Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
I brand stanno scommettendo molto sui social media al fine di entrare in relazione con i propri clienti e, quasi sempre, concentrano la propria attenzione sui social network più popolari come Facebook. Stando ad una ricerca condotta da Duepuntozero Research e Connexia, lo scanrio potrebbe non essere così nettamente a vantaggio dei social.
“Sono diverse le possibilità che oggi i marketer hanno per convertire la volontà di relazione dei consumatori in capitale di brand e vendite – spiega Federico Capeci, Ceo di Duepuntozero Research – Il consumatore non è più solamente pronto alla relazione con i brand, ma sta già facendo molto in rete e sta chiedendo una relazione più articolata, più gratificante, fondata su ascolto, coinvolgimento e gratificazione reciproca: non sempre e non tutto questo, però, può essere soddisfatto con un unico strumento e non sempre solo su Facebook”.
8 milioni gli italiani, secondo la ricerca, partecipano abitualmente a community legate a specifici brand o aziende e un milione e mezzo di questi visita tali community quotidianamente. Per i brand il valore percepito tra gli iscritti a tali iniziative risulta, inoltre, più alto; sia per quanto riguarda i valori del brand che le opportunità di business.
Aziende e utenti focalizzano la propria attenzione su Facebook (ad esempio il 45% degli iscritti a una brand page Facebook legge i post pubblicati contro il 26% nelle brand community), ma nonostante ciò le brand community sembrano più efficaci. L’86% dei consumatori iscritti a brand community dichiara di essere più informato su prodotti ed iniziative contro l’84% degli iscritti ad una brand page Facebook; e l’81% sente di conoscere meglio il brand e le iniziative di questo (71% Facebook). Le brand community riescono anche ad esercitare un’influenza maggiore sul business aziendale stando alle dichiarazioni degli iscritti (65% degli iscritti dichiara di consumare maggiormente i prodotti vs 55% Facebook).
Le community dedicate specificamente ad un brand sono, inoltre, maggiormente in grado di attrarre ‘veri’ fan rispetto a Facebook. Solo il 26% degli iscritti a una brand page Facebook dichiara di essere realmente un fan e un consumatore della marca, contro il 32% rilevato tra gli iscritti a brand community. In entrambi i casi risulta, comunque, molto forte l’iscrizione dovuta a concorsi o promozioni.
La presenza dei brand nei social network non dedicati riscontra comunque una forte adesione da parte dei consumatori. Il 57% degli utenti Facebook italiani è fan di almeno una brand page di un brand e in media ogni utente del popolare social network è fan di 40 pagine dedicate a brand e prodotti. Il fenomeno risulta molto più ridotto per quanto riguarda Twitter (23% segue profili di aziende o brand).
I consumatori italiani risultano, in generale, molto interessati a informazioni sui brand, alla possibilità di entrare in relazione con i prodotti preferiti ed a contribuire attivamente alla costruzione collettiva del brand in rete. Il 79% degli intervistati, infatti, legge opinioni e raccoglie informazioni online riguardo a brand, aziende e prodotti. E il 29% va oltre, partecipando attivamente a discussioni su tali temi o scrivendo recensioni.
Via Tech Economy
Eccoci qui, la pausa estiva è finita da tempo ormai ma come sempre il lavoro è ripartito a grande velocità e ha assorbito tutto il tempo, non senza darmi però occasioni di raccogliere spunti, come per questo post.
Si tratta come sempre di cultura e organizzazione. Ho l’impressione infatti che ancora oggi in Italia le persone che si occupano di marketing temano in qualche modo la tecnologia, nel senso che non vogliono entrarci in dettaglio pensando di non capirla e che sia “roba da informatici”. Non parlo in questo solo di un’eventuale vecchia guardia (l’intelligenza per altro non ha età) ma anche delle nuove leve. Nel resto del mondo si va affermando invece una figura di chief marketing technologist che ha ancora contorni un po’ sfumati ma i cui numeri sembrano essere di tutto rispetto.
Marketing Technology Landscape Supergraphic (2012)
Qual è il punto? Il marketing digitale non solo è sempre più pervasivo ma è anche dannatamente complesso e interconnesso con tutti gli aspetti di business: troppo tecnico per il marketer che rifiuta di scendere in profondità e troppo ampio per chi lo guardi da una prospettiva It tradizionale. Ovunque questa percezione dell’importanza delle nuove tecnologie sta portando il marketing a diventare il principale ente aziendale che spende in software e in una miriade di strumenti, non sempre in modo coordinato con le funzioni “informatiche”.
Per non disperdere però questi investimenti e, soprattutto, le enormi potenzialità date dalla web analytics, dal socialytics di cui ho parlato da IDC delle settimana scorsa e del big data, occorre una serie di professionalità nuove, in grado di capire in profondità e con strategia tutto questo. C’è chi può permettersi di prendere queste risorse dal mercato, come WalmartLabs, ma anche al di là della figura del chief marketing technologist ritengo che le persone che lavorano del marketing debbano superare la loro diffidenza verso i nuovi strumenti. La sola lettura degli analytics ricavabili da un sito web aziendale per esempio è una fonte enorme di dati, ma quanti sanno che esiste questa possibilità? E i social? E l’integrazione fra gli strumenti del digital e l’offline? Chi ha una visione di insieme integrata con tutti gli altri strumenti del business?
Infine per il marketer si tratta di una questione di sopravvivenza: anche le figure di estrazione tecnica si stanno avvicinando al business e in questo processo di convergenza chi saprà adattarsi meglio alle nuove sfide rivestirà i ruoli chiave di domani.
Voi che ne dite?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
Lo studio annuale dell’Ericsson ConsumerLab – TV &Video Consumer Trend Report 2012 (qui scaricate il pdf) ci dice che il 69% dei telespettatori italiani usa i Social almeno una volta alla settimana mentre guarda la TV (+18% vs. 2011): più accentuato questo uso nelle donne (66%) rispetto agli uomini (58%).
Ci dice anche che in Italia il fenomeno è più accentuato che in altri paesi.
Ovviamente in tutto questo giocano un ruolo importante i dispositivi mobili (la maggior parte usa, in queste situazioni di “socializzazione della TV”, tablet, smartphone, portatili…) – anche perché la TV in mobilità sta crescendo… assolvendo ad una domanda di palinsesto personalizzato e di decisione, di on-demand sui contenuti che si fa sempre più evidente nel pubblico.
E adesso, che facciamo?
Quali sono le implicazioni, le opportunità e le rotture di scatole per chi lavora in marketing e comunicazione?Se vi interessa la mia opinione, potete leggere il mio più recente articolo su Tech Economy - ci arrivate cliccando qui.
Il digital advertising si sta trasformando nel campo di battaglia principale per la sopravvivenza e la redditività di newspapaer e magazine. Una delle testate del gruppo Time Inc. ha, così, pensato di sfruttare ogni spazio disponibile con un’originale iniziativa.
People StyleWatch, lo spin-off del magazine People dedicato alla moda e allo shopping, ha deciso di utilizzare lo sfondo del proprio profilo Twitter come spazio pubblicitario. Solitamente lo sfondo dei profili viene utilizzato dalle testate per promuovere se stesse; People StyleWatch vi ha, invece, inserito una pubblicità del brand Jergens Daily Moisture, all’interno di una campagna che prevede l’utilizzo degli spazi offerti dal magazine sulla carta, nel web e nei social media.
Twitter, da parte sua, alla richiesta di un commento sull’iniziativa, ha risposto ad Advertising Age che gli utenti sono liberi di usare gli sfondi a fini promozionali. “Lo spazio è a disposizione degli utenti per essere personalizzato” spiega un portavoce, precisando però che la società “incoraggia gli utenti a chiarire se stanno promuovendo qualcosa, per denaro o altre forme di compensazioni”.
L’iniziativa di People e la risposta positiva di Twitter sembrano presagire un utilizzo più diffuso di tale modalità promozionale.
Via Tech Economy
Google Play, dopo aver raggiunto i 20 miliardi di app scaricate a Giugno, in pochi mesi ha tagliato un altro traguardo. L’app store ha, infatti, annunciato oggi di aver superato i 25 miliardi di download, grazie alle 675000 app disponibili.
Google, per celebrale il nuovo risultato, offrirà sconti sulle applicazioni, la musica, i film e i libri presenti nel negozio digitale. Particolarmente ghiotta, per gli appassionati di digital game, l’occasione di acquistare i giochi di popolari società di sviluppo (Electronic Arts, Rovio, Gameloft, etc.) a 25 centesimi di dollaro. Le promozioni dureranno 5 giorni.
Via Tech Economy
Il digitale ha spesso il curioso effetto di defocalizzare le persone e le aziende dagli aspetti più fondamentali per dirottare l’attenzione sulle cose marginali. A parte tante casistiche quotidiane, un esempio è sicuramente la questione dell’ acquisto di finti fan o follower sui social media che tanto clamore ha suscitato sui giornali nelle settimane scorse.
Dunque, dopo le varie ed eventuali che ho letto in questi giorni, sento il bisogno di rinverdire una delle distinzioni più importanti del panorama dei media digitali, ben poco chiara alle aziende: owned media, paid media e earned media. Ne ho parlato non molto tempo fa: esistono degli strumenti di cui abbiamo il controllo perché nostri (sito, database clienti) altri per cui paghiamo la visibilità (pubblicità) e altri su cui ci dobbiamo conquistare l’attenzione e lo spazio (social media).
Al crescere della visibilità naturalmente decresce la possibilità del controllo e questo pone un dilemma a chi ha capito la differenza: meglio reinventare in casa strumenti già esistenti o consegnare ad altri i propri clienti? Il tema c’è ma può essere affrontato serenamente se costruiamo la nostra presenza digitale dalle basi e non dalla fine: partire infatti dagli earned media equivale a inaugurare un ristorante senza metterci prima la cucina, cosa paradossale ma assai frequente, ahimè, quando il focus non è più il business offline.
Per essere più efficace proverò dunque a spiegare come andrebbe gestito il nostro ecosistema digitale con l’aiuto di Brian Solis e del modello che lui introduce in un suo recente articolo: the brandsphere (immagine sotto).
Fonte: Brian Solis
Ai tre tipi di media che ho già citato Solis aggiunge qui altre due casistiche:
A) Promoted: spazi promozionali ma non puramente di advertising nel social (es. Twitter’s Promoted products e Facebook’s Sponsored Stories) B) Shared: piattaforme di co-operazione e co-creazione tra clienti e brand (es. Dell IdeaStorm e Starbuck MyStarbucksIdea)
In tutti i livelli Brian Solis vede però come punto di partenza il brand come creatore di storie e i clienti e i contributori come storytellers che raccontano, diffondono e arricchiscono quanto inizialmente messo a disposizione. Questo significa che se non c’è un punto di partenza, al centro del disegno, non c’è nemmeno la sfera dell’ecosistema del brand. Gestire dunque i propri asset digitali in modo corretto e strategico è la chiave per poi operare con successo nel complesso mondo digitale e multicanale che oggi dobbiamo affrontare.
Senza entrare in grandi dissertazioni filosofiche vi sarà chiaro allora come acquistare un certo numero di sconosciuti (e normalmente) inesistenti profili sui social non sia un grande veicolo di successo, dato che non vi serviranno a nulla, se non forse a dire al vostro capo che siete bravi su questo canale visto che avete già acquisito tanti fan. E in quel caso spero per il vostro bene, anche se non per quello dell’azienda, che lui non sia competente in materia…
Se invece vi state rendendo conto di cosa va fatto davvero, intanto costruite un buon sito, un database di clienti, dei validi contenuti e un piano di webmarketing e, dopo, leggetevi anche questo post sul Social Media’s Critical Path: Relevance, Resonance e Significance a quello punto vi potranno essere termini comprensibili.
So che sembro un po’ saccente ma trovo che questo punto debba essere ben chiaro, specie a chi si occupa di strategia digitale, perché la mancanza di questi concetti è alla base dell’approccio dei tanti presunti esperti che popolano lo scenario italiano e non solo. E voi che ne dite? Quanto è chiaro tutto ciò ai vostri capi e colleghi?
Gianluigi Zarantonello via http://internetmanagerblog.com/
Gli italiani, nel 2011, hanno speso di più per navigare su internet dal cellulare che per inviare sms. A certificare lo storico sorpasso, frutto del boom di smartphone e tablet, è l'Agcom nella Relazione annuale. Nel 2011 i ricavi da sms sono stati pari a 2,33 miliardi (+1,5%), mentre quelli relativi a internet sono balzati del 17,7% a 2,41 miliardi.
Sui telefonini, smartphone e tablet, dunque, i ricavi da servizi dati continuano a crescere, seppure in misura meno intensa rispetto allo scorso anno (+8,9% contro il +9,6% del 2010), ma la Relazione dell'Agcom evidenzia che nel 2011 hanno superato la soglia del 50% degli introiti da servizi vocali, valore che risulta più che doppio rispetto a quanto corrispondentemente rilevabile per il 2005 (25,1%).
Il traffico vocale risulta in crescita anche nel 2011, sfiorando nel complesso 136 miliardi di minuti, valore che ormai supera di oltre il 60% quello relativo alla rete fissa. Dall'analisi dei dati relativi al traffico per direttrice emerge un ulteriore rafforzamento della componente mobile-mobile, ossia il traffico originato da rete mobile è destinato, in prevalenza, verso altre numerazioni mobili. In particolare, nel 2011 l'82% del traffico originato da cellulari ha raggiunto altre utenze della rete mobile.
Via Quo Media
A tre anni di distanza arriva il nuovo studio di GlobalWebIndex, una dettagliata ricerca a livello globale, che fotografa dati e trend dei social network come Facebook, Twitter e Google+, senza dimenticare i nuovi nati del mondo social come Pinterest.
Dei risultati della ricerca, consultabili su slideshare, e di quale sia lo scenario italiano dell’utilizzo dei social media, abbiamo parlato con Marcello Mari, il Responsabile per l’Italia di GlobalWebIndex e autore della nostra rubrica London Notes.
1) Cosa è cambiato dei social media dal primo GlobalWebIndex del 2009? Da quando e’ stato lanciato per la prima volta il GlobalWebIndex nel 2009 i Social Media sono letteralmente esplosi diventando un fenomeno assolutamente globale. Il 90% della totalita’ degli utenti di Internet nel mondo ha oggi almeno un profilo Social al quale il 70% ha contribuito attivamente nell’utlimo mese. Numeri decisamente impressionanti sebbene trainati maggiormente dai paesi “emergenti”. I primi 5 paesi piu Social del mondo sono infatti Cina, Sud Korea, Filippine , Russia e l’impressionante Indonesia nella quale il 99% degli utenti Internet possiede un profilo Facebook. Il Social ha decisamente rivoluzionato Internet e il modo in cui lo percepiamo oggi; si e’ trasformato da un semplice contenitore di siti statici ad un esperienza a 360 gradi in cui ognuno ha la possibilità di partecipare con un solo click. Ed e’ proprio in questa direzione che va il mondo creato da Google.
2) Ovvero? Ne avevamo già parlato nel precedente “Trend Deck” rilasciato da GlobalWebIndex, in cui avevamo individuato il fenomeno col nome di “Googopoly” , e riconfermiamo il trend con la nuova Wave di dati. Goggle+ non e’ infatti un fenomeno che puo’ essere paragonato a Facebook per nessun aspetto, e chi lo descrive come un deserto social non ne comprende il significato vero e proprio. Con 400 milioni di Android smartphone nel mondo che richiedono la creazione di un profilo Google, con 900 milioni di visitatori di Youtube sempre piu integrati con l’esperienza G+, e’ diventato sempre piuùdifficile distinguere chi lo utilizza come un normale social network; e questo ha decisamente avuto un impatto anche sui risultati della nostra ricerca. Google+ non e’ quindi una “destinazione” ma più che altro un contenitore di esperienze social. L’ibridazione dei servizi ha inoltre portato all’impossibilita’ di continuare a scindere l’utilizzo di questi servizi per categoria. Ormai non ha più senso infatti parlare esclusivamente di micro-blog o di social network essendo diventata la differenza tra questi sempre più sottile, e quasi inesistente agli occhi degli utenti. G+ e Facebook hanno col tempo integrato servizi di distribuzione di contenuti aperti non più esclusivamente alla propria rete sociale ma anche a chi decide di seguirci al di fuori di essa, mentre Twitter viene in molti casi utilizzato per comunicare esclusivamente con la propria cerchia di contatti.
3) Una recente ricerca di Audiweb ha rilevato che in Italia, negli ultimi 6 mesi, 15 milioni di italiani hanno avuto accesso al web tramite smartphone. A livello globale lo scenario qual è? A livello globale, lo shift verso l’utilizzo di internet da dispositivi mobili ha sicuramente avuto un impatto importante, ma inferiore alle aspettative. La stragrande maggioranza degli utenti nel 2012, infatti, accede ancora ad interent tramite PC. Prendendo Facebook come esempio, il 40% dei suoi utenti vi accede regolarmente attraverso il proprio Smartphone o Tablet, ma solamente il 5% della sua base attiva contribuisce esclusivamente tramite il suo dispositivo mobile. Buone notizie per Facebook che in passato e’ stato criticato per non essere ancora riuscito a massimizzare l’esperienza mobile e trarne sufficienti guadagni.
4) Facebook è, quindi, il social network più in buona salute? E Twitter? Sicuramente per Facebook ci sono buone notizie. Il livello di partecipazione degli utenti alla vita dei Brand on-line e’ in crescita a livello globale, con il 57% degli utenti attivi su Facebook che ha messo un “Like”. Per quanto riguarda Twitter invece, sono il 28% gli utenti che seguono un Brand e 22% quelli che ne condividono i contenuti con i propri followers. Ancora una volta si tratta di numeri trainati maggiormente dai mercati emergenti che risultano essere le vere “Social Stars” a livello mondiale sottolineando quanto, nonostante i Social Media siano un fenomeno globale, sia fondamentale comprendere le logiche locali sia per determinarne le opportunità commerciali che per valutarne l’impatto sociale.
5) E in Italia quali numeri ha il fenomeno dei social media? Avevamo lasciato l’Italia nel Giugno 2011 incoronandola come il paese “Leader” nei Social Media in Europa, basandosi sul risultato rilevato per quanto riguardo la gestione del proprio profilo Social. Bene da allora il risultato e’ incrementato del 7% mantenendosi ancora al di sopra della media europea rilevata. Non male se si conta che su Twitter sono poco piu di 3 milioni gli utenti attivi al netto di quasi 7 milioni di utenti con un almeno account. Per quanto riguarda G+ invece, fatta la dovuta premessa iniziale, abbiamo rilevato, in Italia, 9 milioni di utenti con un account G+ nonostante chi lo utilizzi per pubblicare i propri update sia poco piu’ di mezzo milione di utenti e l’attivita’ principale sia la condivisione di foto effettuata comunque da poco piu di un milione di utenti. A farla da padrone e’ comunque ancora Facebook, l’unico vero e proprio Social Media di massa; in Italia conta oltre 20 milioni di utenti con almeno un profilo, ovvero il 78% degli utenti Internet totali, piu della meta’ dei quali risulta essere attiva. Mentre nei paesi che per primi hanno iniziato a utilizzare Facebook, la percentuale di utenti attivi e’ in calo, in Italia il risultato sembra piuttosto stagnate essendo ormai vicini ad un sostanziale livello di saturazione del mercato.
6) Rispetto alla ricerca del 2009, c’è qualche novità nell’ecosistema dei social media? Uno dei vantaggi di svolgere la ricerca con questa frequenza e’ quella di poter adattare il questionario alle frequenti evoluzioni dello scenario Social; in questo caso abbiamo avuto modo di aggiungere Pinterest. Lanciato nel 2010 negli Stati Uniti, ha raggiunto la popolarità in Italia sono nell’ultimo anno dove conta attualmente meno di un milione e quattrocentomila utenti, meno della meta’ dei quali attivi. Generalmente l’utente di Pinterest arriva da altre esperienze social ma cio’ nonostante il livello di partecipazione rimane piuttosto basso. Quello del divario tra utenti attivi e passivi non e’ comunque un esclusiva di Pinterest. In Italia come nel mondo,il numero di utenti che non contribuiscono in nessun modo e’ in forte crescita e risulta essere uno degli aspetti piu’ importanti di lettura dell’universo Social. Grazie ai nostri dati e’ anche possibile confermare quanto in Italia Pinterest sia un fenomeno prevalentemente femminile con quasi 7 utenti su 10 appartenenti al gentile sesso. Questo è, però, un trend che non viene confermato a livello globale, dove si conta solamente una leggera inclinazione verso l’universo femminile (56% F – 46% M ), sebbene diventi notevole se paragonata ad altri Social Media quasi tutti a maggioranza maschile (Facebook ad esempio conta il 55% di utenti uomini). Per la cronaca, il risultato piu sorprendente ci arriva dagli Stati Uniti, dove le donne su Pinterest rappresentano il 90% del totale.
7) Dai dati analizzati nella ricerca, qual è secondo lei il social network da tenere maggiormente d’occhio per il futuro? Di realtà da seguire ce ne sono molte. Particolarmente interessante sara’ continuare a osservare l’andamento di G+ per comprenderne l’impatto sull’universo Social e capirne la reale collocazione. Fallimento completo come dicono in tanti o rivoluzione della fruizione di Internet e dei Social Media? GlobalWebIndex rilascera’ da qui in avanti una serie di report a tema che pubblicheremo in esclusiva su TechEconomy e sui quali mi piacerebbe aprire il confronto il piu possibile.
Via Tech Economy
Anche qui a Tokyo l’estate volge al termine, estate che e’ stata caratterizzata da tassi di umidità degni di una foresta amazzonica. Non ci si devono aspettano lunghe code in autostrada o grandi rientri: le ferie estive nella terra del sol levante sono infatti limitate ad una manciata di giorni (in media da 3 a 5 giorni per i salaryman), spesso a ridosso della tradizionale festività’ dell’OBON che coincide con il nostro ferragosto. Una lunga e calda estane anche nel panorama dei social media e marketing locali, che ha ha segnato la definitiva consacrazione di Facebook nell’agenda di comunicazione di grandi brand ma anche di medie aziende che puntano principalmente al mercato domestico.
Negli scorsi articoli abbiamo visto quanto la capacità di mettere a frutto i network sociali e le piattaforme mobili per il business stia influenzando drasticamente lo sviluppo di nuovi prodotti: a cambiare sono ora le strategie di marketing e ‘dialogo’ con media e clienti. Dopo i primi esperimenti con le “brand pages” degli scorsi due semestri, che hanno visto la corsa alla creazione di campagne sociali su Facebook e l’apertura frenetica di account su twitter, si è finalmente ad un momento di revisione e riflessione. Si iniziano a raccogliere e confrontare i risultati di iniziative e campagne nate da impulsi di marketing o dettate dalla corsa all’emulazione – spesso caratterizzate dalla mancanza di preparazione dei primissi approcci aziendali al social media. E’ un ottimo momento questo – non solo perche’ ci sono i dati per riflettere e prepararsi al meglio, ma anche perché e’ sempre più chiaro che il panorama del business e’ cambiato per tutti e che non si può ci si può più voltare indietro. I social media globali si sono fatti breccia in giappone e sono qui per restare: i network sociali locali (come Mixi di cui abbiamo parlato negli scorsi articoli) faticano a mantenere credibilità nei confronti del business e a scrollarsi di dosso una immagine obsoleta e di di ‘chiusura’.
E’ questa l’estate che consacra Facebook come protagonista per il business in rete del Giappone, in un paese dove il network ha faticato (e per certi versi ancora fatica) a conquistarsi la fiducia degli utenti consumer locali. Mentre twitter perde la sua immagine di novità per stabilizzarsi come una costante presenza di fondo, come un invisibile e immancabile collante sociale e digitale.
I numeri di Facebook crescono, come crescono gli sforzi di advertising e comunicazione delle aziende che scommettono sul canale – e il network sociale si prepara allocando un team dedicato al solo mercato giapponese, con sviluppatori e professionisti del marketing in sede stabile a Tokyo. A sostenere l’espansione di Facebook nel cuore delle aziende locali hanno contribuito in maniera considerevole applicazioni di terze parti, facilitando l’integrazione delle strategie web di piccole e grandi aziende.
Come e’ successo sul mercato globale – è grazie a start up “di servizio” come Wildfire e Involver, che si sono dedicate alla fornitura di servizi e applicazioni di marketing semplici e ‘plug & play’ per l’ottimizzazione e customizzazione delle pagine Facebook, piccole e grandi aziende in tutto il mondo hanno potuto di costruire pagine Facebook interattive e campagne di marketing con pochi click, semplici modelli preconfigurati, e costi ridottissimi.
Similmente qui in giappone si è vista nell’ultimo anno l’esplosione di provider di applicazioni “prefabbricate” e per l’integrazione di strategie di marketing e di contenuti direttamente in Facebook – e completamente in giapponese: lingua solitamente non supportata dai prodotti esteri non solo per le difficoltà con la localizzazione dei caratteri, ma anche per il diverso impianto sociale e culturale che richiede una profonda conoscenza delle consuetudini di marketing locale.
Fra i provider di social application giapponesi il primo in termini di successo e brand è Monipla che ha costruito una suite di applicazioni per la customizzazione delle brand page su facebook in giapponese, ed e’ stato subito seguito da altri player nel settore. Grazie alla diffusioni di applicazioni semplificate in lingua, e alla corsa all’innovazione per espandere le possibilita’ di marketing a basso costo, le aziende giapponesi hanno iniziato ad apprezzare e a capire l’importanza dell’uso corretto di Facebook e dei complementari canali sociali – e a vederli non piu’ come un’ecceziona ma come parte integrante del marketing mix, da coordinare con i piu’ maturi e tradizionali canali di promozione web, media e PR televisivo.
Dopo mesi di sperimentazioni, siamo ora ad una svolta, che in molti nel settore ci si aspettava e che tardava ad arrivare: e’ sempre piu’ palese che non basta aprire una pagina Facebook o attivare alcune applicazioni – quello che serve e’ una strategia di brand che includa elementi di produzione editoriale e contenuti.
Le aziende e i dipartimenti di marketing locali sono ora piu’ propensi ad investire tempo ed energia, e ad investigare più’ in profondità la necessita’ di avere una strategia piu’ matura soprattutto nel campo dei contenuti e dell’engagement. Non basta parlare con i fan, bisogno dargli valore in cambio di attenzione. Meno campagne ‘spot’ e piu’ fiducia in strategie di lungo termine.
Creare contenuti interessanti e con continuità sul web e sui canali social può avere un impatto maggiore di una serie blasonati spot televisivi. Questo rappresenta la caduta di un altro tabù mediatico e culturale per il business giapponese: per farsi notare sul web, intrattenere ed interagire con i clienti esistenti e nuovi e’ fondamentale e richiede attenzione costante. Dopo mesi passati in assenza di una vera forma di comunicazione e di ‘engagement’ con fan e potenziali clienti, l’insoddisfazione di chi ha improvvisato si fa sentire. La soluzione c’è: richiede più impegno e focalizzazione – ed e’ comunque inevitabile. E’ la soluzione ai problemi cronici di canali web e sociali o deserti per l’assenza di aggiornamenti o di messaggi diversi dal promozionale: si chiama “Content Marketing” ed si implementa con strategie di creazione di contenuti di qualita’ e regolari. Ancora una volta, non ci si puo’ dimenticare che sulla rete “Content is King”, I contenuti la fanno da padrone: come per la Tv, e come per le applicazioni mobili, web e social network sono avidi di contenuti, talenti, e aggiornamenti continui e regolari – e le aziende sono in competizione anche sul piano dei contenuti – che sono sempre online, 24 ore su 24.
Non c’e’ fretta, ma non ci si puo’ fermare a guardare: quei business che investono oggi in una strategia dei contenuti e che si associano con i creativi, i video, le comunita’ o i talenti blogger piu’ interessanti, divertenti o utili saranno sempre un passo avanti rispetto ai competitor, in quanto in grado di attrarre maggior attenzione e interazione – quindi miglior brand awareness ed engagement.
La sfida del social web per il business è ancora una volta una sfida per la conquista del’ attenzione di media e dei clienti. E’ i parte un ritorno alla dimensione del villaggio o del mercato di piazza -o come accadeva (e accade) nei tradizionali Shoutengai giapponesi con numerosi negozi aggregati in una sola via commerciale e al coperto.
Nel mercato come nello Shoutengai, per sopravvivere e vendere bisogna attrarre nuovi clienti con una costante comunicazione, preparare la vetrina o i contenuti del banco in modo da fermare l’attenzione, conquistarne la fiducia con un servizio e prodotto valido ed avere abbastanza clienti davanti in fila da far innescare il vitale passaparola.
Via Tech Economy
Sulla base delle esperienze fatte nella metropolitana di Seul, Tesco rilancia all'aeroporto londinese di Gatwick il concetto del poster che in realtà è un supermercato - perché permette di fare la spesa e vedersela recapitata a casa.
Il concetto è quello di un "supermercato virtuale" - mentre si attende il proprio aereo, con lo smartphone si mettono in un carrello virtuale i prodotti, riprendendone i codici a barre.
La consegna sarà a domicilio - e la spesa si può fare in anticipo anche di tre settimane, in modo da tornare dal viaggio e non avere la sindrome da frigorifero (reale) vuoto.
Sono stati attivati quattro poster per i prodotti freschi e sei per quelli a temperatura ambiente...per un totale di un'ottantina di prodotti disponibili.
Il costo dello spazio media in un ambiente così costoso come quello dell'aeroporto, sarà giustificato dai volumi d'affari? E ci sarà un impatto positivo sulle vendite nei PV tradizionali grazie ad un effetto di branding (difficile misurarlo, ma credo che sarà uno dei principali obiettivi del test di due settimane effettuato in Inghilterra...) - considerando che il target è ampio, circa 30.000 persone al giorno che passano di lì...
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