Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
L’economia digitale è il motore propulsivo di internet nel 2012. La diffusione sempre maggiore di dispositivi mobili (con relative connessioni) ha dato ulteriore forza all’e-commerce, delineando quelle che saranno le linee guida nei prossimi tre anni: acquisti via smartphone, web tv via tablet e una continua digitalizzazione del mercato consumer.
Secondo i dati resi noti dall’Osservatorio del Politecnico di Milano in occasione della presentazione di Smau 2012, entro il 2015 in Italia saranno venduti 32 milioni di smartphone, 2,5 milioni di internet tv e 2,9 milioni di tablet. Ciò significa che nel breve periodo crescerà ulteriormente il mercato digitale consumer, che nell’anno in corso ha fatto registrare in Italia un +14% rispetto al 2011, con un valore complessivo di 16,2 miliardi di euro. A guidare il settore è l’e-commerce, con un giro d’affari di 9,14 miliardi (56% del totale), mentre i contenuti digitali (con i servizi) valgono 4,95 miliardi (31%). La pubblicità, sino a pochi anni fa considerata la principale fonte di profitto della rete, vale 2,13 miliardi di euro (solo il 13% del totale).
Gli acquisti effettuati dagli italiani via cellulare sono aumentati del 143% nel 2012, raggiungendo il 5% del comparto e-commerce. iPhone e simili sono sempre più importanti anche per la raccolta pubblicitaria via web: +50% nell’anno in corso e raggiungimento del 4% del totale di settore. Discorso simile per la diffusione di contenuti e servizi digitali, che sugli smartphone è aumentata del 17%.
I numeri parlano chiaro: anche nel Belpaese si sta affermando la così detta nuova internet, ovvero la rete veicolata e vissuta tramite i device mobili, con le loro app per i servizi e la fruizione di video, news e negozi virtuali. Nel prossimo triennio, l’esplosione sarà definitiva, ammesso che le infrastrutture si sviluppino velocemente così da consentire il proliferare della rete di nuova generazione e del suo mercato.
Via Quo Media
Il Reuters Institute for The Study of Journalism, con sede ad Oxford, ha rilasciato un nuovo report sull’evoluzione del giornalismo e dei media. Il report, “Ten Years that Shook the Media World”, afferma chiaramente che siamo ancora all’inizio di una fase di profonde trasformazioni e cambiamenti. “Dopo più di un decennio di turbolenze spesso drammatiche nel settore dei media, siamo solo all’inizio di un periodo di transizione più lungo.” L’istituto paragona la rivoluzione digitale al periodo di forti cambiamenti economici, politici, sociali e culturali seguito all’invenzione della stampa. Mutazioni prolungate e dagli effetti profondi, che nel caso attuale sono soltanto all’inizio.
Il report nota, ad esempio, che anche nelle aree geografiche dove l’accesso e l’utilizzo della rete sono molto diffusi, il giornalismo professionale viene principalmente finanziato da aziende del comparto media tradizionale e remunerato tramite canali tradizionali di distribuzione (stampa-TV). “Attualmente, forme mediali ereditate, in particolare la televisione lineare, continuano a dominare le diete mediali, ad attrarre una grossa fetta dell’advertising, e a sostenere la maggior parte della creazione di contenuti, specialmente quando si tratta di news.”
L’Istituto, proprio per queste ragioni, sostiene che senza profonde innovazioni industriali e di mercato, le fondamenta finanziarie del giornalismo continueranno ad indebolirsi, seguendo la traiettoria di parziale declino dei media tradizionali e il loro parziale disimpegno verso il mondo delle news; in un contesto in cui un modello economico per le iniziative giornalistiche in rete non è stato ancora pienamente trovato.
Il report riscontra alcune differenze negli 8 paesi analizzati, in particolare tra le 6 democrazie occidentali (Finlandia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e le due economie emergenti (Brasile e India), ma ritiene i trend di fondo analoghi se pur declinati e trasformati dal contesto locale. “Le sfide strategiche fondamentali sono le stesse in tutto il mondo, ma differenze nelle condizioni sul terreno significa che le tattiche e i risultati variano in modo significativo.”
L’istituto di ricerca, in ogni caso, individua alcune tendenze centrali all’interno di quella che definisce “una tempesta solo all’inizio”.
La produzione di news professionali di interesse generale sta diminuendo in molte democrazie occidentali e il trend dovrebbe proseguire, nonostante iniziative di nicchia e non-profit. Nelle economie emergenti il numero di giornalisti professionisti sta crescendo, ma principalmente nei media popolari e non di élite. Il pluralismo nella produzione di news sta crescendo, ma non in termini di quote di mercato e molti dei nuovi fornitori di news sono molto piccoli sia per capacità di produzione di news sia in quanto ad audience raggiunte. Conseguentemente, pochi operatori dominano sempre maggiormente il mercato in contrazione delle news nelle democrazie occidentali; mentre la crescita del mercato favorisce una maggiore diversità nelle economie emergenti. Le news, al momento, mantengono alto il proprio tasso di penetrazione nella popolazione, soprattutto grazie alla TV, ma una maggiore diversificazione dell’offerta porterà ad una crescente segmentazione del mercato e le abitudini di consumo rifletteranno sempre più interessi e gusti delle audience. Dove l’interesse per le news è basso, come negli USA, si espanderà il gap informativo tra differenti settori della popolazioni, con una piccola parte che consumerà una maggiore quantità di news e la maggioranza dei cittadini che ne consumeranno sempre meno. Nei paesi con un interesse più alto ed equamente distribuito nella popolazione, la diffusione delle news dovrebbe rimanere simile nonostante la diversificazione delle diete mediali individuali. Al contrario, nelle economie emergenti, l’espansione del mercato permette la penetrazione dei contenuti giornalistici in fasce di popolazioni più vaste e al di là della tradizionale élite urbana.
Via Tech Economy
Si avvicina il periodo delle feste natalizie, miniera d’oro per le compagnie hi-tech, che con i loro dispositivi negli ultimi anni hanno dominato le liste dei regali per amici e parenti. Samsung, Apple, Amazon e Microsoft si preparano alla grande abbuffata con investimenti pubblicitari da capogiro, nella speranza che gli spot convincano gli utenti.
Lo scontro frontale comincia il prossimo fine settimana, con Microsoft che si appresta a vivere una tre giorni intensa come mai prima, con il lancio di Windows 8 in versione desktop e mobile. Redmond vorrebbe così iniziare la sua rivoluzione tecnica e commerciale, aiutata anche da una campagna da 1,6 miliardi di dollari su scala mondiale (“come nemmeno durante le elezioni presidenziali”, dicono dalla compagnia). Samsung foraggerà la linea Galaxy con un investimento di poco inferiore a quello di Mircosoft: la casa sudcoreana ha previsto un budget pubblicitario di 2,7 miliardi di dollari per il 2012, la sfida ad Apple è anche questione di marketing. Da parte sua, la Mela si limita a campagne di contenimento, forte dell’aura del suo marchio, cui basta un accenno per rendere i prodotti riconoscibili e appetibili. Così, a Cupertino non spenderanno più di 1 miliardo di dollari in pubblicità, nell’anno in corso. Nella lotta tra giganti, non può mancare Amazon, che non può contare sulle rivendite fisiche dei suoi ammennicoli, ma ha una base di clienti invidiabile. Jeff Bezos ha messo a disposizione 1,4 miliardi di dollari per lanciare Kindle Paperback e Fire Hd. Il basso costo dei due prodotti potrebbe aiutare a farne due best seller natalizi.
Un caso particolare è invece quello di Google. A Mountain View vendono prodotti o, meglio, contenuti (tramite Play) e software per dispositivi mobili (Android), ma fanno anche da principale collettore di pubblicità online (con il motore di ricerca). Da una parte, Google spende 1,5 miliardi di dollari per spingere la linea Nexus e i suoi servizi, dall’altra è il primo beneficiario degli investimenti in adv dei suoi rivali. Gli americani la chiamerebbero una ‘win win situation’: BigG vince in ogni caso. Non a caso l’Antitrust Usa sta spulciando bilanci e strategie del motore di ricerca. I dominatori, spesso, hanno qualche scheletro nell’armadio.
Via Quo Media
Quanto rende agli inserzionisti la pubblicità sui social network? A maggio la General Motors, ha cancellato tutta la pubblicità a pagamento da Facebook, perchè l'investimento non si è tradotto in auto comprate dai consumatori. I vertici della casa di Detroit hanno dichiarato di aver speso dieci milioni di dollari per gli annunci sul social network. E i suoi marchi, hanno deciso di rivolgersi al principale sfidante di Facebook, Twitter.
Secondo quanto riportato dal Financial Times, il direttore Chevrolet, Andrew Dinsdale, sarebbe entusiasta del sito di microblogging: "È un mezzo unico nel suo genere e offre opportunità esclusive per coinvolgere i clienti sui social network ad un livello con cui nessun altro può competere. Chevy ha visto tassi di risposta agli annunci di Twitter compresi tra l´1 e il 3%", dichiara Dinsdale, e il dato sarebbe molto più alto dei tradizionali annunci online.
Facebook può comunque annoverare risultati positivi tra altri grandi marchi, tra i quali Electronic Arts, che ha attribuito a Facebook un incremento di 12,1 milioni di vendite. Il social network dichiara che, in media, il 70% degli inserzionisti vede un ritorno di almeno tre volte il loro investimento. "Tutti i giorni un marchio ha la capacità di raggiungere il mezzo miliardo di persone", dice Brad Smallwood, responsabile di Facebook.
Via Quo Media
Di Admin (del 24/10/2012 @ 07:29:22, in Media, linkato 2174 volte)
Il mercato della Social TV dovrebbe raggiungere i 256.44 miliardi di dollari di fatturato nel 2017, secondo le stime di MarketsandMarkets. Il settore dovrebbe registrare una crescita annuale, durante il periodo, pari all’11.2%, partendo dai 151.14 miliardi di dollari di fatturato stimato per il 2012. La quota maggiore di entrate del settore, una volta tanto, non proviene dall’America ma dall’Europa. Quest’anno il fatturato della social Tv nel vecchio continente dovrebbe, infatti, essere pari a 55.48 miliardi di dollari, per poi continuare a crescere e toccare i $77.74 miliardi nel 2017.
Il report afferma chiaramente che “il futuro della televisione è social attraverso l’integrazione dell’interazione sociale sulla televisione.” Sottolinea, inoltre, diverse strategie da parte delle aziende per agganciare il trend emergente.
I broadcaster, le aziende produttrici di televisori e diverse web company, stanno tutte sperimentando varie soluzioni per offrire e sfruttare servizi di social TV, ma in modi differenti. Alcune (es. BBC e CNN) stanno cercando di raggiungere, o hanno concluso, accordi con i più popolari social network. Altre (es. Hearst, Time Warner, BSkyB, e Google) hanno investito pesantemente, e sembrano intenzionate a continuare, in nuove startup dedicate esclusivamente allo sviluppo di servizi di Social TV. La sfida è aperta e il bottino ricco.
Via Tech Economy
Mentre gli esperimenti di Tesco e di Carrefour fanno notizia in Europa, negli USA sembrano essere giù usciti dalla fase paelosperimentale e passati al rollout su piccola / media scala.
La catena statunitense Peapod sta "aprendo" un centinaio di supermercati virtuali alle stazioni dei pendolari del New Jersey, New York, Chicago, Washington etc.
Il meccanismo è sempre quello: lunghi poster che simulano gli scaffali, si scansiona il codice e si compra... in pratica hanno creato dei micromarket di prossimità.
Già, ma per loro è più facile: Peapod è stato uno dei primi supermercati online (ed è ora credo il più grande), dove la spesa si fa già virtualmente/online. Per loro il passo è ben più breve. E soprattutto hanno già logistica a posto per consegnare a casa ordini ricevuti dal web o dal mobile. Hai detto niente...
Per cui non solo il poster fa vendere direttamente, ma è anche un modo creativo di ricordare che su Peapod si può comprare online, magari da casa che si è più comodi. Un po' vendite, un po' branding.
Inoltre l'app mobile che rende possibile la scansione e l'acquisto, contiene in se' una marea di altri prodotti non presenti sui cartelloni per evidenti motivi di spazio. Quindi il posterone promuove anche l'app che spinge all'acquisto da smartphone.
Le aziende non sfruttano ancora a pieno i social media. È quanto emerge da uno studio condotto da diversi ricercatori della Stanford University.
“Le aziende apprezzano le potenzialità che i social media possono avere per trasformare tutti gli aspetti della loro attività: branding, reputazione, comunicazione, diffusione, e individuazione dei rischi strategici – spiega David F. Larcker professore presso la Stanford Graduate School of Business e principale autore della ricerca – sono consapevoli anche che possono rappresentare una grave minaccia. Non stanno però facendo molto rispetto a questo.”
Lo studio ha analizzato la conoscenza e l’utilizzo dei social media da parte di un campione di manager di alto livello, selezionati a differenza di altre ricerche in tutte le fasce demografiche e non soltanto tra i manager più giovani e sensibili ai cambiamenti del contesto tecnologico e comunicativo (età media 50 anni). I risultati sono davvero interessanti.
Il 90% dei manager dichiara, infatti, di comprender il forte impatto che i social media possono avere sull’azienda, ma a fronte di una simile consapevolezza soltanto il 32% monitora i social per individuare potenziali pericoli per il business e ancor meno (14%) li analizza per aver indicazioni rispetto alla performance della compagnia.
Solo il 24% dei manager anziani e l’8% dei direttori riceve, inoltre, report e misurazioni sui social media; e addirittura circa la metà delle compagnie non raccoglie proprio questi dati.
Più elevato, ma in ogni caso meno di quanto ci si potrebbe aspettare, l’utilizzo dei nuovi canali a fini di contato con la clientela. Il 59% delle aziende li utilizza, infatti, per interagire con i consumatori e il 35% per effettuare ricerche su di essi.
Meno della metà (49%) li utilizza poi a fini promozionali e ancor meno (circa 30%) per fare ricerche sui propri competitor, su nuovi prodotti e servizi, o per comunicare con i dipendenti.
Larcker spiega che non nonostante i dirigenti e i membri dei consigli d’amministrazione utilizzino i social media, “la familiarità con i social media non si sta traducendo in uso sistemico all’interno delle rispettive aziende.” La motivazione più spesso citata dai manager sarebbe la mancanza di conoscenza su come impostare un sistema di raccolta e analisi delle informazioni dei social media in una forma utilizzabile. “La maggior parte di coloro che abbiamo intervistato non hanno linee guida sui social media nelle rispettive aziende, non hanno consultato un esperto di social media nella loro compagnia, e non dispongono di sistemi per la raccolta delle informazioni chiave.”
Questa inattività, secondo Larcker, potrebbe mettere a serio rischio le compagnie. Lo studio conclude, così, con una serie di consigli ed indicazioni per le aziende, che sostanzialmente invitano ad un uso sistematico, motivato e strategico dei social media a fini di business.
Qui potete trovare il report completo.
Via Tech Economy
Interbrand è una società che da quasi trent'anni si occupa di analizzare e valutare il valore dei marchi delle più importanti aziende internazionali del mondo. Con cadenza annuale pubblica la classifica Best Global Brands, nella quale vengono elencati i 100 marchi globali di maggior valore.
Le prestazioni dei marchi di tecnologia e digitale scolpiscono ancora una volta i tratti della classifica. Fra i primi cinque, l'intrusa è solo la leader Coca Cola (77,839 miliardi di dollari e una crescita dell'8%): nell'ordine, Apple (76.568, +129%), Ibm (75.532, +8%), Google (69.726, +26%) e Microsoft (57.853, -2%) caratterizzano il vertice in maniera netta. La vera notizia di questa edizione è la presenza di Apple, che dimostra come il marchio non ha perso la propria spinta e la propria desiderabilità". Il gruppo californiano presidia il posto occupato tradizionalmente dal gruppo fondato da Bill Gates: Microsoft deve anche fare i conti con il sorpasso di Google.
Facebook ha fatto capolino in 69esima posizione (5.421 miliardi) in virtù della terza quotazione più ampia degli Stati Uniti. Di Samsung si parla meno perché Apple fa +126%, ma è cresciuta del 40% ed è entrata nella top ten". BlackBerry, coerentemente con le difficoltà della casa madre Rim, ha perso il 39% ed è 93esima. Nokia, nonostante il richiamo del Lumia, è scivolata del 16% e si piazza in 19esima posizione, in virtù della dipendenza dal successo o meno del sistema operativo Windows Mobile.
Via Quo Media
Il mercato delle app in Italia non è ancora totalmente sviluppato, almeno stando a quanto dichiarato dai professionisti della comunicazione interattiva e digitale intervistati dall’agenzia di comunicazione e Pubbliche Relazioni Hotwire Italia.
La quasi totalità degli intervistati (99 su 100) ritiene, infatti, che in Italia il mercato delle applicazioni non sia ancora del tutto sviluppato e la maggioranza (51%) considera il settore a livello pressoché iniziale di sviluppo.
I professionisti del settore sono più ottimisti rispetto al futuro. Il 61% degli intervistati prevede, infatti, che il mercato delle app si integrerà sempre più con le altre forme di comunicazione e acquisirà, in questo modo, un ruolo sempre più importante nelle strategie di business. Una percentuale davvero ridotto degli intervistati (9%) ritiene, al contrario, che l’Italia non sia ancora pronta a recepire efficacemente questi nuovi strumenti di comunicazione.
Nessuna sorpresa per quanto riguarda gli ambiti in cui, secondo i professionisti del settore, esiste un margine di crescita maggiore. Il 24% degli intervistati indica i game come il sotto-settore con le maggiori possibilità di crescita, il 22% i social network e il 17% l’entertainment.
La ricerca sembra suggerire, inoltre, uno spazio maggiore di crescita per il mercato professionale; considerando che al momento prevalgono fortemente, sia a livello di offerta che di motivazioni di utilizzo, la app che appartengono alla sfera personale ed individuale.
Il nostro sondaggio mette in luce che le app restano per ora legate soprattutto alla sfera dello svago e del tempo libero” commenta, infatti, Alessia Bulani, country manager di Hotwire Italia. “Lo smartphone accorcia i tempi e gli spazi e oggi non è più pensabile non poter sfruttare le opportunità offerte dalla mobilità, sia per scopi professionali che di divertimento. Quello che va però sottolineato è che le app, presentando un potenziale ancora poco sfruttato sul fronte utenza business, possano essere un ambito in cui investire ed essere quindi viste dalle aziende come una chiave di crescita”.
Via Tech Economy
La penetrazione dei televisori connessi alla rete è cresciuta notevolmente negli ultimi anni e le Connected Tv rappresentano una quota sempre più consistente del totale dei televisori in uso.Nel 2010 le TV connesse ad Internet erano ‘soltanto’ 105 milioni, ma già alla fine di quest’anno dovrebbero raggiungere i 212 milioni di unità, per poi toccare i 596 milioni nel 2017, stando alle stime di Digital TV Research (40 paesi).
Il forte incremento dovrebbe portare la quota di televisori connessi alla rete al 21.4% del totale nel 2017, a partire da una quota attuale molto minore di penetrazione (4.75 nel 2010, 8.9% nel 2012).
Le Connected TV si diffonderanno, senza sorprese, più rapidamente negli USA, dove rappresenteranno il 38.1% del totale nel 2017, seguono la Norvegia (37.7%) e la Corea del Sud (37.2%). In termini assoluti, e non di penetrazione, sarà la Cina, però, il secondo paese per numero di TV connesse (93 milioni nel 2017 contro i 147 milioni degli USA); seguita dal Giappone (43 milioni). Gli USA, inoltre, rappresenteranno nei prossimi anni una quota minore del totale di Connected Tv mondiali, scendendo dal 45% del 2010 al 25% del 2017; a testimonianza di una progressiva diffusione di questi dispositivi in tutto il mondo. L’autore del report, Simon Murray, conclude eloquentemente sostenendo che le “Connected TV stanno diventando mainstream”.ù
Via Tech Economy
|