C'è chi l'ha definito, e come dargli torto, uno dei peggiori investimenti del magnate dei media australiano. MySpace, la notizia è ufficiale ed ufficiose sono solamente le cifre dell'operazione, è stata venduta dalla News Corp. a Specific Media (azienda che opera nel mondo dei media digitali e della pubblicità online) e stando alle indiscrezioni di AllThingsD il prezzo pagato da quest'ultima è di 35 milioni di dollari. Per il social network un tempo più popolare di Facebook, Rupert Murdoch sborsò nel 2005 la bellezza di 580 milioni di dollari con l'intento di aumentare esponenzialmente l'audience della sua Fox Tv.
L'agonia di MySpace è quindi finita e l'epilogo non è stato certo quello prospettato da Murdoch quando, a febbraio di quest'anno, comunicò pubblicamente di mettere in vendita la compagnia ipotizzando di incassare non meno di 100 milioni di dollari. La penuria di acquirenti ha però indotto News Corp. ad abbassare drasticamente le pretese ed ecco arrivata la necessità di chiudere la trattativa con Specific Media, di cui il colosso dei media acquisirà una quota di minoranza (fra il 5 e il 10%) del capitale.
Cosa succederà ora a MySpace? Lo statement del Ceo di Specific Media, Tim Vanderhook, parla chiaro: «Combineremo le due piattaforme perché ci sono molte sinergie e perché sono entrambe focalizzate ad innovare continuamente l'esperienza digitale degli utenti». Sta di fatto che il 50% dei 400 dipendenti del social network verrà licenziato ed ulteriori misure di riorganizzazione della struttura del personale sono tutt'altro che remote. La crisi in cui versava la compagnia, del resto, sono ben riassunte dai numeri. Quelli che, stando alle rilevazioni di ComScore aggiornate a fine maggio, attestano il calo drammatico degli utenti unici mensili, scesi a 34,8 milioni contro i 75,9 milioni dei momenti d'oro, e quelli che evidenziano la voragine alla voce ricavi: 470 i milioni di dollari incassati dalla pubblicità nel 2009 (dati eMarketer) e circa 190 milioni gli introiti previsti per quest'anno.
Nei giorni scorsi, quando le voci dell'imminenta vendita si erano fatte insistenti, su Bloomberg era apparsa un'approfondita analisi della storia di MySpace che metteva in luce soprattutto gli errori di gestione che hanno costellato l'evoluzione del sito in questi anni. Errori riscontrabili sia sotto il profilo dei contenuti che da quello squisitamente tecnologico, e in tal senso si criticava la scelta di aver utilizzato un linguaggio di programmazione (ColdFusion) non adeguato. La ragione principale del crack di MySpace è comunque forse un'altra e cioè la perdita progressiva di reputazione presso l'utenza al cospetto dell'ascesa inarrestabile di Facebook e Twitter, più reattivi nel mettere a disposizione di milioni di internauti servizi e strumenti di tipo social. Murdoch deve quindi recitare il classico "mea culpa" senza pensare al fatto che Microsoft investì nel 2007 poco più di 240 milioni di dollari per l'1,6% del capitale di Facebook, che oggi è accreditata di un valore di mercato di oltre 70 miliardi di dollari.
Il complesso e variegato mondo dell’informazione via internet potrebbe presto avere un nuovo re: The Daily Mail. L’edizione web del popolare quotidiano britannico si appresta a divenire il sito di news più frequentato della rete, con circa 80 milioni di utenti unici mensili.
Secondo i dati pubblicati nei giorni scorsi da Audit Bureau of Circulations Electronic, il portale britannico sta per scavalcare The New York Times, le cui notizie sono al momento le più lette su internet. La strategia multipiattaforma di MailOnline.co.uk sembra dunque funzionare. La testata d’Oltremanica ha deciso da tempo di puntare sulla diversificazione degli accessi al proprio sito: non solo approdo alla homepage da browser o agli articoli linkati da Google News, man anche una grande attenzione all’applicazione già scaricata 315mila volte e presto disponibile anche negli Stati Uniti. Altrettanti utenti mobili arricchiscono quindi il traffico sul portale principale, con oltre 62mila contatti quotidiani. Ancor più nel dettaglio: ciascun lettore che accede alle news via app sfoglia in media 62 pagine al giorno, con un tasso di crescita delle notizie lette in crescita del 10% di mese in mese.
Tutto questo per la gioia dei pubblicitari e degli editor del Mail, che aumentano la popolarità e gli investimenti sulla testata web. In attesa dell’apertura ai tablet. Non male per un giornale celebre ma non rinomato a livello globale, almeno fino all’esplosione del giornalismo in rete.
Di Altri Autori (del 24/06/2011 @ 07:22:00, in Mobile, linkato 1931 volte)
Cambia la geografia mondiale delle applicazioni per iPhone. Secondo un report diffuso dalla società di analisi Distimo, il numero di download dall'App Store per iPhone nelle regioni dell'Asia è cresciuto in modo significativo negli ultimi sei mesi, mentre diminuiva nelle regioni occidentali. Risultato: la China è diventato il secondo mercato dopo quello degli Stati Uniti.
La ricerca si è concentrata sulle dinamiche registrate in China, Hong Kong, India, Indonesia, Japan, Malaysia, Pakistan, Philippines, Singapore, South Korea, Sri Lanka, Taiwan, Thailand and Vietnam. Mostrando che la maggior parte delle applicazioni più popolari per iPhone in Asia sono popolari solo in quella parte del mondo - come per esempio KungFu Food-Panda e Birzzle. Nello stesso tempo, però, in alcune regioni la classifica è guidata dalle applicazioni più popolari a livello globale.
Di Altri Autori (del 22/06/2011 @ 07:02:39, in Mobile, linkato 1743 volte)
E’ sempre più elevato il traffico di dati scambiati sul web dagli utenti in possesso di smartphone, in particolare quando si tratta di dispositivi Android o iPhone. Secondo una ricerca Nielsen, negli ultimi dodici mesi il consumo di dati da parte dell’utenza statunitense è cresciuto dell’89%, da 230 a 435 megabyte pro capite.
A trainare la crescita del traffico dati sono le applicazioni, attraverso cui gli internauti mobili accedono ai servizi di social networking e alle news, oltre a una serie di altri servizi. Certo anche il taglio delle tariffe ha agevolato la navigazione: un megabyte di traffico dati a inizio 2010 costava 14 centesimi di dollaro, mentre nella primavera di quest’anno si è scesi a 8 centesimi.
E il settore si allargherà ulteriormente con la diffusione sempre più capillare dei cellulari intelligenti, che al momento costituiscono il 37% dell’intero mercato mobile americano.
Per lavoro e per diletto nella mia giornata utilizzo molti social media diversi e testo continuamente nuovi servizi, più meno noti e interessanti, che mi offrono sempre prospettive di confronto.
Ebbene, in questo continuo girare devo dire che mi sto costantemente appassionando a Twitter, almeno per quel che riguarda gli strumenti più generalisti e non limitati a un pubblico strettamente settoriale.
3)È integrato: è facile usarlo per aggiornare altri servizi e allo stesso tempo è semplice usarlo per rilanciare automaticamente i contenuti che vengono da altrove.
4) È selettivo: il fatto che sia più ostico al profano rende (mediamente) più attive e interessanti le persone che lo usano con una certa costanza.
5) È un ottimo posto dove fare ricerche: i meccanismi degli hashtag, la ricerca avanzata e la possibilità di seguire le conversazioni lo rendono prezioso (e sono alla base degli investimenti che lo riguardano).
6) Lavora bene con la multicanalità: si usa comodamente sia da mobile che da computer ed è ottimo per affiancare i media tradizionali con un tocco di interattività real time. Volete un esempio? Cercate #annozero durante la trasmissione omonima e seguite la conversazione…
7) Ha un grande ecosistema: sono molteplici i servizi terzi che lo integrano, utilizzano, potenziano, sfruttano. Per capire il senso di ciò basti pensare invece che Facebook ingloba in se stesso tutte le funzionalità e al massimo offre i propri strumenti (sviluppati internamente) a terzi in forma di social plugin.
Tutto perfetto dunque? Non lo si può mai dire di nessuno, e anche Twitter pecca in alcuni aspetti, come ad esempio un modello di business ancora nebuloso. Inoltre non è un mezzo facile da gestire, richiede più competenza rispetto ad altri strumenti di social media marketing, pretende presidio costante e non è affatto facile farlo decollare (da privato e da azienda).
Eppure permettetemi un consiglio: se anche non lo usate direttamente, tenetelo d’occhio!
Ovviamente una killer app. E io sono anni che ne parlo (e lo posso provare).
L'app in questione si chiama "Singles Finder" ed è stata (abbastanza ovviamente) sviluppata per un sito di incontri, Zonacitas.com.
L'aspetto più interessante è il passare dal virtuale al reale: non c'è come vederlo in faccia, il single (altro che profili e foto taroccate); quindi se un app mi dice quanti single sono al momento presenti in un certo bar.. diciamo che riesco ad organizzarmi meglio e più produttivamente la serata?
Il video qui sotto è carino e spiega bene. Molto carino anche il grido di battaglia: "Love is out there. If we get organised, there’s plenty for all"
I libri digitali cominciano a parlare italiano. Il fenomeno e-book si diffonde anche nel Belpaese, con un catalogo decuplicato negli ultimi dodici mesi. In maggio, i titoli a disposizione degli internauti nostrani erano oltre 11mila. Ma alla crescita del materiale accessibile in rete non è corrisposta una crescita reale del mercato.
In Italia, gli e-book valgono appena lo 0,1% del giro d’affari editoriale (70 milioni di euro l’anno), a dispetto del 3% della Gran Bretagna, senza dubbio il mercato più maturo. Il paese guida in materia di letteratura digitale sono però gli Stati Uniti, in cui la categoria contribuisce al fatturato totale con una quota del 9%. I dati, resi noti dall’Associazione italiana degli editori al forum Editech della scorsa settimana, evidenziano la popolarità del nuovo formato, in cui gli editori sembrano voler investire con fiducia (quelli attivi nel digitale sono passati da 299 a 471), ma anche la sua intangibilità da un punto di vista commerciale.
L’utenza italiana interessata a Kindle e simili, secondo Nielsen, è in aumento, ma in assoluto resta limitata (600mila persone, circa il 20% di chi già legge su schermi digitali). Il calo dei prezzi degli e-reader, che oggi è possibile acquistare anche a 100 euro, aiuterà lo sviluppo del settore, ma servono anche un’educazione all’editoria digitale e un intervento governativo per meglio regolare il mercato.
Facebook cresce a singhiozzo. La notizia, di per sé, non è preoccupante, ma può far riflettere coloro i quali scommettono su uno sviluppo continuo dei social network e, in particolare, della piattaforma ideata da Mark Zuckerberg.
In Canada, Norvegia, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti, l’utenza è in calo: secondo il sito Inside Facebook, negli Usa si sono persi 5,8 milioni di iscritti nel mese di maggio, mentre nello stato confinante il calo è stato di 1,5 milioni di account. Negli altri paesi citati l’emorragia è stata minore, con circa 100mila utenti smarriti per strada da ciascuna bandiera.
Nel complesso, il social network continua la sua espansione globale e avvicina la soglia dei 700 milioni di iscritti (687 milioni in maggio, con 11,8 milioni di nuovi profili), ma l’effetto mania va scemando, mentre i mercati più importanti, Cina esclusa, sono stati ormai conquistati. “Quando Facebook raggiunge circa il 50% della popolazione di un paese, il tasso di crescita generalmente cala - dice Eric Eldon, uno dei ricercatori di Inside Facebook -. Sin qui, Facebook è stato capace di rintuzzare le perdite e le situazioni di stallo con la crescita nei paesi in via di sviluppo, come Messico, Brasile e India”.
Una vera diffusione in Cina potrebbe far salire il numero degli utenti fino alla fatidica soglia del miliardo, ma le severe norme cui la rete è sottoposta all’ombra della Grande Muraglia non agevolano l’ascesa dei social network, a meno di non aderire alle limitazioni imposte dal governo locale, perdendo così credibilità agli occhi dei paesi e dei mercati occidentali. Facebook dovrà quindi differenziare le proprie attività e i propri servizi, cercando di attrarre nuovi investimenti pubblicitari per via dell’offerta e non solo del costante aumento dell’utenza. La recente apertura all’e-commerce va proprio in questa direzione.
L’ispirazione per questo post mi viene da diversi casi di vita vissuta e ha ricevuto l’impulso finale da questo intervento su TagliaBlog, liberamente tradotto da Why I Will Never, Ever Hire A “Social Media Expert”, di Peter Shankman.
immagine tratta da TagliaBlog (p.s. non sono d'accordo)
Il contributo in questione è piuttosto drastico ma mi permette di introdurre alcune considerazioni sulle nuove professioni del mondo digitale:
1) Gli strumenti del social web e le nuove tecnologie in genere sono un modo nuovo e potente che le aziende hanno per favorire il raggiungiumento degli obiettivi per cui esistono da sempre: il profitto, la risoluzione di determinati problemi, il rapporto con il cliente. Spesso ciò viene dimenticato.
5) Diamoci un nome e stabiliamo dei ruoli: è il senso del titolo, in un mercato che oggi ha ancora grandi margini di crescita c’è posto per sperimentazioni professionali e linguistiche che sono fisiologiche ma che creano grossa confusione nelle aziende, presto o tardi bisognerà iniziare a standardizzare compiti, nomi e gerarchie.
Che dire dunque, non sono d’accordo con il titolo dell’articolo che ho citato all’inizio ma credo che al momento nel nostro mercato ci sia troppo improvvisazione e non sia ancora chiaro che tutto ciò che è digitale è una parte delle attività e del business delle aziende e non qualcosa di diverso e separato.
Il fatto che poi io ritenga che ormai questa parte stia diventando una delle più importanti e complesse giustifica ancora di più il mio richiamo ad un alto livello professionale e alla fine dell’amatorialità diffusa.
Sony, Apple, Amazon. E poi Google. I servizi di cloud computing per i consumatori sviluppati recentemente dai più importanti attori del settore tecnologico hanno aperto una nuova era informatica, quella del personal computing. Secondo Forrester, entro il 2016 il mercato specifico varrà 12 miliardi di dollari nei soli Stati Uniti, con 196 milioni di utenti dotati della propria ‘nuvola’, 97 milioni dei quali a pagamento.
Una giungla in cui gli utenti e le aziende dovranno districarsi al meglio e in fretta, per non perdere potenziali affari. Una selva fatta di uno spazio personale sempre a disposizione sul web, archivio immateriale per contenuti ludici o di lavoro, da fruire su ogni dispositivo dai pc fino agli smartphone, purché connesso a internet. Lo studio di Forrester immagina un futuro prossimo dominato da sistemi cloud costruiti attorno agli attuali servizi di e-mail, attraverso cui gli internauti gestiranno i propri materiali. Gmail e Google Apps lavoreranno in simbiosi per archiviare lettere digitali, foto, video, documenti di testo e, forse, canzoni. Così faranno anche Hotmail e Yahoo!. Probabile che iCloud di Apple, per ora lanciato come archivio puro legato a iTunes, integrerà poi altri servizi gestionali della Mela.
Il personal computing premierà le strutture a filiera, le aziende capaci di inglobare tutte le funzioni sulla base di sistemi operativi o servizi propri. Amazon dovrebbe quindi pagare dazio, rimanendo però attore chiave nel mondo dell’e-commerce. Mentre le grandi industrie si daranno battaglia per dominare la nuova evoluzione della rete.