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 mymarketing.it: e tu cosa ne pensi?... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 11/11/2016 @ 07:32:04, in Media, linkato 2101 volte)

Lo scontro è titanico. Da una parte i grandi colossi dell’editoria, Vogue in primis. Dall’altra le nuove leve digitali, i web influencer che catalizzano migliaia di follower e un’attenzione crescente da parte del mondo della moda. In mezzo, posta in gioco del duello, l’attenzione da parte dei marchi di moda, che si traduce in allocazione dei budget pubblicitari. La polemica tra Vogue Us e gli influencer che ha catalizzato la rete e la carta stampata a settembre è stato l’ultimo elemento che ha scoperchiato il vaso di Pandora di uno scontro in atto da tempo. Cosa è cambiato rispetto al passato? Gli investimenti in adv. Che spesso si sono ridotti nei confronti dei media tradizionali a favore dei blogger. Tanto che il confronto tra Davide-web e Golia-magazine, valido fino a qualche tempo fa, oggi sembra riequilibrato. Se non invertito.

BLOGGER A PESO D’ORO
A tracciare l’ascesa del fenomeno (e dei cachet) delle star del web è la Digital brand architects, agenzia di consulenza e management di talenti digitali. “Abbiamo cominciato questo business quattro anni fa – ha raccontato a Pambianco Magazine Alessandra De Siena, partner dell’agenzia The Digital brand architects -. Allora, quando andavamo dalle aziende proponendo progetti di comunicazione legati agli influencer, le aziende ci rispondevano: ‘Preferiamo farlo gratis’. In questi ultimi anni e, soprattutto, nell’ultimo posso dire che è cambiata radicalmente la disponibilità della moda in questo senso. Non solo allocano budget pubblicitari per progetti speciali, ma estendono l’investimento per l’intero anno”. Il risultato di questa evoluzione è semplice. “Se prima si parlava di 20 o 30mila euro di investimenti da parte delle aziende nel digital, ora a questo valore occorre aggiungere uno zero in più – ha proseguito De Siena -. Per una pubblicazione su Instagram si va dai duemila ai 15mila euro in Italia a seconda di parametri, nonché della disponibilità delle web influencer. Capita che siano loro stesse a rifiutare l’offerta per mantenere una linea editoriale coerente”. L’aumento esponenziale di questo valore conferma l’interesse, da parte delle aziende di moda, nella politica digital, tanto che alcune di queste hanno già modificato la loro strategia destinando il 70% degli investimenti a campagne digital che, spesso, garantiscono un feedback istataneo e un sold out della collezione proposta. Poche aziende, però, accettano di scoprire le carte. Contattati da Pambianco Magazine, alcuni dei brand internazionali più coinvolti nell’uso degli influencer per le proprie campagne adv, da Calvin Klein a Tommy Hilfigerfino a Gucci, hanno declinato ogni commento sulla loro strategia digitale. Lo stesso ha fatto Ovs che, in occasione del lancio di una piattaforma di proximity marketing digital, ha ingaggiato una influencer come testimonial. Il no comment sembra tradire un certo nervosismo da parte degli addetti al settore, in attesa che si diradi la nebbia sull’argomento. Per Gabriele Maggio, direttore generale di Moschino, ci può essere convivenza tra i diversi media, “senza pestarsi i piedi ed essere considerati dalle aziende due canali complementari e non sovrapposti”. “Accanto alla classica comunicazione offline – ha aggiunto – i marchi oggi cercano di avvalersi della popolarità dei web influencer sui social per raggiungere un pubblico più ampio e trasversale, che solitamente non legge le riviste di moda”.

DOSS_scontro__MG_1347 {focus_keyword} Patinati contro social DOSS scontro  MG 1347

GIORNALI A CACCIA DI IDENTITÀ
Quale sarà il destino dell’editoria di fronte alla rivoluzione digitale (e delle nuove generazioni)? I soggetti coinvolti sembrano reagire in ordine sparso. Se Oltreoceano Vogue ha alzato gli scudi e si è preparata allo scontro, in Italia, Grazia, il mensile del gruppo Mondadori, ha invece teso la mano al ‘nuovo che avanza’, dedicando la prima mostra sui nuovi protagonisti del digitale. “L’esposizione ‘You-the digital fashion revolution’ racconta i dieci anni che hanno cambiato la moda”, ha spiegato a Pambianco Magazine Silvia Grilli, direttrice di Grazia. “È dal 2008 che si parla di questo fenomeno, non è certo una novità. E non penso ci sia spazio per uno scontro perché editoria tradizionale e web influencer sono la voce di due progetti diversi con due pubblici diversi. Per intenderci – ha aggiunto – con loro il lettore stringe un patto di partecipazione. Oggi ti seguo, ma domani potrei esserci io al tuo posto. Con i giornali invece è diverso: ti reputo affidabile e ti compro. Questi giovani non ci rubano il mestiere perché per molti di loro l’aspirazione principale è ottenere la copertina del giornale”. Un recente articolo del Guardian dipinge però una situazione diversa. Secondo il quotidiano britannico, gli editori stanno diversificando da tempo il loro business per far fronte alla crisi di questo settore e all’inesorabile calo delle copie e della pubblicità. Uno degli sbocchi più interessanti sembra quello dell’e-commerce. Non è un caso che Condè Nast abbia messo sul piatto 75 milioni di sterline per lanciare il suo business e-tail Style.com. Il funzionamento ruota attorno a una formula in via di perfezionamento: in alcuni articoli di prodotto delle testate del gruppo Condé Nast saranno presenti dei link di reindirizzamento alla piattaforma e-commerce. In Italia, Grazia è stato tra i primi a mettere un piede nell’e-commerce, ma con esiti non così definiti. Nel 2014 ha lanciato Graziashop.com, ma a luglio di quest’anno ha fatto un passo indietro. Niente più e-commerce diretto, ma un aggregatore di prodotti di alcune boutique, acquistabili poi nei rispettivi siti di e-commerce dei retailer o dei brand. Zeno Pellizzari, general manager di Mondadori International Business ha commentato così al Guardianla decisione: il mercato del fahsion e-tail “è altamente competivito e sono necessari ingenti investimenti per affrontarlo”. Come dire, trasformarsi da editori a venditori non sarà un passo per tutti.

Via Pambianconews
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Di Altri Autori (del 10/11/2016 @ 07:14:37, in Aziende, linkato 1893 volte)

A nove mesi dal lancio di Facebook Live, l’adozione di questo strumento di comunicazione da parte degli editori sta decollando ma rimangono molti punti di domanda per quanto riguarda la monetizzazione, considerando soprattutto i costi legati alla produzioni di filmati di qualità. Secondo Socialbakers, il 51% dei principali publisher usa ha postato almeno un live nel mese di settembre, un valore in rialzo del 10% su gennaio. Contemporaneamente l’utilizzo di Periscope, l’applicazione per il live streaming di Twitter è declinato passando dal 14% di gennaio al 10% di settembre. Digiday ha dedicato un articolo sull’argomento, ricostruendo anche l’esperienza di alcuni dei più importanti editori a stelle e strisce.

Washington Post

Si parte dal Washington Post, che sta pubblicando circa 175 video live al mese trattando temi di varia natura. Come ha spiegato Micah Gelman, director of video del Washington Post, per la testata Facebook Live non è altro che una soluzione per raggiungere nuove audience, così come lo sono le numerose piattaforme social. E sul tema della monetizzazione Gelman è ottimista.

USA Today

Anche USA Today ha un approccio simile a quello del Post. L’editore sta veicolando numerosi video live ogni giorno e non ha intenzione di invertire questa strategia. Le clip vengono veicolate attraverso il suo network e poi ripoposti sotto forma di filmati più brevi con sotto il testo. “Ci sono diverse cose che non facciamo per avere entrate dirette ma perché aiutano il nostro marchio. Facebook è una di queste”, ha affermato Jamie Mottram, senior director of social content per USA Today Network.

Wall Street Journal

Chi invece ha un approccio opposto è il Wall Street Journal, che produce un video live alla settimana e non sembra voler incrementare questa quota. Certamente anche la testata di News Corp vede Live come una feature in grado di raggiungere nuove audience e rafforzare la relazione con quella esistente. Ma i limiti in termini di monetizzazione sono “qualcosa a cui pensiamo sempre”, ha specificato Carla Zanoni, executive emerging media editor. “È questo il motivo principale per cui siamo cauti nello sperimentare questo formato”.

CBS News

CBN News lavora con Facebook Live nello stesso modo del Wall Street Journal. Come racconta Christy Tanner, svp & gm of CBS News Digital, l’editore lo considera come supplementare agli streaming veicolati attraversi le proprie properties. Ma lo strumento consente di guadagnare nuovi pubblici soprattutto a temi di grande risonanza. “Siamo molto concentrati nel far sviluppare la nostra presenza live di 24 ore al giorno per tutta la settimana di CBSNews perché le opportunità di monetizzazione con Facebook Live sono davvero limitate. Per questo ne facciamo un uso ridotto”.

Il futuro di Facebook Live

Sembra esserci ancora grande incertezza intorno a Facebook Live e al suo futuro. Per i vertici della società di Menlo Park, stiamo andando verso un newsfeed only-video e lo streaming è un fattore di traino di questa transizione. Secondo un recente sondaggio di GlobalWebIndex la penetrazione del live è al 20% di tutta la popolazione di Facebook: una conferma di come la soluzione abbia attirato l’attenzione dei publisher ma un po’ meno quella degli utenti, tanto che il social ha varato una campagna consumer negli Stati Uniti per pubblicizzare il servizio tra i consumatori. Tornando agli editori non è più possibile ignorare Facebook Live,  soprattutto nell’ottica di colpire nuove audience. Il pericolo è che Facebook diventi ancor di più un walled garden e il traffico dei siti degli editori possa calare ancora. Per rassicurarli, Facebook sta testando un break pubblicitario nel corso del live streaming. Basterà?

Via DailyOnline
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Di Altri Autori (del 09/11/2016 @ 07:41:14, in Aziende, linkato 1712 volte)
Amazon da oggi rende disponibile il Dash. Una famiglia di piccoli dispositivi con al centro un pulsante che, una volta collegati alla rete wi-fi e configurati con lo smartphone, permettono di ordinare un certo prodotto con un solo gesto. Si spinge e, se si è clienti di Amazon Prime, la merce arriva il giorno dopo a casa. Dai fazzolettini al detersivo, della lamette alla carta igienica, fino al caffè e alla pasta. Ogni bottone è associato ad una marca e costa 4,99 euro. Ma i soldi vengono rimborsati da Amazon al primo ordine.  
 
Sono 27 i prodotti, i Dash, disponibili. Dovrebbero però aumentare nel tempo. Dash è nato ad aprile negli Stati Uniti. Poi è arrivato in Inghilterra, Germania, Austria e ora Italia, Francia e Spagna. Non solo. Alcuni produttori di elettrodomestici stanno inserendo il Dash direttamente dentro i loro apparecchi così che possano ordinare loro in automatico la cartuccia di inchiostro o lo sgrassante quando è terminato. Negli Usa l'operazione è partita con 18 brand, ora ce ne sono più di 200. E da questi dispositivi arrivano ad Amazon più di tre ordini al minuto. Con un incremento degli ordini di cinque volte anno su anno. L'equazione è semplice: più e facile ordinare più si compra. 
Amazon lancia Dash, il pulsante per gli acquisti online
Via Repubblica.it
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Di Altri Autori (del 08/11/2016 @ 07:22:22, in Aziende, linkato 1417 volte)

Le entrate pubblicitarie di  fanno registrare record di anno in anno. Secondo una ricerca eMarketer i ricavi pubblicitari di Facebook per quest’anno ammonteranno a circa 26 miliardi di dollari.facebook-mobile

I dati dimostrano un netto aumento rispetto agli anni precedenti: nel 2015 l’azienda di Menlo Park ha fatto registrare introiti pubblicitari per 17,08 miliardi di dollari. Le aspettative continuano ad essere rosee, con una previsione per il 2017 di 33,76 miliardi.

Il mercato che dà maggiori ricavi è quello americano ma il dato più interessante è quello che vede il comparto  protagonista dei guadagni legati alla pubblicità.

Gli introiti derivanti dal mobile , in aumento del 66,6% rispetto al 2015, sono stati di 21,98 miliardi di dollari. Si stima che tale crescita continuerà fino al 2018, quando Facebook guadagnerà circa 37,98 miliardi di dollari in pubblicità da dispositivi mobili.

Il trend in costante aumento è dovuto soprattutto all’efficacia degli strumenti pubblicitari proposti, nonché alla crescita costante degli altri servizi come Instagram, WhatsApp e Messenger.

E la tanto discussa modifica alla policy di WhatsApp finalizzata a mettere in contatto gli utenti con le aziende va proprio in questa direzione.

Via Tech Economy
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Di Altri Autori (del 03/11/2016 @ 07:15:52, in eCommerce, linkato 1773 volte)

Vendere on-line implica anche consegnare i prodotti ai clienti, e questa fase delicata è gestita da terzi, ovvero dai corrieri. Tutti abbiamo avuto a che fare con una consegna a casa, in ufficio o altro luogo. Così come tutti, ne sono sicuro, hanno avuto, almeno una volta, un problema legato alla spedizione.

Immaginate cosa voglia dire questo per un eCommerce, che ha a che fare giornalmente con decine, centinaia o migliaia di consegne, in Italia ed anche all’estero. La ed i trasporti sono la spina dorsale per le attività online, per questo non possono essere prese sotto gamba o affidate solo al miglior offerente, ma la valutazione va fatta in base al rapporto costo/servizio. Da una chiacchierata con Roberto Fumarola, uno dei fondatori della startup Qapla.itabbiamo messo i diversi punti critici della logistica nel commercio elettronico.

I corrieri

Per molte attività avere un unico trasportatore non è una buona soluzione, soprattutto se si vendono articolo non omogenei o in Paesi diversi. Bisognerà scegliere i servizi in base alle caratteristiche dell’azienda di trasporto: per esempio ce ne sono alcune che sono efficienti su colli piccoli (fino a 3 Kg), altre per colli medi (fino a 10-15 Kg) ed altre in grado di gestire spedizioni ingombranti.  Per fare queste valutazioni occorre chiedere al corriere stesso con quali altri clienti sta lavorando, oppure guardare i competitor per capire cosa stanno usando. Soprattutto quelli con volumi maggiori, avranno fatto la scelta, di sicuro, basandosi sulle esperienze sul campo.

Altro tema è quello delle consegne all’estero. L’ideale sarebbe rivolgersi a corrieri con network estesi, ma anche qui ci sono delle differenze: ce ne sono alcuni che sono più forti in Europa, altri per il Nord America ed altri per Asia e Medio Oriente. Avere più trasportatori permette anche di contrattare meglio le tariffe per tenerli “sulla corda”.

Altro parametro da considerare, poi, è legato ai servizi accessori. Fanno consegna di sera o il sabato? Inviano ai clienti le informazioni sul tracking? Come? Via SMS o mail? I messaggi sono personalizzabili?

Gli imballi

Un imballo non adeguato rischia di mettere in serio pericolo gli articoli inviati, con relativa gestione di resi per prodotti danneggiati. Questi costi sono tutti a carico dell’eCommerce, senza considerare il rischio di minare la fiducia dei clienti che vivono questi problemi come fastidi non di poco conto.

Si possono provare soluzioni di imballo differenti, chiedere campioni al fornitore e fare test. Tutta questa attività si ripagherà da sola in soddisfazione dei clienti ed in minori costi di gestione per problemi dovuti a danneggiamento.

La consegna dei pacchi

La fase di consegna racchiude una serie di altri problemi e rischi, come perdite dei colli spediti, problemi vari nelle consegne come indirizzi errati, clienti che non sono in casa e così via. Occorre pertanto assicurarsi di monitorare le consegne in maniera puntuale per prevenire le chiamate dei clienti.

Questo tipo di attività è apprezzata dai clienti che si sentono seguiti e non abbandonati. Mentre l’ordine è in viaggio c’è anche tutta una serie di opportunità di comunicazione che di solito non vengono colte dai venditori. Di solito, infatti, le comunicazioni sulle consegne sono affidate ai corrieri, quando invece possono e devono essere gestite da chi vende, magari personalizzando il messaggio con logo, testi dedicati ed offerte commerciali.

L’esperienza utente nella fase della consegna

La consegna, nel caso dell’eCommerce, è l’unico momento in cui il venditore ed il suo cliente vengono in contatto “fisico”. L’esperienza deve essere assolutamente perfetta, altrimenti questo incide su eventuali nuovi acquisti. Si può lavorare, per esempio, su messaggi personalizzati inseriti all’interno del pacco, coupon di sconto, informazioni pratiche su reso o informazioni sull’utilizzo e la cura dell’articolo acquistato.

Se prendete come riferimento Amazon o comunque i grandi operatori, vedrete come sono ben attenti a questo aspetto, perché sanno che l’efficienza e l’attenzione nella fase post ordine è importante quanto, se non di più, di quella pre-ordine.

Servizi extra sono possibili da considerare: per esempio i servizi accessori come la consegna in un punto di ritiro, molto diffuso come sistema all’estero ed in crescita in Italia, oppure i servizi di montaggio o ritiro dell’usato. Ci sono, anche in questo caso, trasportatori specializzati in grado di offrire questi servizi. E’ vero che hanno costi maggiori, ma gli utenti preferiscono spesso il servizio e l’efficienza al mero risparmio.

Via Tech Economy
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Quali sono le abitudini digitali degli italiani? A trovare una risposta a questa domanda, ci ha pensato l’Agcomnel rapporto “Il consumo di servizi di comunicazione: esperienze e prospettive” pubblicato recentemente.

Internet in mobilità è la chiave di volta

 

Propedeutico all’uso di servizi di comunicazione è il possesso di device. L’analisi dell’Agcom evidenzia l’ampia penetrazione tra gli individui di smartphone e/o cellulari (94,1%), seguita dal telefono fisso (88,4%). Meno diffusa tra gli individui è la disponibilità di smart tv (27,7%). La rapida diffusione delle tecnologie di connessione a internet in mobilità, rende molto interessante l’analisi della disponibilità di strumenti che forniscono accesso alla rete (smartphone, tablet e pc portabili) in qualsiasi luogo e momento: il 30% circa di individui dispone di tutti e tre i dispositivi.

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Accesso alla rete: giovani vs. anziani

 

Dal confronto intergenerazionale proposto nell’analisi, si osserva come l’età rappresenti uno dei principali fattori che rende l’esperienza di consumo dei beni e servizi di comunicazione differente tra gli utenti: tra i più giovani sono diffusi i comportamenti più innovativi. C’è inoltre un diverso livello di conoscenza e di consapevolezza sia degli strumenti e delle loro potenzialità d’uso, sia delle caratteristiche qualitative dei servizi offerti dai fornitori. Per i più maturi, invece, si evidenzia il rischio di esclusione digitale: infatti, prendendo in esame i dati sull’accesso a internet, mentre nella classe più anziana della popolazione solo un terzo degli individui accede a internet, in quella più giovane sono più di nove individui su dieci ad accedervi. A livello generale, la rilevanza della rete nella vita quotidiana è universalmente riconosciuta tra i consumatori. L’accesso alla rete, infatti, è ritenuto un servizio indispensabile per oltre il 90% degli individui, indipendentemente dall’età. A tal proposito è interessante notare che l’88% dei cosiddetti “Matures” riconosce l’importanza di internet anche se questa rappresenta la categoria che vi accede di meno.

La carenza di conoscenze è una “barriera all’accesso”

 

Le evidenze empiriche suggeriscono che il solo fattore “età” non è in grado di spiegare il gap che l’Italia mostra, rispetto ad altri paesi dell’Europa, nella diffusione tra la popolazione dei più moderni strumenti di comunicazione. In particolare, la carenza di conoscenze e di dimestichezza con gli strumenti tecnologici rappresenta, per il consumatore, una sorta di “barriera all’accesso”. Le analisi mostrano, infatti, come le caratteristiche legate alla conoscenza producano un significativo impatto sulla diffusione della cultura digitale. A parità di classe di età, un più elevato livello di conoscenza, aumenta la probabilità di un maggior uso delle tecnologie digitali. Ciò si traduce nella necessità di limitare alcuni effetti distorsivi, i cosiddetti “fallimenti di mercato”, generati dalla presenza di asimmetrie informative tra consumatori e i fornitori di servizi. Ad esempio, in Italia, così come in gran parte d’Europa, il 45% degli individui non conosce la velocità raggiunta nel collegamento a internet. Si osserva, però, che l’ignoranza circa la velocità di connessione a Internet si riduce al crescere del titolo di studio dichiarato ed è decisamente minore tra i più giovani. Questo risultato testimonia che mancanza di conoscenza e mancanza di informazione spesso sono correlate. Non senza sorpresa, quindi, emerge che circa il 40% degli utenti non è a conoscenza dell’esistenza di software utilizzabili per testare la velocità di connessione e che oltre il 50% non è disponibile a pagare qualcosa in più per ottenere una connessione più veloce.

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Le donne non rinunciano alla voce…

 

In merito alle modalità di acquisto dei servizi, emerge che oltre il 60% degli individui sceglie di abbonarsi a bundle di servizi che comprendono cioè sia i servizi vocali sia i servizi dati. Anche in questo caso si evidenzia che oltre il 70% dei più anziani resiste nel mantenere la linea telefonica (fissa e/o mobile) senza internet. Una tendenza simile si evidenzia a livello di genere, dove si riscontra che le donne, a prescindere dall’età, preferiscono sottoscrivere abbonamenti che prevedono solo servizi vocali.

…E gli uomini a WhatsApp e Skype

 

Lo studio Agcom analizza, infine, l’esperienza dei consumatori nei confronti degli strumenti di comunicazione introdotti più di recente, con particolare riferimento alla diffusione tra la popolazione dei servizi di messaggistica come WhatsApp o Messenger, dei servizi alternativi alla telefonia vocale tradizionale, come le chiamate effettuate tramite Skype, e dei servizi postali online. Ai servizi alternativi ricorrono maggiormente gli uomini, tuttavia, il divario è legato più all’età che al genere, soprattutto nel caso dei servizi alternativi di messaggistica. 

Via DailyOnline
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Dinamiche economiche, aspetti finanziari, giuridici e manageriali del mercato sportivo sono state le tematiche al centro dell’attenzione del primo Forum Sport e Business organizzato dal Sole 24 Ore presso la sua sede milanese, a una settimana dalla presentazione del “Piano Periferie” con cui il Governo ha stanziato 100 milioni per realizzare oltre 180 nuove strutture sul suolo nazionale. Ad aprire i lavori è stato Marco Nazzari, chief revenue officer Europe e managing director Italy di Nielsen Sports, che ha snocciolato numeri e trend principali della sport industry, tracciando anche una panoramica sullo scenario internazionale.

Le sponsorship sportive valgono 62 miliardi, trainate dall’Asia

«Il mondo dello sport sta crescendo in modo esponenziale e, secondo le nostre stime, nel 2017 la spesa globale per le sponsorizzazioni supererà i 62 miliardi di dollari, l’80% in più rispetto al 2010 quando ne valeva “soltanto” 35. Esiste comunque il potenziale per il settore sponsorship di crescere oltre quanto già previsto, grazie all’impatto dei nuovi player delle digital platform. A oggi gli elementi chiave della crescita sono sostanzialmente 3: un maggiore interesse per gli eventi premium, la nascita di mercati emergenti – il caso dell’Azerbaijan è esemplare – e di nuove property, e infine l’evoluzione della distribuzione e delle modalità di consumo di questi contenuti, che vanno sempre più in direzione digital only, IPTV e OTT». Questo trend non è destinato ad arrestarsi, soprattutto grazie alle nuove fonti d’investimento, in società e property di settore, che arrivano dall’Est e dall’Asia: i casi Wanda Group, Huawei e Gruppo Suning ne sono un esempio. «Guardando al futuro – continua Nazzari – ci aspettiamo che digital, betting e gaming rights vadano ad alimentare la velocità del cambiamento e che il settore tecnologico continui a essere la categoria merceologica di sponsor con l’incremento più importante».

Millennial e donne trainano lo sport business

Una questione importante da monitorare è l’audience di questo circo che, prima ancora che sportivo, rischia di diventare mediatico. «I Millennial e le donne sono i due segmenti chiave e hanno un potere d’acquisto, rispettivamente, di 2,5 e 3 trillioni di dollari. Entrambi sono bacini d’audience dall’alto potenziale e presentano diverse opportunità per i brand, che devono capire come intercettarli nel modo giusto», ha spiegato Nazzari. Ne sono un esempio l’NBA, che intercetta giornalmente oltre 100 milioni di utenti su Snapchat, e diverse squadre di calcio, che hanno stretto con Facebook una partnership per trasmettere live gli allenamenti. «La vera sfida del futuro è creare maggior engagement nei Millennial e sostenere investimenti nello sport femminile, sia in ambito amatoriale sia professionistico», ha concluso.

OTT: opportunità o minaccia?

 

Sul fronte dei diritti audiovisivi, i costi continuano a salire dimostrando che il live sport è un contenuto premium: NBA +186%, NHL +163%, Premier League +70%, Bundesliga +53%, CSL +2567% e AFL +67%. «Le emittenti spingono sempre di più per contratti a lungo termine e per ottenere i diritti delle piattaforme digitali. Ma se da un lato la concorrenza di nuovi player nel mondo media provoca l’aumento dei prezzi per i diritti degli sport più seguiti, dall’altro gli stessi sport stanno sviluppando prodotti media proprietari, creando così tensioni con gli stake holder». Infatti piattaforme di direct to consumer e ott si stanno conquistando spazio, diventando per molti player più tradizionali quasi una minaccia: «Piattaforme che distribuiscono contenuti esclusivamente in digitale si sono assicurate diritti esclusivi di contenuti premium: Tencent, per esempio, ha ottenuto i diritti digitalu e streaming esclusivi per l’NBA in Cina per 700 milioni in 5 anni. Ma anche Telco, Right Older e gli stessi brand in prima persona si stanno facendo largo, costruendo le proprie offerte OTT», ha commentato managing director Italy di Nielsen Sports, che intravede un futuro sempre pià incentrato sugli OTT e, per forza di cose, le emittenti dovranno trovare le giustre contromisure.

L’avvento di una nuova categoria: Fast Growth Sport

«Esports, nuovi formati di competizioni ed eventi, il mondo fitness e i combat sports sono il presente e il futuro della sport industry», spiega ancora Marco Nazzari. Gli Esports, in particolare, conosceranno una crescita esponenziale, con l’Asia a guidare questo mercato, e un’audience da fare invidia ai maggiori eventi sportivi mondiali. «Emergeranno nuovi format ed eventi sportivi negli sport tradizionali che finiranno per rimpiazzare del tutto i vecchi formati».

La monetizzazione su digital e social è tutto

Brand sportivi e Right Holder, dopo essersi concentrati sulla costruzione e sul consolidamento di una loro community, hanno successivamente puntato i riflettori sulle pratiche di engagement e di monetizzazione. «Questa è l’era della monetizzazione, con i maggiori Right Holder che vanno a integrare le brand partnership attraverso contenuto online di qualità e usano abitualmente i canali social per attirare utenti sui propri siti di ticketing e merchandising. Costruire Fan Stories, New Asset e puntare sui video rappresentano le tre modalità per ottenere valore attraverso i social media e questo comporta la nascita di nuovi asset digitali e opportunità di sponsorship, come quella Chevrolet – Manchester United». «La monetizzazione dunque – conclude il managing director Italy – rappresenterà il maggiore flusso dei ricavi nello sport».

Via DailyOnline
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Di Altri Autori (del 14/10/2016 @ 07:47:33, in Internet, linkato 1870 volte)

comScore oggi annuncia un importante sviluppo dei prodotti MMX Multi-Platform e Mobile Metrix per l’Italia grazie all’introduzione dei dati provenienti dal panel mobile appena lanciato. L’introduzione dei dati del panel mobile Android potenzia le misurazioni della mobile audience in Italia fornendo una reportistica più robusta su metriche di visite ed engagement e sui dati demografici, che comprendono nuove variabili di segmentazione quali l’area geografica di residenza, la presenza di bambini e la composizione del nucleo familiare.

“Ci siamo impegnati a introdurre sul mercato italiano soluzioni solide e di alta qualità e siamo entusiasti nell’annunciare che ancora una volta abbiamo rispettato gli impegni presi, attraverso il rapido sviluppo di un panel mobile locale che consente insight più approfonditi e granulari,” ha affermato Gian Fulgoni, CEO di comScore. “Abbiamo ricevuto dal mercato un enorme sostegno per lanciare nuove soluzioni che aiutino i nostri clienti a prendere decisioni migliori nel panorama odierno, multi-device e in continua evoluzione. Questo traguardo rappresenta un passaggio-chiave nella nostra roadmap di innovazione ed è solo l’inizio di una serie di ulteriori sviluppi da realizzare nel prossimo futuro”.

I prodotti MMX Multi-Platform e Mobile Metrix di comScore combinano dati provenienti dai panel desktop e mobile con i dati del network censuario di comScore, che intercetta globalmente oltre 1.8 trilioni di interazioni digitali al mese e il 94% dei dispositivi connessi a internet in Italia, al fine di fornire una vista unificata del comportamento delle audience su desktop e su mobile. Questo approccio unico fornisce una misurazione reale, basata sulle persone, della Total Digital Reach. Inoltre le misurazioni di comScore continuano a innovarsi per includere i cambiamenti nel comportamento degli utenti e le nuove tecnologie. Tra queste la capacità di misurare e attribuire il traffico proveniente da app di terze parti e da distributori di contenuti come Facebook Instant Articles e Google AMP, per assicurare agli editori una misurazione consistente della loro audience digitale complessiva su più dispositivi.

Principali risultati emersi dai dati di agosto 2016:

  • La Total Digital Population ha raggiunto in Italia i 36,6 milioni di visitatori ad agosto 2016 sui quali le 7 maggiori properties vantano una reach superiore al 50%;
  • Il 47% ha effettuato l’accesso a Internet sia tramite desktop sia tramite mobile.
  • Banzai si è posizionata come la principale digital property italiana, con una Total Digital Population ad agosto 2016 pari a 22,4 milioni di utenti, di cui il 56% ha effettuato l’accesso esclusivamente tramite smartphone o tablet.
  • La componente mobile-only dell’audience rappresenta la maggioranza dell’audience dei principali siti di news e informazione in Italia, come nel caso del Gruppo Editoriale Espresso (che ha mostrato un’alta percentuale di visitatori unici esclusivamente mobile, pari al 52%), o RCS Media Group (al 55%).

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Il Mobile Browsing attira le audience mentre le App generano coinvolgimento

L’analisi sulle prime 100 mobile property in Italia rivela che l’audience media su mobile browsing è il doppio dell’audience media raggiunta dalle top property su mobile app, dimostrando che il mobile browsing rappresenta ancora l’elemento chiave per aumentare la propria reach digitale.

Ad ogni modo, nel mese di agosto 2016 il tempo spento in-app sulle top 100 property è risultato 8 volte superiore a quello speso in mobile browsing, evidenziando che le app sono la modalità preferita dai visitatori più coinvolti e fedeli per interagire con contenuti e servizi. Facebook e WhatsApp sono al primo e secondo posto in termini di coinvolgimento detenendo rispettivamente il 30,3% e il 28,2% del tempo speso sulle prime 100 mobile app durante il mese di agosto 2016.

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Facebook, WhatsApp e Youtube le App con il più alto coinvolgimento delle audience, Fabrizio Angelini CEO di comScore Italia, ci illustra i dati del Panel Mobile.

Via Spot & Web
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Di Altri Autori (del 13/10/2016 @ 07:42:24, in Mobile, linkato 1710 volte)

Continuano a cambiare i comportamenti degli utenti online. La penetrazione del mobile e la potenza sempre maggiore dei device stanno spingendo il traffico verso il segmento, ma al suo interno ci sono spaccature piuttosto evidenti. Applicazioni e mobile browsing hanno scopi diversi e complementari, «ma è sulle app che viene speso il 90% del tempo, e tra le 15 app più scaricate, 11 sono di proprietà di Facebook e Google. Una situazione che potrebbe essere pericolosa per il mercato italiano», racconta Fabrizio Angelini, ceo dicomScore per l’Italia. Il quadro della situazione mobile, raccontato ieri da Stuart Wilkinson, Head of Industry Relations EMEA di ComScore a Milano, è il frutto degli sviluppi di MMX Multi-Platform e Mobile Metrix dovuti all’introduzione dei dati del Panel Mobile, sviluppato in Italia sugli utenti Android. «Abbiamo incrociato le informazioni consegnate dai nostri 2000 panelisti ai dati censuari collezionati da app e siti che possiedono il nostro tag (38 milioni di domini, n.d.r.). Il valore di ricerche come questa risiede nei big data, nell’interpretazione delle informazioni, capaci di arricchire e dare maggior credito alle rilevazioni», dice ancora Angelini.

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Le piattaforme

 Solamente nel mese di gennaio, comScore ha raccolto quasi 2 trilioni di dati in tutto il mondo. Per aiutare i marketer a raccapezzarsi velocemente tra tutte le informazioni a loro disposizione, la società ha lanciato nel 2014 la prima versione di MMX Multi-plaform, una piattaforma in grado di processare dati grezzi in metriche di facile lettura. La tecnologia è in continua evoluzione: nata per riportare le informazioni desktop, si è poi espansa a mobile e presto agli ott. La visualizzazione del report può essere proposta in overview o suddivisa nei diversi dispositivi su cui vivono i domini dei clienti. «Fornisce una visione deduplicata del comportamento della Total Digital Audience su desktop, smartphone e tablet», aggiunge Wilkinson. Mobile Metrix, invece, incrocia i dati provenienti dal panel mobile, le informazioni censuarie raccolte da mobile browsing e app e gli insight tratti dalle ricerche di mercato, producendo al contempo una serie di metriche tra cui visitatori unici, dati demografici, reach, tempo speso , utenti medi giornalieri e pagine viste su mobile browser.

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La digital audience italiana

 Sebbene non sia currency di riferimento in Italia, come invece lo è in Usa, Uk e Spagna, comScore riesce a intercettare con il suo tag il 94% dei device connessi alla rete nella Penisola ed è applicato dall’80% dei principali editori italiani e grazie alle informazioni così raccolte è riuscita a sviluppare una ricerca che fotografa la situazione del digitale anche sul nostro territorio. Dai dati raccolti nell’agosto del 2016, è evidente lo shift di utenza dal desktop, che perde il 22%, al mobile, che invece guadagna il 20%, stanziando il traffico sul primo a 10,9 milioni di visitatori unici e il secondo a 8,4. Cresce anche il traffico multi platform, che si attesta a 17,3 milioni di unique visitor (+9%). Guardando alla distribuzione del traffico, il 23% dei digital user accedono solo da mobile, il 30% solo da desktop e il 47% da entrambi i dispositivi. L’ultima percentuale è la più bassa tra i Paesi in cui comScore è currency ed «è la più importante perché la conversione avviene ancora da desktop. La componente mobile only non è necessariamente un segno di evoluzione», spiega Angelini. Se questo discorso appare evidente quando si parla di categorie di mercato, è ugualmente importante quando si parla di editoria. Sebbene le inventory mobile siano più difficili da monetizzare, i publisher perdono utenza da desktop e raddoppiano quella mobile. I dati «considerano la riattribuzione del traffico che avviene sugli AMP di Google e su Facebook», continua Angelini. In altre parole la società di misurazione assegna agli editori le pagine aperte dagli utenti sulle piattaforme esterne su desktop e, unica nel settore, da mobile. «Siamo i soli che propongono deduplicazioni che riportano un’audience complessivo», aggiunge.

 

Mobile

 «Su tre minuti passati online, due sono spesi su mobile. Google, Whatsapp e Facebook dominano la classifica delle properties per numero di utenti unici mobile totali, ovvero app e mbrowsing combinati, con tassi di penetrazione del 99%, 90% e 81%», continua Angelini. Considerando che il traffico in app vale il 90% del traffico mobile complessivo, e che tra le prime 15 app, 12 appartengono a Facebook e Google, lo scenario del mezzo potrebbe essere preoccupante. Questi due player infatti siedono su una posizione di predominio totale, considerando anche che la penetrazione su device delle app vale il 93% per Whatsapp e Google Play, il 78% per Google Search, il 70 per Youtube. «La prima app che non appartiene alle due società è Amazon, in 12esma posizione, con una penetrazione del 23%, seguita da My Vodafone Italia e IlMeteo Previsioni (entrambe 17%)», riporta. Facendo attenzione alle categorie di contenuto, servizi e social media si spartiscono il 60% della torta, mentre per Notizie, Sport e Lifestyle la percentuale si aggira intorno all’1% a testa. La dicotomia tra m-browsing e applicazioni rimane anche per le funzioni strategiche specifiche: i visitatori unici delle property nella prima modalità sono 2 volte e mezzo quelli delle app (2,5 milioni contro 1,3 nel mese), mentre il tempo medio speso è 8 volte inferiore (49,3 minuti contro 401,1). Se il browser serve per raggiungere nuovi utenti, le app sono necessarie a fidelizzarli. Una missione non facile, dato che il tempo speso in app è altamente concentrato sulle proprietà dei grandi colossi. Facebook assorbe il 30% del tempo speso totale, Whatsapp il 28, Youtube il 6. E fuori dal podio le percentuali sono molto inferiori. Stimolare il download non è affatto facile considerando che, nell’arco dei 31 giorni, il 68% di chi naviga non scarica nessuna app.

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Advertising

 Ultimo punto, ma non certo il meno importante, è quello dell’advertising. Il 33,8% dell’utenza smartphone over 13 ricorda di aver visto una ad sul device, e il 13% (circa) tra questi ci ha interagito. Un dato in crescita del 12,8% rispetto all’agosto del 2015, che produce un ctr del 4.39% sul totale ads erogate (considerando i dati dichiarati).


Via  DailyOnline
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Di Altri Autori (del 12/10/2016 @ 07:21:54, in Mobile, linkato 1775 volte)

In Italia sono 29,7 milioni le persone che posseggono uno smartphone e 11,6 milioni quelle che hanno un tablet ma solo il 25%di loro ha utilizzato il proprio device per perfezionare un acquisto negli ultimi sei mesi. Tradotto:un italiano su quattro. Il dato è di gran lunga inferiore alla media europea, pari al 32%, e alla percentuale mondiale, pari al 38%. È quanto emerge dalla ricerca Nielsen Mobile Ecosystem Survey basata su un campione di oltre 30 mila possessori di apparecchi mobile in 63 Paesi. Stando all’analisi, più che per i pagamenti, il mobile è utilizzato durante lo shopping perricercare informazioni su prodotti/servizi (il 40%, contro la media Europa del 44%), per comparare i prezzi (36% contro il 41% dell’Europa), per cercare promozioni o coupon (il 30% contro il 32%). La stima è che, tra dieci anni, il mobile commerce possa generare un giro di affari del valore di 10 trilioni di dollari.

 IL MOBILE ONLY BANKING. Un capitolo a parte viene invece riservato per i servizi bancarilegati al mobile. Solo il 37% degli italiani userebbe il mobile per controllare i propri movimenti bancari, contro il 43% della media europea e il 47% della media mondiale. Per quanto riguarda il mobile-only banking, ossia i serviti bancari offerti esclusivamente in modalità mobile, l’11% degli intervistati italiani si dice disposto a utilizzarli. La media europea è del 17% che diventa il 27% se si considera quella mondiale. In particolare i Paesi più favorevoli al mobile only banking sono India (46%) Indonesia (37%), Messico (34%) e Turchia (34%) poiché qui la rete delle filiali fisiche è già scarsa. «L’esperienza dei mercati emergenti costituisce un punto imprescindibile per sviluppare anche in Europa la cultura del mobile. Ciò a cui siamo chiamati è un radicale cambiamento di visione del mondo dei consumi», spiega l’a.d. NielsenGianni Fantasia. «Nello stesso tempo è necessario uno sforzo delle catene di distribuzione per permettere un servizio di pagamenti via mobile adeguato alle aspettative. Occorrono, inoltre,garanzie di sicurezza e risparmi sulle commissioni per le operazioni bancarie».

 GLI OSTACOLI. Attualmente a frenare i consumatori a pagare tramite mobile sarebbero tre cause. La prima, condivisa anche dal resto d’Europa, è la percezione di non operare in un clima di sicurezza: è il timore del 35% degli intervistati italiani e del 46% del campione europeo. Al secondo posto, ci sarebbe la concorrenza dei servizi online banking, ormai entrati nelle abitudini quotidiane del 34% degli italiani (29% in Europa e 28% nel mondo). Solo il 20% non ricorre invece al mobile perché privilegia la banca fisica. Le percentuali europee e mondiali sono superiori, pari rispettivamente al 25% e 31%. «Facilità d’uso, convenienza, accesso ad un assortimento rilevante, abbattimento dei tempi di evasione delle transazioni, un approccio integrato per gestire i canali off e on line, un linguaggio comune delle piattaforme tecnologiche: sono questi i contenuti della ‘value proposition’ del mobile in grado di fornire una base motivazionale “forte” e solida perché i consumatori dalla banca tradizionale emigrino al sistema esclusivamente mobile. Solo così sarà possibile garantire al consumatore dell’online un ritorno in termini di valore aggiunto adeguato e caratterizzato dall’unicità dell’offerta», conclude Fantasia.


Via Business People
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