Time Warner), dell'inossidabile Martha...
Il social netwoirking diventerà quindi più verticale? Focalizzato per nicchie ed ambiti di interessi? O più probabilmente assisteremo all'introduzione di elementi socializzanti all'interno di qualsiasi offerta di contenuto, servizio, prodotto?
Il bello di Internet, la giostra continua a girare e a ogni giro ne tira fuori una nuova.
A presto a tutti, questa settimana torno in Spagna per ultime incombenze, cercherò di mantenere vivo il Blog con un battito un po' più accelerato... e mi comprerò, come souvenir, un libro di ricette di tapas (che, ovviamente non farò mai, sono più un tipo da stufati o da cibo orientale...)
Non c'è dubbio che "l'Oriente" da anni sia di moda nel mondo occidentale.
Per molti consumatori si tratta di un fenomeno puramente superficiale: oggi il Power Yoga, domani il Pilates, dopodomani i balli tribali dell'Alto Volta; oggi lo shampino con l'aromaterapia, domani la cremina con gli estratti degli sciamani maya.
Per altri (molti meno) la scoperta di saggezze antichissime e di valori profondi...
Sia come sia, doive c'è una moda c'è un potenziale di mercato - quindi l'Oreal ha pensato bene di aggiungere l'ayurveda al suo portafoglio prodotti.
Al momento pare siano solo a livello di decisione strategica e di prospezione del mercato indiano per individuare una azienda cosmetica di piccole /medie dimensioni da acquisire, per:
a) aumentare la propria penetrazione sul mercato indiano con prodotti "locali" b) portarsi a casa il know how per fare un botto sui mercati occidentali
Il trend è stato comunque già marcato da Unilever nel 2002 con l'acquisizione di marche operanti sul mercato indiano e il lancio della marca Ayush che non solo produce prodotti basati sull'antica sapienza medica indiana ma che gsetisce anche un centro terapico, il Lever Ayush Therapy Centre.
Temi di riflessione: a) le opportunità di diversificazione e posizionamento sui mercati consumer - affamati di novità - sfruttando sapienze da noi percepite come "esoteriche", più morbide, comunque meno sfruttate a livello di marketing industriale... spesso usate come pretesto per dire qualcosa di nuovo
b) la nostra capacità di macinare qualsiasi cosa, filosofia, credenza, religione, ideali per incorporarla in un prodottino, per dare nobiltà a formulazioni chimiche a volte tanto banali che qualsiasi studente di chimica e tecnologia farmaceutica sa assemblare in laboratorio
c) la ricerca, forse, di un approccio più soft al consumo e ai prodotti? Un'ecologia dell'ambiente del corpo e della mente? Area finora patrimonio di piccole marche molto "etiche", i prodotti più in armonia con... (inserire ciò in cui credete voi) potranno diventare appannaggio anche delle multinazionali?
Per chi si interessa da anni di giornalismo on line e di contenuti a pagamento, la notizia che lo storico quotidiano statunitense abbia deciso di abbandonare i servizi a pagamento, è, come dire, una notiziona. Mentre il mondo dell'informazione regalava contenuti, il NYTimes chiedeva registrazioni on line e soldi. Il business della società, The New York Times Company, che pubblica il quotidiano è sempre stato quello di acquisire e vendere dati (oltre alle attività pubblicitarie, vendita etc...).
Il commento di Vivian Schiller si fonda proprio quella che è sempre l'attività più reddittizia del gruppo statunitense. Un gruppo che ha sempre dimostrato di avere un'ottima visione di come si sviluppa il mercato. Esempio di qualità giornalistica, ma anche di come si progetta un buon sito di informazione (malamente copiato dai quotidiani italiani). Ora sarà molto interessante capire il business model su cui si fonda questa decisione. Possiamo immaginare uno scenario negativo: il sistema di pagamento frenava la registrazione gratuite degli utenti, che alla fine, pur non pagando la registrazione, non avevano un'ampia scelta di servizi che invece erano a pagamento. Nello stesso tempo i servizi non venivano acquistati perché non si capiva perché pagare un servizio come Time Select. Uno scenario positivo potrebbe essere?... difficile dirlo, perchè cambiare quando un sistema funziona? Una ipotesi potrebbe essere che il sistema funzionava, ma lo scenario competitivo stava cambiando e quindi meglio anticipare i tempi e i competitor.
Ora cosa succederà? L'aspetto più divertente è come si comporteranno coloro che copiano il New Nork Times e coloro che sono competitor del quotidiano newyorkese: vedi Salon.com rigorasamente a pagamento, e per chi paga rigorosamente senza pubblicità. Conviene tenere d'occhio i cambiamenti annunciati perché sono ancipatori di nuove strategie, di nuovi business model e di pensieri nuovi su internet... aspettando un web 3.0 che veramente cambi internet.
A breve diventerà gratuito l’accesso al sito internet del New York Times, la cui sottoscrizione era di 49,95 dollari l’anno o di 7,95 dollari al mese.
“L’apertura dei nostri contenuti e il libero accesso a nuovi documenti creerà un flusso di introiti che eccederà di gran lunga quello da sottoscrizione”, ha detto Vivian Schiller, vicepresidente del sito online del Times.
Via Pubblicità Italia
Da un po' di tempo sono diventato un intenso user di Internet mobile, sul cellulare. Con grande soddisfazione.
Sia per la posta, sia per il web - ottimo per riempire i 5 minuti di attesa del bus, per controllare prezzi e caratteristiche dei prodotti, fare comparative shopping quando vedo qualcosa che mi piace (tipo: vedo un prodotto da MediaMarkt, controllo online, scopro che alla Fnac costa di meno, esco da MediaMarkt e vado a comprarlo alla Fnac... bella martellatina al modello tradizionale del commercio "fisico"...)
Però, se fossi in Italia, non lo userei, sorry. Anzi, quando sarò in Italia, tra poche settimane, smetterò di usarlo - al peggio ci sono sempre gli Internet café.
Qui in Spagna l'offerta di Internet Mobile è accessibile: non c'è bisogno di cellulari particolarmente strafighi (quello che uso me l'ha dato l'operatore a 19 Euro), non si va magari velocissimo ma si usa il browser del telefono per andare in rete liberamente, non su siti / servizi preselezionati dall'operatore.
E sopratutto le tariffe sono a livelli accettabili. Anzi, sensate. Cioè, le tariffe del mie operatore.
Il mio operatore è Yoigo, cui sono passato proveniendo da Vodafone, proprio a causa delle sue tariffe Internet. Prendendo l'esempio di una ricaricabile, con Yoigo:
- occorre fare un consumo minimo di 6 Euro al mese tra voce e dati (ok, facile) - si spendono 0,0012 €/Kb... e si fa in fretta, lo so, a fare un mega... - però quando il tassametro giornaliero passa 1,20 € +IVA, si blocca e il resto della giornata si naviga gratis, cioè il massimo che spendi sono 1,2€+IVA.
Con questo sistema usando la posta spesso e la navigazione web meno spesso, avevo la soddisfazione di avere Internet mobile per 10-15 euro al mese. E posso usare il cellulare come modem e navigare dal portatile.
In pratica zero costi fissi, lo paghi solo quando lo usi e quando lo usi se dai solo una guardatina veloce alla posta spendi poco e se devi fare delle cose molto intensive non spendi una fortuna
Orange, invece, arriva ora in Spagna in promozione con una tariffa 0 Euro - classica preomozione introduttiva-, ma già con loro esiterei, perchè a regimne sono un 30 euro fissi al mese, un po' al limite della mia soglia di prezzo con un limite di 1Gb al mese di traffico, passato il quale sono 50 cent al mega.
Anche se credo che 1Gb sia tanto, avrei sempre la paura di sforare. Peggio l'altra loro offerta: 6 euro di abbonamento e due euro al giorno solo se lo usi.
Facendo un giorno si' e uno no, vengono 36 euro... e non si parla di navigare dal cellulare ma dal computer con apposito modem USB... ah, e non è chiaro se si tratti di prezzi per gli abbonamenti o anche per le ricaricabili...
Movistar: sono pazzi, 3 Euro al giorno (per la ricaricabile), se si usa la connessione, con un limite di 10 Mega/giorno a contratto 1 Euro giorno per un massimo di 10 Mb. Poi ci saranno anche altre tariffe, ma sono talmente sepolte nei meandri dei loro siti...
Ma veniamo all'Italia. Vodafone arriva ora con una sua nuova tarifa in Italia, dopo l'annuncio di Tre delle nuove tariffe - che hanno fatto rumore e suscitato un bel po' di polemiche.
Il modello è leggermente differente: 5 Euro al mese di "canone" più 25 cent per ogni accesso. In teoria, dunque, se controllo la posta un paio di volte al giorno e magari mi guardo un pochino un sito... diciamo 70 accessi al mese... sono altri 17 e rotti euro/mese, che sommati ai 5 fanno 22, cifra accettabile.
Il problema è che, dalla mia esperienza con Yoigo, il cellulare si connette e si sconnette molto frequentemente, anche durante la stessa navigazione, tipo che per navigare 15 minuti, magari con delle piccole pause, il cell. si collegava 3 o quattro volte. Se questi vengono considerati accessi, allora partono gli euro a raffica...
Dove voglio arrivare? non lo bene nemmeno io, forse è solo un senso di frustrazione. Mi sento come al solito munto dalle telefoniche continuo a sospettare che un abbassamento forte delle tariffe creerebbe grandi voumi di traffico (del resto la telefonia cellulare è esplosa così, in Italia).
Ma forse gli operatori ritengono più interessante un mercato di volumi minori e margini maggiori - forse anche per non intasare la capacità della rete...
mah, adesso che rientro mi farò una bella analisi comparativa delle tariffe telefoniche e decido se val la pena o no di avere Internet sul cellulare... 30-40 euro al mese non sono poi tanti in fondo, ma sforano la mia sensibilità psicologica.
In alternativa non mi resta che sperare che Yoigo (posseduto in parte dall'operatore svedese Telia Sonera) sbarchi in Italia o, meglio ancora, collegarmi a gratis via wifi con il mio Nokia 770 attaccandoni ai punti FON...
Il sogno del Wi-fi gratis per tutti rischia di rimanere tale. Se ne stanno accorgendo negli Stati Uniti dove San Francisco, Chicago e St. Louis hanno annunciato improvvisi stop ai loro programmi di connessione nei centri urbani.
Colpa di business plan arditi, corrosi da un entusiasmo verso le magnifiche sorti progressive del Wi-fi che non ha retto alla prova dei fatti. L’euforia che regna sempre attorno a qualsiasi progetto Internet ha colpito ancora. Come racconta Wired, il primo errore è consistito nell’eccessiva fiducia risposta nella pubblicità online che avrebbe dovuto dare le risorse per sostenere questi network gratuiti o quasi. Il secondo, invece, è stato credere che i residenti avrebbero utilizzato in massa questi servizi. Sbagliato.
Agli scarsi investimenti pubblicitari si sono aggiunti anche contratti un po’ troppo generosi verso le municipalità. Società come MetroFi ed Earthlink hanno pagato di tasca propria l’intera realizzazione del network comprese le spese per la manutenzione e l’upgrade. In più, spesso i provider hanno anche pagato i comuni per l’utilizzo dei pali della luce dove sono stati piazzati gli hot spot. Non a caso Earthlink ci ha ripensato ottenendo dal contratto stipulato a San Francisco molte di queste condizioni.
Qualche problema esiste anche dal punto di vista dell’infrastruttura. Secondo l’inchiesta di un giornalista gli hot spot piazzati non bastavano a garantire un buon accesso tanto che, a seconda del network, si parla di percentuali che vanno dal 20 al 100% in più di hot spot necessari per garantire una eccellente copertura.
La ciliegina sulla torta è arrivata però dalla scarsa frequentazione di questi network. Il free in questo caso non ha pagato visto che, nonostante le stime parlassero di un 10-25% della popolazione disposta a utilizzare i network, alla fine si arrivati a malapena al 2%. Dati che fanno pensare a molti che è inutile puntare sul mercato consumer.
Ma non bisogna drammatizzare “E’ solo la fine del primo inizio” commenta il manager di provider wireless. Basta ripartire nel modo corretto puntanto sulle reti mesh, utilizzando il Wimax oppure concentrando il Wi-fi in zone ristrette dove è presente un gran numero di turisti o business people. In più, suggerisce Wired, è il caso di aggiungere anche un po’ di sana business reality. Che troppo spesso il mondo che ruota attorno a Internet ha lasciato nel cassetto.
Luigi Ferro
(Antietico?Unetico? insomma, il contrario di etico)...
Ho in cantiere da un po' di giorni un post sull'etica nel Marketing.. ma per una serie di motivi resta nella penna e uscirà solo quando avrò il tempo di scriverlo per bene. Diciamo tra qualche giorno, spero.
Nel frattempo raccolgo malvolentieri un esempio di marketing al limite della moralità, mettendo alla berlina un'azienda giapponese che produce... alcoolici per i bambini.
In realtà si tratta di prodotti senza nemmeno una goccia d'alcool, e quindi legali. Ma la birra per bambini, sia nel pack che nell'apparenza del prodotto, sembra proprio una birra vera.
Il prodotto ha ottenuto tanto sucesso che l'azienda (Sangaria) ha deciso lanciare sul mercato dei cloni di vino, spumante e cocktail per bambini, come si può intuire dal sito aziendale (se sapete il nipponico).
A me vengono in mente le sigarette di cioccolato di quando eravamo bambini.
Tutto da dimostrare, certo, che a bere la birra finta da bimbo, il soggetto si ritrovi a 30 anni ad essere l'Homer Simpson di Tokyo... però...
Herbalife, azienda specializzata nella distribuzione di prodotti dietetici (con fatturati mondiali di miliardi di dollari) sarà lo sponsor ufficiale dei Los Angeles Galaxy, la squadra per cui andrà a giocare David Beckham.
La notizia è interessante anche (solo?) perchè finora non era permesso sponsorizzare le magliette dei giocatori americani e Herbalife- se non è il primo - e' tra le primissime aziende che sperimenteranno questa forma di pubblicità.
Come forse saprete Herbalife è un'azienda spesso molto discussa, tra i sostenitori che la vedono come un ottimo esempio di network / multilevel marketing e i detrattori che la ritengono uno schema piramidale.
Valore della sponsorizzazione tra i 4 e i 5 milioni di dollari...
Link del sito ufficiale Herbalife Cosa ha da dire Wikipedia su Herbalife
...ovvero “la vittoria di Pirro” del gioco al ribasso. Il Telemarketing è uno strumento formidabile che genera ritorni a breve termine e misurabili, ma se non viene usato con la necessaria competenza produce effetti devastanti, in termini di risorse, mercato e immagine. E' un fenomeno ciclico: ogni tanto compaiono sul mercato dei “vu' telefunà” (così li chiamava l'amico e collega Mauro Morello), ovvero telemarketer improvvisati che sbagliano i preventivi e li redimono a danno del cliente, oppure che agiscono in perfetta malafede, ma il risultato è identico: tirano un tot di fregature ai malcapitati e spariscono. Dieci o vent'anni fa li chiamavo “Attila”, perchè bruciavano il mercato per anni; quantomeno, oggi il Telemarketing ha uno “storico” assodato e dopo un flop non si archivia più lo strumento liquidandolo con un “il TMKTG non funziona”, ma ci si rivolge ad un'altra agenzia. La legge Biagi, oltre a scontentare tutti ha peggiorato le cose: c'è chi per continuare ad impiegare i collaboratori a ritenuta usa personale per i trenta giorni previsti e poi li molla; questo significa che investire in formazione sarebbe inutile oltre che un suicidio, quindi addio qualità. Chi applica la legge se la deve comunque vedere con un mercato totalmente deregolamentato e per restare competitivo fa un altro errore: paga pochissimo gli operatori. RIflessione: chi accetta di lavorare per un compenso indecoroso? (la metà di quanto guadagna una colf); dunque per gli outsourcer non vale la pena di investire in formazione, tanto quelli che valgono qualcosa se ne vanno presto e per quelli che restano... non c'è formazione che tenga (e di nuovo addio qualità). C'è anche un altro scenario, più triste ancora: quelli che accettano perchè il mercato del lavoro attualmente è quello che è -specialmente nelle aree economicamente depresse del Paese- e quindi non hanno alternative. Comunque sia, cosa ci si può aspettare da teleoperatori improvvisati, malpagati e trattati peggio? Siamo ormai all'azzeramento della dignità professionale di un ruolo degno di rispetto che, se fatto con tutti i crismi, è un lavoro difficile e stressante; negli ultimi anni gli operatori di call center, definiti “i nuovi schiavi”, sono trattati come forzati della cuffia e buttati allo sbaraglio, per un misero compenso che non di rado è legato ai risultati (anche pura provvigione per il teleselling), ed ecco che fioccano gli appuntamenti strappati nel B2B, i servizi telefonici venduti ma mai richiesti nel B2C e compagnia cantante. Tra l'altro, un servizio di bassa qualità non sempre è il peggiore dei mali e non è raro che al danno si aggiunga la beffa: nel corso di incarichi di auditing su campagne dall'esito fumoso è emerso un dato singolare: pare che alcuni operatori siano dei fenomeni paranormali, infatti riescono a parlare persino con i morti, i trasferiti, i rappresentanti di cessate attività... e non hanno neppure bisogno del telefono, dato che fanno l'intervista a personaggi irreperibili o utilizzano numeri errati... Succede soprattutto quando la quotazione è a contatto e il cliente esagera col gioco al ribasso: c'è chi si ritira e non ci sta, ma c'è anche chi accetta e magari ribalta sui teleoperatori il sistema di quotazione; il risultato è che a fronte di un costo-contatto (troppo) basso, gli irreperibili diventano contatti dall'esito negativo. In medio stat virtus...e pure le colpe, che non sono mai di una parte sola: quando i clienti fissano il prezzo e ti strozzano, o chiudi o ci stai, se non hai la forza di aspettare che passi il reflusso del gioco al ribasso: un proverbio siciliano recita: “cala junco ca passa 'a china – abbassati giunco che passa la piena”. Si potrebbe dire che il mercato ha gli operatori che si merita, ma anche che gli operatori non hanno il nerbo per associarsi e opporsi a questo stato di cose, come invece hanno fatto gli Istituti di ricerca, i professionisti dotati di Albo e persino i tassisti e gli idraulici. Invece no, i telemarketer si piegano al gioco al ribasso, e né clienti né operatori si rendono conto che nessuno ha da guadagnarci: è una vittoria di Pirro per entrambe le parti. Gli operatori stanno a galla -se e quando ce la fanno- quasi sempre abbassando il livello qualitativo, i clienti spuntano un prezzo da fame ma ottengono un servizio da schifo: cui prodest? Ci sono dei costi incomprimibili e non c'è bisogno di una laurea ad Harvard per capirlo: anche la casalinga di Voghera si insospettisce di fronte ad un prezzo troppo basso; solo che finchè si tratta di tre etti di prosciutto è una cosa, se si tratta di business è tutt'altra! Così va a finire che per risparmiare poche centinaia di euro se ne sprechino o perdano decine di migliaia: come dice il proverbio, “chi troppo vuole, nulla stringe”. Si, ma la morale? Il telemarketing non e' una commodity (che è anche il titolo del prossimo post: la storia continua....) Segnalo un articolo molto interessante che offre dei magnifici spunti di riflessione; è dell'Harvard Business Review di maggio: “Anche le commodity hanno i loro clienti” - “Come Lafarge nel 2001, molte aziende hanno funzioni di marketing solo di nome. Le lezioni che Jacques ci propone in questo articolo possono servire a modello per altre aziende che cercano di sfuggire alla trappola delle commodity”. Potete acquistarlo on line in PDF, anche tradotto. Ecco il link
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