Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Ll video è senz’altro il tipo di contenuto più in crescita su internet, con opportunità grandissime in termini di advertising e di marketing che studi e casi reali stanno sempre più evidenziando. E’ interessante capire quindi come sta cambiando il comportamento dei consumatori a fronte della crescente offerta di video online, e molti spunti al proposito sono forniti dalla ‘Video-Over-Internet Consumer Survey’ di Accenture, condotta alcune settimane fa su 3.500 consumatori con connessione internet di sei Paesi: Brasile, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito e USA.
La forte evoluzione in corso è sintetizzata dal report in cinque trend: abitudini di fruizione dei video sempre più sofisticate; multitasking (che i ricercatori di Accenture definiscono anche come ‘second screen’) in piena esplosione, anche grazie alla diffusione dei tablet; ‘tenuta’ del gradimento degli abbonamenti e calo invece del pay-per-view; una persistente confusione su quale sia la modalità più semplice di accedere ai video online; e una parziale riscossa dei contenuti locali rispetto a quelli forniti da realtà internazionali come YouTube e Netflix.
La visione di video online quindi sta diventando un’attività importante per i consumatori di tutte le età e zone geografiche: in media il 90% degli intervistati (addirittura il 94% in Italia) dichiara di guardare film, programmi TV, video amatoriali, pubblicità, trailer, eventi sportivi su internet: il dispositivo più utilizzato è il pc, portatile o fisso (89%, in aumento dall’81% del 2012), il più in crescita è il tablet (salito in un anno dal 21% al 33%). In aumento anche la frequenza di visione: oltre un quarto guarda video online ogni giorno, e un altro 22% almeno tre volte la settimana.
Inizia inoltre a emergere un legame tra tipo di video e tipo di dispositivo su cui viene fruito: film, fiction e trasmissioni live sono visti per lo più sulla TV (ma anche i pc e i tablet sono in crescita: rispettivamente dal 41% al 47% e dal 27% al 33%), mentre i contenuti generati dagli utenti e le clip musicali e pubblicitarie sono viste per lo più su smartphone e tablet.
Il tablet per approfondire ciò che si vede in TV
La tendenza più interessante per le strategie di marketing però è l’esplosione del multi-tasking o second screen, cioè l’uso di altri dispositivi mentre si guarda la TV. Tendenza che è in crescita per pc/ laptop, smartphone, gaming console, e soprattutto per il tablet. Non solo il 44% dei consumatori usa il tablet mentre guarda la TV, contro l’11% dell’anno scorso, ma il tablet è anche il device più utilizzato in correlazione con ciò che sta trasmettendo la TV, per esempio per cercare informazioni su prodotti o personaggi in onda, o commentare le trasmissioni con gli amici sui social network.
Il forte aumento del multitasking, sottolinea Accenture, è sia una minaccia che un’opportunità: da una parte i contenuti TV che puntano su una fruizione solo ‘passiva’ non hanno molte prospettive, dall’altra l’emergere del tablet come ‘second screen’ è molto promettente in termini di sviluppo di nuove funzioni di coinvolgimento e fonti di fatturato da pubblicità, direct marketing, diritti di trasmissione secondari e così via.
Per broadcaster e fornitori di contenuti diventa quindi fondamentale ‘seguire’ il consumatore su tutti i dispositivi, offrendo una user experience ottimizzata di volta in volta su ciascun device, ma nel contempo sempre coerente a prescindere dal dispositivo usato al momento.
Italia, il 59% pagherebbe per un canale premium YouTube
Quasi due consumatori su tre (62%) sono disposti a pagare un abbonamento mensile per accedere a contenuti on-demand su pc, tablet o TV, anche se la spesa scende, rispetto al 2011, a meno di 10 dollari al mese. Il modello abbonamento è nettamente preferito rispetto al pay-per-view volta per volta, che è addirittura in calo, dal 12% al 10%.
La tendenza generale è di voler pagare di meno, o addirittura niente per l’offerta generalista di contenuti, ma ben il 45% è interessato a pagare per offerte personalizzate ‘a la carte’ di pochi selezionati canali/tipologie di contenuti. In Italia per esempio il 59% dei consumatori è disposto a pagare per un canale ‘premium’ di YouTube che offra contenuti di loro interesse, anche se solo il 24% pagherebbe più di 5 dollari (circa 4 euro al cambio attuale) al mese.
Un altro trend che la ricerca mette in luce è una parziale riscossa dei fornitori di contenuti locali (broadcaster, siti web, ecc.) rispetto alle grandi realtà internazionali di video online (YouTube, Netflix, ecc.), che comunque continuano a dominare la scena, soprattutto in Italia, dove due video su tre riguardano contenuti internazionali.
Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, la TV resta il mezzo preferito per accedere a video online, ma è in calo: molti non hanno preferenze sul dispositivo con cui accedere, cosa che evidentemente chiama i produttori di ‘connected TV’ a ulteriori sforzi di comunicazione. La configurazione dei dispositivi per la visione di video online è percepita molto più semplice per pc e laptop che per le TV (31% contro 19%), mentre un altro problema, sentito trasversalmente in tutti i Paesi, è la frustrazione per problemi che impediscono una visione ottimale: bassa qualità del video, difficoltà di streaming e download, invadenza della pubblicità.
Due sfide per i content provider
In definitiva, sintetizza Accenture, la ricerca mostra grandi progressi sull’offerta di video attraverso internet, e propone a tutti gli addetti ai lavori due grandi questioni su cui riflettere. La prima riguarda il ruolo del ‘second screen’: l’esplosione del multi-tasking è certamente il trend più interessante, in particolare per il tablet, il cui uso in parallelo con la TV è l’unico a crescere e a mostrare una correlazione diretta con ciò che viene trasmesso appunto in TV. Per i fornitori di contenuti quindi si pone la sfida di come ‘monetizzare’ questo trend coinvolgendo in modi nuovi il consumatore.
La seconda questione è la scelta tra un’offerta ‘verticale’ - cioè della più ampia gamma di contenuti possibile, ma fruibile da un dispositivo proprietario -, e una ‘orizzontale’, ossia una piattaforma di servizi proprietaria, ma fruibile da qualsiasi device. Ciascuna ha i suoi pro e contro, le sue determinanti economiche e le sue proposizioni di valore, “e verosimilmente – conclude Accenture – la scelta migliore sarà diversa da Paese a Paese”.
Via Wireless4Innovation
Diciamo subito una cosa. Se Pinterest è il social network più amato dai marketer e dagli amanti del food&beverage, i trend di settore confermano nel 2013, la crescita inarrestabile dell’utilizzo di Instagram da parte degli utenti sempre più coinvolti nella generazione e condivisione delle loro food experience in real time. Ormai è assodato che nella cultura dei nostri giorni, non si concepisce più il concetto di mangiare soltanto per necessità, non si vuole trascurare il piacere culinario, assaporare i gusti, vivere il cibo come un’esperienza che coinvolge tutti i sensi. E, con la tecnologia mobile che ci accompagna ogni giorno con i nostri inseparabili smartphone e tablet, diventiamo fotografi in tempo reale delle nostre food experience. Nato e ideato per gli smartphone, Instagram è diventato oggi il protagonista indiscusso nelle logiche di visual marketing virale e senza dubbio l’introduzione dei filtri, che permettono di dare uno stile e un effetto speciale alle foto rendendole delle piccole opere d’arte, ha contribuito indubbiamente al successo dell’applicazione.
Il fenomeno Instagram in numeri I numeri riportati nell’infografica parlano chiaro e cancellano ogni perplessità: danno un’idea del fenomeno Instagram in continua crescita, che vede coinvolto maggiormente l’universo femminile con il 55% dei 100 milioni di utenti attivi al mese, i quali generano quotidianamente 40 milioni di foto che vanno a nutrire anche le altre piattaforme social, stimolando 8500 likes al secondo. Un altro elemento rilevante riguarda le generazioni coinvolte, che vedono protagoniste indiscusse le fasce d’età tra il 18-24 al 34% e quella tra i 25-34 al 33%, a conferma di come il fenomeno di catturare quello che si sta vivendo in quel dato momento per poi condividerlo attraverso gli appositi hastag identificativi, sia un’attrazione irresistibile soprattutto per la Millenium generation.
E non possiamo trascurare la scelta di un filtro piuttosto di un altro perché rappresenta un elemento fondamentale capace di influenzare l’aumento di engagement. Lo conferma una ricerca condotta da SymplyMeasured, che ha prodotto un report davvero interessante dove si evince che Lo-fi è il filtro più utilizzato dai brand (figura2) ma non quello che fa riscuotere più engagement che è Hefe che tuttavia si attesta come il meno adottato con solo il 5%, pur avendo coinvolto con il 4.515 likes degli utenti. E ogni filtro ha la sua efficacia visiva e comunicativa.
I filtri Instagram del food impegnati nel sociale “Se vuoi condividere il tuo cibo, fallo sul serio”. E’ il claim della campagna dell’associazione “Manos Unidas” ha sviluppato il primo “filtro solidale per Instagram” (a pagamento a 0,89euro) disponibile per iPhone e Android, che permette di raccogliere fondi per sfamare gli affamati, ovviamente. Strategia giusta che non fa una piega e che ci piace.
Gli hashtag del food&beverage più utilizzati Anche i food lovers non potevano non farsi travolgere dall’irresistibile tentazione di raccontare e condividere le loro food&beverage experience con amici ed altri appassionati del settore, tanto è vero che l’hastag #food è collocato al 55esimo posto con 9.699.039 milioni di foto nella classifica dei 100 hashtag più utilizzati dal popolo di Instagram. Tuttavia nella classifica dei top 100, non è l’unico legato al mondo del foods&beverage, poiché sono posizionati: al 70esimo posto con 8.605,901 foto l’hastag #breakfast al 71esimo posto con 8.575,261 foto l’hastag #instafood all’86esimo posto con 7.803,003 foto l’hastag #cake al 92 esimo posto con 7.578,029 foto l’hastag #coffee
E Facebook non rimane a guardare Un potenziale simile non poteva sfuggire agli occhi di “Paperon de Paperoni” del social media, sir. Zuckerberg, comprando Instagram nel 2012 a un miliardo di dollari tra contanti e azioni, più del doppio del suo valore economico riconosciuto. Il CEO del social network ha spiegato che Facebook lavora da sempre per offrire ai propri utenti la miglior esperienza di condivisione delle foto e che l’acquisizione di Instagram ha perseguito quest’obiettivo. Perché l’acquisto al doppio del suo valore? Domanda alla quale non è difficile rispondere, poiché tale operazione ha comportato in sostanza l’acquisizione di più di decine e decine di milioni di utenti, tanti quanti sono quelli che al momento usano Instagram sia su piattaforma iPhone che Android. Inoltre secondo Zuckerberg, la condivisione delle foto è uno dei motivi principali per cui la gente usa Facebook e Instagram è stata finora l’unica applicazione in grado di offrire agli utenti uno strumento alternativo a Facebook per condividere le proprie foto con gli amici in real time, potendo commentare e a loro volta ri-condividere. Come su Facebook, appunto. I brand del settore ci insegnano come fare social media marketing con Instagram E le aziende l’hanno proprio capito, che la forza del visual storytelling è la chiave vincente sulle diverse strategie che si possano mettere in atto per creare engagement e relazioni di valore con le proprie community. Con l’utilizzo di numerosi hashtag specifici (in base al contenuto/emozione che vuole comunicare l’immagine) e la possibilità di condivisione della foto su Facebook, Twitter e Foursquare, Instagram permette al contenuto di ottenere un’esposizione tale e una diffusione virale che permette al brand di estendersi al di là dei suoi confini territoriali. E anche per questa ricetta di Instagram, è consigliabile seguire delle regole che possono aiutare un’azienda a gestire in maniera efficace una presenza sul portale di photosharing. Regola#1: Postare immagini di valore che incarnano il life style del brand - in altre parole non focalizzarsi troppo nelle foto del brand e del prodotto ma piuttosto postare immagini che rappresentino le passioni e il life-style che ruota intorno alla personalità dell’azienda e degli utenti/clienti o di tutti quelli che potrebbero essere i potenziali consumatori del brand. In tutte le sue presenze nei canali social, Redbull fa chiave del suo successo, l’essere non autoreferenziale, scegliendo di rinunciare anche nella propria presenza su Instagram, a sponsorizzare la sua bevanda energetica e di dare invece grande spazio a tutti le passioni e alle attività del consumatore tipo e quello potenziale, che incarnano e che rientrano nello stile di vita della bevanda. Redbull da voce agli sport estremi e agli eventi sportivi che annualmente sono organizzati in tutto il mondo, a dimostrare che non è il prodotto al centro della comunicazione, ma il mondo delle passioni sportive dei consumatori facenti parte del suo target.Redbull: 679.406 seguaci e il suo lifestyle negli sports
Regola#2: Coinvolgere gli utenti a produrre contenuti – Motivare fan a inviare foto di come utilizzano il prodotto o semplicemente come vivono la loro storia nel quotidiano con il marchio. Non c’è da meravigliarsi se Starbucks si prenda ancora il merito su come un brand debba coinvolgere gli utenti a produrre loro stessi contenuti sulle loro esperienze con il marchio ed instaurarvi un legame affettivo al punto di essere ricordato e presente nella quotidianità della vita delle persone. E i risultati si vedono, piazzandosi al terzo posto della classifica dei brand più popolari su Instagram. Il motto diventa “Let customers generate some of that content” e così la bacheca di Starbucks su Instagram si è popolata di una quantità incredibile d’immagini prodotte dai fans stessi del brand che raccontano le loro Starbuck’s experiences, nonché sugli eventi che si tengono presso la sede aziendale in Seattle e nei punti vendita sparsi in tutto il mondo.Starbucks – 1.196.941 seguaci e la sua forza nell’User-generated content marketing. Parlando di coinvolgimento degli utenti capaci di fare del viral marketing efficace, non possiamo non ricordare l’iniziativa di un ristorante latino americano a New York, Comodo, che ha recentemente creato un “menù Instagram”, stimolando i clienti a scattare foto delle food experience nel locale e condividerle in Instagram con l’hashtag #comodomenu. Ora, i clienti (e i potenziali clienti curiosi) sono in grado di cercare l’hashtag #comodomenu per vedere le foto dei piatti presentati dal ristorante e stuzzicare l’appetito dei più curiosi.
Comodo Regola#3: Tenere un concorso – Organizzare un concorso è un’ottima soluzione per stimolare le persone a usare l’hashtag creato dall’azienda su un contest di valore capace di stimolare la creatività degli utenti, dando in premio un prodotto o un servizio. Da Aprile 2012, Whole Foods, il noto retail americano di prodotti biologici, conosciuto anche come tra le imprese più socialmente responsabili, organizza ogni mese un contest su tematiche ambientali, da sempre uno dei valori fondamentali del brand. Da poche settimane un nuovo contest con l’hashtag #WFMearthling è partito, e mette in palio un premio settimanale di una carta regalo dal valore di $150. Whole Food Markets ha compreso molto bene che fornire l’occasioni ai consumatori di esprimere la loro creatività attraverso la condivisione di valori comuni, in questo caso legati al rispetto per l’ambiente, ricompensandoli per la loro partecipazione e condivisione delle foto, è senza dubbio una delle strategie più efficaci per rafforzare e costruire relazioni solide con la propria community.
WholeFoodMarket Regola#4: Mostrare come i prodotti sono realizzati. Mettere in evidenza su Instagram come i prodotti sono realizzati, soprattutto nel settore enogastronomico, sicuramente a molti interessa. Di conseguenza, perché non raccontare e documentare le fasi più rilevanti del processo di realizzazione del prodotto e condividerle su Instagram? L’azienda vitivinicola Oliver Winery, con sede nello stato americano dell’Indiana, risponde a questa domanda, mostrando le fasi della vendemmia e della vinificazione dei propri vini, pubblicando delle foto di “backstage” sul proprio Instagram account. E’ un modo semplice ed efficace per far comprendere agli utenti, quali sono i processi di produzione, le tecniche moderne utilizzate e il personale coinvolto ad ogni fase della vinificazione. Regola#5: Mostrare le persone che lavorano in azienda.Pubblicare le foto dei dipendenti dello staff è un modo per dimostrarsi trasparenti nei confronti dei propri followers oltre a rendere più umana l’azienda, raccontando tramite delle foto i momenti di vita lavorativa quotidiana dei dipendenti del brand. L’azienda produttrice di birre Rogue Ales, fotografando momenti di lavoro del suo personale, ha applicato questa regola dimostrando che il valore della trasparenza e comunicare il volto umano di chi lavora dietro all’azienda, sono leve indiscusse nella fidelizzazione e credibilità di un brand nei confronti dei propri fan. Regola#6: Mostrare i nuovi prodotti che si stanno per lanciare. Mostrare in esclusiva i nuovi prodotti che si stanno per lanciare , dando all’utente uno stimolo in più per seguire quel brand su Instagram, per la curiosità di conoscere quello che presto potrà acquistare, è un altro modo per mantenere l’attenzione dei followers. Alla maggior parte dei fans piace essere tra i primi a sapere le ultime novità, poiché fa sentire loro speciali. Proprio come fa Oliver Winery con i suoi vini, che premia i suoi fans fotografando anteprime esclusive di nuovi vini con immagini relative al processo di produzione del nuovi prodotti.
Instagram e la ciliegina sulla torta A Instagram mancava solo una cosa, fondamentale per il suo essere un perfetto portale di photosharing: poter taggare anche le persone nelle foto. Se alle domande “Cosa?” e “Dove?” Instagram ha risposto dapprima con gli #hastag per rispondere a “Cosa?”, alla geocalizzazione per di rispondere a “Dove?”, dal 16 Maggio finalmente, con la versione 3.5.0 Instagram può rispondere alla domanda che rappresenta la ciliegina sulla torta, ovvero “Chi?”, perché parliamoci chiaro, in ogni visual storytelling che si deve, ci sono sempre dei protagonisti. Sarà possibile con la nuova versione poter taggare nelle foto dalle persone ai locali preferiti, ovviamente se presenti su Instagram, potendo finalmente raccontare e condividere una storia in tutte le sue parti. Con i suoi 100 milioni di utenti al mese, Instagram è la piattaforma di photosharing più virale del momento e rappresenta ormai per il settore un ristorante a cielo aperto, un vero è proprio ritrovo di gourmet e appassionati di food&beverage che, attraverso la produzione e la condivisione di una delle loro passioni, entrano in contatto. A questa immensa tavolata apparecchiata, le aziende del settore, fotografi, food blogger, chef, ristoranti e semplici appassionati consumatori si siedono e si ritrovano a dialogare con lo stesso linguaggio, dove l’appetito non vien mangiando, ma nella generazione e condivisione delle loro food experience.
Via Tech Economy
Per i più “multitasking” utilizzare Twitter mentre si segue la trasmissione di programmi televisivi è diventato un rituale; ecco perché alcuni dirigenti Twitter si sono riuniti per valutare come sfruttare al meglio questa abitudine dei propri utenti, consentendo agli inserzionisti di inviare messaggi pubblicitari durante la trasmissione di determinati programmi Tv.
Il nuovo prodotto aiuterà le aziende a rintracciare le pubblicità visionate dai telespettatori grazie ai loro commenti: “Quando le persone si sintonizzano con la tv lo fanno anche con Twitter”, ha commentato Matt Derella, direttore del settore brand and agency strategy di Twitter, che ha presentato il nuovo servizio a Manhattan.
Twitter ha anche annunciato di voler lavorare con alcune società – tra le quali figurano Time Inc., Bloomberg, Discovery, Vevo, Vice Media, Condé Nast Entertainment e Warner Music Group – per creare “Twitter Amplify”, una media-partneship volta alla vendita di contenuti video e clip che potranno essere condivisi sulla propria piattaforma; gli inserzionisti potranno inserire i loro annunci pubblicitari prima del contenuto che si andrà a visualizzare. Il format è simile a quello che l’azienda ha annunciato di voler mettere in pratica, in collaborazione con ESPN e Ford, tramite l’inserimento di spot pubblicitari nei replay di football lanciati sul social.
Jim Nail, analista di Forrester Research, mette in guardia Twitter sul numero di annunci pubblicitari consentiti sulla sua piattaforma: inserendo troppi annunci durante un programma televisivo “rischiano di perdere utenza e di farla perdere al programma.” Un portavoce di Twitter ha annunciato che, in tal senso, la società aveva già previsto dei limiti al numero giornaliero di spot proposti ad ogni utente.
Lo scorso mese Twitter ha firmato, inoltre, un accordo pluriennale con Starcom per permettere alle aziende di incrementare il numero di risorse disponibili per misurare e monitorare i dati riguardanti la pubblicità.
Via Tech Economy
Millward Brown Optimor ha rilasciato la sua lista annuale BrandZ sui marchi più prestigiosi a livello mondiale per quest’anno, e Apple e Google risultano i marchi che valgono di più al mondo, ricoprendo rispettivamente il primo e il secondo posto della classifica. Confrontando i dati, entrambe le società hanno visto un aumento del valore del marchio nel 2012, mentre IBM – che è arrivato terzo nella lista – ha visto una leggera diminuzione.
Il valore del brand Apple per il 2013 si è attestato intorno ai 185 miliardi di dollari, con un aumento dell’1% rispetto ai 182 miliardi del 2012. Google vale un po’ di meno arrivando ad un valore di 113 miliardi di dollari nel 2013, in rialzo dai 107 miliardi del 2012. Nonostante sia al secondo posto, la società di Mountain View ha registrato il più grande aumento annuo rispetto alle altre compagnie. IBM, che si attesta a terzo, presenta un valore di 112 miliardi di dollari nel corso del 2013 in diminuzione del 3% rispetto al 2012 dove il suo brand valeva 115 miliardi. Apple ha mantenuto inalterata la sua posizione rispetto all’anno scorso mentre Google ha fatto n balzo in avanti passando dal secondo al terzo posto e spodestando IBM.
Al quarto della lista c’è McDonald, che ha mantenuto la stessa posizione rispetto all’anno precedente. Male invece il marchio Microsoft, che vede scendere di due posizione dalla quinta alla settima.
Peter Walshe, direttore di BrandZ ha dichiarato: “il valore del marchio [di Apple] è aumentato solo dell’1% quest’anno, ma detiene ancora il record per il marchio più prezioso. E sembra lo sarà ancora per molto tempo. L’altro marchio in graduatoria, Google, ha un valore di 113 miliardi di dollari, passando dal 3% dell’anno scorso ad un guadagno del 5%, ma Apple è comunque avanti di 71 miliardi , quasi l’intero valore di Coca-Cola, il che dimostra quanto sia forte e potente questo brand”.
Le aziende tecnologiche di vario genere rappresentano un totale di 40% di tutte le aziende nella Top 100, con 5 nella parte superiore della Top 10. Qui è possibile controllare la classifica completa del 2013.
Via Tech Economy
Novità nell’universo Pinterest, che ha annunciato due nuove funzionalità che aumenteranno l’attrattiva per nuovi, potenziali inserzionisti. L’obiettivo di Pinterest è quello di rendere i Pins più utili e monetizzabili, integrando le immagini ai marchi associati, aggiungendo informazioni e rendendo il collegamento e il processo d’acquisto più immediati. Potrebbe essere il primo passo verso un radicale cambiamento della percezione del social da parte degli utenti e dei potenziali partner.
La svolta arriverà con il lancio di tre differenti tipologie di Pins, suddivise per categorie: food, prodotti e film. L’integrazione funzionerà solo con elementi aggiunti tramite i siti delle aziende aderenti alla partnership: se si apre un pin nella categoria “Food”, ad esempio, saranno disponibili maggiori informazioni come la ricetta e gli ingredienti; quelli nella categoria “Film” daranno informazioni come il rating, il cast o la data prevista per l’uscita nelle sale; le foto nella categoria “prodotti” daranno informazioni utili su dove trovare e acquistare il prodotto condiviso.
Certamente in un futuro non troppo lontano potrebbe diventare un modello di business molto remunerativo, ma la società ha voluto sottolineare come le nuove categorie di Pins non siano una forma di pubblicità ma piuttosto un modo di fornire un servizio prezioso e più interattivo ai propri utenti.
Via Tech Economy
Google unisce le esperienze del servizio di posta elettronica Gmail con quelle di Google Wallet. Nel prossimo futuro sarà possibile trasferire facilmente e rapidamente somme di denaro allegandole ad una e-mail.
Google proprio in questi giorni sta preparando il terreno per il proprio futuro illustrando novità e progetti a coloro che partecipano alla conferenza dedicata agli sviluppatori, il Google I/O corso a San Francisco. Tra le varie novità di oggi ne figura una annunciata però sul blog ufficiale di Google Commerce e che riguarda due dei suoi servizi più importanti Gmail e Wallet.
Gmail e Wallet uniti Il servizio di posta elettronica Gmail ha bisogno di poche descrizioni. L’altro, Google Wallet, è uno dei servizi della compagnia di Mountain View pensato principalmente per dispositivi mobile che unisce in un unico account carte di credito e debito per effettuare rapidi pagamenti sia virtuali che presso punti vendita abilitati.
A breve le strade di questi due servizi si incroceranno e sarà possibile, per gli intestatari di account Google, inviare somme di denaro attraverso le e-mail. I riceventi non dovranno necessariamente possedere un account Gmail a loro volta e potranno riversare la somma nel proprio Wallet o, alternativamente, sul proprio conto corrente. Costi e limiti
Google naturalmente limiterà la possibilità di utilizzare questo metodo di trasferimento agli utenti con più di 18 anni. Allo stesso modo continueranno ad esistere dei limiti alle transazioni effettuabili che avranno un tetto massimo di 10.000$ ed un limite di danaro trasferibile in 5 giorni di 50.000$.
Il mittente sarà inoltre soggetto ad un costo di commissione fisso del 2,9% nel caso di un trasferimento avvenuto da una carta di credito o di debito – tariffa molto simile a quella di altri servizi come PayPal. I trasferimenti da conto corrente saranno gratuiti.
Via Blogo.it
Gli investimenti pubblicitari in Italia scendono nel primo trimestre del 18,9% a 1,6 miliardi di euro, con perdite tra il 20% e il 30% per i principali media, con solo internet in crescita (+2,1%).
E’ quanto evidenziato dai dati Nielsen, che sottolinea come questi risultati siano “frutto della congiuntura economica molto critica ma anche della incertezza politica pre e post elettorale”.
Marzo è andato stato peggiore di Gennaio e febbraio, che insieme avevano registrato una contrazione del 16,5% (-15,3% gennaio, -17,7% febbraio). In queste circostanze è difficile prevedere un’inversione i tendenza almeno nella prima metà dell’anno, “ragionevole” sperare in un miglioramento del mercato nell’ultimo trimestre dell’anno se saranno adottate misure di stimolo all’economia e ai consumi.
La raccolta della Tv registra nei tre mesi un calo del 19,1%, i quotidiani segnano -26,1% e i periodici -22,3%. Piccolo rialzo per Internet con +2,1%, in calo del 19,2% la radio.
Via Tech Economy
Dopo le indiscrezioni trapelate in rete nelle ultime settimane, Youtube ha finalmente lanciato il suo servizio di video streaming a pagamento. Ad annunciarlo è la stessa azienda su un post ufficiale, nel quale, dopo una premessa in cui si ripercorre brevemente la storia della piattaforma, si fa riferimento a quella che è la richiesta più frequente dei creatori di contenuti che pubblicano sul canale, ovvero “maggiore flessibilità nella monetizzazione e nella distribuzione dei propri contenuti”. “Ci abbiamo lavorato e vogliamo accontentarvi”, riferisce il post.
La comunicazione fa riferimento al lancio del nuovo servizio pilota, attivo da oggi, che permetterà ad un ristretto gruppo di partner di distribuire i propri contenuti facendo pagare agli utenti un abbonamento di 99 centesimi per la loro visione. Ogni canale avrà un periodo di 14 giorni di prova con previsione di sconti negli anni a venire. Il servizio pilota include diverse decine di canali a pagamento, con altri che verranno aggiunti in seguito. L’elenco è vario e comprende “Sesame Street”, il canale di arti marziali e lotta UFC, Comedy.TV, Baby first Plus e tanti altri presenti in una lista rilasciata da Youtube.
Il servizio di abbonamento sarà multipiattaforma, ciò vuol dire che, una volta sottoscritto l’abbonamento, che per ora fanno sapere è possibile effettuare solo tramite pc, i contenuti potranno essere fruiti da qualsiasi dispositivo mobile, con la possibilità a breve di potersi iscrivere al servizio anche tramite gli altri dispositivi. E come riportato nel post, “questo è solo l’inizio”.
Via Tech Economy
Su Facebook i Brand più seguiti in Italia ad Aprile 2013 sono KIKO Cosmetics, Libero, PosteMobile e Le Iene. Questo è quanto emerge dalla periodica rilevazione di Blogmeter che per questo mese ha analizzato 40 milioni di interazioni
Ed eccoci di nuovo a mostrarvi la rilevazione che ogni mese Blogmeter opera sui brand più seguiti su Facebook che si rivolgono al mercato italiano. Per la rilevazione che riguarda il mese di Aprile 2013, sono state rilevato 40 milioni di interazioni che riguardano appunto i brand monitorati. Con quali risultati?
Per il secondo mese consecutivo, per quel che riguarda la classifica dei Nuovi Fans, si piazza al primo posto la fan page KIKO Cosmetics Italia che ad aprile ha guadagnato ben 551 mila nuovi fans, un risultato eccezionale che si presenta per la prima volta in questo tipo di rilevazioni. In seconda posizione si piazza Glamoo Italia con 172 mila nuovi fans e in terza posizione troviamo la fan page di uno dei videogame più famosi, Need For Speed, con 166,115 mila nuovi fans. Ricordiamo che le ultime due sono delle new entry per questo mese, come lo sono anche Real Time e Hugo Boss che si piazzano rispettivamente in quarta e quinta posizione.
Passiamo a vedere ora uno dei dati, a nostro modo di vedere, più rilevante, cioè l’Engagement, quindi le interazioni sulle pagine. Anche per il mese di Aprile 2013 la fan page di Libero su Facebook è quella che accentra il maggior numero di interazioni, con una media giornaliera di 170 interazioni per ogni mille fans, quindi un livello di coinvolgimento molto alto rispetto al numero di fans. Al secondo posto troviamo la new entry Iron Man IT che in occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche del terzo capitolo della saga ottiene durante il mese di aprile una media di 86,1 interazioni giornaliere per ogni mille fan; al terzo posto si conferma la pagina della rivista Famiglia Cristiana con un page engagement di 71,5. Segnaliamo, tra le new entry, la fan page di Mario – Una serie di Maccio Capatonda, la serie che va in onda su Mtv, la fan page di Porta a Porta e anche quella di Amici. Le ultime tre fan page sono la testimonianza della crescita del fenomeno della Social Tv.
Per quanto riguarda i Tempi di Risposta in base alle richieste fatte sulle fan page, a guidare la classifica Response Time c’è PosteMobile che fa registrare un tempo di attesa medio di 1 ora e 16 minuti per rispondere alle domande degli utenti sulla propria pagina (264 in totale), segue Poste Italiane che ha risposto a 699 post degli utenti facendoli attendere mediamente 1 ora e 27 minuti, mentre al terzo posto si conferma Vodafone it con un response time medio di 1 ora e 36 minuti e 1.207 richieste degli utenti soddisfatte. TIM, pur perdendo la prima posizione, è il brand che ha risposto al maggior numero di richieste, ben 1.466.
Il post più coinvolgente, con oltre 39.800 interazioni, è quello pubblicato sulla fan page de Le Iene e ritrae Iary Blasi che invia un bacio virtuale ai fan del programma. In seconda posizione troviamo una foto sulla pagina di ROBA DA DONNE che ritrae una simpatica nonnina che per il suo novantunesimo compleanno chiede di mettere “mi piace” alla sua foto, ottenendo in risposta ben 36.600 interazioni! Terza posizione occupata da As Roma con il post che celebra l’accesso alla finale di Coppa Italia.
Via InTime
In questi giorni sto leggendo diversi articoli e report sulla digital transformation e l’evoluzione del CMO verso la sua versione “tecnologica”, tutti trend molto interessanti e incoraggiati rispetto alla mia professione. Il cliente d’altra parte vuole muoversi attraverso i diversi i canali e punti di contatto e diviene alla fine esso stesso un media per le aziende, ponendo al marketing nuove sfide strategiche.
Insomma, tutto bene, viste anche le grandi opportunità di occupazione nel settore del digitale?
In teoria sì. Ma le cose sono più complesse.
Prima di tutto è ancora difficile per la gran parte delle aziende valutare le competenze. Ormai quello del digitale, come ho scritto ormai tante volte, è un ecosistema complesso da cui emergono qua e là come punte dell’iceberg dei temi come i social media, il mobile (ancora visto soprattutto come app) e pochi altri.
Su tutte queste tematiche si scontrano due atteggiamenti ugualmente pericolosi: da una parte la convinzione che siano strumenti padroneggiabili da chiunque perché li maneggiamo anche per usi privati, dall’altra invece l’affido totale a dei guru più o meno della porta accanto che vengono ascoltati come oracoli ma ai quali manca tutta la parte strategica. Pochi invece cercano delle risorse adeguate interne, che poi possano interagire con cognizione di causa verso i fornitori e che riescano ad avere quella visione di insieme e quell’equilibrio fra managerialità e tecnicismo che altrove è già molto ricercato.
Un altro aspetto organizzativo forte poi è quello delle sovrapposizioni di ruoli tra IT, marketing e altre aree, visto che questi temi sono estremamente pervasivi e che oggi l’investimento in tecnologia sta diventando sempre meno appannaggio dei dipartimenti informatici che pure però devono essere coinvolti per garantire il giusto equilibrio.
Infine la paura di perdere potere da parte dei ruoli che esistono già è importante e diffusa e per questo molti manager e interi enti aziendali si occupano in modo parziale e spesso rudimentali di pezzi dell’ecosistema digitale, entrando inevitabilmente in collisione fra loro e soprattutto con chi viene incaricato di occuparsene nell’organizzazione. Oggi dunque, dove anche ci siano dei ruoli di digital marketing o anche di Chief Marketing Technology Officer, è ancora ingente la quantità di energie e tempo spesa in conflitti derivanti da organigrammi mal strutturati e in sovrapposizione.
Si tratta di problematiche comuni anche ad altre nazioni e culture e sono parte di un processo evolutivo, tuttavia io credo che oggi il nostro paese sconti più di altri una cultura manageriale basata sulla difesa del ruolo esistente e sulla paura di turbare gli equilibri complessivi (come in politica) , senza contare l’approccio spesso poco scientifico al marketing e alla comunicazione. Sono troppo drammatico?
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
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