Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il mondo delle applicazioni mediche e sanitarie disponibili per smartphone e tablet è in continuo fermento. Un recente studio di Research2guidance ha stimato che sono cresciute di circa 100.000 unità solo nell’ultimo anno, raggiungendo la cifra record di 259.000. E’ cresciuto parallelamente il numero di sviluppatori (aumentati rispetto allo scorso anno di 13.000 nuovi protagonisti unità attestandosi a 58.000 in tutto il mondo) che evidentemente si attende molto da questo mercato. Che però stenta a decollare, o quantomeno stenta ad essere accettato seriamente dagli addetti ai lavori (medici, operatori sanitari, decision maker) e, per la prima volta, anche parzialmente dagli utenti (cittadini e pazienti).
Alcune spiegazioni sembra fornirle lo stesso studio, quando evidenzia come il numero più elevato di applicazioni non si traduce in una maggiore uso delle stesse. Il numero di download nel 2016 si prevede in crescita del 7% rispetto al 2015, ben lontano dalla crescita del 35% osservata nel 2015 rispetto al 2014 o a quella del 100% osservata nel corso degli ultimi 3 anni. Questo dato, pur essendo i linea con altre tipologie di applicazioni, riflette evidentemente un effetto “saturazione” del mercato. L’indagine ha inoltre evidenziato che solo il 28% delle aziende sviluppatrici delle app mediche opera nell’area medico/sanitaria, mentre il 51% di esse è rappresentata da industrie hi-tech e da sviluppatori senza alcuna esperienza pregressa in quest’area.
Il target preferito da parte degli sviluppatori è quello dei cittadini/pazienti. Medici, ospedali e aziende farmaceutiche suscitano meno interesse rispetto allo scorso anno, anche in conseguenza del fatto che una accettazione di tali strumenti da parte di questi attori è ancora complicata, soprattutto alla luce di una carente validazione scientifica e dimostrazione di efficacia. Lo studio getta un’ombra anche sulle applicazioni che hanno come obiettivo la modifica degli stili di vita. Sebbene questo sia ancora uno degli obiettivi a cui le aziende sviluppatrici puntano maggiormente, la loro percezione sul reale impatto di tali applicazioni è cambiata nel corso degli ultimi anni, anche in considerazione del fatto che molti cittadini, una volta installate sui propri dispositivi, smettono presto di usarle.
Al di là delle ragioni illustrate nello studio di Research2guidance, le ragioni per le quali il mercato delle app sanitarie stenta a decollare sono più profonde e riguardano tre specifici aspetti.
Il primo è quello della validità e della attendibilità delle app sanitarie e delle informazioni in esse contenute, soprattutto quelle che possono mettere a rischio la salute dei cittadini/pazienti. Il panorama è molto vario perché spesso le informazioni sono scarse e i controlli effettuati deludenti. Ad esempio, in uno studio condotto di recente sulle app disponibili sul sito del NHS inglese riguardanti la gestione dell’ansia e della depressione, solo 4 contenevano dati che ne attestavano l’efficacia e solo 2 utilizzavano indicatori validati. Anche la tecnologia indossabile non è esente dal problema, come testimonia la recente notizia di una class action intentata negli Stati Uniti nei confronti di Fitbit in seguito alla pubblicazione dei risultati di uno studio scientifico condotto da una nota Università americana che dimostra che due dei fitness tracker dell’azienda americana hanno fallito nel misurare i battiti cardiaci durante sedute di esercizio fisico moderato (con scostamenti anche di 20 battiti al minuto) nel confronto con una misurazione effettuata da un elettrocardiografo.
Il secondo è quello della mancanza nel campo della tecnologia della cultura della Evidence Based Medicine. Non basta infatti che le app (e i dati in esse raccolti e contenuti) siano attendibili, ma occorre dimostrare che il loro utilizzo si traduca in un vantaggio documentabile per i pazienti, medici, ospedali in termini di migliore prevenzione o gestione di malattie, di migliore qualità della vita o di riduzione dei costi. Mancano in questo contesto studi di efficacia sufficientemente affidabili che dimostrino su outcome clinici (o economici) la maggiore efficacia di questi strumenti rispetto a quelli tradizionali. Anche qui la letteratura è piuttosto eterogenea. Esistono studi che dimostrano che le app mediche/sanitarie possono favorire la riabilitazione e ridurre il numero di ricoveri ospedalieri nei pazienti sottoposti agli interventi di cardiochirurgia più semplici, aumentare l’adesione al trattamento farmacologico nei pazienti, e modificare gli stili di vita degli individui con implicazioni sulla prevenzione e gestione di malattie croniche come il diabete e l’ipertensione. Altri studi vanno invece in direzione opposta. Per esempio in un recente studio mirato a stabilire se un app (usata insieme a un fitness tracker) poteva essere d’aiuto a diminuire il peso in soggetti obesi, i dati ottenuti non sono stati migliori rispetto a un gruppo di controllo. Tuttavia gli studi condotti (sia quelli favorevoli, sia quelli sfavorevoli alle app e alla tecnologia indossabile) sono spesso limitati dal punto di vista della numerosità (coinvolgono spesso poche decine di individui) e da quello metodologico (poche sono le sperimentazioni cliniche controllate randomizzate che prevedono, oltre al braccio di intervento, un braccio di controllo), così come pure pare limitato il periodo di osservazione (in genere limitato a pochi mesi).
Il terzo aspetto riguarda la garanzia della privacy che dovrebbe accompagnare l’uso delle app sanitarie. Purtroppo il livello di sicurezza della privacy è piuttosto scarso. Lo aveva già dimostrato il Garante della Privacy italiano che nel settembre del 2014 aveva scoperto che il 50% delle applicazioni sanitarie non rispetta la normativa italiana sulla privacy e non mette gli utenti nelle condizioni di esprimere un consenso libero e informato al trattamento dei propri dati sanitari. Lo dimostra anche un recente studio condotto dall’Imperial College di Londra sulle applicazioni disponibili sul sito del NHS inglese. I ricercatori, analizzando le 79 app presenti nell’archivio, hanno scoperto che nessuna di esse codifica opportunamente sullo smartphone i dati relativi alla salute e che solo i due terzi di quelle che inviano dati personali attraverso Internet lo fanno usando sistemi di codifica cifrati. A ciò occorre aggiungere che solo il 67% delle app è dotata di policy sulla privacy, mentre il 20% di quelle che trasmettono dati sensibili su Internet lo fanno in assenza di alcuna policy.
In conclusione, è vero che, come sostiene il Green Paper del 2014 dell’Unione Europea, la mhealth (e specificatamente il mondo delle app mediche/sanitarie), offre numerose opportunità nel campo della promozione della salute, della prevenzione e della gestione delle malattie (soprattutto quelle croniche) e nella riduzione dei costi dell’assistenza, ma per coglierle completamente e per evitare che le app per la salute rimangano solo un mercato sono necessarie maggiori responsabilità e competenze medico-scientifiche da parte delle aziende sviluppatrici, maggiori garanzie del rispetto della privacy dei dati degli utenti, un’immediata regolamentazione da parte delle istituzioni italiane che obblighi le aziende a farsi carico del processo di validazione e certificazione almeno delle app mediche/sanitarie che mettono a maggiore rischio la salute dei cittadini/pazienti, una maggiore cultura tra gli addetti ai lavori della Evidence Based Health Informatics (la Evidence Based Medicine applicata all’informatica medica) e, soprattutto, una maggiore disponibilità da parte di aziende sviluppatrici, istituzioni, partner industriali a destinare fondi per condurre un corretta ed estesa ricerca in questo ambito.
Via Agenda Digitale
Concentrazione, specificità dei formati e mobile. Sono questi gli elementi critici del mercato del digital advertising individuati da Marta Valsecchi, direttore Osservatori Internet Media e mobile strategy degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano in un articolo pubblicato su LinkedIn. L’anno scorso, infatti, il comparto pubblicitario online è sì cresciuto, ma a una sola cifra, al ribasso rispetto alle iniziali aspettative e con percentuali inferiori se confrontate al resto d’Europa e del mondo.
Secondo Valsecchi ciò è dovuto principalmente alla tv: eventi sportivi e un abbassamento dei prezzi degli spot tv hanno impattato negativamente sul digitale. Per tornare ai tre fattori al centro dell’articolo, la concentrazione “è sempre più stringente”. In Italia, infatti, Facebook e Google hanno in mano il 68% del mercato online a fronte di un calo registrato “dagli operatori associati a FCP-Assointernet”. Quindi Valsecchi ha affrontato il tema dei formati, suddivisi in cinque categorie: display, search, classified, email e native. Ognuna di queste presenta caratteristiche e dinamiche proprie, ma è la display a fare la parte del leone, assorbendo il 57% degli investimenti (36% banner e 21% video); al secondo posto il search rimane stabile al 32% mentre il classified completa il podio al 9% mentre email e native fanno numeri ancora molto piccoli.
Valsecchi conclude parlando del mobile, vero e proprio traino del segmento grazie a una performance in ascesa del 54%, ma la sua quota è ancora lontana dai valori di traffico: solo il 30% degli investimenti contro “un tempo medio speso sul canale decisamente superiore a quello su Pc”. Di questo tema si parlerà il prossimo 9 febbraio, in occasione del Convegno dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy.
Via DailyOnline
Google is going to let advertisers target YouTube ads based on people's search histories, giving brands a whole new perspective into the consumer mindset.
On Friday, Google announced updates to its YouTube offering for advertisers, including a promise of new measurement tools to help marketers understand their campaigns. But it was the introduction of search data into the targeting of YouTube video spots that most intrigued advertisers.
Brands could start to consider pushing video ads to YouTube viewers who recently searched for a retail product, travel destination or movie show time.
"There has been targeting on YouTube based on what videos people watch there," said one top advertising exec, speaking on condition of anonymity because of a close relationship with Google. "Now, for anyone logged in, their search history can be applied to targeting on YouTube. There's some interesting possibilities there, and it greatly expands the audience advertisers could reach."
Google's search data is considered among the most powerful information for guiding advertising, but Google has kept it under tight wraps, careful when applying it toward ads outside the search experience.
Google faces extra scrutiny from regulators and privacy advocates when it comes to collecting consumer data and applying it to its ad products.
For years, the company kept a wall between search and other ad products, but increased competition from Facebook has made that commitment impractical.
Google declined to comment for this story, but did post a blog statement on Friday.
Google users can turn off ads personalization in their settings.
"As more viewership on YouTube shifts to mobile, we're making it easier for advertisers to deliver more relevant, useful ads across screens," Diya Jolly, YouTube's director of product management, said in the blog post. "Now, information from activity associated with users' Google accounts (such as demographic information and past searches) may be used to influence the ads those users see on YouTube."
Mr. Jolly described how someone searching for a winter coat could then see an ad in YouTube from a retailer.
Google said that more than 50% of YouTube video is viewed on mobile devices.
Google also revealed that it was working on a "cloud-based measurement solution" over the next year, to give advertisers more information into how their campaigns perform but balancing that with consumer privacy.
The measurement development appears to be a nod to the advertising uproar over the past few months, in which brands have begun to question the accuracy of the numbers coming out of the platforms like YouTube and Facebook.
"With this new solution, advertisers will have access to more detailed insights from their YouTube campaigns across devices, so they can better understand the impact of their campaigns on their highest-value customers," Mr. Jolly's blog post said. "For instance, a car manufacturer could get a rich understanding of how YouTube ads across devices influenced a specific audience (like previous SUV buyers)."
via Advertising Age
“Shaping the Future of Retail for Consumer Industries” è uno dei più recenti report pubblicati dal World Economic Forum (in collaborazione con Accenture), visionabile e scaricabile qui gratuitamente.
Il prossimo decennio potrebbe essere l’età d’oro per i consumatori che hanno sempre più scelte e controllo sugli acquisti. Il retail si sta trasformando, la tecnologia abilita e spinge a nuove sfide nella relazione con il cliente, nei processi produttivi, si perdono le differenze tra distributore e fabbricante, si modificano i confini tra offline e online, si ridefiniscono modelli di business, si impone un ripensamento degli attuali sistemi di delivery.
Insomma, è un settore in grande rinnovamento, del quale il report offre insight per i prossimi 10 anni.
In particolare, il report analizza il futuro del retail attraverso le 8 tecnologie che avranno maggiore impatto nei prossimi anni e quali benefici e criticità porteranno:
1. Internet of Things (IoT)
2. Autonomous vehicles (AV)/ drones
3. Artificial intelligence (AI)/ machine learning
4. Robotics
5. Digital traceability
6. 3D printing
7. Augmented reality (AR)/ virtual reality (VR)
8. Blockchain
Figure 2: Eight disruptive technologies: Value chain applications and key benefits – Source: Accenture/World Economic Forum analysis
Figure 3. Current readiness levels of disruptive technologies and key enablers to reach full readiness
NOTE: White portion of Harvey ball indicates readiness
Via Startupbusiness
È stato un 2016 d’oro quello vissuto dal mercato delle applicazioni mobile. A livello globale, infatti, l’anno scorso i consumatori hanno trascorso circa 900 miliardi di ore sulle applicazioni, 150 in più rispetto al 2015. A raccontare queste cifre impressionanti è il rapporto annuale di App Annie. La crescita è comune a tutti i Paesi ed è stata nell’ordine del 20% su base annuale. App Annie fotografa una mobile app economy in discreta salute: il tasso di utilizzo, che rileva per quanto tempo e quanto spesso i consumatori navigano una applicazione, è un indicatore critico e i dati rilevati certificano il successo. Questo parametro talvolta è trascurato e si tende a pensare al comparto delle app guardando ai download, un’altra metrica chiave che va integrata e analizzata in relazione alla precedente.
Le app generano denaro per 127 miliardi di dollari
Nel 2016 i publisher hanno incassato 35 miliardi di dollari tra l’App Store e Google Play, per un incremento di circa il 40% sull’anno prima. Il giro d’affari delle app è stato di 127 miliardi di dollari, di cui 89 miliardi sono finiti nelle mani degli sviluppator – il 30% viene trattenuto da App Store e Google Play. La curva dell’App Store è stata positiva con valori in salita del 50%: su installazioni e vendite la parte del leone è stata fatta dalla Cina, un mercato sempre più fondamentale per la Mela. Sempre la Cina è stata responsabile dell’80% della crescita nelle installazioni di app su sistemi operativi equipaggiati con iOS.
Oltre 90 miliardi di download
Complessivamente i download sono stati oltre 90 miliardi, 13 in più considerando l’App Store e Google Play. È stato quest’ultimo a fare da traino, specialmente nei mercati emergenti. Per gli smartphone Android, le tre categorie campioni per crescita sono state comunicazione, social e player video ed editori mentre il Paese leader per download sul sistema operativo è stato l’India, davanti per la prima volta agli Stati Uniti. Senza nessuna sorpresa, Facebook, WhatsApp, Messenger, Instagram e Snapchat sono state le app a maggiore crescita. Spotify, Line, Netflix, Tinder e HBO Now sono quelle che hanno assorbito la fetta più consistente di denaro.
Tra le categorie il gaming è la più remunerativa
Al top per ricavi c’è sempre il gaming, che nel 2016 ha generato il 75% delle entrate di iOS e il 90% di quelle di Google. È interessante notare questa differenza: Big G sembra essere game-dipendente quando si parla della monetizzazione delle app. Su iOS solo la categoria ‘Giochi di ruolo’ ha prodotto la metà degli introiti nell’universo di riferimento. I giochi di maggior successo sono stati Pokemon Go, vicino per poco al miliardo di ricavi, e SuperMario Run, il cui modello di business è però ancora da rodare.
Via DailyOnline
Video, è stata questa la tendenza protagonista del mondo pubblicitario nel corso dell’ultimo anno. Eppure, stando a uno studio di eMarketer, in Italia il tasso di penetrazione di chi visualizza filmati online è il più basso dell’Europa occidentale, pari al 41,4%. Dati non troppo confortanti, che la società di ricerca dice essere legati a due principali fattori: il carattere rurale del nostro Paese da una parte; e la bassa velocità di connessione dall’altra. A livello euro-occidentale saranno circa 219 milioni i video viewers nel 2017 con una penetrazione del 68% mentre i Paesi più importanti a livello numerico sono Gran Bretagna e Germania.
I consumatori francesi, tedeschi, italiani e spagnoli, poi, mostrano ancora un grande interesse nei confronti della tv lineare, un freno nello sviluppo del segmento del digital video advertising. Nel 2016 la pubblicità video, stando agli ultimi dati resi noti dal Politecnico di Milano, in Italia ha raggiunto quota 500 milioni, un bel balzo in avanti del 38% rispetto all’anno prima, al 21% del totale investimenti. Dei 210 milioni aggiunti l’anno scorso, 140 sono andati al video. La crescita della spesa in quest’area è dettata da due tendenze: i social media e gli Over The Top, Facebook e YouTube in primis. Il contesto di fruizione è rappresentato sempre più dai dispositivi mobile, vero e proprio driver dell’erogazione di clip video.
La rilevanza del video nei piani degli operatori dell’industry è stata ulteriormente ribadita da una nuova operazione di mercato. Mediaset, infatti, ha annunciato settimana scorsa di essere entrata nel capitale di Studio71, multichannel network lanciato dal broadcaster tedesco ProSiebenSat.1 partecipato anche dalla francese TF1. Per Mediamond, la concessionaria pubblicitaria digitale del Biscione, si tratta di un tesoretto di circa 40 milioni di clip mensili, pronte per essere monetizzate.
Il commento di Andrea Lamperti
Con l’obiettivo di approfondire il tema, DailyNet ha intervistato Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano.
Il problema non è il video, ma lo stato di internet
«A proposito dell’evidenza emersa dallo studio di eMarketer, vale a dire il basso tasso di penetrazione degli utenti che fruiscono video, ci tengo a precisare che il video, sia digitale sia tradizionale, riveste un ruolo centrale in Italia. I consumatori sono da sempre video-centrici. La tv ha svolto un importante ruolo sociale di aggregazione, che oggi riguarda anche il video online; ciò è ancor più valido per le fasce più giovani».
Quindi Lamperti ha sottolineato come il dato restituito da eMarketer «sia un valore che si rifà al totale della popolazione italiana nel suo complesso, non solo quella internet. Le due motivazioni di eMarketer, cioè il carattere rurale dell’Italia e la scarsa diffusione di internet nel Paese, sono reali, ma se prendiamo in considerazione il totale della popolazione online rilevata da Audiweb, circa 30 milioni di persone, il rapporto cambia e si alza attorno all’80%, un valore superiore a quello di altri Paesi». In sintesi, per Lamperti la fotografia scattata da eMarketer è figlia della scarsa diffusione di internet, non di una ridotta adozione del video. Che, anzi, piace e continua a evolversi.
Video, cresce la presenza online dei broadcaster
In merito, invece, allo sviluppo degli investimenti video, Lamperti ha evidenziato lo sforzo dei broadcaster. «Mediaset, Rai, Sky hanno cominciato da anni a rafforzare l’offerta di video on demand online, talvolta anche attraverso servizi ad abbonamento. A spingere questa tendenza sono la concorrenza estera, Netflix e Amazon Prime Video su tutti, e gli investimenti per la differenziazione degli introiti intrapresi dai broadcaster e dettati dalla migrazione dell’audience», ha spiegato. Per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria i volumi sono ancora bassi. «È ancora presto – precisa Lamperti -. Tuttavia alcuni operatori hanno già una capacità e una proposta commerciale rilevanti anche sull’online. Le aspettative per questo segmento per l’anno appena iniziato sono positive».
Nuove soluzioni e formati
Quindi Lamperti ha affrontato il tema delle soluzioni video emergenti, come il live streaming e i filmati a 360 gradi, e le conseguenti opportunità per il marketing e la comunicazione. «Questi strumenti spesso sono utilizzati come effetto novità: non sempre però rimangono o mietono grandi successi. E soprattutto in ambito pubblicitario alcuni formati a grande impatto possono non essere performanti, seppur connotati da grande engagement. Insomma è difficile che convertano. In ogni caso sono tutte novità utili a generare innovazione, entusiasmo e interesse sui nuovi formati online».
Infine Lamperti ha segnalato le aspettative di monetizzazione in campo video non solo per attori tradizionali come Facebook e Google, ma anche per «piattaforme come Instagram, sempre di proprietà di Facebook, e altre minori». «E per 2017 – ha concluso -, ci aspettiamo grandi cose anche dai broadcaster».
Via DailyOnline
Arriva la classifica The Most Innovative Companies stilata dalla Boston Consulting Group (BCG), multinazionale specializzata in consulenze di management. In cima alla classifica, per 12 edizioni consecutive, Apple inseguita da Google che negli ultimi tre anni si è sempre posizionata al secondo posto. Un vero e proprio testa e testa, che con il recente ingresso nel mondo della telefonia di BigG potrebbe presto invertirsi. Secondo BCG dopo i due colossi c’è spazio anche per Tesla, la casa automobilistica dietro le popolari (ma lussuose) elettriche, seguita poi da Microsoft, in posizione stabile, e poi da Amazon, che avanza di quattro posti.
Si deve infatti arrivare all’undicesima posizione occupata dalla Bayern e poi scendere alla quattordicesima di BMW per trovare le prime due realtà del Vecchio Continente. La lista arriva poi fino alla 50a posizione, passando per realtà più digitali, come Expedia, Airbnb e Uber, e quelle più convenzionali, come Nike, Honda o BASF.
Presente anche Xiaomi, che però si ferma alla 35a posizione. Gli autori dello studio spiegano come le aziende entrate nella classifica si sono dimostrate “capaci di scandagliare, captare ed elaborare con efficienza e i segnali innovativi che giungono da mondi diversi e veloci nel portarli al proprio interno”.
L’evolversi della classifica denota invece come il margine di innovazione e rinnovamento sui settori più hardware, in senso lato, sia sempre più sottile. Non a caso le prime posizioni, salvo rare eccezioni, sono dominate da società fornitrici di servizi.
Via corrierecomunicazioni.it
Dai nuovi dati dell’Audiweb Database*, il nastro di pianificazione con i dati dell’audience totale di internet (total digital audience), risulta che nel mese di novembre 2016 la total digital audience ha raggiunto 30,1 milioni di utenti, il 54,7% degli italiani dai due anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona.
Nel giorno medio erano online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite i device rilevati – PC e mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni) per 2 ore e 23 minuti per persona. Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona.
A novembre era online nel giorno medio, sia da pc che da mobile (smartphone e tablet), circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni.
Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).
Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile (smartphone e tablet), con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile.
Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza).
Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.
Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni).
via Sp ot and Web
A novembre sono 30,1 milioni gli utenti italiani online, pari al 54,7% della popolazione dai 2 anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona. A rivelarlo sono i dati Audiweb rilasciati nella giornata di oggi.
Nel giorno medio online 23,1 milioni di italiani
Nel giorno medio sono stati online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite PC e mobile per 2 ore e 23 minuti per persona. Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona. A novembre è stato online nel giorno medio circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni. Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).
Il mobile leader nella distribuzione del tempo di fruizione
Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile, con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile. Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza). Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.
Categorie, non c’è storia per Audiweb: vince sempre la search
Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni).
Via DailyOnline
L’intelligenza artificiale è la capacità delle macchine o dei computer di emulare il pensiero umano o il processo decisionale. Un’area chiave all’interno dell’AI è il machine learning, derivante dai processi di automatizzazione del planning digitale, già anticipato da Zenith nel mese di novembre. Utilizzando algoritmi su misura, una task force di data scientist e specialisti strategici di Zenith ha sviluppato un sofisticato sistema di digital planning, sfruttando la tecnologia machine learning dell’agenzia e consentendo al network di creare un processo di automazione: raccolta dati, attribuzione e pianificazione dei cambiamenti attraverso molteplici touchpoints – il tutto realizzato automaticamente. I 10 trend presentati sono utili per valutare come il machine learning e altre aree dell’AI miglioreranno l’esperienza del consumatore durante il processo d’acquisto e creeranno nuove opportunità di marketing per i brand.
Trend 1 Predicting our needs: l’AI accrescerà l’importanza del ruolo della search nel processo di acquisto dei consumatori La Search incrementa le capacità predittive; riesce infatti a fornire informazioni sempre più precise riguardo al consumer journey dei consumatori, guidando così sia le riflessioni che le conversazioni. Durante il 2017, i motori di ricerca inizieranno ad includere nei propri dati tutte le informazioni sui comportamenti del consumatore, informazioni che la tecnologia dell’intelligenza artificiale utilizzerà per aumentare la capacità predittiva del mezzo. Tutto ciò darà chiare opportunità ai brand di anticipare al meglio le esigenze dei consumatori e di implementare strategie di cross-selling.
Trend 2 Speeds is the New Black: Turbo-charging la consegna dei Trend Content Negli ultimi anni, la quantità di dati a disposizione del mercato è aumentata notevolmente. I brand hanno quindi potuto individuare rapidamente le tendenze e adeguare le proprie strategie di marketing e di comunicazione. Con la crescita costante di dati a disposizione, la pratica del machine learning contribuirà significativamente a semplificare il processo di analisi, permettendo di elaborare gli stessi dati provenienti da fonti diverse per identificare rapidamente i trend e gli schemi sottostanti. Ciò aiuterà i brand ad analizzare le strategia dei brand concorrenti e a cavalcare i nuovi trend. Da un lato gli specialisti del content nelle agenzie saranno in grado di creare gli asset più idonei per raggiungere il consumatore e soprenderlo, dall’altro i brand potranno sviluppare prodotti in grado di soddisfare le ultime esigenze delle diverse categorie di mercato.
Trend 3 Always-on Insights: la raccolta dei dati non-stop attraverso il Passive User Interface Il Passive User Interface raccoglie in modo continuativo i dati comportamentali dai dispositivi digitali dei consumatori e attraverso l’approccio del machine learning sarà in grado di fornire ai brand insight rilevanti che potranno essere utilizzati per personalizzare le esperienze di consumo. Alcune aziende stanno già utilizzando i dati forniti dai PUI; la piattaforma di Spotify, ad esempio, utilizza i dati del tracker per personalizzare le playlist degli utenti. Un uso più diffuso dei dati PUI consentirà ai brand di progettare contenuti e servizi personalizzati e di impostare strategie di prezzo appropriate. I dati del PUI potranno anche essere condivisi dai diversi brand e nelle diverse categorie per creare ulteriori punti di contatto/esperienza per i consumatori.
Trend 4 Cross-Device Storytelling: i progressi del Programmatic nelle conversazioni automatiche La tecnologia del machine learning mette direttamente in contatto i brand con i consumatori e non solo con i loro device. I brand raccolgono molti dati di prima parte, e l’AI permette di comprendere come coinvolgere i consumatori con diversi messaggi in contesti e tempi differenti. I brand potranno quindi automatizzare le loro conversazioni con il target di riferimento utilizzando il cross-device programmatic advertising creando esperienze senza soluzione di continuità con l’obiettivo di accelerare sia l’acquisto che il ri-acquisto.
Trend 5 Shoppable Content: acquistare direttamente dai contenuti per migliorare l’esperienza del consumatore Il 2017 sarà l’anno del “Shoppable Content”: la possibilità di acquistare direttamente da contenuti editoriali e di brand. In pratica “gli algoritmi evolutivi”, tecniche dell’AI ispirate al principio della selezione naturale, potranno scegliere e ottimizzare le informazioni in risposta alla navigazione del consumatore, creando contenuti personalizzati in diretta, con la possibilità di insererirli in carrelli della spesa virtuali. Questi ultimi ricreeranno quindi la funzionalità dei siti e-commerce senza che i consumatori debbano attivare nuovi account o fornire i dati della carta di credito per ogni nuovo sito che visiteranno. Lo “shoppable content” permetterà sia ai brand che agli editori di fidelizzare i consumatori sui loro siti, evitando il passaggio su altri siti per l’acquisto. I brand dovranno pensare e sviluppare i contenuti come una combinazione di testo, immagini e attività interattive in grado di creare un’esperienza di shopping ingaggiante.
Trend 6 Smart VR: Virtual Reality la nuova opportunità per i brand attraverso gli Smartphone La realtà virtuale si sta spostando dal solitario mondo dei giocatori anche a quello più mainstream dei consumatori che infatti la sperimentano attraverso i loro smartphone, considerati i nuovi driver di questo fenomeno. Facebook e Twitter hanno già un sistema di live-streaming al quale è possibile accedere utilizzando le cuffie collegate ai propri smartphone. L’utilizzo della VR mainstream presenterà per i brand molte opportunità di marketing: ad esempio, i rivenditori avranno la possibilità di modificare le modalità di acquisto presentando ai consumatori i prodotti senza la visita ai punti vendita.
Trend 7 The rise of the chatbots: la comunicazione automatica e diretta tra brand e consumatori Spinte dal machine learning, le chatbots permettono l’interazione automatica tra consumatori e brand tramite un’interfaccia di messaggistica. Le chatbots possono aiutare i consumatori con alcune funzioni tra le quali i pagamenti e la ricezione delle notifiche di consegna/spedizione. Le chatbots aiutano i brand a ridurre i costi del servizio di assistenza per i clienti e ad aprire un dialogo con i consumatori. Un’altra grande opportunità per i brand sarà quella di creare un contatto diretto e personalizzato con i consumatori sulla base degli insights emersi nelle chat.
Trend 8 Emotion Recognition Technology: aiuta i brand a recepire le emozioni dei consumatori La diffusione degli smartphone e la condivisione continua dei propri stati d’animo fa sì che il consumatore abbia sempre con sé un rilevatore di emozioni. Questo permetterà ai brand di collegare gli stati d’animo e i comportamenti dei consumatori a comunicazioni mirate, pertinenti e al momento giusto. Ad esempio, i brand legati ad uno sport o ad una squadra potranno utilizzare questa tecnologia per offrire esperienze personalizzate e ingaggianti nel corso di un evento sportivo.
Trend 9 Dynamic Pricing: gli algoritmi consentono l’automatizzazione dell’adeguamento del prezzo in base alla domanda Grazie all’elaborazione e all’analisi dei dati di vendita, l’algoritmo Dynamic Pricing consentirà alle brand di adeguare il prezzo dei prodotti online considerando il potere di acquisto del consumatore. I prezzi presenti online sui siti e sulle app potranno quindi modificarsi costantemente. Un esempio è quello di Uber che ha introdotto l’algoritmo di Surge Pricing per adeguare automaticamente i prezzi per eccesso negli orari di picco della domanda.
Trend 10 Automated assistance: il servizio robot arriva nei negozi Nel mondo dell’industria i robot sono una realtà ormai da molti anni. Oggi, la tecnologia ha sviluppato una combinazione di sistemi di automazione fisici e digitali per creare robot che lavorino fianco a fianco con gli esseri umani. Le opportunità più evidenti e immediate saranno nella vendita al dettaglio. I robot forniranno informazioni sui prezzi, sulle disponibilità di magazzino e, utilizzando particolari algoritmi, saranno in grado di offrire suggerimenti sui prodotti e sulle promozioni in corso. Oltre alla vendita al dettaglio le opportunità di sviluppo riguarderanno anche l’ospitalità alberghiera, le cure sanitarie e l’aiuto domestico.
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