Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Per chi si avvicina per la prima volta all’Enterprise Social Intelligence è molto difficile distinguere tra il processo da seguire e i Tool che lo compongono. Ancor più difficile risulta valutare la qualità dei vari strumenti, dal momento che questa si misura attraverso l’analisi dei risultati che se ne ottengono, operazione per la quale sono necessarie competenze specifiche e il tempo di dedicarvisi per fare raffronti tra strumenti simili. Per questo, nell’analisi ci siamo avvalsi dell’esperienza in materia della dott.ssa Marina Suardi, Leader del Team di Data Science di QuestFactory, società specializzata in Enterprise Social Intelligence.
Sintetizzando, i punti evidenziati dalla dott.ssa Suardi abbiamo cominciato l’analisi di una selezione degli oltre 130 Tool rilevati sul mercato, partendo da quelli ad uso gratuito. In una serie di prossimi post passeremo quindi alla rassegna di quelli più sofisticati, e a pagamento, in grado di assicurare più funzioni e risultati di maggior qualità.
In pratica, i Tool di “Social Media Monitoring”, o “Social Media Listening” servono ad ascoltare ciò che viene detto sulla rete in relazione ad un determinato Brand (marchio), prodotto, servizio, settore o anche in riferimento a specifiche campagne promozionali, eventi o iniziative. A tal fine, le operazioni che svolgono i Listening Tool sono le seguenti:
- Navigano sulla rete, usando anche specifiche API e accordi commerciali con i vari Social Media per accedere ai loro contenuti;
- Indicizzano i siti e ne classificano i contenuti;
- Consentono di scegliere i contenuti da rilevare in base a keyword e filtri, operando analogamente a come si fa normalmente con le ricerche su Google;
- Offrono meccanismi per eliminare dai risultati quelli non attinenti, il rumore e l’eventuale spam.
Vediamo quindi una breve rassegna di Listening Tool e quanto questi rispondono alle caratteristiche e ai principali requisiti che dovrebbero rispettare.
1. Google Alerts
La rassegna dei Tool di ascolto della rete non poteva che cominciare dal più antico e noto di questi strumenti, Google Alert, che fa parte della ricca famiglia di Tool messi a disposizione da Google che, ovviamente, ha tutto l’interesse a facilitare le ricerche sulla rete e il compito di chi vi investe, così da raccogliere dati dai naviganti ed esser molto più efficace nel proporre loro pubblicità mirata.
Google Alerts è di uso semplicissimo e immediato, a patto di avere un account su Gmail. L’ascolto della rete può esser impostato per citazioni (mention), parole chiave, argomenti, considerando che nella scelta si ha massima libertà e che quindi può esser usato anche per monitorare i concorrenti.
Il Tool risulta utilissimo, ad esempio, per fare del Guest Posting, ovvero per pubblicare commenti o contenuti sui Post di personaggi autorevoli che normalmente trattano le materie – prodotti, servizi, tematiche – di proprio interesse. Come si rileva dalla figura, è molto semplice da configurare e attivare: una volta entrati con le propre credenziali, basta inserire quanto di proprio interesse e da quel momento in poi, Google Alert invierà una mail all’interessato ogni volta che ci saranno degli elementi nuovi in relazione a quanto specificato.
Ottimo strumento per iniziare, ma con numerosi limiti: non c’è alcuna indicazione sul tono della citazione, se le citazioni sono tante si rischia di esser inondati di mail, non si può operare in modo sincrono con la rete, visto che le mail vengono inviate di tanto in tanto, non sono selezionabili le fonti da monitorare… Insomma, Google Alert è un eccellente Tool per ricevere indicazioni puntuali, ma non certo per lavorare su grande scala, inserendo filtri e condizioni più o meno sofisticate.
2. Klout
Francamente, trovo che nelle valutazioni che genera, Klout sia piuttosto misterioso. Di fatto, questo tool rileva sulla rete tutto ciò che attiene un determinato autore, monitorandone i contenuti pubblicati e le reazioni suscitate sui principali Social Media: Twitter, Facebook, Linkedin, Blogger e via dicendo. Si tratta di una vista parziale, considerato che gli sfuggono i siti di news, i forum e tante altre fonti. Tuttavia, Klout ha la pretesa di sintetizzare il “peso” dell’autore attribuendogli un punteggio da 0 a 100. Un buon metodo per valutare gli influencer, ma con una visione un po’ distorta dell’insieme della rete, non orientabile in altre direzioni che non gli autori e senza esprimere alcun giudizio sulla positività o negatività delle reazioni generate.
Tant’è che Klout ha alcuni fervidi sostenitori, ma altrettanti detrattori che ne contestano il sistema di attribuzione dei punteggi.
Indipendentemente da ogni altra considerazione, Klout può esser utile per valutare gli Influencer, magari andando ad approfondire su cosa stanno scrivendo e su quale pubblico si indirizzano, bilanciando anche tra il peso individuale e quello della testata o del brand che rappresentano. Ad esempio, per dare un’idea, il punteggio attribuito a Beppe Severgnini è 80 – forte del Corriere della Sera e di un pubblico generalista come i lettori ai quali si rivolge -, Barak Obama è a 99, mentre io mi fermo a 47, cosa per altro comprensibile dal momento che mi occupo solo di pochi argomenti, molto specifici e per un pubblico di nicchia.
Un altro modo di usare Klout è scegliere un argomento – keyword – e vedere chi viene giudicato come tra i più autorevoli, sebbene non sia possibile inserirvi filtri particolari né operare in lingua italiana.
Nulla di più, ma gratis!
3. Mention
Molto simile al precedente, ma con più funzioni e la possibilità di operare in 42 lingue diverse, Mention consente di monitorare le citazioni del proprio marchio, dei propri prodotti, di argomenti di proprio interesse e molto altro ancora, selezionando le fonti da ascoltare, così come la lingua o le lingue da considerare.
Questo Tool consente di tenere traccia delle citazioni, di fissare degli allarmi, anche in modo condiviso, di gestire le azioni da intraprendere in seguito alle segnalazioni ricevute.
Con la versione gratuita si potranno ricevere degli Alert via mail in corrispondenza di ogni citazione rilevata, ma è anche possibile sottoscrivere dei piani di abbonamento che partono da 29 dollari al mese, superando facilmente anche i 100, per ricevere Report sintetici e strutturati in vari modi in funzione delle necessità dell’azienda. Per valutarne la corrispondenza alla proprie esigenze, si può attivare un piano gratutito di due settimene e quindi decidere se procedere o meno.
In ogni caso, i dati sono sempre di tipo puntuale e non propongono analisi di sentiment, di trend, né la comparazione tra varie fonti e livelli di engagement. In compenso, risulta molto e più funzionale di Klout nel rilevare piccole quantità di segnalazioni da gestire in modo artigianale “una a una”…
4. Social Mention
Indubbiamente, Social Mention è uno dei Tool più completi e sofisticati tra quelli utilizzabili gratuitamente. Ha un’interfaccia essenziale – le stringhe di interrogazione vanno inserire nell’unica riga che appare sulla Home Page in modo simile a quella di Google. Offre un’eccellente copertura dei Social Media, rileva le keyword, gli hashtag, i siti.
E’ anche in grado di valutare il Sentiment, l’Engagement e molti altri parametri utili a chi vuole “ascoltare” la rete per trarne indicazioni di valore, ma per noi ha un grosso limite. L’unica lingua attualmente supportata è l’inglese e lo stesso dicasi per i Social Network “ascoltati”, che tuttavia sono circa un centinaio.
Un aspetto apprezzabile e unico è che analizza i dati relativi a sentimente e influence sulla base di quattro parametri: Strength (Forza), Sentiment, Passion e Reach, calcolato dividendo il numero degli autori unici che citano il marchio per il numero totale delle citazioni.
Sebbene sia di uso intuiitivo ed estremamente semplice, in rete ci sono anche le istruzioni per usarlo sfruttandone le funzioni più avanzate.
Il solo punto che mi lascia perplesso e dubbioso è relativo all’azienda che sta dietro a Social Mention e al suo modello di business. Infatti, se da un lato non si capisce bene da dove traggano i ricavi – non solo il servizio è totalmente gratuito, ma non ne esiste alcuna versione più avanzata “a pagamento”, come accade nella maggior parte dei tool di questo genere – dall’altro non è chiara la consistenza dell’azienda, la sua localizzazione, chi ne sono gli investitori.
Anche su Linkedin, oltre alla descrizione generica dei servizi che offre (a social media search platform that aggregates user generated content from across the universe into a single stream of information), ne compaiono solo 3 collaboratori: il canadese Jon Cianciullo, più un americano basato in Florida ed un tedesco di Berlino. Molto strano per una società che è attiva da parecchi anni e che offre un servizio di indubbio valore…
5. IceRocket
Icerocket ha una storia molto carina dietro le spalle, che val la pena di esser raccontata prima di illustrarne le peculiarità.
Nasce nel 2004 a Dallas grazie ad un finanziamento di Mark Cuban, per eseguire ricerche in tempo reale su Internet via PDA, puntando a diffondersi unicamente per passaparola. Una formula che non ha avuto molto successo, ma che grazie alle tecnologie sviluppate ha attirato le attenzioni del gruppo Meltwater che l’ha acquisita nel 2011.
A sua volta, anche Meltwater ha un’interessante storia da ricordare. L’azienda è nata nel 2001 in Norvegia, a Oslo, e come tutte le società scandinave che hanno una vocazione all’internazionalizzazione nel proprio DNA, è partita con 15.000 dollari, ma sin da subito operando in inglese e puntando al mondo come mercato.
L’obiettivo con il quale è partita era semplificare l’assunzione di decisioni, utilizzando i dati come fattore determinante e Internet come fonte.
Il primo problema con il quale Meltwater si è cimentata è stato creare delle rassegne stampa in modo automatizzato, anticipando così “l’ascolto” delle conversazioni e delle News sulla rete e sui Social Media.
Dal successo conseguito in patria, la rapida espansione in Europa e quindi negli USA sino al grande passo: lo spostamento del quartier generale dell’azienda a San Francisco, integrato da uffici in altri 20 paesi e 41 città del mondo. Da qui la continua espansione del portafoglio prodotti e servizi, oltre che della clientela, con varie acquisizioni tra le quali IceRocket che continua ad offrire i propri servizi di ascolto della rete in forma gratuita, ma considerandoli come complementari all’offerta della capogruppo.
Con queste origini, non può sorprendere che IceRocket sia multi-lingua, multi-geografico e multi-fonti nell’ascolto di Blog, dai quali è partito, allargati quindi a Forum, Social Media Tools, News, immagini… Basta inserire le keyword da monitorare, il peridodo di rilevazione, le fonti da considerare e il Tool ne rileva le citazioni.
Anche in questo caso, però, come nella maggior parte dei tool/servizi gratuiti, i dati vengono proposti in forma tabellare, con pochi elementi di sintesi e analisi.
6) HowSociable
Piuttosto diffuso – 250.000 clienti – HowSociable è disponibile sia in forma gratuita, con alcune limitazioni in quanto a metriche e fonti, sia a pagamento con tre piani di abbonamento mensile, basati sulla quantità di dati da rilevare.
Sul mercato dal 2008, risulta molto semplice da configurare e utilizzare, fornendo alcuni parametri di valutazione, a cominciare da “Magnitude Score” che riflette il livello di attività associato alla keyword osservata nel periodo scelto. L’intervallo va da 0 a 10, con il valore più basso attribuito a quando si hanno bassi livelli di attività.
Si tratta tuttavia di un parametro che riflette le azioni, non il sentiment o l’engagement del pubblico. In ogni caso, nella versione a pagamento, HowSociable mette a disposiizione 36 metriche per valutare la presenza sui Social, ma non consente di utilizzare dei filtri sulle lingue, sulla geografia.In compenso, offre anche dati di carattere storico a partire dal 2008.
Tra i siti coperti ci sono: Twitter Facebook YouTube LinkedIn Google Plus Tumblr yFrog Lockerz Blogger WordPress Foursquare GetGlue Amazon Ebay Apple Etsy Reddit StumbleUpon Digg Hacker News LiveJournal Posterous MySpace Ning 4chan Xing MeetUp SoundCloud DailyMotion Vimeo Flickr Instagram TwitPic PhotoBucket Quora Pinterest. Nella versione gratuita, per la quale occorre comunque registrarsi, i siti coperti sono solo 12, ivi inclusi Tumblr e WordPress ma non Facebook e Twitter, mentre per avere una vista su tutti gli altri occorre sottoscrivere un abbonamento a pagamento.
L’uso migliore di HowSociable è per valutare l’efficacia e la reattività dei vari canali Social rispetto ai propri interessi, senza però poter svolgere alcuna comparazione con concorrenti o altre organizzazioni.
7. Addictomatic
Addictomatic è un eccellente esempio di tool di ascolto di pessima qualità, sulla base dei parametri indicati dalla dott.ssa Suardi e non solo. Ma andiamo con ordine.
Nella figura, ci sono i risultati dell’indagine sulla keyword “Enterprise Social Intelligence”, tema sul quale abbiamo pubblicato vari pezzi su questo sito, riprendendoli poi su Linkedin, Twitter, Facebook. Ora, mentre può esser comprensibile che nell’ascolto il sito www.itware.com non sia incluso, è sorprendente che, contrariamente ad atri tool, non abbia rilevato i tweet ed i retweet su Twitter, uno dei siti indicati come oggetto di attenzione
In secondo luogo, mentre l’ascolto comprende numrosi siti tra i quali Flickr, YouTube, WordPress, Bing News, Delicious, Google, Ask.com, lascia perplessi la scelta di non considerare né Facebook – forse anche a causa della scelta di quest’ultima di non dare più facile accesso ai propri dati – né Linkedin. Cosa della quale ci si rende conto solo in seconda battuta, visto che questi due sono tra i più trafficati al mondo e quindi dovrebbero costituire il principale punto di partenza di ogni Tool di Listening. Ma non è tutto!
Detto della scarsa qualità dei dati e della limitata lista di Social Media monitorati, si aggiungono alla lista delle mancanze la possibilità di definire i periodi di ascolto, di valutare la geografia delle fonti e tutte le altre funzionalità di filtro indispensabili per svolgere una qualsiasi analisi di tipo professionale. Per non considerare vari altri elementi tipo la possibilità di aggregare i dati in report, di valutare il tono dei contenuti, di svolgere dei confronti comparativi.
Gli unici due meriti? E’ gratuito e facile da usarsi, ma considerati i risultati può essere addirittura pericoloso in quanto induce a delle conclusioni che solo apparentemente derivano da dei dati…
8) HootSuite
Come ultimo di questo breve elenco di Listening Tool gratuiti ho tenuto Hootsuite, che forse di tutti è il migliore, ma che di fatto non è un vero e proprio Tool di Ascolto, quanto un insieme di Tool che offrono vari servizi, il primo dei quali è una Dashboard Online nella quale si possono inserire in una visione unica i Social Media con i quali si lavora abitualmente. Da qui, se ne possono derivare numerose informazioni e indicazioni utili ad indirizzare al meglio la propria attività. E come facilmente intuibile, non si tratta di una Suite gratuita, ma di un prodotto/servizio con vari livelli di funzionalità, alla cui base ci sono quelli di tipo gratuito che possono bastare per soddisfare le esigenze iniziali di chi si avvicina a questa attività.
Il punto è che non appena si comincia a lavorare con HootSuite, dal momento che l’appetito vien mangiando, si sarà fortemente tentati di passare alle versioni a pagamento. Così, in questo post ne presentiamo solo la versione gratuita – coerentemente con il titolo del post stesso – mentre ne riprenderemo le funzioni di più alto livello quando in un prossimo articolo tratteremo dei Listening Tool a pagamento.
Nella figura c’è la sintesi del significato di “Social Media Management Dashboard” di HootSuite: attraverso un’unica interfaccia si hanno gli stream dei Social Media di proprio interesse, con l’evidenza dei contenuti pubblicati di recente:
Per attivarla, basta registrarsi, associarvi i propri indirizzi Social ed il gioco è fatto!
Non stiamo parlando di “ascolto”, ma di monitoraggio e gestione della propria presenza sui Social Media: un servizio importante e prezioso per chi opera e investe su questi canali, in quanto consente di risparmiare molto tempo nel controllarli e aggiornarli. Se si hanno più di 3 profili da gestire, si deve passare alla versione Pro, o a quella Enterprise, che hanno rispettivamente un corso di 9 e 75 euro al mese, ma sulle quali in questo post non entriamo.
Un particolare non da poco è che questa è l’unica piattaforma di questo genere ad esser stata tradotta in italiano, così come il servizio di assistenza telefonica.
Una volta caricati gli Account, si potranno inserire i propri post sui vari Social, sempre dall’interfaccia di Hootsuite, eventualmente condividendoli anche all’interno dei gruppi di propria appartenenza e scelta. La pubblicazione dei post può inoltre esser programmata nel tempo, per cogliere i momenti migliori in funzione delle singole piattaforme.
A questo punto, sfruttando le funzioni di ascolto di HooSuite che sono le stesse della versione a pagamento, se ne possono ricavare alcuni grafici molto semplici quali l’analisi della crescita del numero di follower su Twitter o dei contenuti che vengono maggiormente commentati/rimbalzati dal proprio pubblico. In sintesi, i grafici della versione gratuita sono 3:
- Panoramica profilo Twitter: una panoramica del profilo Twitter che include la crescita dei follower nel corso del tempo, le menzioni tramite parole chiave e i link più popolari in formato Ow.ly, il compressore di indirizzi usato per default da Twitter.
- Panoramica pagina Facebook: una panoramica della pagina Facebook che include i Mi Piace e i feedback sui post del giorno.
- Sommario Click Ow.ly: le statistiche dei click su tutti i link di Ow.ly Twitter sui quali qualcuno ha cliccato. Include i click totali in base al giorno, alla regioni e i click più popolari.
Per tutti gli altri Report di ascolto occorre passare alla versione Pro o a quella Enterprise.
Via Spot and Web
Il 2016 è senza ombra di dubbio l’anno spartiacque per l’eCommerce in Italia durante il quale si è affermato il nuovo concetto di cross: cross border, cross canalità e cross device i tre punti su cui le aziende si devono concentrare per offrire al cliente la migliore esperienza di acquisto di sempre. Il fattore determinante del successo di un’azienda risiede infatti nella capacità di reagire tempestivamente alle nuove esigenze e anticipare le tendenze future, ripensando i propri modelli di business. Ciò è valido sia per le imprese B2C che per quelle B2B, il cui confine è divenuto con il tempo sempre più labile perdendo i confini storici che hanno da sempre differenziato i due business, oggi in continua evoluzione e spesso convergenti, e dando così vita a un nuovo contesto competitivo tra le imprese. Questo il tema su cui si è concentrato “E-commerce B2B e B2Retail: modelli e casi di successo”, il convegno organizzato da Netcomm e tenutosi a Milano il 29 novembre.
Secondo una ricerca del Consorzio del Commercio Elettronico Italiano, infatti, oltre il 50% dei buyer vorrebbe dai propri fornitori strumenti digitali per ridurre i tempi di acquisto. In Italia le imprese sottovalutano ancora le potenzialità del B2B in rete, eppure il numero dei siti di eCommerce B2B in Italia ha registrato un aumento significativo pari al 46%, passando da 7.660 del 2015 a 11.200 di quest’anno (fonte Osservatorio Cribis-Netcomm). Inoltre, il 30% del totale dei siti di commercio elettronico italiani del Paese è B2B. “Le potenzialità dell’eCommerce B2B sono importanti, persino maggiori rispetto a quelle B2C” spiega Roberto Liscia, Presidente Netcomm e Executive Board Member Ecommerce Europe. “Il valore del commercio elettronico B2B nel 2015 è stato infatti di 20 miliardi di euro, contro i 18 miliardi del B2C”.
È da considerarsi eCommerce, infatti, tutti quei modelli nei quali avviene un incontro e una qualificazione tra domanda e offerta che poi si concretizza in un ordine o una transazione su altri canali. Il marketplace B2B in particolare si sviluppa in ogni settore, da quello della sanità alla manutenzione, dai prodotti enogastronomici al fashion, e crea diversi modelli di business, dai distributori online alle house of brand, dal marketplace con comunità brick & mortar a quelli basati sul dropshipping.
“Le imprese italiane che vendono online in Italia sono circa il 7% del totale, contro il 17% di quelle presenti a livello europeo” aggiunge Roberto Liscia. “L’Italia eccelle in moltissimi mercati e il potenziale del Made in Italy online è tra i maggiori al mondo. Le aziende dovrebbero affrontare con maggiore aggressività il nuovo contesto competitivo del B2B dove a farla da padrone sarà la crescita del ruolo dei Marketplace, lo sviluppo del B2B da parte dei grandi Marketplace B2C, l’apertura dei mercati di vendita e acquisto, e il crescente ruolo delle filiere a fronte del nuovo concetto di cross”.
Quando si parla di trasformazione digitale, si fa immediato riferimento al settore business to consumer (B2C), che ha visto negli ultimi anni la radicale modifica delle abitudini di acquisto da parte dei consumatori. Anche nel mercato B2B (business to business) si sono rilevati cambiamenti significativi: marketing online, e-commerce e social media sono ormai entrati nelle strategie aziendali. L’obbligatorietà della fatturazione elettronica nei rapporti con la PA, poi, avrebbe potuto rappresentato una grande occasione per le imprese di lanciarsi in maniera incisiva nella trasformazione digitale senza fermarsi al singolo adeguamento imposto, ma non è stato così.
Secondo i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano appena il 6% di tutte le fatture scambiate in Italia (1,3 miliardi) è in formato elettronico e solo il 17% delle imprese ha sfruttato l’occasione per re-ingegnerizzare i processi in chiave digitale.
La ricerca “Il Futuro Digitale del Business tra Aziende” di Casaleggio Associati mette in evidenza come la trasformazione del digitale nel B2B investa tutte le aree della strategia aziendale: brand, vendita, fidelizzazione e organizzazione. In particolare, per quanto concerne il marketing online, le aziende hanno necessità di adeguarsi ai nuovi strumenti. A livello internazionale il grado di adozione è il seguente: e-mail (87%), registrazione online (70%), social media (68%), content marketing (67%), fiere e conferenze (62%), direct mail (49%), webinars (44%), pubblicità online (43%), telemarketing (37%), indirizzari online (36%), retargeting (32%) ed eventi dal vivo (28%).
Riguardo i social media, il parere delle imprese è controverso: in termini di rapporto tra investimenti e ROI, il 24% delle aziende si dichiara soddisfatta, il 59% riscontra difficoltà nella gestione dei canali social, mentre il restante 17% si dichiara insoddisfatto del ritorno sull’investimento. Il social più efficace è LinkedIn, mentre Facebook è in seconda posizione, seguito da YouTube.
Dagli elementi che emergono dal rapporto si può dire sicuramente che la digital transformation non può procedere con programmi settoriali, ma richiede un progetto unitario che coinvolga tutte le componenti aziendali.
Fonte: Casaleggio Associati, 2016
Via Tech Economy
Quali sono i siti internet top in Italia? Non c’è alcuna sorpresa, per lo meno nelle prime cinque posizioni, come ha fatto sapere Alexa, company di Amazon che si occupa di statistiche sul traffico internet. Secondo i dati registrati nell’ultimo mese dall’azienda, il podio è totalmente monopolizzato da Google, che si posizione al primo posto con Google.it, seguito a stretto giro da Google.com e Youtube.com. Al quarto posto c’è un altro colosso della Silicon Valley, Facebook, a cui seguono Amazon.it e Wikipedia.org.
Il primo sito interamente Made in Italy e prettamente informativo è Repubblica.it che staziona al settimo posto, prima di Yahoo.com, Ebay.it e Libero.it. Se nelle edicole il Corriere della Sera è il quotidiano più venduto, nel mondo digitale Corriere.it esce dalla top 10, registrandosi all’undicesimo posto, tallonato da un altro italiano, Subito.it, e lasciandosi alle spalle un colosso a stelle e strisce come LinkedIn. Gli altri social in classifica, infine, sono Twitter.com e Instagram.com, rispettivamente al sedicesimo e diciassettesimo posto. Appena fuori dalle migliori 20 posizioni, si posiziona il primo portale di soluzioni pubblicitarie, Onclickads.it, che si occupa delle pratiche di monetizzazione dei vari siti permettendo agli inserzionisti di entrare in contatto con milioni di utenti.
via DailyOnline
Dopo aver esteso a Instagram le funzionalità per trasmetter video live e lanciato una campagna outdoor sul tema per raccontare ai consumatori l’esistenza di questo strumento, Facebook sta testando i Live Ads, degli annunci in real time, attraverso cui aziende ed editori possono avvisare le persone di essere live sulla piattaforma.
Attualmente, la modalità più comune di promozione di una diretta sono i messaggi sponsorizzati prima o dopo la trasmissione del filmato mentre la nuova tipologia di comunicazione apparirà sul newsfeed proprio nel momento in cui il live è attivo. Lo scrive Digiday, solitamente ben informato su queste novità.
A spiegarlo alla testata è Liam Copeland, director of decision science per la social media agency Movement Strategy, secondo cui gli ads sono ancora in fase sperimentale mentre un portavoce dell’azienda di Menlo Park ha confermato i test, non fornendo però ulteriori dettagli.
Lo scorso mese, poi, Facebook ha dato a brand e publisher la possibilità di schedulare con anticipo i propri live video, favorendo la costruzione di audience. Non è ancora però chiaro come saranno monetizzati i video: con i Live Ads, infatti, sarà possibile raccogliere un pubblico più nutrito senza però poter generare ricavi addizionali.
Via DailyOnline
Dopo le indiscrezioni e la conferma del ceo Kevin Systrom, Instagram ha ufficialmente lanciato i video live. Si tratta di una importante novità che in qualche modo replica il focus di Facebook sul tema. “È possibile cominciare una diretta video in qualsiasi momento, e il video scomparirà quando una volta terminato il live. Per cominciare una diretta su Instagram Stories, è sufficiente andare sulla fotocamera di Instagram Stories e cliccare sulla nuova opzione Start Live Video, per condividere fino a un’ora di diretta”. Gli utenti verranno avvertiti da una notifica quando un amico attiverà un live.
Novità per Direct
Contestualmente il social ha annunciato la possibilità di inviare tramite Instagram Direct a singoli utenti o a gruppo di utenti foto e video che scompaiono dopo essere stati visualizzati dai destinatari. Una sorta di copia delle funzioni già disponibili su Snapchat. La società sostiene che sono circa 300 milioni gli utenti che utilizzano Direct ogni mese su un totale di 500 milioni di persone che accedono alla piattaforma. “Da oggi è possibile per tutti condividere su Direct -a singoli utenti e a gruppi di massimo 15 persone- foto e video che scompariranno dopo la visualizzazione da parte dei/del destinatari/o. Per inviare una foto o un video che scompare dopo la visualizzazione, sarà sufficiente andare sulla fotocamera di Stories e schiacciare sull’icona della freccia per inviarlo privatamente a un utente o a un gruppo. Sarà possibile inviare foto o video che scompaiono dopo la ricezione solo a utenti che già ti seguono”, si legge nel blogpost.
via DailyOnline
Malgrado nell’ultimo anno sia cresciuto l’utilizzo della rete (+6%) restiamo ancora molto indietro rispetto alla media europea. L’indice di penetrazione di internet a livello nazionale raggiunge appena il 78% se confrontato al 94% raggiunto nei maggiori Paesi europei (Regno Unito, Germania, Francia e Spagna). L’ultimo Rapporto European Digital Behaviour Study 2016, realizzato da Contactlab, descrive i risultati di una ricerca condotta attraverso l’analisi comparativa tra Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Corea, Shanghai, e le aree metropolitane di Tokyo, New York, Mosca e San Pietroburgo con un focus speciale in relazione al nostro Paese, per indagare i maggiori trend sul comportamento digitaledella popolazione internet europea ed Extra-europea.
L’USO DELLA RETE IN ITALIA
Nel 2016 il numero di individui che regolarmente ha utilizzato la rete, almeno una volta a settimana, ha raggiunto quota 30,5 milioni di persone con una penetrazione del 78% per la popolazione italiana compresa nella fascia d’età tra i 16 e i 65 anni. Nel corso degli ultimi dieci anni gli utenti di internet sono passati da meno della metà a quasi tre quarti della popolazione: la crescita complessiva dell’utenza del web nel periodo compreso tra il 2007 e il 2016 è stata pari a +28,4%. Questo dato è confermato anche dal 13° Rapporto Censis-Ucsi sulla Comunicazione, presentato lo scorso settembre in cui si registra un nuovo record nell’utilizzo di internet da parte degli italiani. La penetrazione di internet è infatti aumentata di ben 2,8 punti percentuali nell’ultimo anno e l’utenza della rete ha toccato un nuovo record, attestandosi alla quota di 73,7% di italiani e nel caso degli under 30 al 95,9%. L’adozione di strumenti mobile come smartphone e tablet per la navigazione aumenta costantemente e ad una velocità doppia (+13%) rispetto all’uso della rete stessa che registra una crescita del +6%. Diminuiscono gli utenti dei telefoni cellulari basic, ovvero in grado solo di telefonare e inviare sms (-5,1% nell’ultimo anno), mentre continua la crescita impetuosa degli smartphone, utilizzati dal 64,8% degli italiani e nel caso dei giovani tra i 14 e 29 anni arriva alla quota dell’89,4%.
Sebbene si segnali un aumento nelle attività di acquisto online e servizi bancari e finanziari home banking l’uso del web, nel nostro Paese, è nella maggior parte dei casi ancora in modalità basic il nostro indice di interattività (elaborato da ContactLab) raggiunge infatti solo la quota di 39/100 rispetto al 51% raggiunto dal Regno Unito e il 49% della Spagna.
Fonte: ContactLab, 2016
ACQUISTI E SERVIZI ONLINE
Secondo il 13° Rapporto Censis nel nostro Paese abbiamo assistito ad un boom dei consumi tecnologici anche negli anni della crisi, con una crescita del 190%. L’andamento della spesa per consumi delle famiglie conferma il trend anticiclico dei consumi tecnologici in un decennio caratterizzato da una lunga e profonda recessione: tra il 2007 (anno prima dell’inizio della crisi) e il 2015, mentre i consumi generali flettevano complessivamente del 5,7% in termini reali, decollava la spesa per l’acquisto di apparecchiature telefoniche che raggiungeva la quota di +191,6% per un valore di 5,9 miliardi di euro, e computer (+41,4%).
I cittadini italiani hanno evitato di spendere su tutto, ma non sui media connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere individuale di disintermediazione. Usare internet per informarsi, prenotare viaggi e vacanze, acquistare beni e servizi, guardare film o seguire partite di calcio, entrare in contatto con le amministrazioni pubbliche o svolgere operazioni bancarie, ha significato spendere meno soldi o anche solo sprecare meno tempo e quindi in ultima analisi guadagnare qualcosa. L’indagine europea di Contactlab ha evidenziato che nel nostro Paese oltre il 47% ovvero 14,3 milioni di utenti hanno effettuato acquisti online spendendo all’incirca 1.600 euro l’anno. Malgrado la crescita del 30% rispetto agli anni passati ancora non è stato raggiunto appieno il potenziale del mercato. Rispetto all’anno scorso oltre un milione e 600 mila persone hanno effettuato acquisti nel settore della moda e di beni e servizi raggiungendo la quota della maggioranza degli utenti online (+51%); nello stesso periodo l’acquisto dei biglietti online per il trasporto è stato utilizzato da oltre 6 milioni e 300 mila utenti. Paypal (57%) e le carte di credito prepagate (52%) restano la modalità di pagamento preferito per gli acquisti online.
Fonte: Contactlab 2016
QUALI SOCIAL MEDIA? QUALE IL DIVARIO GENERAZIONALE?
Nell’ultimo anno il coinvolgimento degli utenti in termini non solo di marketing ma di brand identity è stato effettuato da parte delle aziende nell’80% dei casi attraverso le diverse piattaforme di social media. Facebook rimane il social network più popolare usato dal 56,2% degli italiani, raggiungendo la quota di 89,4% di utenza tra i giovani under 30 e il 72,8% tra le persone più istruite, diplomate e laureate. L’utenza di YouTube è cresciuta dal 38,7% del 2013 al 46,8% del 2016 raggiungendo oltre il 73% tra i giovani. Instagram ha raggiunto nell’ultimo anno il 16,8% degli utenti (e il 39,6% dei giovani). E’ soprattutto l’applicazione WhatsApp che ha conosciuto un vero e proprio boom: oggi è usato dal 61,3% degli italiani e l’89,4% dei giovani.
Nel nostro Paese tra i giovani under 30 la quota di utenti della rete arriva al 95,9%, mentre è ferma al 31,3% tra gli over 65 anni; l’89,4% dei primi utilizza telefoni smartphone, mentre lo fa solo il 16,2% degli over 65. L’89,3% dei giovani ha un account Facebook rispetto ad appena il 16,3% degli anziani. Il 73,9% dei giovani usa YouTube, rispetto all’11,2% degli ultrasessantacinquenni. Oltre la metà dei giovani (il 54,7%) consulta siti web di informazione, rispetto ad un anziano su dieci (il 13,8%). Il 37,3% dei primi ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, mentre lo fa solo l’1,2% dei secondi. E se un giovane su tre (il 36,3%) possiede già un tablet, solo il 7,7% degli anziani lo usa. Su Twitter poi c’è un quarto dei giovani (il 24%) e un marginale 1,7% degli over 65.
La modalità di marketing diretto è ancora riconosciuta come la più efficace anche attraverso l’integrazione delle piattaforme multicanale (newsletters, social network, pubblicità online) malgrado un terzo degli italiani abbia un atteggiamento neutrale verso tali modalità di comunicazione.
Via T ech Economy
Audiweb distribuisce il nastro di pianificazione, Audiweb Database, con i dati dell’audience totale di internet(total digital audience) del mese di settembre 2016.
Il nastro di pianificazione, distribuito alle software house e fruibile attraverso i tool di pianificazione, offre il dettaglio dei dati della navigazione quotidiana sui siti degli editori iscritti al servizio, organizzati per device, PC e Mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni).
Nel mese di settembre 2016 hanno navigato almeno una volta dai device rilevati 29,5 milioni di italiani dai due anni in su. La total digital audience nel giorno medio è rappresentata da 22,8 milioni di utenti, onlineper 2 ore e 13 minuti.
Più in dettaglio, hanno navigato da mobile (smartphone e/o tablet) nel giorno medio circa 20 milioni di utenti unici (il 45,2% degli italiani tra i 18 e i 74 anni), mentre l’accesso a internet da computer si attesta a 10,6 milioni di utenti (il 19,3% degli italiani dai 2 anni in su).
Dai dati demografici emerge che a settembre hanno navigato almeno una volta nel giorno medio il 40,3% degli uomini dai due anni in su (11 milioni) e il 42,3% delle donne (11,8 milioni), il 55,9% dei 18-24enni (2,3 milioni), il 60% dei 25-34enni (4,2 milioni) e circa il 61% dei 35-54enni (11,2 milioni).
Internet è da mobile nel giorno medio per il 47,9% delle donne (10,7 milioni tra i 18-74 anni), il 42,4% degliuomini (9,2 milioni tra i 18-74 anni) e per circa il 56% dei 25-54enni. Continua ancora la preferenza delle donne per la fruizione di internet da mobile, a cui dedicano in media 2 ore e 10 minuti al giorno, contro 1 ora e 42 minuti in media degli uomini.
Dai dati di consumo sulla fruizione mensile, emerge che il 93,4% degli utenti online ha consultato siti o applicazioni di ricerca (sotto-categoria “Search”, con 27,5 milioni di utenti unici), il 90,3% almeno uno tra i portali generalisti (sotto-categoria “General Interest Portals & Communities”, con 26,6 milioni di utenti), l’87,4% i siti che offrono servizi e tool online (sotto-categoria “Internet tools / web services” con 25,8 milioni di utenti), l’87,3% i social network (“Member Communities”, con 25,7 milioni di utenti). Tra le categorie di siti dedicati all’intrattenimento, la categoria Video/Movies raggiunge l’82% degli utenti online, con 24,2 milioni di utenti, così come raggiungono valori molto rilevanti le categorie di siti e applicazioni dedicati alla messaggistica “in mobilità”, Cellular/Paging con il 75,7% degli utenti, all’ecommerce con il 73,6% degli utenti (21,7 milioni), e alle news (categoria Current Events & Global News), con il 68,4% degli utenti (20,2 milioni).
Via Spot and Web
Dopo anni di tagli, la spesa del Governo sul digitale è tornata a crescere dello 0,5%, sono stati fatti notevoli investimenti sull’Agenda Digitale e messe in atto politiche per riqualificare la spesa in tecnologia della PA ma nonostante questo l’Italia è ancora agli ultimi posti nella classifica Digital Economy and Society Index o DESI (25ª su 29 Paesi europei), un indice composito che sintetizza gli indicatori rilevanti sulle performance digitali dei Paesi europei e segue l’evoluzione degli Stati membri dell’UE in materia di competitività digitale.
Questo dice che gli sforzi compiuti nell’attuazione dell’Agenda Digitale non sono ancora sufficienti a colmare il divario con gli altri Paesi europei. Questi i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano presentata al convegno “Pubblico e privato: un patto per l’Italia digitale”, che mostrano come la strategia italiana non riesca ad incidere sui punti chiave della classifica.
Su tutti, la banda larga, che vede l’Italia tra gli ultimi Paesi in Europa, con solo il 53% delle abitazioni che usa una banda larga ad almeno 2 Mbps, solo il 3% a 30 Mbps e addirittura solo lo 0,5% a 100 Mbps (l’obiettivo europeo è almeno il 50% entro il 2020). Solo il 12% delle imprese viaggia a 30 Mbps. In Francia sono il 21%. In Germania e Spagna il 29%.
Fonte: The Digital Economy & Society Index (DESI)
Oltre al piano sulla banda ultra larga, l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) si è concentrata sui tre principali progetti infrastrutturali dell’Agenda Digitale: il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID) che nei primi 7 mesi ha visto l’erogazione di oltre 130.000 identità digitali; il Sistema dei pagamenti elettronici (PagoPA) che conta 9.500 PA, 90 prestatori di servizi di pagamento e quasi 600.000 transazioni effettuate; l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) che è stata sperimentata in 26 comuni pilota con circa 6,5 milioni di cittadini coinvolti.
Nonostante ciò, il nostro Paese è al penultimo posto per connettività, al 25° per competenze digitali, all’ultimo per uso di internet da parte dei cittadini, al 21° per digitalizzazione dell’industria, al 18° in digitalizzazione della PA.
Unica nota positiva la crescita registrata dal 2013 al 2015 (+19,7%) è tra le più alte. Se sarà sufficiente questo ritmo (se verrà mantenuto) a colmare il gap con altri Paesi lo scopriremo solo vivendo.
Via Tech Economy
Da una ricerca della Global Survey di Nielsen emerge che il 74% degli italiani è iscritto a un programma fedeltà presso almeno un rivenditore che offre questo tipo di iniziativa (media UE e Mondo 66%). Il 44% aderisce a un numero di programmi compreso tra 2 e 5, un consumatore su 6 (il 17%) è iscritto a più di sei programmi. Lo studio ha preso in esame 30.000 individui in 63 Paesi.
“La personalizzazione dell’offerta – ha dichiarato l’a.d. di Nielsen Italia Giovanni Fantasia – costituisce il futuro dei programmi di fidelizzazione soprattutto in Italia, dove i margini di crescita in questo senso sono ancora molto ampi. Occorre costruire una relazione personale per interagire in maniera diretta con il cliente, ad esempio attraverso i Social Media. Oggi la carta fedeltà è uno strumento fondamentale per il punto vendita, sia fisico che virtuale. Occorre quindi mettere in atto azioni di marketing che differenzino i contenuti delle singole iniziative per non far perdere la propria efficacia. Il compenso in denaro non può più essere considerato l’elemento differenziante. Si tratta quindi di mettere in cantiere progetti altamente coinvolgenti. Per esempio, un’ azienda che voglia consolidare la propria reputazione nella Corporate Social Responsibility potrà fare partecipare i propri clienti a iniziative di charity o ecosostenibili, espressamente dedicate a chi ha dimostrato di essere sensibile, ad esempio, a prodotti ecosostenibili. Vendita e fidelizzazione non vanno più considerate come compartimenti stagni – ha continuato Fantasia. Il loyalty program non va considerato come un’iniziativa in più rispetto alla vendita ma costituisce un tutt’uno con essa. In questo senso le strategie multicanale non possono non impattare sulle politiche di fidelizzazione. L’estensione dell’utilizzo di account digitali può costituire una svolta nell’efficacia dei diversi programmi”- ha concluso Fantasia.
Oltre sei consumatori su dieci (il 62%), si legge ancora nello studio, hanno dichiarato di acquistare preferibilmente, a parità di condizioni, presso negozi che offrono carte fedeltà. Per il 60% il programma fedeltà costituisce la ragione per continuare a frequentare il negozio che lo offre. Il 55% spende maggiori somme di denaro e incrementa la frequenza di acquisto in presenza di queste iniziative. In Italia, ma anche in Europa, la carta fisica batte quella virtuale, è infatti utilizzata dal 79% dei consumatori nel momento dell’acquisto.
Per quanto riguarda l’online, il 19% del campione dichiara di avere un account digitale, mentre il 15% utilizza le app dei retailer sul proprio smartphone/tablet. Rispetto all’Europa, l’Italia risulta in posizione arretrata nell’utilizzo dei siti dell’e-commerce. Infatti, in Spagna la quota di quanti possiedono un account online è pari al 31%, in Gran Bretagna al 28%, in Francia al 27%. Sul versante della propensione alla spesa, il 46% riconosce che i programmi fedeltà basati sul pagamento di una quota monetaria offrono più vantaggi rispetto a quelli gratuiti.
Inoltre si rivelano requisiti vincenti per attrarre il consumatore le variabili flessibilità e personalizzazione dell’offerta. Il 78% degli intervistati indica la possibilità dell’opzione tra premi diversi come una caratteristica importante di un programma. Anche la proposta di sconti personalizzati o di offerte promozionali basate sugli acquisti precedenti risulta rivestire un ruolo decisivo (72% dei rispondenti) tra i requisiti della fidelity card o dell’account online inclusi in un programma di fidelizzazione.
Sul lato della tipologia dei canali di vendita, ciò che è richiesto dai consumatori è un’esperienza di shopping multicanale, nell’ambito della quale la dimensione fisica e digitale siano complementari ad un unico percorso di acquisto. Il 68% desidera un sistema integrato per “vincere” punti quando si effettua un acquisto sia nello store, o sul web o attraverso una app. E’ inoltre apprezzata dal 70% degli italiani la sinergia tra diversi rivenditori, in modo che lo stesso programma di fidelizzazione possa valere pur frequentando punti di vendita differenti.
Via Spot and Web
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