Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La legge spagnola che obbliga gli aggregatori di notizie online a pagare un contributo ai produttori di contenuti anche per poterne pubblicare solo una piccola anteprima fa più male ai detentori dei diritti che l'hanno voluta inizialmente che a Google News e affini, ed è costata loro almeno 6 per cento del traffico registrato.
In gran parte su pressione dell'Asociaciòn de Editores de Diarios Espanoles (AEDE), il Parlamento spagnolo aveva approvato lo scorso ottobre la nuova legge, entrata in vigore a gennaio, che ha modificato l'art. 32.3 della normativa sul diritto d'autore riconoscendo la tutela dei cosiddetti snippet (le anteprime) dei contenuti pubblicati online ed utilizzate dagli aggregatori per contestualizzare e presentare i link alle notizie.
Da un lato la legge ha di fatto riconosciuto che il servizio Google News fosse fino a quel momento lecito, dall'altro ha fatto intendere che non lo considerasse giusto nei confronti dei produttori di notizie, che ha finito per appoggiare nelle loro posizioni più estreme: anche prima che fosse adottata la normativa, d'altra parte, vi erano discussioni circa l'opportunità di una tale strategia e sul valore intrinseco di Google News come vetrina e moltiplicatore di link per i giornali online stessi.
Google, in ogni caso, non si era fatta intimorire: convinta delle proprie ragioni aveva risposto, subito dopo l'introduzione della nuova forma impropria di tassazione, annunciando di voler abbandonare con il proprio aggregatore di notizie la Spagna.
La mossa ha subito spinto gli editori a fare un passo indietro sostanziale, chiedendo al governo di intervenire nuovamente sulla questione per porvi rimedio: Google non ha visto il loro bluff e gli editori si sono ritrovati con una mano perdente, proprio come gli editori tedeschi prima di loro, che nel braccio di ferro con Mountain View hanno ben presto capito che non potevano fare a meno dell'aggregatore di BigG e gli hanno "concesso" una licenza gratuita per indicizzare le proprie notizie.
Proprio come per loro, anche per gli spagnoli al momento di mostrare i propri punti i conti non sono tornati: a dirlo è lo studio voluto proprio dall'editoria spagnola, che conclude affermando che l'implementazione della legge costerà agli editori 10 milioni di euro, con danni maggiori per i piccoli editori che vedono il proprio traffico crollare del 14 per cento.
Secondo le conclusioni della ricerca, i supposti effetti distorsivi legati agli utenti che si limitano a leggere l'anteprima della notizia senza approfondirla cliccando effettivamente su di essa sono più che compensati dall'effetto "espansivo sul mercato" generato dagli aggregatori di notizie: in base ad esso i netizen leggono più notizie, potendo scegliere quali leggere.
Ai danni per gli editori bisogna poi aggiungere quelli per gli aggregatori: mentre Google ha potuto scegliere la fuga, piccole realtà locali come Planeta Ludico, NiagaRank, InfoAliment e Multifriki hanno semplicemente chiuso i battenti. In particolare la chiusura di NiagaRank è emblematica: pur rappresentando un aggregatore alternativo, che cercava di mettere in evidenza le notizie più condivise sui social network, la zona grigia della legge in cui era finito il servizio ha convinto i suoi gestori semplicemente a chiudere.
Oltre ai numeri nudi e crudi, secondo lo studio, è la ratio a dare torto alla legge: non ci sarebbero "né giustificazioni teoriche né empiriche" per il balzello, stessa conclusione cui è giunto alla fine del dibattito il report europeo portato avanti dalla Pirata Julia Reda.
Via Punto Informatico
La spesa casalinga da oggi si può fare online su Amazon anche in Italia. Il colosso dell'e-commerce apre nel nostro Paese la vendita online di prodotti alimentari a lunga conservazione e per la cura quotidiana della casa, dai pacchi di pasta ai biscotti, dalle bibite allo shampoo. La mossa potrebbe spingere un comparto - quello alimentare nell'e-commerce - già dinamico. Lo evidenzia una ricerca pubblicata oggi dall'Osservatorio eCommerce B2c Netcomm - Politecnico di Milano, secondo la quale in Italia crescono sia il Grocery (spesa da supermercato), che nel 2015 supera i 200 milioni di euro, sia il Food and Wine enogastronomico, che sfiora i 260 milioni di euro.
«Il comparto alimentare è nel 2015 uno dei settori più dinamici nel panorama dell'eCommerce B2c italiano», afferma Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «Negli ultimi due anni -aggiunge Perego- sono diverse le insegne della grande distribuzione che hanno attivato iniziative di Click&Collect, con la possibilità di ordinare online e di ritirare presso il punto vendita. Anche nel Food&Wine enogastronomico rileviamo un certo fermento grazie all'intraprendenza di produttori, «presidi territoriali» (che valorizzano prodotti locali), retailer, enoteche e start up, come ad esempio nella vendita di prodotto fresco (soprattutto frutta e verdura), nella consegna del pranzo pronto a domicilio, e nella vendita di prodotti in nicchie molto specifiche. L'ingresso di Amazon non può che incrementare ulteriormente la vitalità del comparto. Ne beneficeranno anche le Pmi del settore food, che con il Marketplace potranno avere un ulteriore canale di accesso all'eCommerce e all'Export online.»
Via IlSole24Ore.com
Instagram sta lavorando molto per portare gli inserzionisti ad acquistare spazi sul proprio social network: la recente apertura delle API per l’advertising e l’aver unito le capacità di targetizzazione a quelle di Facebook darà agli inserzionisti nuove possibilità di effettuare campagne, il che porterà a un rapido aumento della spesa pubblicitaria. Ad affermarlo è la nuova ricerca di eMarketer incentrata proprio su Instagram dal titolo “Instagram Advertising: What Marketers Need to Know.”
I dati di eMarketer stimano che Instagram raggiungerà circa 600 milioni di dollari in termini di ricavi pubblicitari entro la fine di quest’anno, con un tasso di crescita vertiginoso che porterà la società a guadagnare 2,81 miliardi entro il 2017. L’interesse per Instagram da parte delle aziende è stato alimentato da studi che dimostrano un alto tasso di engagement sia con i post “organici” sia con gli annunci a pagamento (fino ad ora appannaggio solo di pochi brand di grandi dimensioni), ma è impossibile prevedere se questi risultati continueranno anche dopo l’introduzione dell’advertising aperto a tutti.
Il report sostiene che un fattore chiave del forte tasso di engagement è che ogni utente, se esegue l’accesso regolarmente, può vedere in potenza tutti i post degli account che segue nel proprio newsfeed, cosa che non accade per esempio con Facebook, il cui algoritmo limita la probabilità di vedere i post che non sono sponsorizzati delle pagine aziendali. L’esempio di Dot & Bo, famoso store di arredamento e design americano, è illuminante in proposito: la società registra un numero sostanzialmente uguale di preferenze (like) sui suoi post di Instagram e Facebook, anche se possiede solo 8.800 follower su Instagram contro i 620.000 che invece la seguono su Facebook.
Il social network delle foto però non ha un forte tasso di engagement solo sui post organici: in un post sul blog di Instagram (datato giugno 2015), l’azienda ha citato molto esempi di inserzionisti canadesi che hanno aumentato la portata del brand per percentuali che vanno dal 14 al 45%. In proposito, Jim Squires, direttore di Instagram delle operazioni di mercato, ha dichiarato: “Se ci pensate, le performance degli annunci sulla piattaforma sono superiori quasi di tre volte a quello che si vede generalmente nel settore“.
Se questi risultati rimarranno alti, dipenderà soltanto da come la società intenderà gestire l’apertura della possibilità di comprare inserzioni in tutto il mondo. Fino ad ora, l’approccio lento e attento di Instagram ha registrato un’esperienza positiva sia per le aziende sia per gli utenti. eMarketer conclude la disamina affermando che l’introduzione di molta più pubblicità potrebbe non piacere agli utenti con il conseguente rischio di verde drastici cali di utilizzo.
Via Tech Economy
Erano 29,3 milioni gli italiani collegati online a maggio 2015, mentre a Giugno del corrente anno il numero è leggermente sceso a 29 milioni di utenti che si sono collegati a internet almeno una volta al mese, pari al 52,6% di italiani che hanno un minimo di 2 anni di età. Il tempo medio che un italiano passa connesso al web è di circa 44 ore e 50 minuti.
Nel primo semestre del 2015, Audiweb ha rilevato che 41 milioni di italiani hanno avuto accesso a internet, 30,6 milioni da smartphone e circa 11,6 milioni da tablet. Nel mese di giugno 2015, in particolare, 29 milioni italiani hanno navigato almeno una volta nel mese, il 52,6% degli italiani dai due anni in su. L’audience online nel giorno medio è cresciuta del 5,9% in un anno, con crescita di accessi dai dispositivi mobili: +14,7% in un anno.
Nel nuovo rapporto di Audiweb sulla Ricerca di Base sulla diffusione dell’online in Italia con i dati dell’audience totale di internet (total digital audience) del mese di giugno 2015 viene riportato che nel mese di giugno 2015 risultano 29 milioni gli utenti che si sono collegati almeno una volta da PC e device mobili (smartphone e tablet), il 52,6% degli italiani dai 2 anni in su, connessi per 44 ore e 50 minuti. La total digital audience nel giorno medio è di 21,7 milioni di utenti, online in media per quasi 2 ore.
Accedono a internet da device mobili 17,3 milioni di italiani nel giorno medio (il 39,2% degli individui di 18-74 anni), mentre da PC 12,3 milioni di utenti (il 22,2% degli italiani dai 2 anni in su).
I dati rilevano un incremento del 5,9% dell’audience totale online nel giorno medio nell'ultimo anno, grazie alla crescente abitudine di utilizzare device mobili per accedere a internet.
Andando ad analizzare i dati socio-demografici, nel giorno medio a giugno online si sono connessi il 41% degli uomini (11 milioni di utenti dai 2 anni in su) e il 38% delle donne (10,6 milioni di utenti dai 2 anni in su). E' in crescita poi l'uso di Internet da parte dei più giovani, soprattutto tramite device mobili.
Anche se si è registrato un lieve calo rispetto al mese precedente, l’accesso a internet nel giorno medio via mobile raggiunge circa il 59% dei 18-24enni (2,5 milioni di utenti, -6,4% rispetto a maggio 2015) e il 60% dei 25-34enni (4,2 milioni, -1% rispetto a maggio 2015).
Il 70% del tempo totale speso online nel giorno medio è da device mobili e, più nello specifico il 63,4% tramite applicazioni mobili.
Le categorie di siti più visitati nel mese di Giugno 2015 sono: la ricerca “Search” (il 91,6% degli utenti online), i portali generalisti “General Interest Portals & Communities” (90,6%), i social network “Member Communities” (87,1%). Per l'intrattenimento e l'informazione, i siti più visitati sono delle categorie “Videos / Movies” (80,3%) e “Current Event e Global News” (68,9%). I siti e applicazioni dedicati alla gestione delle email sono visitati dal 77% degli utenti online, i siti di ecommerce dal 71,3% degli utenti online e i siti per la consultazione di mappe e informazioni di viaggio dal 60,3%.
La ricerca Audiweb Mobile è basata su un modello di rilevazione ‘user centric’ che integra i dati di navigazione da device mobili (smartphone e tablet) con i dati della fruizione PC. Al panel PC di oltre 40.000 panelisti viene affiancato un per gli smartphone un panel di circa 3000 persone (1.500 per il sistema operativo Android e 1500 per iOS), e per i tablet circa 1000 panelisti (Android e iOS). L’universo di riferimento della total digital audience è composto da individui con età di almeno 2 anni, ad esclusione dei dati “Mobile” che sono rilevati per i soli 18-74enni.
Via PianetaCellulare
Nel primo semestre 2015 l’andamento della pubblicità registra un calo del 2.8% rispetto allo stesso periodo del 2014. Il mercato degli investimenti pubblicitari, infatti, evidenzia una diminuzione del fatturato (-10,2%) per il singolo mese di giugno, con un saldo negativo di circa 94 milioni. Il sensibile calo è dovuto prevalentemente alla presenza dei mondiali di calcio nel mese di giugno 2014. Aggiungendo anche la stima della raccolta sulla porzione di web attualmente non monitorata (principalmente search e social), il mercato chiuderebbe il semestre dell’anno a -0,2%.
“Nulla di inaspettato e non previsto – spiega Alberto Dal Sasso, Advertising Information Service Business Director di Nielsen. Il picco negativo del 2015, anno dispari dopo l’evento calcistico per eccellenza, è come sempre giugno. Sostanzialmente la TV torna ai livelli di giugno 2013 e per gli altri mezzi, a grandi linee, il risultato è speculare ripetto al giugno scorso, quindi nulla cambia nel percorso verso fine anno”.
Relativamente ai singoli mezzi, la TV, che risente maggiormente dell’assenza dei mondiali di calcio, registra un decremento del -14,3% per il singolo mese e chiude il periodo cumulato gennaio – giugno a -3,0%.
In lieve segno negativo i periodici, che registrano un calo del -1,9% nel mese di giugno, chiudendo il semestre a -3,4%. La presenza dei mondiali di calcio nel 2014 si ripercuote anche sull’andamento dei Quotidiani, che registrano un mese di giugno in segno negativo (-17.2%) e chiudono il semestre a -8,0%.
Continua l’andamento positivo della radio che chiude il mese di giugno a +16,5% e il periodo consolidato gennaio – giugno a +7,5%, rimanendo sensibilmente al di sopra della media del mercato.
Internet, relativamente al perimetro attualmente monitorato, torna in negativo a giugno (-6,9%), con un decremento di -3,1% sul semestre. Sulla base delle stime di Nielsen relative al totale del web advertising, aggiungendo dunque la porzione di mercato non monitorata, il digitale crescerebbe dell’8,0% per il periodo gennaio – giugno 2015. Nella survey Digital di Nielsen appena pubblicata si possono evincere tutte le dinamiche di settore all’interno del digital nel suo complesso, nel corso del 2015.
Il mese di giugno è stato positivo per il cinema (+21,2%) che chiude il semestre a – 0,2%, mentre resta negativo il direct mail (-4,2%). Buoni segnali anche dal mondo dell’out of home, trainato da Expo. Nel dettaglio: outdoor a +4,2%, transit a +14,0% e out of home TV in recupero (-4,9%).
Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 9 in crescita o intorno alla parità, con un apporto di circa 58 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti nel semestre: alla crescita di alimentari (+4%, circa 17,2 milioni) e farmaceutici (+5,2%, circa 8.9 milioni), si contrappone il calo di finanza/assicurazioni (-2,9%, circa 5,1 milioni), automotive (-3,3%, circa 11,2 milioni) e telecomunicazioni (-12,5%, circa 25,1 milioni). I maggiori apporti alla crescita arrivano da servizi professionali (+16,8%), gestione casa (+4,1%), oggetti personali (+5,1%) ed enti/istituzioni (+9,2%).
“In attesa del secondo semestre – conclude Dal Sasso – che si confronterà con una tendenziale parità del 2014, possiamo dire che fino ad ora i dati di advertising riflettono quelli, sostanzialmente piatti, dei nostri osservatori sulle vendite nella grande distribuzione con una crescita del food, che in advertising è il primo settore e che cresce del +4%. Un segnale leggermente positivo deriva dalla Nielsen Consumer Confidence relativa al secondo trimestre 2015, che fa registrare due punti di crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, pur restando l’Italia sotto la media europea (53 vs 79) che cresce anch’essa di due punti”.
Il Presidente dell’UPA, Sassoli de Bianchi, ha commentato la pubblicazione dei dati di giugno: “se si considerano gli investimenti sul digitale il dato del semestre è già alla pari (-0,2%), abbiamo buone indicazioni e aspettative positive per la ripresa autunnale, per cui confermiamo la nostra previsione di chiusura dell’anno tra +1% e +2%.
Via Spot and Web
Ci sono voluti trent’anni per stabilizzare il comparto dei supermercati in Italia. Ce ne potrebbero volere molti meno per cambiare ancora tutto, dopo l’ingresso di Amazon. Il grocery (la spesa del supermercato) è un paniere sociale, un motore economico, non c’è praticamente nessuno che non la faccia almeno una volta ogni tanto. Ora che un colosso dell’ecommerce venderà prodotti alimentari e per la casa come reagiranno gli altri? Lo spiega il presidente di Netcomm, Roberto Liscia.
Il negozio di Amazon.it è una specie di minimarket online che prende il click and collect dei supermercati italiani -il massimo raggiunto finora in termini di innovazione: ordinare online e ritirare presso il punto vendita – e lo fa sembrare di punto in bianco archeologia del commercio. Dalle strategie difensive, quindi, probabile che i supermercati passeranno a iniziative concorrenziali. D’altra parte secondo l’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm-Politecnico di Milano il comparto alimentare è nel 2015 uno dei settori più dinamici nel panorama eCommerce italiano con 200 milioni per grocery e 260 milioni per l’enogastronomico. Crescono del 27% rispetto al 2014.
Roberto Liscia: formarsi per reagire Il presidente di Consorzio Netcomm era ovviamente a conoscenza delle strategie di Amazon e conosce bene la realtà dell’eCommerce italiano che da questa novità sarà senza dubbio coinvolta. Prendendo spunto dall’analisi degli Osservatori del Politecnico di Milano, considera il fermento quasi startup dei presidi territoriali, delle nicchie di mercato legate al cibo, come perfettamente integrate a un sistema più grande, ma quando si parla di grocery online la verità è che prima dell’ingresso di Amazon l’Italia era in ritardo.
Quanti italiani comprano pasta e caffè online? Alzi la mano chi ne conosce qualcuno…
Al contrario di altri settori, il grocery non è riuscito ad organizzarsi in maniera adeguata: dal nostro indice mensile che monitoriamo con Human Highway, negli ultimi tre mesi, gli acquisti online nell’alimentare rappresentano solo l’1,2%, fanalino di coda dell’intero eCommerce italiano.
Dunque pensa che l’ingresso di Amazon sia salutare?
Amazon oggi va a colmare un vuoto nell’offerta: velocità, puntualità, delivery sono stimoli per la piccola, media e grande distribuzione organizzata italiana che deve reimpostare la propria strategia distributiva.
Veniamo a questa strategia: esempi?
Ne parliamo nelle nostre riunioni e coi nostri associati. In sostanza ci sono tre strategie concorrenziali da mettere in campo: la prima è fornire servizi aggiuntivi al tuo prodotto; la seconda è trovare nuovi clienti; la terza è puntare di più ai mercati internazionali se hai un prodotto con un brand made in Italy.
Tutte strategie che comportano investimenti, sforzi manageriali…
Indubbiamente. Attenzione però, ci sono anche notevoli opportunità. Ad esempio l’offerta tipica dei prodotti Made in Italy continua a soffrire di una restrizione geografica nazionale e anche regionale. Il food italiano deve trovare una strategia multicanale per poter uscire dai propri limiti. E probabilmente anche l’arrivo dell’eCommerce b2c a questi livelli può stimolare il comparto.
Se non altro perché Amazon è anche un marketplace, quindi un partner di questi produttori…
Precisamente.
A quale livello di innovazione si era arrivati all’indomani della novità di Amazon che ora venderà alimenti e prodotti per la casa? Si poteva fare lo stesso anche prima con altre realtà?
Esselunga già lo faceva. E anche qualcun altro. I grandi distributori avevano già notizia dell’arrivo di Amazon e si sono preparati con servizi di consegna a casa, a dire il vero ancora parziali. Questo però dimostra come sia questione soprattutto di formazione, di preparazione tecnica, non manca la capacità nel commercio italiano di comprendere l’importanza dell’eCommerce. Certo, da oggi le mosse non potranno essere più soltanto difensive, e a guadagnarne saranno i clienti.
Si può dire che si conclude un’era commerciale?
È presto per queste affermazioni. Si può dire che finisce l’era in cui il settore dei supermercati si concentrava esclusivamente sull’occupazione fisica dei territori. E quando la logistica è innovata, quando invece dell’in – le merci che riesco a immagazzinare nel mio centro – conta di più l’out – le merci che riesco a portar fuori ovunque le voglia il cliente – cambiano gli equilibri sorti da quella battaglia. Ecco perché la distribuzione digitale è la 3.0: dal negozio al supermercato all’online.
Via Webnews
Le mamme si confermano anche in Italia un target particolarmente evoluto: capaci di cogliere le potenzialità della rete, sempre connesse, molto presenti sui social soprattutto da mobile. Una situazione ormai consolidata in USA che trova conferma anche in Italia nei dati di una ricerca svolta da FattoreMamma e gnresearch. La ricerca, che ha coinvolto nella fase quantitativa 755 mamme con una survey on line, ha messo in luce una particolare sintonia tra mamme e mobile: 9 mamme su 10 possiedono uno smartphone, percentuale molto elevata se paragonata alla media della popolazione che vede il 56% come tasso di penetrazione degli smartphone. Lo stesso vale per i tablet: se in media il 17% della popolazione possiede un tablet, la percentuale sale a 53 quando consideriamo le mamme.
La fase qualitativa della ricerca ha rivelato i motivi di questa passione: grazie al mobile, la tecnologia è diventata friendly anche per le mamme che la considerano fedele (sempre disponibile), compagna(le supporta, le aiuta ad organizzare e risolvere) e femmina (multitasking, flessibile…). Tanto che il cellulare viene definito “una felice dipendenza e un’estensione di sé”. Se infatti il PC è visto come uno strumento freddo, rigido e funzionale, lo smartphone ha creato un rapporto di complicità, e viene vissuto in una dimensione individuale come uno strumento intrigante.
E per quanto riguarda più in particolare il “loro ruolo di mamme”, quali sono preferenze e comportamenti in relazione ai diversi device?
Al primo posto ci sono gli instant message (94%), seguono poi l’accesso ai social media (87%) e lacondivisione di foto (86%). Al pc sono lasciate le incombenze più “razionali” come l’home banking e la ricerca di informazioni mediche. In quanto ad attività da smartphone, le mamme italiane risultano particolarmente attive, tanto da superare le mamme USA: ogni giorno dal cellulare di una mamma italiana sono spediti in media 31 instant message (26 in USA) e avviene 19 volte l’accesso ai social media (15 in USA). (fonte: US mobile report 2014)
E per quanto riguarda più in particolare il “loro ruolo di mamme”, quali sono preferenze e comportamenti in relazione ai diversi device? Lo smartphone viene usato principalmente per organizzare gli impegni di tutta la famiglia, quando si tratta di intrattenere i bambini si preferisce il tablet, mentre gli acquisti (abbigliamento, libri, giochi) avvengono soprattutto al pc. Ogni canale è frequentato per esigenze diverse: si va su Facebook per socializzare, trovare info su persone e scambiare consigli su marche, sulle app di instant messaging per scambiare foto o video e condividere eventi della propria famiglia. E se si cercano consigli, supporto, risposte alle problematiche inerenti ai figli, il canale privilegiato sono i blog delle mamme. Da notare, infatti, che se il 61% si rivolge a parenti e amici, ben 1 mamma su 3 dichiara di ricorrere al consiglio di altri genitori on line, anche sconosciuti.
Via Spot and Web
Realizzare uno spot efficace in un contesto competitivo caratterizzato da un elevato affollamento pubblicitaro è sempre più sfidante. In media poco meno del 30% di chi è esposto a una creatività televisiva ne ricorda correttamente il contenuto e la associa al brand comunicato. Sono questi alcuni dei dati di TV Brand Effect, l’innovativa soluzione di Nielsen per misurare l’efficacia delle campagne pubblicitarie televisive, appena sbarcata in Italia dopo essere stata lanciata in UK, Francia, Germania, Russia, Stati Uniti, Messico, Cina e Australia.
In un momento in cui la quota dell’advertising televisivo rappresenta ancora la fetta più grande della torta pubblicitaria è fondamentale che le aziende abbiano a disposizione uno strumento che misuri l’efficacia delle proprie campagne, in modo da fornire le migliori indicazioni per raggiungere il consumatore ed emergere in un contesto di affollamento pubblicitario. Grazie a una metodologia innovativa, Nielsen è in grado di determinare quanto uno spot riesca a rimanere impresso nella memoria, analizzando il comportamento delle persone che vi sono state esposte entro le 24 ore successive alla messa in onda.
Rispetto alle ricerche tradizionali, TV Brand Effect fornisce indicazioni cruciali in termini di efficacia per ottimizzare le pianificazioni, grazie alla possibilità per Nielsen di analizzare gli ad log di tutti gli spot in palinsesto sulle tv generaliste e tematiche, nel panorama free e pay, in modo da fornire informazioni mirate sulla base del benchmark di riferimento per ciascuna azienda inserzionista e i suoi competitor. Il servizio permette di valutare le migliori performance in termini di secondaggi, andando ad aumentare l’efficienza degli investimenti.
Da inizio anno, Nielsen ha monitorato oltre 150 creatività di aziende appartenenti ad alcuni dei principali settori merceologici presenti sul mercato pubblicitario italiano: Largo Consumo, Viaggi e Automotive.
Prendendo in esame il settore del Largo Consumo, ad esempio, emerge che lo spot è efficace nel 43% dei casi (ricordo del messaggio e corretta associazione al brand). Analizzando più in dettaglio questa quota di intervistati, si registra un’intenzione di acquisto del prodotto da parte del 77% e un apprezzamento dello spot da parte dell’81%. Per questo settore è cruciale utilizzare una creatività che lasci il segno: secondo i dati provenienti dai modelli econometrici Nielsen, più del 70% delle vendite generate dagli investimenti pubblicitari deriva dalla TV.
Per quanto riguarda i valori che emergono dall’analisi delle campagne pubblicitarie del settore Travel, a fronte di un’efficacia degli spot del 23% si registra una comprensione media del messaggio nell’88% dei casi. Gradimento dello spot e intenzione di acquisto si attestano entrambi al 79%.
Nell’Automotive, dove la TV riveste un ruolo centrale con una quota del 76% sul totale degli investimenti, le performance risultano più contenute rispetto ad altri settori, soprattutto in termini di efficacia (26%), mentre si mantengono elevati il gradimento medio (75%) e la comprensione del messaggio (70%).
Tra le campagne di maggior successo analizzate nel 2015, quella di Fiat 500x, in cui una ‘normale’ 500 aumenta il proprio volume dopo la caduta accidentale di una pillola blu nel serbatoio, risulta essere quella con il più elevato livello di efficacia, a conferma che un buon copy e un po’ di humor attraggono anche nei settori le cui scelte finali sono dettate da razionalità e pianificazione.
Via Nielsen
Nielsen ha rilasciato un report sulla raccolta pubblicitaria in Italia, realizzato attraverso un sondaggio annuale condotto su un campione rappresentativo del mercato italiano della pubblicità di circa 800 aziende investitrici, fornendo un dettaglio informativo sul panorama del web advertising.
Le stime sono favorevoli: la raccolta pubblicitaria complessiva sul web in Italia durante l’arco del 2015 supererà i 2 miliardi, più precisamente 2,1 miliardi di euro, coprendo il 26,5% del totale degli investimenti. L’incremento di 1,7 punti percentuali rispetto al 2014 (era 24,8%) sarà tra i fattori di traino verso una chiusura a +1,5% (7,9 miliardi rispetto ai 7,8 dello scorso anno) e del solo web a +8,4%.
Oltre i 2/3 degli investimenti nel digital si dividono tra i segmenti display (principalmente banner) e search (parole chiave sponsorizzate sui motori di ricerca): entrambi registrano una quota in diminuzione nel 2015 rispetto allo scorso anno, in favore del video e del social advertising che, secondo le stime di Nielsen, arriveranno a coprire rispettivamente il 17% e 11% di quota sul totale degli investimenti online.
La quota del canale directory (micro inserzioni in categorie web tematiche) scenderà al 7% dopo un 2014 in cui si attestava al 9%. A livello di crescita del valore dell’investimento per il 2015, video e social registrano incrementi a due cifre, rispettivamente del +16% e +46%. Più contenuti il display, +2%, e il search, +7%. In calo le directories: -8% nel 2015.
“In aggiunta al prevedibile successo dei social – ha dichiarato Alberto Dal Sasso, AIS Business Director di Nielsen – dalla survey emerge che una quota di circa ¼ degli investimenti è destinata al mobile: si tratta di un dato interessante se letto in relazione al fatto che circa la metà delle aziende intervistate dichiara di aver sviluppato una app per il proprio business. Senza dimenticare gli ampi margini di crescita dell’innovativo programmatic buying”.
Relativamente ai macro settori, le aziende del settore Persona investono il 39% del proprio budget sul mezzo internet. Ampi margini di crescita per il Largo Consumo, che ancora si attesta a meno del 10% in termini di quota. Al suo interno, però, si registra una buona performance del video advertising, che raccoglie il 25% degli investimenti totali del macrosettore sul web. Tale quota si differenzia molto tra alto spendenti (oltre i 10 milioni di investimenti all’anno) dove si attesta al 21% e basso spendenti (meno 500.000 € anno) per i quali scende al 15%.
I settori Distribuzione e Automobili sono quelli che destinano al digital advertising le quote più elevate rispetto alla media del mercato, rispettivamente 53% e 41%, seppur con differenze al loro interno in termini di canali web: nel primo caso, il 70% del budget è rivolto a display e directories, per l’Automotive questa stessa porzione di budget è investita in search e video.
Via Tech Economy
I social media sono sempre più presenti nelle strategie di business delle imprese e Youtube e Facebook che giocano un ruolo predominante nelle preferenze delle imprese. Il Rapporto “The state of social marketing” realizzato da Simply Measured fotografa in modo puntuale quanto sta accadendo al mondo dei brand che si muovono, oggi, in un panorama che ha cifre impressionanti: oltre 2 miliardi di persone in tutto il mondo utilizzano i social media, il che vuol dire che il 28% della popolazione mondiale è interconnesso. Per le organizzazioni questa rete di connessioni presenta una grande opportunità per avere impatto su un numero senza precedenti di persone tanto che il social marketing è diventato una priorità per le aziende: secondo il report il budget disponibile per i social media rappresenta il 9,9% di quello del marketing digitale nel 2015, una cifra che è destinata a raggiungere il 22,5% nei prossimi cinque anni.
Le evidenze Le principali evidenze che riguardano il rapporto tra brand/imprese e social media ci dicono che il trend è in crescita: non solo aumenta la disponibilità di budget ma cresce anche l’attenzione verso la creazione di team specifici, composti normalmente da uno a tre persone, che hanno esigenze distinte: strategia centralizzata e pianificazione, obiettivi di business, e infine, l’execution. La maggior parte dei social media team fanno parte dei settori marketing: il 49%, infatti, riferisce alla leadership del marketing.
Dimostrare il valore delle attività social, il ROI, resta il problema principale per il 60% dei social media marketers ma, paradossalmente, l’indagine rileva anche la mancanza di un’attività puntuale di social media analysis: solo il 22% dei marketer pensa che i dati dei social media abbiano un impatto effettivo sulle business.
Lo stato dei social Il report passa poi ad analizzare singolarmente le piattaforme social in relazione ai brand: quelli presi in considerazione dall’indagine sono i brand compresi nella classifica Interbrand Top 100 Global Brands e, nello specifico, le imprese che hanno account globali o specifici per gli Usa che ne hanno fatto uso nel corso di aprile 2015. Quello che emerge per tale cluster è che YouTube batte tutti, seguito da Facebook e Twitter: sono loro quelli che attirano le maggiori attenzioni dei brand. YouTube è utilizzato dal 100% dei marchi presenti in classifica, con Twitter e Facebook che seguono a ruota. Reti più giovani come Instagram e Pinterest stanno guadagnando terreno.
Lo Stato di Facebook Il 96% degli Interbrand Top 100 brand hanno un account Facebook dedicato e il 94% ha postato contenuti nel mese della rilevazione. Si evidenzia un minore attivismo su Fb rispetto all’anno scorso ma è cresciuto il livello di engagement.
Twitter Il 98% dei brand presenti nell’Interbrand Top 100 brand sono attivi su Twitter, e ognuno di loro ha postato contenuti nel mese di aprile. Da notare come il 55% di tutti i tweet inviati includono contenuti fotografici. La rilevazione dimostra che il tweeting regolare è la chiave del successo: il 74% dei marchi twittano almeno tre volte al giorno (compresi i retweet e risposte). In termini di engagement con gli utenti, i tweet di relazione con i brand sono aumentati del 105% in un anno. Infine, i tweet con hashtag è vero che creano più engagement ma un abuso di essi rischia di essere controproducente.
Youtube Il 100% dei brand Interbrand hanno un account YouTube e il 92% ha pubblicato video nel mese di aprile a dimostrazione della rilevanza.
Instagram, per suo conto, pur essendo una applicazione mobile, ha attirato l’85% delle 100 aziende Interbrand con il 79% di esse attive nel mese di aprile; Pinterest, invece, ha attirato l’attenzione del 67% delle 100 aziende considerate che ne fanno un uso “vetrina”: solo il 41% dei marchi ha pubblicato attivamente in aprile 2015. Infine Google, che ha il 78% di imprese che lo usano con il 66% attivo nel mese della rilevazione.
Via Tech Economy
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