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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Max Da Via' (del 20/05/2021 @ 07:21:27, in Marketing, linkato 1421 volte)

Quanti sono i fan di eSport in Italia? Sfatiamo subito un mito: non è un’attività solo per ragazzini e non è limitata a una ristretta cerchia di persone.

Gli appassionati di eSport italiani sono 6 milioni, ossia il 12% della popolazione maggiorenne. Sono dati scaturiti dalla ricerca “Gaming ed eSport in Italia” realizzata da Yougov per i membri dell’Osservatorio Italiano eSport (OIES), e che fanno dell’Italia il secondo Paese in Europa per “fanbase eSportiva”.

Il report, che per la prima volta censisce il target eSportivo italiano, porta alla luce dati che ridisegnano lo stereotipo del gaming e traccia una fotografia puntuale della sua composizione. La ricerca fa parte del Centro Studi Nazionale eSports dell’OIES, che è il primo database di dati su questo settore in Italia.

gamers in Italia

Innazitutto il genere. L’eSport in Italia è un fenomeno che sta interessando sempre di più le donne. Infatti il, 37% del target degli appassionati è femminile, percentuale sempre più in crescita.

Poi l’età. L’eSport non è un mondo prettamente destinato alla generazione Z, ma è trasversale su tutte le generazioni. Tra coloro che si dichiarano anche giocatori, troviamo sicuramente una preponderanza nella fascia 18-24 anni. Si registrano però valori sopra la media anche in quella 25-34, fino a punte di giocatori al di sopra dei 55 anni. Questo dimostra come il gaming sia un’attività capillare nella popolazione italiana, e non legata a un solo target.

Gli italiani dimostrano inoltre una rilevante inclinazione verso il consumo di contenuti video di gaming su varie piattaforme streaming: in Europa siamo al primo posto per utilizzo di YouTube Gaming e godiamo invece del terzo gradino in riferimento a Twitch e Facebook Gaming.

In Italia gli appassionati di gaming si dividono in due principali categorie, ciascuna delle quali con delle peculiarità che rivelano abitudini e comportamenti eterogenei.

Stiamo parlando degli Hardcore gamers, giocatori abituali attivi sotto l’aspetto competitivo, e degli eSport fan, appassionati che non necessariamente sperimentano gli aspetti competitivi, ma fruiscono degli eSport principalmente come intrattenimento.

gamers fanbase in Italia e in Europa

Gli Hardcore gamers: quando il gioco diventa uno stile di vita

Il 2,7% degli italiani maggiorenni appartiene al gruppo degli Hardcore gamers (HC gamers), ovvero coloro che dedicano più di 21 ore alla settimana al gioco e non solo. Infatti, si registra un alto consumo mediale: una buona parte degli intervistati dichiara di spendere settimanalmente più di 50 ore sul web (19%) e più di 20 ore di fronte alla TV (40%).

Facciamo riferimento a un insieme di 1,38 milioni di italiani per lo più giovani, di cui ben il 39% è donna. Un dato da non trascurare è che il 45% di essi vive in famiglie dal reddito medio basso. Sono giovani che dichiarano di sentirsi spesso annoiati (49%), di non temere il rischio (42%), e soprattutto di desiderare di aprire una propria attività (49%).

Si tratta di un target che attribuisce importanza all’informazione tempestiva, aggiornandosi quotidianamente attraverso blog e riviste stampate, principalmente a tema sportivo.

A proposito di sport, gli HC gamer sono amanti di quelli tradizionali, tant’è vero che, rispetto a tutta la popolazione, seguono anche discipline come boxe, football americano, arti marziali e l’immancabile calcio.

gamers e advertising

Gli eSport fan: la passione che genera peculiari abitudini e comportamenti

La seconda categoria di target eSportivo fa invece riferimento agli eSport fan, che appunto sono 6 milioni. Il 37% è di sesso femminile: un dato importante nel ribadire che gli eSport stimolano nuove prospettive per intercettare anche il genere femminile.

Gli eSport fan che, pur non manifestando un’abitudine di gioco ordinaria, sostengono che la professione di atleta professionista sarebbe il miglior mestiere del mondo (41%).

Una passione che definisce abitudini e comportamenti di vita peculiari: il 41% dichiara di avere molto tempo libero. Nel consumo dei social media scompare Facebook: i social più utilizzato sono Instagram, Twitter e Tik Tok. A livello di intrattenimento usufruiscono principalmente di servizi streaming in abbonamento.

Gli eSport fan tendono inoltre ad acquistare spesso cibo da asporto e a consumare snack o merendine tra i pasti. Una consuetudine che può giustificare una buona propensione all’acquisto verso marchi come McDonald’s, Burger King, Old Wild West e Deliveroo.

Un’ottima inclinazione è evidente anche quando si parla di advertising che apparentemente non li infastidisce ma al contrario funge da driver nelle scelte di acquisto di circa il 61% degli eSport fan. Difatti, circa metà di loro dichiara di essere attento alle pubblicità online e sulle riviste che legge.

gamers e social media

Ecco che sia gli Hardcore gamers che gli eSport fan dimostrano una forte attrazione verso gli sport tradizionali. Anche in questo caso, a suscitare interesse non sono solo il calcio e il basket ma anche discipline di nicchia come Formula E (22%), wrestling (11%) e rugby (18%).

Da questi dati emerge quanto gli eSport non siano relegati alla modalità competitiva, ma quanto stiano assumendo sempre più un valore di intrattenimento. È proprio in questo senso che gli eSport diventano un canale di comunicazione e marketing per i brand che vogliono intercettare quel pubblico di giovani adulti che non fruisce dei media tradizionali.

È un target nuovo, che contrasta con le abitudini di altre tipologie di pubblico, che apprezza la pubblicità e non è infastidito.

Proprio per questo motivo, gli eSport rappresentano oggi la nuova frontiera del marketing per le aziende.

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Di Max Da Via' (del 12/05/2021 @ 07:19:32, in Advertising, linkato 1312 volte)

Torna l'andamento positivo per il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia, che chiude il mese di marzo a +30,7% rispetto allo stesso periodo del 2020, portando la raccolta pubblicitaria del 1°trimestre a +3,4%. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search, social, classified (annunci sponsorizzati) e dei cosiddetti “over the top” (ott), l’andamento nel periodo gennaio – marzo si attesta a -1,4%.

“A marzo riprende la crescita come ormai chiaramente diversi segnali avevano preannunciato. - spiega Alberto Dal Sasso, Ais managing director di Nielsen. “Una crescita robusta che porta il trimestre in segno positivo, il che è importante per tutta l’industry. Ma se vogliamo valutare meglio questo segnale può essere utile ricordare che il confronto con il primo trimestre degli ultimi tre anni precedenti l’anno del covid-19 fa segnare ancora un po’ di sofferenza, vale a dire una perdita in media del 6,2%. Mancano dunque all’appello per tornare alla linea di crescita pre-crisi circa 125 milioni, che potranno tornare a contribuire alla crescita nei prossimi mesi anche grazie agli eventi.”.

Relativamente ai singoli mezzi, la tv è in crescita del 39,2% a marzo e chiude il trimestre a 5,9%. In positivo anche i quotidiani, che a marzo crescono del 12,4%, consolidando il 1° trimestre a -6,7%. Sempre in negativo i periodici, sia nel singolo mese che per il trimestre, con cali rispettivamente del -24,7% e -32,2%. In positivo anche la radio che cresce del 26,5% a marzo e chiude il trimestre a -17%. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’intero universo del web advertising nel primo trimestre dell’anno chiude cn un +12,1% (6,4% se si considera il solo perimetro Fcp AssoInternet). Continuano ad essere in difficoltà l’outdoor (-59.6%) e il transit (-65,8%). Il direct mail è sempre in negativo (-10,5%) ma riduce le perdite. I fatturati di go tv e cinema non sono disponibili.

I settori merceologici che sono in crescita nel 1° trimestre sono 11, ma sono 18 i settori in positivo nel singolo mese di marzo, A marzo tornano ad investire cura persona (+87,7%), automobili (56,7%) e alimentari (+15,2%). Relativamente ai comparti con una maggiore quota di mercato, si evidenziano nel trimestre gli andamenti negativi di farmaceutici/sanitari (-10%) e media/editoria (-11,8%) e gli andamenti positivi di distribuzione (+37,6%), abitazione (5,4%) e telecomunicazioni (+13,3%).

“Riprendere la linea di crescita di medio periodo è possibile ed i margini ci sono per le note condizioni del nostro mercato. L’andamento sostenuto dei vaccini è stato uno dei driver di crescita congiunturale del Pil negli Stati Uniti (+1.6%) nel primo trimestre, non è un caso che la zona Euro veda ancora una contrazione dello 0.6%. Questo per dire che il cambio di passo che stiamo vedendo potrà portare beneficio ai consumi, e dunque in linea mediata anche agli investimenti”, conclude Dal Sasso.

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Di Max Da Via' (del 05/05/2021 @ 07:33:50, in Social Networks, linkato 1320 volte)

Il nostro modo di scoprire i prodotti e fare acquisti è molto cambiato con la diffusione di internet, ma continuerà a cambiare quando luoghi, formati e commercio si intrecceranno. Abbiamo già visto come i social media si stiano trasformando in centri commerciali e come il formato video sia sempre più preferito nella sua modalità live.

Proprio all’intersezione tra social, live video e ecommerce sta nascendo un nuovo fenomeno che vale la pena analizzare. Alcuni lo chiamano Shopatainment per porre l’accento sugli elementi di intrattenimento, ma forse è più preciso identificare come Social Live Commerce. Sono infatti gli elementi della diretta e della socialità a caratterizzare questo modello di compravendita. Certo, l’intrattenimento può essere un elemento anche molto importante, ma non fondamentale per capirne l’essenza.

Le radici più profonde del fenomeno si possono far risalire alle televendite, che conosciamo bene in occidente, ma è in Cina che si è sviluppata questa nuova mutazione a partire dal 2018. Nel 2019 il mercato cinese del live commerce si stima abbia raggiunto i 66 miliardi di dollari (+226% rispetto all’anno prima) e si prevede che nel 2021 possa raggiungere una dimensione di oltre 172 miliardi di dollari. La Cina è anche il paese del mondo che ha il più alto rapporto tra vendite online e offline (35%).

Caratteristiche del Social Live Commerce

Nei paesi asiatici questo tipo di formato vive quasi esclusivamente sugli smartphone, perché la popolazione è abituata ad utilizzarli per tutto, in occidente non sarà necessariamente così. Da un punto di vista estetico uno show di questo tipo si sviluppa su due piani:

  • un flusso video in diretta che mostra il conduttore e i suoi ospiti. Nelle visualizzazioni da desktop occupa sempre la parte più rilevante dello schermo, in quelle da mobile il video può essere rimpicciolito e messo in modalità “picture in picture” per consentire all’utente di navigare verso la pagina del prodotto;
  • elementi in sovrimpressione: i commenti e le reazioni degli spettatori, i coupon e gli sconti, l’immagine del prodotto con il link per l’acquisto, il livello personale di fedeltà, sono tutti elementi che affollano lo schermo e danno stimoli sensoriali al pubblico.

Le caratteristiche principali del Social Live Commerce sono le seguenti:

  • Conduzione: lo stile è molto informale, tipico delle televendite. L’host punta a sviluppare una relazione empatica con lo spettatore.
    Il venditore può essere un rappresentante aziendale (spesso i commessi o a volte il CEO), ma nella maggior parte dei casi è un influencer o KOK (Key Opinion Leader, come viene definiti in Asia). La più famosa è Viya, che in un solo giorno ha realizzato vendite per oltre 380 milioni di euro).
    In Cina gli show solitamente vanno in onda dalle 20 alle 24, con una media di 12 prodotti presentati all’ora. Ma ci sono anche dirette più lunghe.
    La dimostrazione delle funzioni di prodotto è intermezzata dalle risposte date alle curiosità degli spettatori e da discussioni con gli ospiti, che possono anche essere chiamati ad esibirsi, ad esempio cantando, come in un tipico talk show.
  • Set: spesso si svolge in uno studio di registrazione oppure da un negozio/centro commerciale, che punta a restituire l’idea di come il prodotto viene usato (es. se si tratta di uno shampoo può essere mostrato in un salone di bellezza). Non mancano casi di diretta dal luogo di produzione del bene da promuovere, soprattutto quando si tratta di prodotti locali (es. la frutta presentata dal frutteto).
  • Interattività: la socialità è un elemento fondamentale per la riuscita della trasmissione, tanto che viene stimolata dal conduttore e resa visibile con grafiche in sovrimpressione. Gli spettatori possono lasciare reazioni, commenti o interagire ponendo domande pratiche alle quali viene data risposta in tempo reale.
    Ad ogni spettatore viene assegnato un livello di fedeltà che dipende dagli streaming guardati, dai commenti e dagli acquisti effettuati. Tutto in ottica di gamification. Il livello viene mostrato accanto allo username per cui si è invogliati ad incrementarlo. Alcuni host elargiscono coupon solo agli spettatori più fedeli.
  • Senso di urgenza: i prodotti che vengono promossi non sempre sono esclusivi, ma sono sempre in numero limitato oppure presentano uno sconto vantaggioso e/o a tempo, tanto da instillare un senso di urgenza nello spettatore. I prodotti appaiono di volta in volta a schermo e possono essere cliccati per approfondirne le caratteristiche oppure si possono vedere liste di prodotti.
    Per incentivare la visione dell’intera trasmissione, il presentatore può offrire “promo code” aggiuntivi in un momento qualsiasi della diretta (che appaiono come sticker in sovrimpressione). Alcuni sono disponibili subito dopo la sessione, altri richiedono più operazioni, ad esempio averla guardata per almeno 10 minuti o averla condivisa con 3 amici.

Le piattaforme di Social Live Commerce

Il Social Live Commerce può essere una delle funzioni di una piattaforma esistente, un marketplace o un social media, oppure essere la funzione principale di un’applicazione dedicata.

Marketplace che diventano social

Il più grande online retailer del mondo, pur essendo destinato solo al mercato cinese è TaoBao, un marketplace di consumatori. Complementare ad esso è TMall, sito che permette alle imprese locali di vendere al dettaglio. Entrambi fanno parte del gruppo Alibaba e nel 2019 hanno generato rispettivamente 490 miliardi di dollari e 363 miliardi di dollari in Gross Merchandising Volume. Nello stesso anno Amazon ha registrato transazioni per 335 miliardi.

Taobao e TMall hanno aggiunto ai loro marketplace una piattaforma social chiamata Weitao, che permette agli utenti di vedere un feed/vetrina dei prodotti dei venditori, simile alla sezione shop di Instagram. Alla scheda prodotto può essere associato un video dimostrativo (anche un live precedentemente andato in onda). Inoltre gli utenti possono fare domande e chiedere una dimostrazione in diretta streaming. Anche gli altri marketplace cinesi come Baidu e JD.com hanno un approccio simile.

Amazon, al momento, non ha integrato meccaniche social nel suo marketplace, ma ha lanciato una piattaforma dedicata, Amazon Live, ancora disponibile solo negli Stati Uniti. Permette ai venditori di creare dirette per la vendita di prodotti, che possono essere acquistati immediatamente. Il costo di ingresso per i brand è di 35.000 dollari.

Amazon Live

Social che diventano Marketplace

E’ possibile anche un’approccio opposto rispetto a quello appena visto ossia quello di social media che si trasformano in marketplace. Qui le persone seguono creator e contenuti, che diventano leva per la vendita. E’ successo in Cina con Douyin, che ha già integrato funzioni di ecommerce, che presto arriveranno anche nell’app gemella TikTok (primi esperimenti sono stati fatti in US). Nel 2020 fatturato dalle sole attività di e-commerce di Douyin ha superato i 60 miliardi di euro, più del triplo di quello del 2019. Il competitor Kuaishou invece ha sviluppato una partnership con JD.com.

I social occidentali come Facebook e Instagram hanno già abilitato in alcuni paesi gli acquisti diretti in app e hanno annunciato funzioni di Live Commerce, che potrebbero essere estese a tutti i creator quest’anno.

Douyin: il flusso di acquisto

Applicazioni native di Social Live Commerce 

Non solo le piattaforme social, ma anche startup innovative stanno provando ad occupare questo spazio che si è aperto all’incrocio tra video, ecommerce e social. Tra le più interessanti si possono citare PopShopLive, Talkshop.live, NTWRK, Whatnot, LiveScale, Bambuser, Spin, SimSim, BulBul e l’italiana GoLive!

PopShopLive è un’app che permette ai brand e agli influencer di vendere in streaming, direttamente dallo smartphone. Ancora solo su inviti e per iOS, mima l’estetica cinese, colorata e giocosa.

NTWRK è specializzata nelle vendite di prodotti in edizione limitata, spesso di brand famosi. La sua caratteristica è che nella homepage evidenzia le opportunità in arrivo, in modo da spingere alla partecipazione.

Bambuser, LiveScale e GoLive! offrono soluzioni di live commerce, integrabili nel sito di ecommerce e più o meno personalizzabili. Ciò permette una migliore comprensione del comportamento degli spettatori e delle conversioni.

LiveScale usato per lo show di Lancôme

L’impatto su brand e influencer

Questa nuova tendenza spingerà le aziende e gli influencer a capire come sfruttarla per i propri fini.
Per i brand è un’opportunità per spiegare più a fondo i prodotti, ma anche per creare occasioni di intrattenimento e generare acquisti d’impulso. La scelta difficile sarà relativa alla soluzione da adottare: usare i social esistenti per sfruttare la loro popolarità, ma rinunciando alla personalizzazione o, viceversa, optare per una soluzione integrabile nel proprio online store, ma dovendo poi capire come veicolare traffico?

In Italia ho già visto esperimenti fatti da Samsung, che ha fatto leva su alcuni influencer per stimolare gli acquisti sul suo sito e Motivi che, invece, ospita live dai suoi punti vendita ed ha fatto diventare televenditori i negozianti e le commesse (anche se il risultato è più amatoriale).
Lo show più curato è stato quello di Lancôme e Chiara Ferragni che si è svolto su due set, un salotto e una camera da letto, ed ha visto la presenza di alcuni ospiti. Il tutto finalizzato alla vendita di prodotti di make up, tra cui la “capsule collection” della Ferragni che è andata a ruba. C’è da dire che gli spettatori medi sono stati circa 5 mila, pochi se si pensa ai suoi 23 milioni di follower.

Per gli influencer può essere un modo per provare la loro capacità di generare fatturato, agendo sul legame sviluppato con la propria community. Ovviamente non tutti saranno in grado o vorranno percorrere la strada delle televendite, ma quel che è certo è che emergeranno nuovi creator specializzati in questo tipo di formato.

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Di Max Da Via' (del 26/04/2021 @ 07:56:58, in Social Networks, linkato 1295 volte)

Facebook, come previsto, ha ufficialmente svelato il suo tentativo di clonare Clubhouse, ma la sorpresa è che ha una vera e propria strategia audio tesa ad offrire nuovi strumenti creativi ai suoi utenti.
Un primo timido tentativo di estendere le sue funzioni al suono fu fatto già nel 2016 quando vennero testati i Live Audio, che potevano diventare i podcast per le masse, ma che non furono mai lanciati.
Oggi l’azienda sembra avere le idee più chiare tanto da aver annunciato una suite completa di prodotti audio che, però, non sarà pronta prima dell’estate.

I prodotti audio di Facebook

Live Audio Rooms: sono le stanze vocali in diretta tipo Clubhouse che prevedono un organizzatore, degli ospiti e la possibilità di far intervenire gli ascoltatori. Verranno introdotte prima all’interno dei Gruppi Facebook e tra personaggi noti, poi estesi a tutti e resi disponibili anche su Messenger. In pratica la stessa funzione potrà essere usata per eventi pubblici o per chiacchierate tra pochi amici.
La cosa interessante, che ancora gli altri non hanno, è che sarà possibile registrare queste conversazioni per farle riascoltare in seguito e dunque trasformarle in podcast.
Per stimolare la creazione di queste stanze sonore sono già previste delle forme di remunerazione per gli host. Al lancio di Live Audio Rooms, i fan potranno acquistare Facebook Stars (una sorta di moneta virtuale) e donarle durante le dirette ai propri creator preferiti (1 stella ottenuta dà diritto a ricevere 0,01 dollari). Successivamente sarà possibile scegliere di far pagare un abbonamento o il singolo accesso ad una stanza.

Soundbites è la vera novità. Si tratta di un nuovo formato di audio brevi che potremo registrare con lo smartphone e pubblicare nella nostra timeline. Possono essere dei messaggi vocali semplici o spezzoni montati in sequenza, ai quali sarà possibile aggiungere effetti sonori e filtri per modificare la voce.

L’idea è quella di offrire un piccolo studio di registrazione tascabile per abilitare formati creativi nuovi. Insomma Facebook prova a fare con l’audio, quello che TikTok ha fatto con i video. Una cosa che avrebbe potuto realizzare Spotify, che invece sembra pensare alla fascia più alta del mercato, ai prosumer e non alle masse (si veda il suo nuovo prodotto Soundtrap).

Podcast: l’obiettivo di Zuckerberg è di semplificare il processo di scoperta e consumo dei podcast, dando a circa 3 miliardi di utenti la possibilità di ascoltarli senza uscire da Facebook (anche con l’app in background). L’algoritmo sarà modificato per portare alla luce podcast che potrebbero interessarci, basati sui nostri interessi e sulle raccomandazioni degli amici.
Inoltre una partnership con Spotify permetterà di usare il suo lettore dentro il social network per ascoltare musica e podcast.

La suite mi sembra ben pensata perché permette un utilizzo combinato e integrato dei singoli prodotti. Ad esempio, si può organizzare una Live Audio Room con un esperto e far partecipare attivamente il pubblico per rendere la conversazione più interessante, al termine si può trasformare la registrazione in un podcast, eliminando le parti noiose, e infine estrarre dei pezzi, o soundbites, da condividere nella propria timeline per ampliare la platea degli ascoltatori.

La strategia “estendi e trattieni”

La strategia di Zuckerberg potrebbe essere definita “estendi e trattieni”. L’estensione della sua gamma di prodotti all’audio ha l’obiettivo di offrire alle masse tutti gli strumenti creativi di base per esprimersi, in qualunque forma. Il target prioritario, però, sono i creator ossia quelle persone che producono contenuti con assiduità ed in maniera più professionale rispetto all’utente medio e che sono capaci di attrarre un pubblico, più o meno grande.
Non a caso, Zuck, nella chiacchierata con Casey Newton per il lancio di questi prodotti, ha espressamente citato un trend evidente: lo spostamento di potere dalle istituzioni (anche gli editori) ai singoli, con particolare riferimento all’economia delle passioni ossia al fatto che oggi gli individui possono trasformare le proprie passioni in un business, più facilmente che in passato.

Dunque le piattaforme social hanno ben chiaro che conquistare i creator vuol dire riuscire a trattenere il loro pubblico più a lungo e a farlo tornare periodicamente all’interno del proprio “giardino recintato”.
Ma come si trattengono i creator? Non solo offrendo loro un’ampia e/o estesa gamma di strumenti creativi, ma anche opportunità di monetizzazione vantaggiose.
Se sul primo punto l’ecosistema Facebook è in una posizione invidiabile perché offre una cassetta degli attrezzi più ampia di quella dei suoi competitor (gli mancano solo le newsletter che arriveranno), sul secondo è ancora indietro rispetto ad altre piattaforme social, come Twitch o YouTube, o servizi specifici come Patreon. Da un punto di vista tecnico non gli sarà difficile colmare il gap, bisognerà vedere se offrirà politiche di monetizzazione più convenienti, abbassando il suo fee.

La strategia di Facebook, laddove fosse ben eseguita, spazzerà via i competitor? Non è detto.
E’ vero che il network può contare sulla forza dei numeri (un ampio bacino di utenti potenziali), nonché sulla varietà di strumenti creativi (testo, video, storie, audio) e spazi disponibili (profilo personale, pagine e gruppi), ma non è detto che ciò sia sufficiente a polverizzare i concorrenti. Certo, la possibilità di far pagare un abbonamento mensile ai propri fan su un’unica piattaforma per ottenere benefici di vario tipo (gruppi e stanze di discussione esclusivi, newsletter, dirette video riservate) sarà una tentazione per tanti creator.
Ma, di converso, ci sono almeno due casistiche da considerare: quella relativa ad influencer che puntano su abilità e dunque social specifici (es. i gamer ai quali è sufficiente Twitch per esprimersi) e quella di coloro che preferiscono abitare spazi meno ampi, popolati da pubblici più di nicchia o sofisticati (potrebbe essere il caso di Clubhouse).
Insomma le dinamiche competitive non sono mai così scontate, soprattutto quando coinvolgono attori nuovi e sempre più esigenti come i creator.

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Di Max Da Via' (del 14/04/2021 @ 07:05:40, in Social Networks, linkato 1229 volte)

Se i social sono diventati i nuovi centri commerciali, saranno i videogiochi a prenderne il loro posto e diventare le nuove piazze?

I giochi moderni già vengono sviluppati con funzioni di socialità. Se in passato l’esperienza del giocatore era prevalentemente solitaria, a limite si giocava “contro il computer”, oggi si compete in rete contro avversari e insieme ad alleati, in squadre con le quali si comunica in tempo reale per coordinare l’azione.
Inoltre, sempre più spesso, accade che il campo da gioco venga progettato per essere luogo di incontro e socializzazione, e non semplice terreno di scontro. Il giocatore non ha il dovere di assolvere ad una missione, ma può anche gironzolare e chiacchierare con altri oppure godersi un evento che avviene in tempo reale.

Ma quale azienda è nella posizione migliore per diventare la prossima piazza mondiale che alcuni chiamano multiverso o, a sproposito, metaverso? Da dove arriverà il nuovo social che sconfiggerà Facebook?
Tre sono le possibilità che vedo all’orizzonte:

  • potrà essere un social network già esistente che si evolverà nella direzione del gioco
  • un videogame che potenzierà le proprie funzioni sociali
  • una piattaforma nata per liberare la creatività e permettere la produzione di User Generated Content.

Facebook

Se un social network diventerà un mondo virtuale, il candidato principale è Facebook perché ha gli utenti e le risorse. La strada scelta è quella della realtà virtuale, ma non sarà semplice convincere 3 miliardi persone ha indossare un visore.
L’azienda, dopo l’acquisizione di Oculus ha dato un forte impulso al settore dei videogiochi in realtà virtuale, abbassando i prezzi sotto il livello dei costi di produzione. Ormai visore e controller sono molto accessibili, ma ancora usati solo da una nicchia di appassionati, anche perché manca una florida offerta di contenuti. Ma l’azienda sta esplorando con convinzione e ingenti investimenti i prossimi modi di interazione uomo macchina nel suo Facebook Reality Labs. Inoltre sta sperimentando anche spazi di nuova socialità come Horizon dove giocare e lavorare attraverso avatar. Ci vorrà ancora molto sia perché i visori sono ancora un corpo estraneo per milioni di persone, sia perché si dovranno risolvere molti problemi tecnici.

Fortnite

Fortnite, che ha 350 milioni di utenti registrati, ma gli attivi mensili si stima possano essere 60/70 milioni. Sono soprattutto uomini della fascia d’età 18-24.
Questo mondo nasce come luogo di gioco puro, con la modalità detta “Battle Royale”, una battaglia tra 100 giocatori con lo scopo di rimanere vivi. Col tempo è stata aggiunta anche la modalità Party, che permette agli utenti di godere di contenuti multimediali senza l’assillo del combattimento. E così è diventato un posto per ascoltare concerti, guardare film e incontrarsi liberamente.
Nel 2019 Fortnite ha ospitato il concerto del dj Marshmello, poi trailer in esclusiva e altri eventi. Un passo in avanti è stato fatto con la realizzazione del concerto di Travis Scott, visto da oltre 12 milioni di persone. Un’esperienza più immersiva, con effetti speciali come l’alterazione della gravità e il teletrasporto dei giocatori in posti differenti. Per Epic Games è stato un modo per far capire ai brand che è possibile sfruttare quell’ambiente per esperienze innovative.

Minecraft e Roblox

Minecraft e Roblox originano da premesse diverse rispetto a Fortnite. Sono già progettati come piattaforme attraverso le quali gli utenti possono giocare, ma anche generare contenuti, in particolare progettare oggetti di gioco e mondi digitali tridimensionali.
A differenza di Fortnite sono entrambi dei mondi visivamente meno raffinati, che non intimidiscono le persone, anzi le incoraggiano a creare oggetti di gioco senza bisogno di conoscere elementi di programmazione.

Minecraft nasce nel 2011 dalla mente dello svedese Markus Persson e viene acquisito da Microsoft nel 2014 per 2,5 miliardi di dollari. È il gioco più venduto di sempre e nel 2020 ha generato 415 milioni di dollari di fatturato). I suoi 131 milioni di utenti attivi mensili, soprattutto uomini tra i 15 e i 24 anni, si divertono a plasmare il proprio mondo, spostando, impilando o distruggendo mattoncini, tipo Lego, fatti di pixel.
Il gioco ha una delle più attive comunità di “modding” fatta di persone che creano nuove modalità di gioco, blocchi o risorse, che diventano estensioni del mondo originale.
Un’aspetto interessante è che Minecraft è usato anche nelle scuole per aiutare i bambini ad imparare a programmare.
Attualmente non è gratuito e ciò potrebbe essere una barriera a poter diventare un grande spazio sociale.

Roblox è stato lanciato nel 2006, ma ha iniziato a prender piede nel 2013 dopo aver consentito agli sviluppatori di convertire i Robux, la sua moneta virtuale, in denaro corrente.
I suoi utenti mensili hanno toccato i 164 milioni a luglio. Sono soprattutto ragazzi di età compresa tra i 9 e i 12 anni.
Roblox, agendo come un motore di gioco semplificato e piattaforma sociale, ha abilitato i giovani alla creazione di mondi e ad ottenere un guadagno dalla loro vendita. Ci sono oltre 50 milioni di giochi creati da utenti che vanno dalla simulazione della gestione di ristoranti alla cura degli animali.

Da tenere d’occhio anche una pletora di startup che stanno sviluppando mondi virtuali nei quali la componente di User Generated Content è molto forte, ad esempio Klang GamesDarewise EntertainmentSingularity 6Clockwork Labs e Novaquark. Interessanti anche i Co-op games (cooperative multiplayer games), su cui lavorano Elodie Games ed Embark Studios, fatti per agevolare la creazione cooperativa. 
Infine una menzione per The Sandbox, un mondo digitale promettente nel quale l’utente può creare oggetti e ambienti di gioco, ma anche comprarli e venderli. Inoltre può investire in terreni, o Land, come si faceva in Second Life. Qui, però, le transazioni sono basate sulla blockchain di Ethereum e gli oggetti sono dei veri e propri NFT (proprietà certificata e trasferibile).

Presto o tardi ci ritroveremo dentro uno di questi mondi tridimensionali, nel corpo di un avatar, a commentare le ultime notizie e ad acquistare prodotti come facciamo ora sfruttando la bidimensionalità delle pagine web? Come cambieranno i nostri rapporti interpersonali? E tutto ciò avverrà con l’uso di un visore per la realtà virtuale o ci accontenteremo di utilizzare uno schermo di computer?
Difficile dirlo, ma quello che è certo è che ancora sono numerose le sfide tecniche da superare, ad esempio la difficoltà di gestire esperienze fruite da migliaia di utenti contemporaneamente o l’interoperabilità tra mondi diversi e tra monete virtuali alternative.
Quel che è certo è che queste novità dovrebbero stimolare i marketer moderni ad abbandonare le strade già battute e ad esplorare i nuovi territori nei quali imparare a esercitare il marketing del futuro.

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Di Max Da Via' (del 08/04/2021 @ 07:51:01, in Social Networks, linkato 1357 volte)

L’anno della pandemia ci ha indotto ad un uso più prolungato di Internet. Analizzando i dati di Audiweb powered by Nielsen emerge che in media ogni mese hanno navigato in rete 43,5 milioni di italiani, in crescita del 4,6% rispetto al 2019. Nel giorno medio la fruizione è cresciuta del 3,3%.
Lo strumento preferenziale di accesso rimane lo smartphone, usato da 38 milioni di persone, mentre il computer rimane stabile in termini di utilizzo medio mensile (27,1 milioni), ma cresce del 7% se si considera l’uso giornaliero (+7% rispetto al 2019). Residuale l’uso del tablet da parte di 7,7 milioni di persone.
Questi dati descrivono la cosiddetta Total Digital Audience, ossia le persone che in Italia accedono da desktop (2+ anni) e mobile – smartphone e tablet – al netto delle sovrapposizioni.

Prima di addentrarci nell’analisi dei social media, è importante precisare che l’universo di riferimento è rappresentato dagli utenti della fascia 18-74 anni (sia per la fruizione da computer che da mobile). Al momento la navigazione da mobile da parte di minori di 18 anni non è rilevata, dunque è probabile una sottovalutazione dell’impatto dei servizi usati prevalentemente in mobilità da questo segmento della popolazione.
I dati che condivido rappresentano la media mensile dell’audience online nel 2020, confrontata con la media mensile del 2019.

Gli utenti italiani dei social media

Sembra che nessuno riesca a schiodare Facebook dalla sua posizione dominante. Anche nel 2020 è stato il social medium più utilizzato in Italia, da oltre 36,7 milioni di persone. Considerando che i frequentatori di social sono 38,8 milioni ogni mese, si può dire che il social di Zuckerberg ha una penetrazione sul target oggetto dell’analisi dell’82%.
Poco distante YouTube con 35,5 milioni di spettatori mensili e una penetrazione di circa l’80%. Sul podio permane anche Instagram con 28 milioni di appassionati, in crescita di circa il 9%.

LinkedIn ha continuato a conquistare nuovo pubblico, sono 19,5 milioni le persone che lo usano (+9,2%), probabilmente merito della sua strategia di copiare le funzioni più popolari di Facebook. Alle sue costole c’è Pinterest che, con una strategia di nicchia e senza l’aiuto dei mass media, è riuscita a crescere del 37% e ad arrivare a 19,1 milioni di persone.

Twitter mantiene i suoi affezionati utenti che l’anno scorso hanno toccato la media si 10,8 milioni (+4,4%). Il vero fenomeno è TikTok che ha fatto registrare un incremento del 333% ed ha superato la media di 6,3 milioni di audience. Va considerato che si tratta di dati sottostimati perché non comprendono l’audience tipica del servizio ossia i minorenni che lo usano da dispositivi mobili. A mio avviso oggi potremmo aver superato i 10 milioni.
Il secondo incremento maggiore è quello di Twitch che cresce del 75% e sfiora la media mensile di 4 milioni di spettatori.

Gli unici servizi a perdere rilevanza nel 2020 sono stati Reddit che è calato del 2%, attestandosi sui 3,2 milioni di utenti, Snapchat che ha perso il 15% e si è fermato a 2,3 milioni e Tumblr che ha ceduto 7 punti rispetto al 2019 ed è rimastp con poco più di 2 milioni di aficionados.


Tempo di utilizzo dei social media in Italia

Facebook non solo è il luogo più frequentato, ma è anche quello nel quale gli italiani trascorrono più tempo: a dicembre ha sfiorato le 12 ore al mese per persona.
Appaiati YouTube e Instagram, il primo usato per 6 ore e 16 minuti, e il secondo per poco meno di 6 ore. Nella risalita di Instagram ha sicuramente pesato la sua strategia di puntare sul video, sotto forma di live e di Reel.

L’app che potrebbe impensierire tutti è TikTok che, pur avendo ancora un utilizzo limitato ai giovanissimi (nel 2020 è stato utilizzata da circa il 26% dei 18-54enni) può vantare un tempo di permanenza di circa 5 ore al mese a persona. Stesso discorso per Twitch che, se dovesse riuscire ad allargare la sua base utenti, potrebbe insidiare i competitor. A dicembre il social di Amazon è stato usato in media per circa 2 ore a persona.

Nell’intorno di un’ora di utilizzo si posizionano sia Twitter (1:02) che Snapchat (59 minuti), entrambi alla ricerca dei modi migliori per tenere per più tempo le persone nei propri spazi. Twitter ha perso il treno dei video, ma potrebbe riprovarci con l’audio (il lancio imminente di Spaces), Snapchat ha iniziato a scommettere sulla carta dei video brevi.

Sotto l’ora di utilizzo troviamo Reddit (40 minuti), Tumblr (39 minuti), Pinterest (24 minuti) e LinkedIn (16 minuti) che non è ancora riuscito a risolvere questo problema, neanche con l’introduzione delle dirette.


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I contenuti su TikTok si ricordano di più e spingono fortemente l'acquisto d'impulso. Da Barilla a Mc Donald’s: ecco come farne un asset strategico

TikTok non è propriamente un social network, perché pur avendo elementi social al suo interno al primo posto non ci sono le connessioni, ma i contenuti video creati, che diventano più o meno virali in quanto tali, anche se chi li produce ha pochi follower. Parliamo di una piattaforma molto interessante per i brand del food, anche nel caso di ristorazione e retail, non solo perché conta più di 100 milioni di utenti attivi in Europa (oltre 8 milioni in Italia, in crescita costante), di cui due terzi con più di 25 anni (dato Kantar), ma anche e soprattutto per la sua grandissima capacità di engagement a livello trasversale.

In ambito alimentare e culinario TikTok è un vero e proprio incubatore e diffusore di trend, più o meno stabili e strutturati, che si riverberano poi nel mondo reale e che possono essere intercettati con ottimi risultati dalle aziende. Il format stesso dei brevi video dinamici, spesso gioiosi, ritmati e altamente diversificati in quanto a tematiche, consente di coinvolgere efficacemente: i dati ci dicono che il contenuto TikTok è almeno 8 volte più memorabile ed emozionalmente ingaggiante degli annunci tradizionali. Non solo. TikTok ha il 45% di probabilità in più di guidare gli acquisti di impulso rispetto ad altri social (Ey Holiday Shopping Behaviour Study 2020).

Vediamo allora quali sono i trend food da cavalcare e a seguire come alcuni player, da Barilla a McDonald's, hanno saputo sfruttarli in Italia.

I trend food su TikTok

Il cibo su TikTok gioca un ruolo centrale: da ricette veloci e semplici a quelle gourmet, passando al come fare piatti con gli avanzi, momenti ironici con le chefstar, preparazioni a ritmo di musica e intrattenimento associato di vario genere. I miliardi di hashtag sul tema lo confermano e vedono anche nell'#italianfood un grande protagonista. Gli utenti, come dicevamo, danno vita dal basso a tendenze alimentari-culinarie che poi diventano virali (si veda immagine in apertura). Parliamo in alcuni casi di trend di fatto strutturali e stabili rispetto alla piattaforma stessa, come l’asmr food, dove il suono della preparazione diventa reinterpretazione di motivi noti, il tutto in sincronia e sintonia. Il suono, del resto, è un vero e proprio elemento sensoriale centrale della piattaforma, a conferma di come la nuova identità sonora dei brand sarà una questione sempre più centrale per definire le strategie di comunicazione future. Ci sono poi trend come la food art e il mini food, che esprimono al massimo la creatività, riproponendo in questo secondo caso anche prodotti industriali in nuovo formato, come la Nutella. C’è poi tutto il fronte della routine food personale, come “il mio caffè” della mattina e così via. Ultimo trend recente e più contestuale: il tortilla trend "in quattro spicchi", che conferma anche la diffusa contaminazione in termini di culture food diverse. I brand possono inserirsi in tutto questo e utilizzare le tendenze più stabili e “hard” per attività magari di lungo termine, oppure cavalcare l’onda istantanea e i trend “soft” per un maggior dinamismo. Vediamo alcuni esempi di successo.

Case history virtuose nel food

Su TikTok è possibile, ad esempio, inserire il proprio prodotto (o private label) all’interno di attività che lo rinnovano suggerendo occasioni di consumo trendy. A seguito dello scoppio della "pasta con la feta mania", che ha registrato +800 milioni di visualizzazioni, la catena di supermercati Asda ha ad esempio creato e messo in vendita un kit ad hoc per farla in casa. Guardando all'Italia, Chupa Chups, in linea con la propria abitudine di presidiare gli eventi rilevanti per i giovani, ha coinvolto i creatori nella #Chupalloween portando a produrre oltre 240mila video e rinsaldando il legame con i nativi digitali. Stesso discorso per la #RingoChallenge, che ha visto il prodotto di Barilla, in linea con il suo posizionamento di lunga data nel noto spot che unisce etnie diverse, coinvolgere la community per creare un ponte tra le generazioni e ottenere oltre 24 milioni di interazioni. Mc Donald’s, dal canto suo, ha lanciato la #CrispyChallenge, dove ha invitato i fan italiani a celebrare il loro amore per il Crispy McBacon con un successo incredibile (quasi 200mila ugc prodotti). Ma TikTok può funzionare anche per presentare le novità, come dimostra il caso di Perfetti Van Melle per il lancio di Goleador Tricolor nel nostro Paese con la #WeLoveTricolor challenge. Non si è trattato solo di creare awareness rispetto alla referenza, ma di spingere direttamente le conversioni grazie all’inserimento di un link che rimandava direttamente all'acquisto su Amazon. Altra possibilità: la csr. Per sensibilizzare alla sostenibilità e rimandare al proprio impegno sul fronte, ad esempio, Barilla ha lanciato con Mulino Bianco e il presentatore del programma Art Attack Giovanni Mucciaccia la “Cart Attack”, dove si mostrava il possibile riciclo creativo della carta che contiene i biscotti del marchio. Il potenziale di TikTok, insomma, è ancora tutto da sfruttare al suono di capacità di sintesi e soprattutto spontaneità, il vero must imprescindibile per parlare con i giovani d’oggi (ma non solo).

di Chiara Bertoletti su Mark Up
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Di Max Da Via' (del 16/03/2021 @ 07:36:30, in Social Networks, linkato 1275 volte)

Clubhouse è un’app di social networking basata sulla voce. Non è ancora esplosa, ma molti early adopter ne stanno parlando, semplicemente perché è una novità nel panorama social, per di più ammantata da un alone di esclusività.

L’applicazione è stata creata da Paul Davison e Rohan Set (Alpha Exploration Co.) ed è disponibile solo nell’App Store di Apple da aprile del 2020. Ha avuto la sua prima crescita quando ha trasmesso il musical Il Re Leone, poi, gradualmente, grazie ad una meccanica di iscrizione ad inviti (ogni utente ha la possibilità di invitare due persone e poi un numero crescente a seconda del suo utilizzo della piattaforma) ha conquistato personaggi famosi ed entusiasti della tecnologia. Da una settimana se ne parla perché Andressen Horowitz, uno dei più importanti fondi di venture capital, dopo un iniziale investimento di 12 milioni, ha deciso di aggiungerne altri 100, facendo salire la valutazione dell’azienda a un miliardo.

Oggi si pensa abbia conquistato 6 milioni di utenti mensili (qui le statistiche sugli altri social media). In Italia, nell’ultima settimana, è stata la terza app più scaricata e la prima tra quelle social (dati fornitimi da Similarweb). La mia stima è che Clubhouse sia stato istallato da circa 50.000 italiani
[Update 12 febbraio: superati i 100.000 utenti italiani di Clubhouse];
[Update 28 febbraio: superati i 330.000 utenti italiani di Clubhouse].

Come funziona Clubhouse

Clubhouse è un social network asimmetrico che permette di comunicare solo utilizzando la voce, in modalità sincrona. Di conseguenza tutte le conversazioni avvengono in tempo reale e sono effimere. Non ci sono reazioni o commenti, l’audio è l’unico strumento d’interazione (per simulare gli applausi si usa accendere e spegnere alternativamente il microfono).

Dopo aver ricevuto l’invito, al primo ingresso, viene chiesto di scegliere un nome e caricare una foto (l’indicazione è di usare informazioni reali e non nickname, quindi non sono previsti profili aziendali). Come nei social network asimmetrici si dovrà costruire la propria rete di contatti, individuando le persone più interessanti da seguire (per questo l’app chiede l’accesso alla rubrica). Infine è possibile selezionare i propri interessi. La scelta dei contatti e degli argomenti è fondamentale per guidare l’algoritmo che ha il compito di suggerire le stanze più interessanti.

A questo punto l’homepage è pronta. Presenta una barra in alto con una serie di icone che permettono di cercare nuovi contatti, mandare inviti, accedere al calendario degli eventi, alle notifiche e al proprio profilo. Il feed è come un corridoio, composto dagli eventi futuri e quelli in corso di svolgimento, detti stanze.

Stanze e Club

L’utente ha due possibilità: entrare in una stanza o crearne una.
All’ingresso in una stanza, il microfono è spento e si possono ascoltare le conversazioni in corso, come se fosse un podcast. La stanza ha una sua gerarchia, riprodotta visivamente: i moderatori e gli ospiti invitati stanno in alto, più giù ci sono le persone da loro seguite ed infine il pubblico.
Chi vuole intervenire può alzare la mano (cliccando sull’apposita icona in basso) e aspettare che il moderatore gli dia la parola. Con il tasto “Leave quietly” si può uscire senza dar fastidio.

Per creare una stanza basta scegliere le persone da invitare ed eventualmente l’argomento. E’ possibile anche crearle per appuntamenti futuri, indicando giorno e ora.
Le stanze possono essere di quattro tipi:

  • Open: sono stanze pubbliche, visibili a tutti e nelle quali chiunque può entrare;
  • Social: sono stanze visibili e frequentabili soltanto dalle persone seguite dai moderatori. Se vengono aggiunti moderatori la stanza diventa più visibile;
  • Closed: sono stanze private ossia visibili e accessibili solo da coloro che sono stati invitati.
  • Club Rooms: sono le stanze create all’interno di un club.

Il club è una community tematica, aperta solo ai suoi membri, che gestisce incontri audio a cadenza regolare (sono contrassegnati da una casetta verde). Non si possono ancora creare club autonomamente, ma bisogna fare richiesta, compilando questo modulo, ma solo dopo avere organizzato almeno 3 eventi.

Impressioni

Ad una settimana dalla sua diffusione in Italia, Clubhouse sta seguendo le dinamiche di tutti i social network ossia la colonizzazione da parte di una popolazione di early adopter, che iniziano a sperimentarne l’utilizzo. In questo caso, un mix di entusiasti delle tecnologie, professionisti della comunicazione e qualche VIP.
Nella mia esperienza la maggior parte delle conversazioni è improvvisata: il moderatore apre la stanza con alcuni amici, fanno quattro chiacchiere e poi dà la parola ad altri ascoltatori. L’effetto é quello della chiacchiera informale o del gruppo di sostegno, in alcuni casi. Anche quando l’evento ha un argomento preciso, spesso, prende la deriva della conversazione allargata (a volte caotica, altre ordinata). Per alcuni può essere un pregio, su di me ha l’effetto di farmi perdere interesse.
Poi ci sono le stanze dei VIP, caotiche e autoreferenziali, nelle quali si può entrare sperando di prendere la parola, nella vana illusione di essere sullo stesso piano.

Probabilmente, col tempo, gli eventi diventeranno più strutturati e assomiglieranno a trasmissioni radiofoniche, con qualche forma di interattività. Ma i format sono ancora tutti da immaginare. Saranno fondamentali i contenuti, ma soprattutto la capacità di usare la voce per creare un legame col pubblico.

Il vantaggio di queste piattaforme audio è che permettono una fruizione passiva, interstiziale, rilassata (lean back experience), che può essere complementare ad altre attività svolte. Quindi il grado di attenzione del pubblico non è sempre elevato.
Al tempo stesso, però, estrarre valore delle conversazioni vocali richiede un investimento di tempo non indifferente. Bisogna scegliere la stanza, mettersi in ascolto e sperare che qualcuno dica qualcosa di valore. Una differenza sostanziale rispetto ai social media basati su elementi visivi (testo, foto, video), immediatamente codificabili e filtrabili.

Il futuro di Clubhouse

Il futuro di Clubhouse dipende da tre fattori: dalla capacità di mantenere un vantaggio competitivo, attrarre talenti e risolvere il problema della moderazione.

Mantenere un vantaggio competitivo non sarà facile sia perché la tecnologia che fa funzionare l’applicazione non è particolarmente sofisticata, sia perché aumenteranno i competitor. Oggi i concorrenti stanno crescendo rapidamente, tra questi Chalk, Space, Stereo, Locker Room, Soapbox, Cappuccino, Swell. Il più temibile è Discord, il sistema di messaggistica più usato dalla generazione Z, che ha anche la funzione vocale. Inoltre sta per arrivare Twitter Spaces, ora in beta, che è identico a Clubhouse, ma che potrà godere dell’integrazione con il network ideale per commentare pubblicamente gli eventi dal vivo.

Se l’app di Alpha Exploration dovesse aver successo, questi competitor sono destinati ad aumentare anche perché la tecnologia alla base di Clubhouse è facilmente replicabile. L’azienda, infatti, si appoggia sui servizi audio della cinese Agora.io, che sono disponibili a qualunque sviluppatore. Quanto ci metterà Facebook a copiarla?

L’interesse verso questa forma di social networking audio potrebbe stuzzicare anche le piattaforme come Spotify, perché la funzione delle stanze è perfettamente complementare al podcasting. L’unione di programmi asincroni a trasmissioni asincrone potrebbe dare ulteriori vantaggi ai creator e impulso ai podcast.

I creator ormai sono un elemento fondamentale di qualunque piattaforma sociale. Sono i catalizzatori dell’attenzione e i portatori di pubblico. Pertanto sono oggetto di una compravendita milionaria tra le aziende. Chi si accaparra i migliori, si garantisce la permanenza del pubblico nel proprio spazio. Dunque, il futuro di Clubhouse passa anche dalla capacità di convincere i “moderatori” più seguiti a trascorrere il proprio tempo nelle stanze audio della piattaforma. Ma per far ciò ha bisogno di implementare velocemente qualche forma di monetizzazione (esempio abbonamenti e donazioni).

Infine un grande ostacolo al futuro dell’applicazione è costituito dal problema della moderazione. Se in venti anni di social network nessuno aveva mai pensato a creare Clubhouse ci sarà stato un motivo: l’audio è un contenuto difficile da monitorare. E quando le conversazioni avvengono in tempo reale diventa impossibile, almeno ad oggi, riuscire ad identificare e bloccare messaggi di odio e di violenza.

Io penso che il futuro dei social segua le traiettorie del video e dell’ecommerce. Un’applicazione soltanto vocale potrà interessare soltanto una nicchia di persone. Di conseguenza la domanda è: esiste una nicchia abbastanza grande per garantire la sopravvivenza di un’azienda che faccia solo questo? Io sono scettico, ma dipenderà molto dalle capacità dei manager di Clubhouse.

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Di Max Da Via' (del 04/03/2021 @ 07:46:51, in Social Networks, linkato 1244 volte)

Chi non opera professionalmente nel mondo dell’influencer marketing è portato ad averne una visione bidimensionale e a percepire gli influencer come tutti uguali o come personaggi irrilevanti. Invece siamo di fronte ad un fenomeno molto sfaccettato e popolare, che va conosciuto attraverso i dati se non si vuole rimanere preda di pregiudizi o semplificazioni.

Il 75% dei 18-54enni che usano la rete dichiara di seguire almeno un influencer, di qualunque tipo. E’ il primo dato che emerge dalla ricerca “Italiani & Influencer: i protagonisti dei social visti dai loro follower” che ho condotto in Buzzoole con gli amici di Mondadori Media e InfoValue.

Per avere una visione precisa del fenomeno abbiamo intervistato un campione di oltre 1500 individui, rappresentativo degli italiani 18-54 che seguono almeno un macro influencer (profili o brand editoriali con oltre 100.000 follower, ma non celebrità).

La frequenza di consultazione di questi profili è elevata. Il 37% li segue ogni giorno e un altro 37% ogni 2/3 giorni.

I luoghi nei quali vengono seguiti sono soprattutto Instagram (67%), Facebook (59%) e YouTube (53%). Resistono i blog che vengono citati dal 15% del campione (soprattutto dagli appassionati di tecnologia, bellezza, cucina e motori).

Ma quale ruolo hanno gli influencer nel processo d’acquisto?
Per il 54% degli intervistati hanno il compito di spiegare come utilizzare al meglio un prodotto, una motivazione citata in particolare dagli appassionati di beauty e food.

Per il 47% devono far conoscere un nuovo prodotto in uscita (con accentuazioni tra gli amanti della tecnologia e del beauty).

Il 41% cita il compito di dare indicazioni utili sugli acquisti (dove e quando comprare un prodotto), vero soprattutto i viaggiatori e chi segue il mondo dei motori.

Ma l’influencer viene anche visto come colui che indica come avere il prodotto ad un prezzo minore (38%), come colui che confronta prodotti senza dare giudizi (38%) o come segnalatore di novità senza spingere una marca particolare (27%).

In definitiva siamo di fronte a figure che possono avere ruoli differenti a seconda dello stadio del funnel di acquisto nel quale si trova il consumatore. Dunque cade il mito degli influencer utili solo per azioni “Top of the Funnel” (in particolare per awareness). Anzi, assodata la transizione dei social media da piazze a centri commerciali, vedremo sempre più influencer utilizzati anche per attività di conversione. L’importante è che queste vengano inserite in progetti strategici e non rimangano semplicemente mosse tattiche, che rischierebbero di non ottenere il risultato sperato.

La ricerca può essere scaricata gratuitamente.


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Di Max Da Via' (del 23/02/2021 @ 07:45:46, in Social Networks, linkato 1131 volte)

Il panorama mediale del 2021 sarà caratterizzato da una evoluzione profonda dei luoghi della rete (instant messenger e social media) e alla trasformazione dei contenuti che li popoleranno (in particolare quelli video). Due elementi che le aziende devono considerare attentamente nella definizione del proprio modo di stare in rete. A questi si aggiunge un terzo elemento che rende il panorama ancora più complesso: gli influencer.

In questi anni gli influencer sono stati spesso derisi, trattati come fenomeni da baraccone, nullafacenti.  In realtà chi non si fosse fermato ad osservare la superficie avrebbe scoperto una categoria molto eterogenea di persone che va dalla celebrità che si mette in posa al ragazzo che gioca nella sua cameretta, passando per il divulgatore scientifico. Tutte accomunate dalla voglia di esprimersi pubblicamente attraverso gli strumenti digitali e la rete, al di là della consistenza del proprio seguito.   

Oggi questa categoria non può essere più snobbata o ignorata dai marketer se è vero, com’è vero, che sempre più persone si fidano degli influencer. Una ricerca di Nielsen Global Media ha rilevato che il 77% degli italiani che usano i social media ha fiducia negli influencer quando parlano di prodotti e servizi.

Ma stiamo assistendo ad una fase di mutazione che rappresenterà una discontinuità tra il vecchio e il nuovo concetto di influencer. Una fase nella quale incidono le trasformazioni tecnologiche, sociali e di mercato che caratterizzano il nostro tempo.

Identità

In passato gli influencer erano sostanzialmente indistinguibili perché erano semplici ripetitori di messaggi preconfezionati. Le aziende li utilizzavano come mero canale di distribuzione.  In un contesto molto più competitivo, come quello odierno, gli influencer per sopravvivere hanno bisogno di differenziarsi rispetto ai propri concorrenti (di fatto, tutti concorrono per catturare l’attenzione delle persone).
Ciò vuol dire, innanzitutto, provare a costruire un’identità forte e ben riconoscibile, agli occhi del proprio pubblico, individuando un elemento distintivo sostanziale.

Nel 2020 alcuni l’hanno fatto prendendo una posizione chiara su temi di carattere sociale, dal razzismo (sostenendo il movimento Black Lives Matters), all’ambiente (Fidays For Future), alla diversity. 
Anche in Italia, nell’anno della pandemia, c’è chi ha sensibilizzato i propri follower sulle corrette regole igieniche per evitare il contagio da coronavirus e chi si è fatto promotore di concrete iniziative benefiche.
La stessa ricerca citata prima ha rilevato che ben l’83% degli italiani che usano i social media ha fiducia negli influencer quando trattano temi sociali.

Professionalizzazione

Parallelamente gli influencer, per emergere, hanno bisogno di lavorare sulle proprie abilità e sulla capacità di produrre contenuti (educativi o di intrattenimento) in maniera professionale. È vero che anche contenuti banali possono diventare virali, ma ciò non basterà ad ottenere delle collaborazioni retribuite.

Ormai per lavorare con le aziende devono dimostrare di essere dei professionisti. Non solo nel proprio campo specifico, ma anche della comunicazione. Non basta solo essere creativi, ma serve imparare a comprendere le esigenze aziendali, partendo dalla strategia di marketing nella quale si inserisce la campagna di influencer marketing. Solo in questo modo essi potranno interpretare i messaggi “branded” con una chiave personale e originale. Anche perché le aziende che hanno un approccio più evoluto all’IM, cercano collaborazioni continuative con veri e propri “brand ambassador”, in grado di incarnare i valori del brand e trasferirli al proprio pubblico.

Monetizzazione

Professionalizzazione fa rima con Monetizzazione. Un fenomeno destinato a crescere è quello dell’utilizzo di tecnologie per il marketing che permettono agli influencer di generare un reddito dalle attività fatte in rete.  Le più note sono quelle sviluppate dalle piattaforme social nel tentativo di accaparrarsi e trattenere i creator più popolari, portatori di pubblico e di contenuti freschi. YouTube, Facebook, Instagram, Twitch sono quelle che mettono a disposizione funzioni di monetizzazione come gli annunci pubblicitari, gli abbonamenti al canale, le donazioni, il merchandising, l’affiliazione, la vendita di prodotti.

Accanto ad essi si stanno sviluppando piattaforme specifiche che permettono alle persone di ottenere un reddito dalle proprie capacità e passioni. Si parla proprio di una vera “economia delle passioni”, abilitata da aziende come Patreon, OnlyFans, Medium, Substack e tante altre.

Driver di azioni concrete

Nei suoi primi anni di utilizzo, la leva dell’influencer marketing è stata considerata come utile per perseguire soltanto obiettivi di awareness. Si usavano soprattutto personaggi noti con un’ampia follower base nella speranza di raggiungere più persone possibili. In realtà, nella nostra esperienza fatta con Buzzoole, ho verificato che può essere efficace anche per obiettivi di consideration e conversion. Ma non esiste “l’influencer per tutte le stagioni”. Ogni campagna ha un suo obiettivo e dunque deve prevedere il coinvolgimento dei creator più adatti a raggiungere quello scopo. Non è detto che chi ha tanti follower sia riuscito a sviluppare un rapporto di fiducia tale da sfociare in uno stimolo agli acquisti.
Quello che è certo è che sempre più frequentemente agli influencer verrà chiesto di veicolare azioni di business misurabili (drive to store, vendite). In linea con la tendenza dei social media ad implementare nuovi strumenti per stimolare e misurare il social commerce.

Questi fenomeni che caratterizzano la mutazione degli influencer porteranno i più bravi ad assomigliare a dei veri e propri brand. E come tali dovranno abituarsi ad utilizzare tutte le leve del marketing per stare sul mercato, partendo dall’utilizzo di dati e tecnologia.

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