Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La Digital Transformation, ossia in estrema sintesi l’uso della tecnologia per migliorare le performance delle aziende, non è un tema che emerge molto spesso ed esplicitamente in Italia. Anche quando viene toccato poi, il tema dell’innovazione si riduce più che altro alla scelta di comunicare con degli strumenti digitali o, al massimo, alla distribuzione di nuovo qualche device per i dipendenti.
Sono tutte cose giuste da fare ma la big picture è ben più ampia.
In un recente report del MIT Center for Digital Business e di Capgemini infatti si afferma chiaramente “whether using new or traditional technologies, the key to digital transformation is re-envisioning and driving change in how the company operates. That’s a management and people challenge, not just a technology one.”
Insomma parliamo di organizzazione, cultura e leadership, non di eccellenze isolate, nell’area dei sistemi informativi o nel marketing digitale (che presto o tardi diventerà semplicemente “marketing” ): si tratta invece di passare “dal che cosa fare” a un maggiore focus aziendale su “come fare le cose”.

Siamo entrati infatti in un’era necessariamente collaborativa in cui 4 grandi forze abilitanti individuate da Gartner fanno da piattaforma per questo cambiamento: il cloud, il mobile, il social computing e l’informazione (intesa anche come big data). Tutti elementi che sono già bene o male presenti nelle organizzazioni ma che non hanno un contenuto intrinseco: il cloud da solo non è che un modo diverso di concepire un disco fisso, il mobile per molti equivale ancora solo a inviare mail per qualsiasi necessità, i dati per avere valore devono essere disponibili a tutti e organizzati in un certo modo. E per finire, come per i tutti i social media anche quelli interni (e gli strumenti collaborativi in genere) traggono il loro valore da ciò che le persone ci mettono dentro, non dalla piattaforma in sé.
Il grande salto culturale dunque è quello di coinvolgere l’intera organizzazione, sotto la leadership del top management, in dei processi che portino davvero valore aggiunto al modo di lavorare e di fare business. Avere solo un dipartimento di marketing digitale, che da tempo ha iniziato ovunque un cammino che lo porta a essere sempre più intersecato con quello It, non basta più come unica condizione.
La tecnologia e la competenza nel suo utilizzo abilitano, ma sono le procedure, la cultura del lavoro collaborativo e l’interiorizzazione del suo valore che fanno la differenza. C’è molto da fare.
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Gli Italiani sono sempre più connessi alla rete con i loro dispositivi mobili. Smartphone e tablet sono utilizzati in larga misura, non solo per fruire di contenuti video o per attività di social networking, ma spesso per acquistare prodotti online. In teoria questo dovrebbe aiutare le aziende dei beni merceologici a diffondere su larga scala i propri prodotti, ma secondo quanto riporta una nuova ricerca targata Tradedoubler, non è sempre così.
I consumatori italiani connessi sembrano utilizzare i loro dispositivi mobili per andare alla ricerca di offerte ed occasioni: il 62% di essi, infatti, ha scaricato almeno una app di performance marketing dedicata.
Dalla ricerca “Il mobile e lo shopping on demand” risulta che le app di comparazione prezzi sono le più popolari (42%), seguite dalle app dedicate a coupon e codici promozionali (30%), da quelle per promozioni giornaliere/gruppi di acquisto (26%), per programmi e premi fedeltà (19%) e cashback (15%). Ciò sembra incidere profondamente sulla fedeltà che gli italiani riversano nei brand, e in particolar modo sull’acquisto di prodotti di marca all’interno dei negozi brandizzati.
“Anche brand molto forti stanno perdendo il loro predominio nei negozi, perchè hanno dato troppa importanza alla fedeltà al marchio, e non abbastanza al prezzo, al valore e alla varietà di canali disponibili – incluse le app mobile che oggi i potenziali acquirenti richiedono e si aspettano di trovare” spiega Vittorio Lorenzoni, Regional Director di Tradedoubler.
Sembra che gli utenti siano ora maggiormente interessati all’affare e al reperire un determinato bene al prezzo più conveniente possibile: “La caccia all’affare è sul mobile, e se le aziende non saranno pronte a raggiungere con campagne valide e tempestive le persone che hanno almeno una app di performance marketing sul telefono, nel momento in cui sono pronte ad acquistare, perderanno l’occasione”, continua Vittorio Lorenzoni. Dalla ricerca emerge, inoltre, come il 58% di coloro che usano il loro smartphone quando entrano in un negozio ha acquistato un prodotto in un negozio rivale, dopo aver scoperto che questo offriva un prezzo migliore utilizzando il proprio cellulare.
Per chi è alla ricerca della migliore offerta, voucher sconto e coupon dimostrano di essere uno strumento efficace: il 63% degli intervistati cerca sconti utilizzando il proprio smartphone e il 52% utilizza regolarmente voucher che ha ricevuto sul proprio dispositivo.
La ricerca si sofferma, inoltre, sull’attività di shopping che gli utenti svolgono in relazione alla fruizione di contenuti video. È ormai pratica diffusa, infatti, utilizzare più dispositivi mobile mentre si guarda la TV: il 60% dei consumatori connessi interpellati in Italia ha usato lo smartphone per raccogliere maggiori informazioni su un prodotto visto in una pubblicità televisiva, e il 36% ha anche completato un acquisto via smartphone senza muoversi dal divano.
La ricerca è stata condotta analizzando le risposte provenienti da 8 paesi europei (Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Polonia) e guardando ai risultati complessivi, gli Italiani confermano la loro affezione per il mobile. I dati locali sono superiori alla media in diversi casi: ad esempio, globalmente negli otto paesi considerati il 32% dei consumatori “connessi” ha una app di comparazione prezzi (in Italia è il 42%). Coloro che hanno scaricato almeno una app di performance marketing globalmente sono il 52% (in Italia è il 62%). Anche l’utilizzo di voucher è più apprezzato. Globalmente il 51% dei consumatori con smartphone cerca attivamente voucher ed il 44% usa i voucher ricevuti sul cellulare (in Italia siamo rispettivamente al 63% e al 52%).
Via Tech Economy
Durante le scorse settimane ho iniziato a usare Google Now, la funzionalità dell’app di Google che fornisce informazioni legate al contesto (meteo, trasporti e molto altro) che è sbarcata nel mondo iOS.
A parte il fatto che è costruita molto bene in termini di velocità e di interfaccia, ciò che mi ha colpito è il concetto di fondo: avendo un ecosistema di strumenti collegati fra loro Google lo sfrutta legando le informazioni al contesto in cui l’utilizzatore si trova in quel momento, attingendo da ciò che conosce del suo profilo e invitandolo a fornire altri elementi su di sé per un servizio migliore.
Google Now
Ci sono dentro tutti gli elementi che caratterizzano la rivoluzione digitale oggi in corso: mobile, big data, ecosistema, cloud. Ma ancora in più c’è dietro l’evoluzione delle generazioni dei nativi e del loro modo di usare le nuove tecnologie, che è molto più fluido (passo dal meteo al compleanno di un amico nella stessa app, che uso su device diversi) ma che è anche sempre più legato al contesto spazio-temporale, con la necessità di ricevere una risposta immediata senza dover cercare.
La logica della contestualità è a ben guardare dietro a moltissime app di successo, da Instagram che mi permette di elaborare e condividere subito le foto che faccio per strada a Vine, dai fenomeni di showrooming alle promozioni geo localizzate, dall’hashtag su di un tema caldo su Twitter al check-in su qualsiasi tipo di app che lo permetta.
È uno spostamento che è stato reso possibile dalla diffusione dei device mobili, che hannosvincolato l’esperienza digitale da un luogo statico dove ho un computer connesso, e dallademocratizzazione degli strumenti, che oggi consentono a chiunque di poter produrre e condividere contenuti in qualsiasi istante senza particolari competenze e a costi vicini allo zero.
Multichannel Marketing
Se dunque qualche anno fa dicevo che la nuova frontiera del digitale era il luogo, ora mi sento di dire che è il contesto, fatto di tempo e spazio.
E’ anche il marketing si dovrà adeguare, perché l’impatto della tecnologia lo sta già trasformando ed è tempo di concretezza. Date ad esempio un’occhiata a questa dicharazione…
Voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Negli Stati Uniti il 57% degli utenti di social network ha cliccato il “mi piace” sulle pagine dei brand preferiti, ma alla domanda su quale impatto abbia avuto su di loro il gradimento espresso dagli amici per un determinato marchio, la risposta più registrata (35%) è stata “nessuno”. Questo secondo i risultati di un nuovo studio targato Adobe sullo stato dell’advertising online e su social network.
Dall’indagine è emerso come la maggior parte degli utenti che hanno messo “mi piace” sui marchi preferiti provenga dalla Corea del Sud, con circa il 59% e dall’Australia (54%), mentre i valori scendono se si prendono in considerazione gli utenti degli altri paesi: in UK solo il 44% dei rispondenti ha dichiarato di “likare” i brand, in Francia il 38%, in Giappone il 36% e in Germania solo 33%.
Lo studio ha cercato inoltre di indagare le motivazioni che spingono gli utenti a cliccare sul “mi piace” per un determinato brand e il risultato, negli Stati Uniti, è stato che il 53% degli utenti lo fa perché compra regolarmente quel servizio o prodotto brandizzato. A questa risposta seguono delle altre che mostrano come il 46% degli utenti lo faccia per eventuali promozioni o sconti; il 38% lo fa per lo stile del brand o per ciò che questo veicola; il 17% perché desidera comprare un determinato prodotto di quel brand. Il dato interessante, però, è che solo il 5% clicca “mi piace” perché lo hanno fatto altri amici.
Prima si è accennato a come la risposta più accreditata (35% dei rispondenti) alla domanda riguardo l’impatto che ha un “like” di un amico su un determinato brand fosse “nessuno”. Dall’analisi emerge, però, che un 29% dei rispondenti, dopo che un amico ha cliccato “mi piace” su un brand, vada a controllare quel determinato prodotto e che il 14% va a visitare il sito del brand reclamizzato. Sono molto basse, invece, le percentuali degli utenti che interagiscono con il brand sponsorizzato: solo il 4% commenta sul prodotto; il 2% raccomanda il prodotto; un altro 2% compra il prodotto. Dallo studio Adobe la pubblicità digitale nel suo complesso non sembra meglio, registrando un 32% di intervistati che ritiene la pubblicità online un metodo non molto efficace.
Ann Lewnes, Chief Marketing Officer di Adobe ha detto: “Il digital marketing ha creato senza dubbio una grande opportunità per i brand, ma i consumatori si aspettano qualcosa in più. Vogliono storie cucite addosso per loro stessi e che il brand veicoli messaggi con un alto livello di trasparenza. Tutti i brand che diffondono qualsiasi cosa che sia al di sotto delle aspettative dei consumatori verranno ignorati. Questo sondaggio ha dimostrato però che il digital marketing non ha ancora mostrato tutto il suo potenziale”.
Via Tech Economy
Molte ricerche dimostrano che guardare la tv e utilizzare i social media non sono due azioni che si escludono a vicenda. Anzi, gli utenti sembrano amare postare commenti su Facebook o twittare mentre sono davanti lo schermo della tv. Molti di questi spettatori discutono di ciò che stanno guardando in tempo reale con amici o altri utenti della rete che in quel momento guardano lo stesso programma intavolando spesso conversazioni che continuano per giorni e giorni.
Operatori del settore tv e del marketing televisivo hanno capito di poter utilizzare questa nuova tendenza a loro vantaggio. L’idea non è di competere con i social media ma di usarli in modo che gli show televisivi, eventi e campagne pubblicitarie possano spingere il pubblico a partecipare attivamente ed interagire con il materiale audiovisivo mostrato.
In un nuovo report targato BI Intellingence vengono esaminati i trend più significativi della Social Tv e come la nuova pratica di consumo spinge i broadcaster e gli operatori marketing a ripensare alle loro strategie in chiave social. Dal report emerge innanzitutto come il mercato in cui si gioca questa nuova partita muova ingenti somme di denaro: nel 2012, a livello globale, sono stati spesi 350 miliardi di dollari in spot televisivi. In questo senso, se la Social Tv riuscirà a rendere maggiormente efficace la pubblicità o aiutare i social media a raggiungere parte di quegli investimenti, potrà diventare, secondo i ricercatori, un vero e proprio settore di business autonomo. La pratica della Social Tv è un’abitudine già consolidata tra il pubblico di tutto il mondo. Gli utenti dei social media affermano, infatti, che la pratica di commentare show televisivi o eventi fa già parte delle loro abitudine quotidiane. L’attività è cresciuta in corrispondenza dell’incremento delle vendite di smartphone e di altri dispositivi mobili.
Questi, infatti, hanno reso molto più semplice per le persone riuscire ad interagire con i programmi stando comodamente seduti sui loro divani davanti alla tv. Uno dei dati emersi dal report è che il 40% degli spettatori americani dichiara di utilizzare i social media da smartphone o tablet mentre guarda la tv da casa. Inoltre i social media da dispositivo mobile sono maggiormente utilizzati mentre si è a casa davanti alla tv piuttosto che in altre attività come lo shopping.
La pratica della Social Tv può essere declinata in più varianti. Esistono, infatti, molte applicazioni che favoriscono questo tipo di attività come quelle al supporto per gli spot televisivi, che ottimizzano il processo di acquisto rendendo l’annuncio più diretto ed efficiente, o app che misurano in tempo reale l’audience di un determinato evento televisivo. I dati emersi dall’analisi di una determinata attività di social tv possono costituire un vero e proprio focus group da cui ricavare informazioni interessanti e, se utilizzati in modo adeguato, possono generare un ciclo di feedback positivi per la creazione di palinsesti e campagne pubblicitarie più vicine alle esigenze dello spettatore.
Via Tech Economy
Apple è quasi pronta a lanciare iRadio, il suo servizio di musica in streaming via internet, che avrà un impianto pubblicitario simile a quello del rivale Spotify, ovvero con annunci sonori ogni tre o quattro canzoni ascoltate dall’utente.
Stando alle ultime indiscrezioni trapelate sul web, gli spot saranno venduti attraverso iAd, piattaforma pubblicitaria mobile di Apple, che così dovrebbe essere in grado di pagare i diritti alle case discografiche che metteranno a disposizione degli iscritti i propri cataloghi.
Con ogni probabilità, iRadio sarà integrato a iTunes, il negozio digitale della compagnia di Cupertino, che conta oltre mezzo miliardo di iscritti e dovrebbe garantire al nuovo servizio di ingranare rapidamente. Difficile invece capire se Apple proporrà una versione premium - a pagamento e senza pubblicità - della sua radio, come già fanno i concorrenti. Per chiarire i dubbi potrebbero bastare pochi giorni: iRadio potrebbe essere svelata al pubblico la prossima settimana.
Via Quo Media
Continua l’ascesa della Mobile Economy: all’inizio del 2013 le vendite mondiali di smartphone che stanno diventando sempre più la porta di accesso personale a Internet: 27 milioni di italiani ne possiedono almeno uno e quanti lo usano per accedere ad Internet sono circa 22 milioni, pari a tre quarti degli utenti Internet mensili da Pc. “Il mercato della connettività Internet da cellulare ha triplicato i ricavi in tre anni” afferma Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Mobile Internet, Content and Apps. “Sempre più italiani usano il proprio telefonino per fruire – e acquistare – contenuti digitali di qualsiasi natura – giochi, news, musica, video, social, ecc. – sia tramite siti Mobile che App. Questo mercato – che vale oggi più di 600 milioni di euro – sta offrendo grandi opportunità di business a sempre più sviluppatori e startup”.È quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps della School of Management del Politecnico di Milano.
Nonostante non si vedano ancora gli effetti della Connettività dati LTE, avviata in Italia solo verso la fine del 2012 e solo nelle principali città, il Mobile Internet (ovvero la connettività da Cellulare/Smartphone) si conferma in forte crescita. Nel 2012 ha registrato un incremento dei ricavi pari al +53% mentre si attende per il 2013 un’ulteriore crescita superiore al 30%. Il valore del Mobile Internet raggiunge così quello della Connettività per Pc (chiavette e Tablet) che, allo stesso tempo, diminuisce del 12%.
Tra i più importanti fattori all’origine del boom del Mobile Internet ci sono sia la crescita delle tariffe Flat che per la prima volta, nel 2012, superano il 50% del totale mercato, sia l’elevato numero di possessori di smartphone. La crescita del popolo dei Mobile Surfer ha generato nel 2012 l’incremento del mercato dei Mobile Content & Apps: più 20% sull’anno precedente raggiungendo così il valore di 623 milioni di euro. L’86% del mercato proviene dalla spesa degli utenti (ricavi Pay), il 14% dagli investimenti pubblicitari (Mobile Advertising).
Dall’indagine condotta sugli utenti di Mobile Internet, in collaborazione con Doxa, risulta che i Mobile Surfer hanno mediamente 27 Applicazioni installate, ma ne usano ogni mese circa la metà e ogni due giorni in media 5, effettuando però 35 accessi giornalieri ad esse, mentre accedono al Mobile Web (ossia tramite il browser) 9 volte al giorno. “Sembra esserci una convivenza tra App e Mobile Web per il consumatore” – dichiara Guido Argieri, Managing Partner Doxa Digital – “Più precisamente, le App sono assolutamente preferite per pochi contenuti (Social, Messaging e Giochi), ma proprio quelli usati più di frequente; mentre il Mobile Web è la porta d’accesso ad un mondo più variegato e generico di contenuti (news, ricerca di informazioni di servizio, motore di ricerca, ecc.). In termini di frequenza di utilizzo, le App registrano il quadruplo degli accessi dei Mobile site“.
Entrando nel merito del mercato dei contenuti a pagamento, emergono dinamiche molto differenti a seconda della piattaforma di fruizione considerata. Mentre infatti i contenuti più tradizionali, quelli legati alla messaggistica (ovvero contenuti fruiti via Sms o Mms),perdono ricavi per il 22%, i contenuti che vengono visualizzati o scaricati tramite l’accesso ai siti Mobile crescono in termini di ricavi del 24%. Le Applicazioni comprate dagli Application Store registrano un nuovo exploit nel 2012: +76% che permette diraggiungere quota 118 milioni di euro. Tra i generi di App di maggior successo figurano i Giochi, che raggiungono una quota di mercato superiore al 60% dei ricavi; seguono utility, mappe, contenuti di infotainment & education e, infine, contenuti social (WhatsApp in primis).
L’86% del mercato è gestito dagli Owner degli Application Store e, tra questi Apple mantiene la propria leadership nel mercato, gestendo la maggioranza dei ricavi, quasi l’80%. I ricavi su Google Play stanno comunque crescendo molto mese su mese e nel 2013 si attende un’ulteriore spinta positiva, a seguito dell’introduzione del credito telefonico come modalità alternativa per il pagamento delle App almeno per i clienti di Vodafone e Wind, a seguito degli accordi stretti da queste due Telco con Google a livello globale. Solo un terzo dei Mobile Surfer, infatti, ha registrato la propria carta di credito sullo Store, percentuale che sale al 64% per gli utenti Apple. Inoltre, più della metà dei Mobile Surfer che non hanno registrato la carta di credito sugli Store dichiara di preferire il credito telefonico alla carta di credito per il pagamento delle Applicazioni, percentuale che sale al 71% per i giovani tra i 15 e i 24 anni.
“L’introduzione del credito telefonico come nuova modalità di pagamento nel mondo degli Application Store sarà uno dei fattori chiave per garantire un’ulteriore crescita di oltre il 20% nel 2013 di tutto il settore Mobile Content & Apps a pagamento“, afferma Marta Valsecchi, Responsabile dell’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps. “Questa soluzione, a nostro avviso, darà un forte impulso ai ricavi degli Store, offrendo un’alternativa valida alla carta di credito, in grado di catturare, in particolare, quel 29% di Mobile Surfer che oggi rinunciano ad acquisire una App proprio perché non vogliono utilizzare la propria carta oppure hanno mostrato grande interesse ad acquistare contenuti Mobile tramite credito telefonico.”
“Un ulteriore fattore fondamentale per lo sviluppo del mercato è dato dalla forza propulsiva di alcuni grandi brand come WhatsApp, Deezer, Spotify, insieme ai grandi Publisher di Giochi: queste realtà stanno abituando l’utente a pagare per contenuti di valore”, afferma Filippo Renga, Responsabile dell’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps, che aggiunge: “Tuttavia è necessario che Content Provider, Sviluppatori e Software House puntino sull’innovazione nell’offerta di contenuti riuscendo, ad esempio, a sviluppare e spingere un’offerta realmente attrattiva per l’utente, come i nuovi servizi in Html5 o i contenuti Video in broadcast”.
I margini di crescita e di innovazione del mercato Mobile Content & Apps costituiscono un’opportunità di business per molte Startup. Dai dati dell’Osservatorio, emerge, infatti, che oltre 300 startup di questo settore hanno ricevuto, a livello internazionale, finanziamenti medi di oltre 7 milioni di dollari da investitori istituzionali negli ultimi due anni. Il fermento emerso a livello internazionale si riflette anche in Italia: non sono poche le startup operanti in ambito Mobile Content & Apps che hanno ottenuto finanziamenti da parte di Venture Capital, Incubatori e Investment Company negli ultimi due anni. Queste startup, infatti, pesano circa il 20% di tutte le startup finanziate in Italia in ambito ICT nello stesso periodo.
”Quello delle App è un mercato altamente competitivo. Riteniamo che siano pochi player a fare la stragrande maggioranza del fatturato” aggiunge Andrea Rangone”. Rispetto alla vasta quantità di Sviluppatori, Software house e Content provider che provano a giocare una partita nel mondo delle App, quasi la metà del fatturato è fatta da poco più di un centinaio di player. Ma non mancano le opportunità offerte da questo mercato anche per sviluppatori brillanti e startup creative provenienti dall’Italia.
Via Tech Economy
Ll video è senz’altro il tipo di contenuto più in crescita su internet, con opportunità grandissime in termini di advertising e di marketing che studi e casi reali stanno sempre più evidenziando. E’ interessante capire quindi come sta cambiando il comportamento dei consumatori a fronte della crescente offerta di video online, e molti spunti al proposito sono forniti dalla ‘Video-Over-Internet Consumer Survey’ di Accenture, condotta alcune settimane fa su 3.500 consumatori con connessione internet di sei Paesi: Brasile, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito e USA.
La forte evoluzione in corso è sintetizzata dal report in cinque trend: abitudini di fruizione dei video sempre più sofisticate; multitasking (che i ricercatori di Accenture definiscono anche come ‘second screen’) in piena esplosione, anche grazie alla diffusione dei tablet; ‘tenuta’ del gradimento degli abbonamenti e calo invece del pay-per-view; una persistente confusione su quale sia la modalità più semplice di accedere ai video online; e una parziale riscossa dei contenuti locali rispetto a quelli forniti da realtà internazionali come YouTube e Netflix.
La visione di video online quindi sta diventando un’attività importante per i consumatori di tutte le età e zone geografiche: in media il 90% degli intervistati (addirittura il 94% in Italia) dichiara di guardare film, programmi TV, video amatoriali, pubblicità, trailer, eventi sportivi su internet: il dispositivo più utilizzato è il pc, portatile o fisso (89%, in aumento dall’81% del 2012), il più in crescita è il tablet (salito in un anno dal 21% al 33%). In aumento anche la frequenza di visione: oltre un quarto guarda video online ogni giorno, e un altro 22% almeno tre volte la settimana.
Inizia inoltre a emergere un legame tra tipo di video e tipo di dispositivo su cui viene fruito: film, fiction e trasmissioni live sono visti per lo più sulla TV (ma anche i pc e i tablet sono in crescita: rispettivamente dal 41% al 47% e dal 27% al 33%), mentre i contenuti generati dagli utenti e le clip musicali e pubblicitarie sono viste per lo più su smartphone e tablet.
Il tablet per approfondire ciò che si vede in TV
La tendenza più interessante per le strategie di marketing però è l’esplosione del multi-tasking o second screen, cioè l’uso di altri dispositivi mentre si guarda la TV. Tendenza che è in crescita per pc/ laptop, smartphone, gaming console, e soprattutto per il tablet. Non solo il 44% dei consumatori usa il tablet mentre guarda la TV, contro l’11% dell’anno scorso, ma il tablet è anche il device più utilizzato in correlazione con ciò che sta trasmettendo la TV, per esempio per cercare informazioni su prodotti o personaggi in onda, o commentare le trasmissioni con gli amici sui social network.
Il forte aumento del multitasking, sottolinea Accenture, è sia una minaccia che un’opportunità: da una parte i contenuti TV che puntano su una fruizione solo ‘passiva’ non hanno molte prospettive, dall’altra l’emergere del tablet come ‘second screen’ è molto promettente in termini di sviluppo di nuove funzioni di coinvolgimento e fonti di fatturato da pubblicità, direct marketing, diritti di trasmissione secondari e così via.
Per broadcaster e fornitori di contenuti diventa quindi fondamentale ‘seguire’ il consumatore su tutti i dispositivi, offrendo una user experience ottimizzata di volta in volta su ciascun device, ma nel contempo sempre coerente a prescindere dal dispositivo usato al momento.
Italia, il 59% pagherebbe per un canale premium YouTube
Quasi due consumatori su tre (62%) sono disposti a pagare un abbonamento mensile per accedere a contenuti on-demand su pc, tablet o TV, anche se la spesa scende, rispetto al 2011, a meno di 10 dollari al mese. Il modello abbonamento è nettamente preferito rispetto al pay-per-view volta per volta, che è addirittura in calo, dal 12% al 10%.
La tendenza generale è di voler pagare di meno, o addirittura niente per l’offerta generalista di contenuti, ma ben il 45% è interessato a pagare per offerte personalizzate ‘a la carte’ di pochi selezionati canali/tipologie di contenuti. In Italia per esempio il 59% dei consumatori è disposto a pagare per un canale ‘premium’ di YouTube che offra contenuti di loro interesse, anche se solo il 24% pagherebbe più di 5 dollari (circa 4 euro al cambio attuale) al mese.
Un altro trend che la ricerca mette in luce è una parziale riscossa dei fornitori di contenuti locali (broadcaster, siti web, ecc.) rispetto alle grandi realtà internazionali di video online (YouTube, Netflix, ecc.), che comunque continuano a dominare la scena, soprattutto in Italia, dove due video su tre riguardano contenuti internazionali.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, la TV resta il mezzo preferito per accedere a video online, ma è in calo: molti non hanno preferenze sul dispositivo con cui accedere, cosa che evidentemente chiama i produttori di ‘connected TV’ a ulteriori sforzi di comunicazione. La configurazione dei dispositivi per la visione di video online è percepita molto più semplice per pc e laptop che per le TV (31% contro 19%), mentre un altro problema, sentito trasversalmente in tutti i Paesi, è la frustrazione per problemi che impediscono una visione ottimale: bassa qualità del video, difficoltà di streaming e download, invadenza della pubblicità.
Due sfide per i content provider
In definitiva, sintetizza Accenture, la ricerca mostra grandi progressi sull’offerta di video attraverso internet, e propone a tutti gli addetti ai lavori due grandi questioni su cui riflettere. La prima riguarda il ruolo del ‘second screen’: l’esplosione del multi-tasking è certamente il trend più interessante, in particolare per il tablet, il cui uso in parallelo con la TV è l’unico a crescere e a mostrare una correlazione diretta con ciò che viene trasmesso appunto in TV. Per i fornitori di contenuti quindi si pone la sfida di come ‘monetizzare’ questo trend coinvolgendo in modi nuovi il consumatore.
La seconda questione è la scelta tra un’offerta ‘verticale’ - cioè della più ampia gamma di contenuti possibile, ma fruibile da un dispositivo proprietario -, e una ‘orizzontale’, ossia una piattaforma di servizi proprietaria, ma fruibile da qualsiasi device. Ciascuna ha i suoi pro e contro, le sue determinanti economiche e le sue proposizioni di valore, “e verosimilmente – conclude Accenture – la scelta migliore sarà diversa da Paese a Paese”.
Via Wireless4Innovation
Diciamo subito una cosa. Se Pinterest è il social network più amato dai marketer e dagli amanti del food&beverage, i trend di settore confermano nel 2013, la crescita inarrestabile dell’utilizzo di Instagram da parte degli utenti sempre più coinvolti nella generazione e condivisione delle loro food experience in real time. Ormai è assodato che nella cultura dei nostri giorni, non si concepisce più il concetto di mangiare soltanto per necessità, non si vuole trascurare il piacere culinario, assaporare i gusti, vivere il cibo come un’esperienza che coinvolge tutti i sensi. E, con la tecnologia mobile che ci accompagna ogni giorno con i nostri inseparabili smartphone e tablet, diventiamo fotografi in tempo reale delle nostre food experience. Nato e ideato per gli smartphone, Instagram è diventato oggi il protagonista indiscusso nelle logiche di visual marketing virale e senza dubbio l’introduzione dei filtri, che permettono di dare uno stile e un effetto speciale alle foto rendendole delle piccole opere d’arte, ha contribuito indubbiamente al successo dell’applicazione.
Il fenomeno Instagram in numeri I numeri riportati nell’infografica parlano chiaro e cancellano ogni perplessità: danno un’idea del fenomeno Instagram in continua crescita, che vede coinvolto maggiormente l’universo femminile con il 55% dei 100 milioni di utenti attivi al mese, i quali generano quotidianamente 40 milioni di foto che vanno a nutrire anche le altre piattaforme social, stimolando 8500 likes al secondo. Un altro elemento rilevante riguarda le generazioni coinvolte, che vedono protagoniste indiscusse le fasce d’età tra il 18-24 al 34% e quella tra i 25-34 al 33%, a conferma di come il fenomeno di catturare quello che si sta vivendo in quel dato momento per poi condividerlo attraverso gli appositi hastag identificativi, sia un’attrazione irresistibile soprattutto per la Millenium generation.
E non possiamo trascurare la scelta di un filtro piuttosto di un altro perché rappresenta un elemento fondamentale capace di influenzare l’aumento di engagement. Lo conferma una ricerca condotta da SymplyMeasured, che ha prodotto un report davvero interessante dove si evince che Lo-fi è il filtro più utilizzato dai brand (figura2) ma non quello che fa riscuotere più engagement che è Hefe che tuttavia si attesta come il meno adottato con solo il 5%, pur avendo coinvolto con il 4.515 likes degli utenti. E ogni filtro ha la sua efficacia visiva e comunicativa.
I filtri Instagram del food impegnati nel sociale “Se vuoi condividere il tuo cibo, fallo sul serio”. E’ il claim della campagna dell’associazione “Manos Unidas” ha sviluppato il primo “filtro solidale per Instagram” (a pagamento a 0,89euro) disponibile per iPhone e Android, che permette di raccogliere fondi per sfamare gli affamati, ovviamente. Strategia giusta che non fa una piega e che ci piace.
Gli hashtag del food&beverage più utilizzati Anche i food lovers non potevano non farsi travolgere dall’irresistibile tentazione di raccontare e condividere le loro food&beverage experience con amici ed altri appassionati del settore, tanto è vero che l’hastag #food è collocato al 55esimo posto con 9.699.039 milioni di foto nella classifica dei 100 hashtag più utilizzati dal popolo di Instagram. Tuttavia nella classifica dei top 100, non è l’unico legato al mondo del foods&beverage, poiché sono posizionati: al 70esimo posto con 8.605,901 foto l’hastag #breakfast al 71esimo posto con 8.575,261 foto l’hastag #instafood all’86esimo posto con 7.803,003 foto l’hastag #cake al 92 esimo posto con 7.578,029 foto l’hastag #coffee
E Facebook non rimane a guardare Un potenziale simile non poteva sfuggire agli occhi di “Paperon de Paperoni” del social media, sir. Zuckerberg, comprando Instagram nel 2012 a un miliardo di dollari tra contanti e azioni, più del doppio del suo valore economico riconosciuto. Il CEO del social network ha spiegato che Facebook lavora da sempre per offrire ai propri utenti la miglior esperienza di condivisione delle foto e che l’acquisizione di Instagram ha perseguito quest’obiettivo. Perché l’acquisto al doppio del suo valore? Domanda alla quale non è difficile rispondere, poiché tale operazione ha comportato in sostanza l’acquisizione di più di decine e decine di milioni di utenti, tanti quanti sono quelli che al momento usano Instagram sia su piattaforma iPhone che Android. Inoltre secondo Zuckerberg, la condivisione delle foto è uno dei motivi principali per cui la gente usa Facebook e Instagram è stata finora l’unica applicazione in grado di offrire agli utenti uno strumento alternativo a Facebook per condividere le proprie foto con gli amici in real time, potendo commentare e a loro volta ri-condividere. Come su Facebook, appunto. I brand del settore ci insegnano come fare social media marketing con Instagram E le aziende l’hanno proprio capito, che la forza del visual storytelling è la chiave vincente sulle diverse strategie che si possano mettere in atto per creare engagement e relazioni di valore con le proprie community. Con l’utilizzo di numerosi hashtag specifici (in base al contenuto/emozione che vuole comunicare l’immagine) e la possibilità di condivisione della foto su Facebook, Twitter e Foursquare, Instagram permette al contenuto di ottenere un’esposizione tale e una diffusione virale che permette al brand di estendersi al di là dei suoi confini territoriali. E anche per questa ricetta di Instagram, è consigliabile seguire delle regole che possono aiutare un’azienda a gestire in maniera efficace una presenza sul portale di photosharing. Regola#1: Postare immagini di valore che incarnano il life style del brand - in altre parole non focalizzarsi troppo nelle foto del brand e del prodotto ma piuttosto postare immagini che rappresentino le passioni e il life-style che ruota intorno alla personalità dell’azienda e degli utenti/clienti o di tutti quelli che potrebbero essere i potenziali consumatori del brand. In tutte le sue presenze nei canali social, Redbull fa chiave del suo successo, l’essere non autoreferenziale, scegliendo di rinunciare anche nella propria presenza su Instagram, a sponsorizzare la sua bevanda energetica e di dare invece grande spazio a tutti le passioni e alle attività del consumatore tipo e quello potenziale, che incarnano e che rientrano nello stile di vita della bevanda. Redbull da voce agli sport estremi e agli eventi sportivi che annualmente sono organizzati in tutto il mondo, a dimostrare che non è il prodotto al centro della comunicazione, ma il mondo delle passioni sportive dei consumatori facenti parte del suo target.Redbull: 679.406 seguaci e il suo lifestyle negli sports
Regola#2: Coinvolgere gli utenti a produrre contenuti – Motivare fan a inviare foto di come utilizzano il prodotto o semplicemente come vivono la loro storia nel quotidiano con il marchio. Non c’è da meravigliarsi se Starbucks si prenda ancora il merito su come un brand debba coinvolgere gli utenti a produrre loro stessi contenuti sulle loro esperienze con il marchio ed instaurarvi un legame affettivo al punto di essere ricordato e presente nella quotidianità della vita delle persone. E i risultati si vedono, piazzandosi al terzo posto della classifica dei brand più popolari su Instagram. Il motto diventa “Let customers generate some of that content” e così la bacheca di Starbucks su Instagram si è popolata di una quantità incredibile d’immagini prodotte dai fans stessi del brand che raccontano le loro Starbuck’s experiences, nonché sugli eventi che si tengono presso la sede aziendale in Seattle e nei punti vendita sparsi in tutto il mondo.Starbucks – 1.196.941 seguaci e la sua forza nell’User-generated content marketing. Parlando di coinvolgimento degli utenti capaci di fare del viral marketing efficace, non possiamo non ricordare l’iniziativa di un ristorante latino americano a New York, Comodo, che ha recentemente creato un “menù Instagram”, stimolando i clienti a scattare foto delle food experience nel locale e condividerle in Instagram con l’hashtag #comodomenu. Ora, i clienti (e i potenziali clienti curiosi) sono in grado di cercare l’hashtag #comodomenu per vedere le foto dei piatti presentati dal ristorante e stuzzicare l’appetito dei più curiosi.
Comodo Regola#3: Tenere un concorso – Organizzare un concorso è un’ottima soluzione per stimolare le persone a usare l’hashtag creato dall’azienda su un contest di valore capace di stimolare la creatività degli utenti, dando in premio un prodotto o un servizio. Da Aprile 2012, Whole Foods, il noto retail americano di prodotti biologici, conosciuto anche come tra le imprese più socialmente responsabili, organizza ogni mese un contest su tematiche ambientali, da sempre uno dei valori fondamentali del brand. Da poche settimane un nuovo contest con l’hashtag #WFMearthling è partito, e mette in palio un premio settimanale di una carta regalo dal valore di $150. Whole Food Markets ha compreso molto bene che fornire l’occasioni ai consumatori di esprimere la loro creatività attraverso la condivisione di valori comuni, in questo caso legati al rispetto per l’ambiente, ricompensandoli per la loro partecipazione e condivisione delle foto, è senza dubbio una delle strategie più efficaci per rafforzare e costruire relazioni solide con la propria community.
WholeFoodMarket Regola#4: Mostrare come i prodotti sono realizzati. Mettere in evidenza su Instagram come i prodotti sono realizzati, soprattutto nel settore enogastronomico, sicuramente a molti interessa. Di conseguenza, perché non raccontare e documentare le fasi più rilevanti del processo di realizzazione del prodotto e condividerle su Instagram? L’azienda vitivinicola Oliver Winery, con sede nello stato americano dell’Indiana, risponde a questa domanda, mostrando le fasi della vendemmia e della vinificazione dei propri vini, pubblicando delle foto di “backstage” sul proprio Instagram account. E’ un modo semplice ed efficace per far comprendere agli utenti, quali sono i processi di produzione, le tecniche moderne utilizzate e il personale coinvolto ad ogni fase della vinificazione. Regola#5: Mostrare le persone che lavorano in azienda.Pubblicare le foto dei dipendenti dello staff è un modo per dimostrarsi trasparenti nei confronti dei propri followers oltre a rendere più umana l’azienda, raccontando tramite delle foto i momenti di vita lavorativa quotidiana dei dipendenti del brand. L’azienda produttrice di birre Rogue Ales, fotografando momenti di lavoro del suo personale, ha applicato questa regola dimostrando che il valore della trasparenza e comunicare il volto umano di chi lavora dietro all’azienda, sono leve indiscusse nella fidelizzazione e credibilità di un brand nei confronti dei propri fan. Regola#6: Mostrare i nuovi prodotti che si stanno per lanciare. Mostrare in esclusiva i nuovi prodotti che si stanno per lanciare , dando all’utente uno stimolo in più per seguire quel brand su Instagram, per la curiosità di conoscere quello che presto potrà acquistare, è un altro modo per mantenere l’attenzione dei followers. Alla maggior parte dei fans piace essere tra i primi a sapere le ultime novità, poiché fa sentire loro speciali. Proprio come fa Oliver Winery con i suoi vini, che premia i suoi fans fotografando anteprime esclusive di nuovi vini con immagini relative al processo di produzione del nuovi prodotti.
Instagram e la ciliegina sulla torta A Instagram mancava solo una cosa, fondamentale per il suo essere un perfetto portale di photosharing: poter taggare anche le persone nelle foto. Se alle domande “Cosa?” e “Dove?” Instagram ha risposto dapprima con gli #hastag per rispondere a “Cosa?”, alla geocalizzazione per di rispondere a “Dove?”, dal 16 Maggio finalmente, con la versione 3.5.0 Instagram può rispondere alla domanda che rappresenta la ciliegina sulla torta, ovvero “Chi?”, perché parliamoci chiaro, in ogni visual storytelling che si deve, ci sono sempre dei protagonisti. Sarà possibile con la nuova versione poter taggare nelle foto dalle persone ai locali preferiti, ovviamente se presenti su Instagram, potendo finalmente raccontare e condividere una storia in tutte le sue parti. Con i suoi 100 milioni di utenti al mese, Instagram è la piattaforma di photosharing più virale del momento e rappresenta ormai per il settore un ristorante a cielo aperto, un vero è proprio ritrovo di gourmet e appassionati di food&beverage che, attraverso la produzione e la condivisione di una delle loro passioni, entrano in contatto. A questa immensa tavolata apparecchiata, le aziende del settore, fotografi, food blogger, chef, ristoranti e semplici appassionati consumatori si siedono e si ritrovano a dialogare con lo stesso linguaggio, dove l’appetito non vien mangiando, ma nella generazione e condivisione delle loro food experience.
Via Tech Economy
Per i più “multitasking” utilizzare Twitter mentre si segue la trasmissione di programmi televisivi è diventato un rituale; ecco perché alcuni dirigenti Twitter si sono riuniti per valutare come sfruttare al meglio questa abitudine dei propri utenti, consentendo agli inserzionisti di inviare messaggi pubblicitari durante la trasmissione di determinati programmi Tv.
Il nuovo prodotto aiuterà le aziende a rintracciare le pubblicità visionate dai telespettatori grazie ai loro commenti: “Quando le persone si sintonizzano con la tv lo fanno anche con Twitter”, ha commentato Matt Derella, direttore del settore brand and agency strategy di Twitter, che ha presentato il nuovo servizio a Manhattan.
Twitter ha anche annunciato di voler lavorare con alcune società – tra le quali figurano Time Inc., Bloomberg, Discovery, Vevo, Vice Media, Condé Nast Entertainment e Warner Music Group – per creare “Twitter Amplify”, una media-partneship volta alla vendita di contenuti video e clip che potranno essere condivisi sulla propria piattaforma; gli inserzionisti potranno inserire i loro annunci pubblicitari prima del contenuto che si andrà a visualizzare. Il format è simile a quello che l’azienda ha annunciato di voler mettere in pratica, in collaborazione con ESPN e Ford, tramite l’inserimento di spot pubblicitari nei replay di football lanciati sul social.
Jim Nail, analista di Forrester Research, mette in guardia Twitter sul numero di annunci pubblicitari consentiti sulla sua piattaforma: inserendo troppi annunci durante un programma televisivo “rischiano di perdere utenza e di farla perdere al programma.” Un portavoce di Twitter ha annunciato che, in tal senso, la società aveva già previsto dei limiti al numero giornaliero di spot proposti ad ogni utente.
Lo scorso mese Twitter ha firmato, inoltre, un accordo pluriennale con Starcom per permettere alle aziende di incrementare il numero di risorse disponibili per misurare e monitorare i dati riguardanti la pubblicità.
Via Tech Economy
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