Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
A quasi quindici mesi dall’annuncio iniziale, Last.fm introdurrà ufficialmente una versione premium e a pagamento del suo servizio. La più famosa radio on demand del web, finora completamente gratuita, vorrebbe in questo modo incrementare i propri utili, così da pagare le royalties sulle canzoni e soddisfare le aspettative del potente proprietario, Cbs Interactive.
Il sito di musica in streaming aveva dichiarato all’inizio del 2008 di voler introdurre un sistema di sottoscrizione (a pagamento) al servizio per gli utenti che avrebbero ascoltato più di tre brani consecutivamente. Ma l’idea non si concretizzò.
Oggi arriva invece la conferma che dal 30 marzo gli internauti dovranno pagare un’iscrizione mensile di 3 euro per servirsi dell’applicazione già esistente Last.fm Radio. La nuova tassa verrà applicata ovunque nel mondo, con l’eccezione di Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, ovvero i suoi mercati più importanti con una solida base di utenti.
Last.fm sta dunque mutando il suo servizio in streaming in un’applicazione a pagamento in quei paesi dove non ha un numero soddisfacente di accessi, dove cioè gli introiti pubblicitari non garantiscono guadagni soddisfacenti.
La compagnia non ha dato alcuna spiegazione per il cambio di rotta della sua radio online, anche se è facile intuire che, in un periodo di recessione e con i difficili accordi con le case discografiche in fase di rinegoziazione, la scelta di introdurre un obolo per l’ascolto sia stata quasi obbligata.
Lo scorso giugno, Warner Music non ha sottoscritto il nuovo contratto con Last.fm proprio per l’assenza di introiti certi derivanti da un servizio a pagamento. A inizio 2009, inoltre, Cbs Interactive ha attuato un piano di risanamento aziendale che ha portato alla riduzione del 25% dello staff della popolare discoteca del web.
E, se ideologicamente il cambiamento è importante perché segna probabilmente la fine dei grandi servizi on demand musicali della rete (gratuiti e legali), il sacrificio richiesto all’utenza sarà piuttosto basso. Tre caffè al mese per ascoltare (quasi) tutte le canzoni di proprio gradimento, direttamente dal computer.
Via Quo Media
Warner Brothers lancia oggi un servizio di dvd masterizzati a richiesta, consentendo così agli appassionati di acquistare i film più vecchi del proprio catalogo (spesso mai uscite su dvd) senza mediatori.
Warner è il primo tra gli studios hollywoodiani ad aprire il suo magazzino a una simile iniziativa, e renderà disponibili 150 titoli direttamente sul sito warnerarchive.com: tra questi, pellicole che risalgono alla fabbrica dei sogni di Hollywood con, ad esempio, Cary Grant nei panni di Mr. Lucky (1943).
Il servizio non dovrebbero riguardare le uscite più recenti, almeno per ora, ma ma permette alla casa di produzione di utilizzare in un altro modo i suoi archivi, generando entrate da materiale di giacenza pressoché inutilizzato.
Il servizio on demand consente anche alla società di evitare il rischio di stampare troppe copie di film vecchi o sconosciuti per poi doverle stoccare in magazzino, invendute. Warner Bros. ha annunciato che renderà disponibile ogni mese 20 tra film e programmi tv da acquistare in dvd, tra i quasi 7 mila titoli a sua disposizione.
L’iniziativa cade in un periodo di stanca delle vendite di dvd, che nel 2008 sono scese del 7%, secondo i dati del Digital Entertainment Group. Gli studios puntano dunque sul mercato blu-ray disc, quadruplicato negli ultimi dodici mesi, per contrastare il calo del dvd.
Ma forse è la strategia di mercato basata sui supporti, nell’era del peer to peer e del digitale a banda larga, ad avere in sé una falla.
Via Quo Media
Secondo i dati del Pew Project, il segmento in cui è cresciuta più rapidamente l'adozione di Internet negli USA è stato quello degli ultra settantenni, con tassi di crescita vicini al raddoppio in tre anni.
In Italia, secondo i dati Istat, nel gruppo 60-64 la penetrazione è aumentata del 21% in un anno e nella fascia 65-74 del 31%.
Messi insieme questi due gruppi fanno una milionata scarsa di utenti - un target appetibile per chi lavori su nicchie ma poco per chi vuole lavorare sulle masse (il target... beh, sono "tutti").
Quel che è certo è che, con una società che invecchia, non considerare la relazione tra Internet e i senior citizens tra breve potrebbe voler dire mancare delle serie opportunità di mercato...
Samsung ha annunciato il lancio di un nuovo servizio che consentirà ai suoi clienti di comprare o noleggiare film e serie tv da scaricare e vedere sul loro telefono cellulare.
La compagnia coreana ha siglato un accordo commerciale con le major del settore, Warner Brothers, Paramount Universal, che le consentirà di offrire oltre 500 titoli tra grandi successi, classici e uscite più recenti. Nella lista figurano anche l’ultimo episodio della saga di Batman, The Dark Knight, e le serie Friends e E.R..
Samsung, con questa offerta, vorrebbe competere con la capillarità raggiunta dai servizi Apple tramite il canale di iTunes.
Il negozio online da cui scaricare il materiale video verrà lanciato in anteprima in Gran Bretagna e Germania, e proporrà applicazioni in esclusiva per gli utenti in possesso della più evoluta versione dello smartphone Samsung, Tocco Ultra Edition.
La casa coreana ha infine rivelato i propri piani per aggiornare l’hardware informatico con nuovi desktop e notebook, e nuovi lettori per file musicali in formato mp3 e mp4.
Samsung Movies si avvarrà della tecnologia Acetrax, e ciò significa che il materiale scaricato non potrà essere copiato o spostato dalla memoria di destinazione originaria, anche se gli utenti potranno collegare smartphone e cellulari al proprio pc per visualizzare il film su uno schermo più grande.
I prezzi per il servizio sarnno compresi tra le 2.49 sterline (noleggio di 24 ore) e le 4.99 sterline (per l’acquisto di un video).
L’obiettivo di Smasung è quello di arricchire il proprio catalogo e arrivare a un’offerta di 2 mila pellicole e qualche decina di show televisivi entro l’estate, promuovendo così i suoi supporti cellulari dotati del software necessario allo sfruttamento del servizio Movies.
Via Quo Media
Sappiamo benissimo quanto siano critici i motori di ricerca come fonte di traffico per i nostri siti - e normalmente ci siamo abituati a pensare immediatamente a Google in primis e al resto poi.
Secondo quanto riporta la società di ricerche Hitwise, però, per una serie di siti ha portato recentemente più traffico Facebook che non Google. Anche grazie a un uso intelligente del mezzo, alla creazione di "fan pages", a strategie che vanno a monetizzare i circa 180 milioni di utenti che sono li' su FB a passare il tempo...
Da seguire con attenzione l'evolvere del comportamento dei naviganti - non è da escludere in un prossimo futuro una revisione (piccola o grande ) delle strategie di Search Marketing di molti player importanti e dei relativi investimenti...
Cala la diffusione dei quotidiani italiani. Nel febbraio 2009, rispetto a dodici mesi prima, Rcs vede il Corriere della Sera scendere a 590.375 copie (-8,5%, ma comunque il primato di giornale più letto d’Italia) e la Gazzetta dello Sport a 337.642 (-4%).
La Repubblica, che non viene più distribuita nelle scuole, cala a 505.957 (-19%), ma il Gruppo Espresso dice di aver reinvestito nella testata online. Scende il Sole 24 Ore: 321.428 e -3,2%.
Male anche Il Giornale, che si assesta a quota 170 mila, registrando un calo del 9,8%. Fa eccezione La Stampa, che cresce dello 0,9% e, grazie agli abbonamenti nel nord-ovest, raggiunge le 309 mila copie mensili.
Via Quo Media
Il mondo dei social media si sta manifestando in maniera sempre più dirompente e sta iniziando a contagiare, in termini di interesse, anche le aziende brick & mortar lontane dalla tecnologia web. Resta però piuttosto difficile trovare chi, in azienda, conosca e padroneggi questi mezzi e sia in grado di affrontarli con un approccio strategico.

Ecco dunque alcune riflessioni sul tema prese da alcuni siti di riferimento, essenziali per cercare di realizzare una prima stesura della propria strategia.
Su Social Media Marketing ad esempio qualche giorno Enzo Santagata ha pubblicato questi utili e semplici consigli:
1. Non parlare ai consumatori. Non vogliono ascoltarti, vogliono essere ascoltati. 2. Offri una ragione per partecipare. Se le persone non percepiscono di ottenere un valore aggiunto dal condividere le loro opinioni, non verranno da te (magari vanno dal tuo diretto concorrente, che ha saputo soddisfarli meglio). 3. Resisti alla tentazione di vendere a tutti i costi. 4. Sperimenta e tieniti aggiornato. Ma soprattutto sperimenta, e se sbagli sperimenta ancora. 5. Ascolta le conversazioni che avvengono anche al di fuori del tuo sito. E partecipa anche lì indicando chiaramente chi sei e perché stai partecipando. Chi ha provato a fare il furbo è stato smascherato prima che potesse rendersene conto. 6. Cedi il controllo della comunicazione. Non aver paura di aprire le tue porte alle critiche. Quando una community si sente controllata e forzata verso una direzione a senso unico imposta dall’azienda, non dura molto. 7. Fai in modo che nella tua organizzazione ci siano quante più persone possibili che abbiano un background composto dal pensiero pragmatico da uomo di marketing, dalla curiosità incosciente di un sociologo e che siano grandi appassionati di social network.

Leonardo Bellini invece sul suo blog cita il libro Groundswell di Charlene Li e Josh Benoff (in edizione italiana, L’onda anomala, edito da ETAS) ed il loro approccio riassunto nell’acronimo POST.
P sono le persone. Non avviate una strategia Social senza aver compreso le reali capacità, conoscenza ed utilizzo delle tecnologie social da parte della vostra audience. O sta per Obiettivi. Quali obiettivi vi potete realisticamente aspettare di raggiungere con il vostro target di riferimento? S è la strategia. Come pensate di raggiungere questi obiettivi? T sta per tecnologia. Una community. Una wiki, Un blog o 100 blog.
In entrambi gli approcci è comunque evidente la necessità dello studio e della pianificazione, spesso trascurati sul web (e in particolare sui social media).
A questo si lega anche il problema della misurazione dei risultati, uno dei temi più caldi rispetto al web 2.0 su cui ho scritto su queste pagine pochi giorni fa. Credo infatti che aldilà delle indubbie difficoltà di rilevazione e valutazione ci sia un problema di fondo nei KPI utilizzati per misurare la redditività degli investimenti.
La prospettiva corretta infatti è quella della costruzione di relazioni, di fiducia e di reciproco scambio di informazioni e collaborazioni. E’ necessario perciò predisporre strumenti che ci consentano di capire che cosa si dice di noi in rete, per essere consapevoli della nostra reale reputazione, e ascoltare molto, anche fuori dal nostro circuito di siti posseduti o di quelli di settore.
Si possono poi utilizzare software pensati appositamente per la gestione delle campagne social che ci permettono di svolgere queste attività in modo ordinato e pianificato.
Il messaggio di fondo che possono sentirmi di lanciare in conclusione è quello di affrontare i social media preparati e con l’aiuto di persone esperte, consapevoli delle particolarità del web 2.0 e pronti a reagire alle novità continue di questo magmatico mondo.
Siete pronti?
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com/
Intelligente Case History.
Kogi è... come definirlo... diciamo che in estrema sintesi sono due furgoni che vendono BBQ Coreano avvolti in un taco nella zona di Los Angeles. Un bel misto, non c'è che dire.
Sotto comunque c'è una precisa idea istintiva di marca - basata sull'irriverenza, sulla comunicazione molto diretta, molto "one of us", molto simpatia... insomma guardatevi il sito - in realtà è un blog - fin qui nulla di radicalmente nuovo anche se l'esecuzione è ben fatta.
La genialata, dato che i due furgoni sono ovviamente mobili, è di segnalare su un canale Twitter dove sono in ogni momento questi ristoranti in movimento, in modo che i fan sappiano dove convergere o siano avvisati quando uno di questi è nei loro pressi (e, ovviamente, i fan possono interagire su Twitter con il team sul furgone...) La cosa, per banale che possa sembrare, funziona alla grande: per ogni stop annunciato, si ritrovano tra i 300 e gli 800 clienti (scusate, followers di quello che sta diventando un culto virale) - e scusate se è poco per un furgoncino di un'impresa che non avrà tanti soldi per comunicare ma che comunque ha portato a bordo un "New Media Team".
A quando i furgoni dei porchettari notturni su FriendFeed?
Una ricerca di Sapient Interactive rivela che il 41% degli investitori e degli analisti dichiara di non capire a pieno i social media, limitando così i propri investimenti (soprattutto pubblicitari) nel mercato specifico.
Il 19% degli interpellati giustifica la propria diffidenza con il fatto che non ci sono chiari criteri di misurazione per il successo o meno degli investimenti nei social network, mentre un altro 17% dice che si è ancora in una fase di studio e sperimentazione del mezzo. Un’altra ragione della scarsa fiducia verso questo mercato è l’eccesso di informazione e possibilità (come dice il 14% del campione).
Le riserve persistono, nonostante il 50% degli analisti creda che il 2009 sarà l’anno del social networking, forti anche del fatto che la metà degli intervistati ha lavorato a una campagna per/su Facebook et similia negli ultimi 6 mesi (campagne spesso legate al marketing o alla promozione tramite community online).
“I social network dovrebbero essere il sogno degli investitori - dice Nigel Vaz, vice preseidente di Sapient Interactive - Il tempo speso su questi siti è in crescita, l’utenza è aumentata e maturata, ma c’è ancora molta confusione su come analisti e investitori abbraccino il mercato del social networking, se con campagne indipendenti o come un ramo delle campagne marketing”.
Quel che è certo è l’utilizzo dei social network anche da parte degli scettici del mercato: nell’ultimo anno il 60% degli intervistati dalla ricerca ha aperto un account Flickr o Twitter, o ha aperto un proprio blog.
“Crediamo stia tutto nel creare una social experience che personifichi il proprio brand - continua Nigel Vaz - Segmentazione e contenuto sono le chiavi. Se non si ragiona in questi termini, si fallisce”.
Via Quo Media
Circa 765 milioni di euro. A tanto ammonta il giro d'affari dei prodotti tecnologici di consumo – Tv, computer, telefonini, dispositivi multimediali e grandi e piccoli elettrodomestici - acquistati via Internet in Italia nel 2008. Il dato, reso noto nel corso della terza edizione del convegno annuale dedicato alle tendenze del canale on line organizzato da GfK Retail & Technology e Andec (Associazione Nazionale Importatori e Produttori di Elettronica Civile aderente a Confcommercio), è in leggero rialzo rispetto all'anno precedente (+5%) e quel che più conta di segno opposto a quello registrato dai canali tradizionali (-2,2%).
Lo shopping via Web regge, seppur con ritmi di crescita modesti, in un momento di generalizzata recessione e tutti gli acquisti effettuati in Rete hanno alla fine pesato per il 4,8% sulle vendite totali del settore. Bene i computer portatili e le Tv flat, in ribasso i telefonini. Informatica (8,7%), fotografia digitale (7,3%) ed elettronica di consumo (5,5%) si confermano i settori per cui il canale telematico gioca (anche su scala europea) un ruolo particolarmente significativo, almeno a detta degli oltre 320 merchant che compongono il campione esaminato da Gfk. Più nel dettaglio, il cosiddetto mercato del "Technical Consumer Equipment" (elettrodomestici quindi esclusi) ha sviluppato in Italia nel 2008 un fatturato (in flessione dell'1,2%) di quasi 12 miliardi di euro e di questi il 5,9% è transitato attraverso Internet. Nell'economia del business di Tv & Co., il Web vale quindi parecchio – poco meno di 700 milioni di euro nel complesso – e tale cifra sarebbe stata anche superiore se non fosse sopraggiunta la crisi, che ha causato un forte rallentamento delle vendite soprattutto nei telefonini (per cui il peso del canale on line è sceso al 3%). Computer portatili e televisori a schermo piatto, manco a dirlo, sono stati i "best seller" del 2008 mentre ottimi risultati hanno prodotti categorie marginali in termine di valore, come i grandi elettrodomestici, i cui acquisti sono cresciuti su Internet dell'11,8% a fronte invece di una flessione registrata dalle vendite dei negozi fisici.
In Rete si spende mediamente di più Il cosiddetto l'e-commerce B2C (business to consumer) regala in sostanza qualche sorriso ai grandi nomi (e non solo a loro) dell'elettronica di consumo e la tendenza fotografata in Italia è comune a tutto il resto d'Europa, dove nel complesso il canale on line ha rappresenta mediamente il 10,2% dell'intero mercato dei prodotti hi-tech. Che si suo si presenta in ribasso del 4,2% per un fatturato complessivo (il dato si riferisce alle vendite in Italia, Germania, Regno Unito, Francia e Spagna) di poco più di 102 miliardi di euro. Tornando alla situazione del Bel Paese, "il Web – lo ha detto esplicitamente Maurizio Iorio, Presidente di Andec - non sostituisce il canale distributivo tradizionale ma è bensì visto dagli operatori come un canale integrativo". Sta di fatto che, per alcune categorie di beni di consumo, Internet si comporta addirittura meglio. Secondo Silvestre Bertolini, amministratore delegato di GfK Retail and Technology Italia, "per alcuni specifici fattori competitivi caratteristici del mezzo digitale: disponibilità immediata dei prodotti lanciati recentemente, trasparente ed immediata comparabilità dei prezzi, superamento dei limiti geografici ed efficienza nel tempo dedicato alle scelte. Pur con un numero medio di modelli offerti inferiore ai canali tradizionali, le vendite sono fortemente concentrate su prodotti nuovi, innovativi e di alta gamma".
Dunque non è la caccia al prodotto "low cost" a far crescere la dimensione dello shopping via Internet quanto la possibilità per i consumatori di acquistare beni con meno di sei mesi di vita (caratteristica alla base di oltre il 40% degli acquisti di dispositivi tecnologici in tutta Europa nello scorso dicembre) e quindi tendenzialmente fra i più cari (tanto che la spesa media per acquisto risulta essere superiore a quella dei canali tradizionali). In media, ed è questo il dato su cui riflettere, ogni 100 euro spesi oggi dai consumatori europei per prodotti di elettronica di consumo, 10 vengono destinati allo shopping via computer o via telefonino. E che il fenomeno sia in parte favorevolmente condizionato dalle influenze del Web 2.0 – community, blog, forum ei in misura minore siti di social network – è praticamente un fatto acquisto. Come quello secondo cui on line si risparmia: Gfk ha infatti rilevato che il prezzo di listino dei prodotti tecnologici è del 5% al 20% inferiore rispetto a quello dei canali tradizionali.
di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM
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