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  mymarketing.it: il marketing fresco di giornata... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 18/12/2008 @ 07:09:41, in Internet, linkato 2365 volte)

Chi lo ha detto che per organizzare un viaggio bisogna affidarsi a un tour operator oppure ad un’agenzia? Da tempo la Rete offre una serie di opportunità a chi non vuole sentirsi ingabbiato nei pacchetti offerti dagli operatori specializzati.

L’ultima tendenza, manco a dirlo, è affidarsi a blog e socialnetwork per progettare le proprie vacanze. Chi vuole godersi l’essenza di una città, mimetizzandosi tra i suoi abitanti e assaporandone l’atmosfera quotidiana, evitando di farsi travolgere dal flusso scontato del turismo di massa, non deve che affidarsi al web. Un vero e proprio punto di riferimento in questo campo è Couchsurfing (Couchsurfing.com) che può essere definito il socialnetwork dei “ciceroni”.

Coachsurfing consente a chi vuole visitare una città di mettersi in contatto con un membro del network che in quella città vive e lavora, e che si offre per fare da guida ma anche, se c’è la possibilità, per dare ospitalità a casa propria, “mettendo a disposizione il proprio divano o la propria cucina anche solo per bere un caffe’ ”, come si legge nel sito. Un modo per vivere le città non come mete turistiche ma conoscendole attraverso gli occhi di chi ci vive ogni giorno e a costi molto bassi. Ovviamente, il resoconto del viaggio viene poi condiviso con gli altri utenti, come vuole la logica dei socialnetwork. E viene valutata anche la qualità dell’ ospitalità.

I numeri di Couchsurfing sono impressionanti: oltre 853mila iscritti e 810mila viaggi andati a buon fine. Sono rappresentati 230 paesi e oltre 51mila città, tra cui molte italiane. Roma al momento conta oltre 2mila divani disponibili, Milano poco meno di 1700. Ben rappresentate anche Firenze, Napoli, Torino e Palermo.

Se pensate che Couchsurfing sia troppo per voi ma non volete rinunciare ad assaporare l’atmosfera autentica dei posti che volete visitare, allora potete affidarvi ai blogger di Spotted by Locals. (Spottedbylocals.com). Saranno loro che in quelle città ci vivono a guidarvi e a consigliarvi la trattoria dove si mangia bene spendendo poco, oppure il locale più adatto per trascorrere la vostra serata. I blogger scrivono da una ventina di grandi città europee, tra cui Milano. Ancora più ricca è l’offerta di Tipi Metropolitani (Tipimetropolitani.it) , e-magazine che comprende anche un network di blog dedicati ad una trentina di città sparse per il mondo. Anche qui chi scrive vive la città dal di dentro, offrendo spunti e consigli a chiunque voglia saperne di più su tendenze ed eventi in programma ad Amsterdam, Bangkok, Madrid, Roma, Barcellona o New York, giusto per fare qualche esempio. Non resta che fare le valigie e salire sul primo volo. Low cost, naturalmente.

Elvira Pollina su affaritaliani.it

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Di Gianluigi Zarantonello (del 17/12/2008 @ 08:00:00, in Internet, linkato 2428 volte)

Durante la lettura del recentissimo libro “Io, società a responsabilità illimitata” di Sebastiano Zanolli ho trovato degli spunti interessanti sul tema del personal branding, su cui anche io stavo riflettendo, seppure da un altro punto di vista.

Nella definizione di Zanolli si tratta di “l’insieme di valori, competenze, visioni, passioni, caratteristiche e ricordi in genere che immediatamente chi ci sta attorno collega alla nostra comparsa fisica o anche solo virtuale”.

Il collegamento che subito mi è venuto alla mente è quello con il mondo del web 2.0 ed in particolare dei social network.
Infatti la rivoluzione di tali sistemi è che il protagonista della comunicazione è l’individuo, i suoi pensieri, le sue foto, le sue skills professionali e così via.
Allo stesso modo in questi siti noi cerchiamo persone, le valutiamo, decidiamo di entrare in relazione con loro sulla base di come si presentano e per le stesse ragioni, magari, li assumiamo nella nostra azienda.

Ecco che emerge in tutta la sua importanza il valore della presentazione che ciascuno sa dare di se stesso, con il medesimo criterio e la grande attenzione con cui un bravo marketing manager gestirebbe il proprio prodotto.
Non più nickname nei forum o identità parallele su Second Life: qui si mette la faccia, e non in senso metaforico visto che moltissimi siti richiedono obbligatoriamente l’inserimento di un’immagine del profilo.

Per questo trovo ancora una volta che il web sta diventando sempre di più fatto di persone che come mai prima nella storia possono valorizzare se stesse davanti ad un pubblico potenzialmente illimitato.
Ecco perché ai loghi dell’industria si affianca un nuovo protagonista, la persona come brand, che interagisce e crea relazioni attraverso le quali cresce e si fa conoscere.

Buon networking dunque e siate attenti e consapevoli mentre curate il vostro marchio di maggior successo: voi stessi.

Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com

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Di Altri Autori (del 17/12/2008 @ 07:02:20, in Internet, linkato 2210 volte)

Per una volta una pubblica istituzione locale del Belpaese può vantarsi di essere arrivata prima nei confronti delle pari entità europee. Il riconoscimento va al Comune di Genova, che proprio oggi ha annunciato la nascita di un progetto on line per dialogare con i cittadini e promuovere il proprio patrimonio artistico e culturale a livello internazionale sfruttando in toto la vetrina di uno dei più noti attori del social networking.

Il sito www.myspace.com/genova è stato infatti strutturato grazie alla collaborazione di MySpace.com e si configura come vero e proprio "hub" urbano per rendere più funzionale il dialogo fra la popolazione e l'amministrazione del capoluogo ligure. I diretti interessati l'hanno addirittura battezzato un esperimento di "e-democracy", in quanto fra le sezioni del "social portal" dedicato alla città vi sono non solo notizie istituzionali ma anche informazioni inerenti mostre, appuntamenti, approfondimenti e consigli per il tempo libero. Oltre naturalmente a un'ampia galleria di foto e video.

L'interattività, propria di un progetto digitale come quello del Comune di Genova, è invece garantita dal fatto che tutti gli ospiti del profilo aperto su MySpace - cittadini, associazioni, centri culturali e artisti locali e anche turisti – potranno dare il loro contributo attivo sottoforma di contenuti a questa nuova comunità globale. Stupisce il fatto che a Genova non abbiano pensato a Facebook? No, e per il semplice motivo che MySpace (più di Facebook) ha forse maggiori "capacità" di mettere in contatto realtà on line e off line e di creare una comunità partendo da un progetto di dialogo sociale e non da una collaudata comunità di amici. Di sicuro è un esempio di matrimonio fra tecnologie 2.0 e pubblica amministrazione: se durerà e se sarà solo il primo di una lunga lista lo vedremo prossimamente.

di Gianni Rusconi su ILSOLE24ORE.COM

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Di Altri Autori (del 16/12/2008 @ 07:32:13, in Mobile, linkato 1589 volte)

Solo nell’ultimo anno sono stati venduti nel mondo 1,2 miliardi di telefoni, di cui 22 milioni solo in Italia. Esordisce così il report della School of Management del Politecnico di Milano che ha fotografato l’utilizzo del mobile marketing da parte delle aziende del nostro paese, sottolineando le potenzialità della soluzione. Secondo l’analisi, il 2008 si chiuderà con quasi un miliardo di sms diretto ai consumatori per veicolare una comunicazione di tipo commerciale.

L'indagine ha evidenziato che circa il 64% dei direttori marketing d’impresa non ha mai utilizzato il canale mobile per promuovere campagne pubblicitarie. Per quel che riguarda le previsioni, di questa percentuale il 58% non sa se utilizzerà tale canale di promozione in futuro, il 22% è sicuro che non lo utilizzerà e il 20% pensa che lo utilizzerà.

Tra il 36% di direttori marketing che ha invece già fatto uso del canale mobile per scopi pubblicitari, afferma di essere molto o abbastanza soddisfatto il 77% di coloro che hanno promosso iniziative attraverso l’invio di sms/mms, il 63% di coloro che hanno fatto uso del display advertising su mobile e il 100% di coloro che hanno effettuato Keyword advertising. Il settore sembra dunque essere in una fase embrionale e le potenzialità inespresse sono molte.

Via Quo Media

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Di Altri Autori (del 15/12/2008 @ 07:11:31, in Media, linkato 2446 volte)

La grande distribuzione organizzata può scegliere tra due modelli: uno è incentrato sul ruolo del consumatore, l’altro sulla relazione. Il dilemma della business community sembra questo: è bene moltiplicare i format a seconda dei segmenti di popolazione da servire? Addirittura ibridarli?

La domanda non è raminga, soprattutto con la crisi dell’ipermercato. Carrefour con la strategia del “mass del marge” ha tentato di dare una risposta cercando la giusta efficienza e declinando una parte di assortimento comune ai diversi formati-canali.

Nell’alimentare siamo arrivati a una diversificazione verticale (dalla grande alla piccola superficie: ipermercato, superstore, supermercato, superette, discount) e orizzontale (a seconda della location e del bacino di utenza) esaustiva. C’è un altro canale che ha lavorato a una così forte segmentazione: è quello delle librerie con Feltrinelli.

Questo il suo portafoglio: Tradizionale, Multistore (con musica), Village (per i centri commerciali), Express (tipologia adatta ai luoghi di scambio). Avrà anche un’insegna di cartoleria e design e il negozio virtuale. Saranno sufficienti ad affrontare il futuro e le ricerche intellettuali dei suoi clienti? Ma sì che lo sono, perché il Multistore ha il caffè, la toilette in store e soprattutto un visual di servizio adeguato (da vedere l’ultimo negozio di Bergamo città) per guidare il cliente dalle directory allo scaffale, al ripiano, al libro, al prezzo.

Costruisce in questo modo un’identità di formato che si basa sullo sviluppo dei particolari. Per esempio con la recensione scritta a mano dei principali libri in graduatoria. È quello che ha sempre fatto nel food Marco Brunelli nei suoi ipermercati, che, adesso, sta cercando di riproporre nel non-food: la cura dei profumi, il modo di scrivere il prezzo, l’accostamento dei prodotti e dei colori (insomma: il micromarketing).

Però l’innovazione del formato è meglio che parta dal miglioramento del formato attuale piuttosto che da un nuovo formato tout court. Per spiegarlo con la matita e un disegno, come ha detto Giuseppe Brambilla di Civesio, ad di Carrefour: «Noi crediamo nella multicanalità: il cliente al centro e noi intorno».

Il format basato sulla relazione
Il moltiplicarsi dei luoghi di acquisto (fisici e online) 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, 365 giorni all’anno complica il futuro e la lunghezza del ciclo di vita del format. L’obsolescenza del punto di vendita è ormai da scatoletta di tonno. I negozi si somigliano sempre più, soprattutto se, sbagliando, scelgono di inserire corner di marche di fornitori vieppiù esigenti e onnivori. C’è una sola tipologia di vendita che può lavorare come un contenitore multimarca: il department store (banalizzando, la Rinascente e Coin). Come si affronta questo problema per tutte le altre tipologie? A giudizio di Mark Up costruendo una relazione con la R maiuscola con il consumatore, il cliente e il cittadino, dando una risposta di efficienza, prezzo, risparmio di tempo e soddisfazione in termini merceologici dell’acquisto.

L’efficienza è un insieme di comportamenti e tecnologie per portare il prodotto giusto, al momento giusto, nel luogo giusto, al prezzo giusto all’acquirente. Di prezzo oggi si può anche morire: inflazione e pressione promozionale stanno imballando il sistema del largo consumo e il prezzo è diventato un rebus e un momento tattico più che strategico. Il tempo è un’altra cosa: il vicinato e il discount sono scelti dagli acquirenti di ipermercati e supermercati anche perché fanno risparmiare tempo (per il trasferimento in auto, per la complessità dell’assortimento, per la difficoltà di leggere la scala prezzi, per il numero di passi fare, per la coda alle casse). Risparmiare tempo è un dovere.

La soddisfazione dell’atto di acquisto è la parte più difficile: bisogna lavorare sul contenitore (l’ambiente, il layout fisico e quello merceologico), sui mix assortimentali, sul personale. Sintetizzando: la relazione dovrà mettere al centro il consumatore e non il negozio o tanto peggio i fornitori: si baserà su ascolto del cliente (con diverse leve), Crm non invasivo, consiglio-informazione da dispensare nel negozio fisico e in quello virtuale.

Via Marketing Journal

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Di Roberto Venturini (del 12/12/2008 @ 07:24:44, in Marketing, linkato 1942 volte)

Torniamo, dopo un bel po' di tempo, a parlare di product placement, di product integration e di comunicazione.

Il Product Placement è da anni uno strumento importante per la promozione di marche e prodotti, attraverso l'inserimento dei "simboli" appropriati all'interno di fim o serial TV.

Ha raggiunto apici di importanza tali che alcune grandi marche avevano (o hanno ancora?) un ufficio permanente ad Hollywood, con l'esclusivo compito di negoziare accordi con le major per l'inclusione dei propri prodotti nelle più importanti produzioni.

In tempi di vacche magre e di advertising classico nel mirino, il placement si ritrova sotto i riflettori, nella speranza sia un modo per aggirare la disattenzione, il disinteresse o semplicemente il fatto che l'adv spesso non raggiunge nemmeno più il target.

In questo scenario potenzialmente favorevole al placement è entrato a gamba tesa Martin Lindstrom, noto esperto di branding e comunicazione (una vera star, nel suo piccolo) che nel suo recente libro "Buyology" riporta i risultati di esperimenti sull'efficacia del placement sui neuroni della gente (vedi alla voce neuromarketing).

Attaccando (in estrema sintesi) dei volontari ad un elettroencefalografo è stato dimostrato (su un campione di 2000 casi) che il placement non funziona (più) nella maggior parte dei casi, non portando ad un aumento del ricordo della marca (resta poi davero da vedere se a livello ultra sub-conscio/sotterraneo un qualche effetto subliminale ci posa essere anche in assenza di ricordo, ma appare una teoria un tantinello improbabile).

L'eccezione sarebbe rappresentata da quei casi in cui la marca è funzionale alla storia, è fortemente integrata nel plot narrativo... quello che si chiama product integration - dove marca o prodotto non sono una presenza più o meno casuale, ma sono un componente di fondo della storia (pensate ad es. se gli amici di "Friends" si fossero ritrovati in uno Starbucks invece che al "Central Perk"....).

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Di Gianluigi Zarantonello (del 10/12/2008 @ 10:00:00, in Segnalazioni, linkato 2485 volte)

Buongiorno a tutti, segnalo che il giorno 13 dicembre a Bassano del Grappa verrà presentato il nuovo libro di Sebastiano Zanolli, dal titolo Io, società a responsabilità illimitata. Strumenti per fare la grande differenza

Dal momento che ho avuto il piacere di leggerlo in anteprima, trovandolo molto interessante ed in linea con i contenuti che animano questo blog, vi segnalo questo appuntamento (per i dettagli cliccare qui).

Per chi non è in zona c'è una recensione del libro sul mio blog.

A presto

Gianluigi

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Di Altri Autori (del 10/12/2008 @ 07:22:17, in Marketing, linkato 1590 volte)

‘Ragazzi connessi: i preadolescenti italiani e i nuovi media’ è lo studio che ha analizzato il rapporto che i giovanissimi italiani instaurano con cellulari e internet, compiuto  dall’associazione ‘Save the Children’ con la collaborazione del Cremit (Centro di ricerca per l’educazione ai media, all’informazione e  alla tecnologia) dell’Università Cattolica di Roma Sacro Cuore.

Tra i giovani intervistati nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni il 95% dichiara di utilizzare il cellulare, percentuale ‘normale’ dal momento in cui tutti ne possediamo uno. Ma qual è l’uso che i giovanissimi ne fanno? Inviano sms (92%), giocano (76%), si scambiano immagini (74%), foto (54%) e navigano in internet (33%). “La funzione del ricordare, che i ragazzi assegnano al cellulare, è molto importante e sempre più rilevante nell’uso di questo strumento”, ha così commentato i dati Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. Sembra infatti che memorizzare un messaggio considerato importante valga più di una reale chiacchierata con un amico.

E la navigazione in rete? L’86% dei ragazzi utilizza internet, nello specifico lo fa per cercare video e musica (70%), per parlare su msn (59%), chiacchierare in chat (53%), uploadare (49%), inviare e-mail (47%), giocare con videogiochi (33%), partecipare a forum, blog e socia network (28%), Skype (16%), acquistare prodotti (15%) e partecipare a sondaggi e concorsi (11%).

Se procediamo nell’analisi scopriamo che il 32% dei giovanissimi possiede un blog, dato che fa riflette riguardo al bisogno di apparire, di esserci in quanto visibili da tutti. “…E’ molto importante capire che il web è ormai un’estensione della rete abituale di amicizie e non un mondo alternativo a quello delle relazioni fisiche. Gli amici in rete sono importanti tanto quanto quelli che si incontrano di persona e spesso sono gli stessi” ha dichiarato Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit.

Qual è la percezione che i giovani hanno di internet? E’ utile (58%) e di facile utilizzo (37%), ma non pericoloso (solo il 6% ritiene possa essere molto pericoloso ed il 33% abbastanza pericoloso). I giovani dichiarano inoltre di non subire particolari limitazioni da parte dei genitori: il 68% non riceve alcuna limitazione. Dunque non è pericoloso per il proprio utilizzo, ma lo è per gli altri: il 52% ritiene possa portare a comportamenti trasgressivi e pericolosi arrivando a fingere di essere un’altra persona, il 51% pensa che porti facilmente a mentire, il 46% che induca a pubblicare foto senza autorizzazione, il 41% a ricevere inviti di persone estranee, il 35% a cercare materiale pornografico ed il 34% a chattare con persone adulte. Quindi i giovani ne riconoscono in larga misura la pericolosità, ma mai per se stessi. Questa percezione che hanno nei propri confronti, questo senso di immunità, sembra essere il vero pericolo rappresentato da internet, ossia tutti possono ingannare o farsi raggirare, ma io sottoscritto no.

Via Quo Media

 

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Di Altri Autori (del 05/12/2008 @ 07:16:54, in Internet, linkato 1826 volte)

Il cuore degli italiani è pur sempre pronto ad accendersi. Anche quando è di una tecnologia che si innamorano, gli italiani gettano appassionatamente quel cuore oltre qualunque ostacolo: non importa se hanno poco tempo, se non sanno bene come funziona, se regalano valore a chi lo trasforma in un business gigantesco. È successo con la televisione e con il telefonino, per quasi tutti gli italiani, ed è successo, con internet, per una buona metà. E sulla rete, il fenomeno del momento è Facebook, il social network nato a Harvard, cresciuto tra la California e Londra, esploso in tutto il mondo. Un fenomeno al quale è dedicato il volume che da oggi i lettori del Sole 24 Ore trovano in edicola con il giornale. Oltre 4 milioni di italiani usano Facebook: all'inizio dell'anno erano 100mila, prima dell'estate poco più di mezzo milione, in settembre erano raddoppiati e in altri due mesi sono raddoppiati di nuovo.

Una moda? Un segnale profondo? Un cambiamento radicale? Di certo, è un fenomeno che impone una riflessione: perché sta urlando qualcosa, ma non è facile distinguere quello che dice. E questo libro è anche un tentativo di capirlo.
Facebook è certamente una moda, ma diversa dalle altre. Un'analisi della relazione tra la crescita degli abbonati italiani a Facebook e gli articoli dedicati a questo social network dai media tradizionali, pubblicata su Nòva il 27 novembre 2008, dimostra che gli italiani sono andati su Facebook indipendentemente dai canali che di solito alimentano le mode. Ci sono andati per passaparola. Il boom di Facebook è un fenomeno che appartiene alle persone che lo stanno vivendo.

Che cosa ci dicono? Evidentemente, milioni di persone trovano in Facebook una risposta a un bisogno. Quale? La risposta è nella stessa struttura di Facebook, definita dalla sua parola chiave: "amici". Il bisogno è proprio quello di recuperare relazioni personali o almeno simulazioni di amicizia. È il bisogno cui rispondono in modo diverso i social network, da Twitter a MySpace, i siti di condivisione da Flickr a YouTube, i media sociali, dai blog a Wikipedia. Nell'insieme, non sono tanti piccoli media ma un unico grande medium fatto di persone che si esprimono e si connettono. Un medium a rete, diverso dai media gerarchici nei quali i produttori di contenuti sono da una parte e i fruitori dall'altra: qui, invece, i fruitori e i produttori sono dalla stessa parte, sono un grande pubblico attivo. La partecipazione a una rete di persone può rivelarsi molto gratificante, come dimostrano le ricerche degli "economisti della felicità", da Richard Easterlin al premio Nobel Daniel Kahneman. E, sebbene l'"amicizia su Facebook" sia un concetto ben diverso da quello di "amicizia" tout court, riesce almeno ad alludere a quel genere di gratificazione.

Sulla base della metafora dell'"amicizia su Facebook", il servizio creato da Mark Zuckerberg è riuscito a convincere più di altri, superando MySpace, riassorbendo innovazioni sviluppate da altri - video, foto, chat, posta, status update, condivisione di link - e sviluppando una piattaforma che offre spazio ai programmatori di applicazioni divertenti e utili, dalla segnalazione di eventi agli strumenti di aggregazione sociale, dai giochi ai test, dalla pubblicità all'e-commerce.
Il successo, in questi casi, è figlio del successo. L'effetto-rete è la dinamica per cui quando molte persone usano uno strumento per connettersi, altre sono invogliate ad adottarlo. E Facebook sta volando sulle ali dell'effetto rete. È un cambio radicale nell'uso di internet?

La storia di internet è stata anche un'evoluzione delle piattaforme per l'espressione e la connessione delle persone. Dall'epoca della pubblicazione di pagine in linguaggio html al tempo dei blog, la progressiva semplificazione delle attività necessarie alla pubblicazione ha moltiplicato gli utenti attivi. E quella quantità ha avuto effetti qualitativi importanti sul sistema dei media. Con Facebook, il pubblico attivo fa un altro salto quantitativo e, dunque, qualitativo.

È improbabile che questo sia il punto di arrivo. È invece probabile che, anche grazie a Facebook, si assista a un'integrazione più intelligente tra le diverse dimensioni mediatiche. Se Facebook accelera la crescita del pubblico attivo alimentandosi delle relazioni tra le persone, non è forte nella costruzione di un'agenda interpretativa. Che continua ad arrivare piuttosto da altri media, come tv, libri e giornali, che infatti chi usa Facebook spesso cita e riprende. Ma i media tradizionali non possono più far finta che la rete non esista.

La rete è ecosistema dell'informazione. Vive di infodiversità. E tra le molte specie che la popolano quelle che vivono meglio sono in simbiosi con le altre. Lo stesso successo di Facebook, una piattaforma di proprietà di un'azienda, potrebbe andare in crisi adottando una strategia di conquista aggressiva. Chi voglia prosperare nel contesto della rete dovrà invece concentrarsi soprattutto su una questione: come mettersi al servizio dell'insieme.

di Luca De Biase su ILSOLE24ORE.COM

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Di Altri Autori (del 04/12/2008 @ 07:10:22, in Marketing, linkato 1872 volte)

L’approccio long tail retail prevede che le grandi strategie aziendali lascino il posto a modelli comunicativi più snelli.
È il libro che va per la maggiore ancora oggi. The Long tail, di Chris Anderson, il successo della coda lunga. È finito il tempo di guardare solo alla pancia del mercato con l’occhio alla gaussiana. Il successo, e una massa di mercati, passano dalle nicchie. Discutibile? Provocatorio? Forse sì, ma è interessante cominciare a pensare al concetto di nicchia non solo in termini di mercato, ma come modello di lettura delle funzioni e delle attività aziendali e del retail. Massificare, per cogliere i volumi e i cluster più diffusi? Attenzione alle differenze, alle condizioni specifiche, ai contesti. Spesso l’osservazione si limita alle grandi serie, agli accadimenti complessivi. Ma un accadimento è costituito da piccoli elementi, singole cellule con loro moto proprio. Il tempo uccide. Non consente di scendere nel dettaglio e di osservare i singoli comportamenti delle nicchie, si agisce per astrazioni, per grandi sistemi. Anche nel marketing retail.

Qualcuno ci ha provato
La costruzione di una strategia di marketing o di una campagna di distribuzione è un fatto solitamente macro. Grandi investimenti, grandi pianificazioni. Budget, media e concept sono spesso i termini delle discussioni. Interessante, invece, il nuovo approccio, che si sta creando in alcuni retailer: the long tail retail marketing. Partire non più dalla grande strategia, ma dalla piccola azione, costruendo intorno a essa un percorso d’identità e di posizionamento marketing della catena retail, come per esempio Office Max, catena Usa di prodotti di elettronica e materiali da ufficio. Forse molti di voi avranno ricevuto o inviato via web a Natale il gioco degli elfi: una cartolina natalizia animata di saluto, semplice, banale e ironica, con la possibilità di inserire la propria faccia all’interno di simpatici elfi danzanti sotto la neve. Elf Play è stata una delle nicchie di attività su cui è stata costruita la campagna di Office Max. Obiettivo era creare un evento per allargare il target clienti e la presenza del marchio su nuovi segmenti: andare oltre le profilazioni tradizionali e i database aziendali. La campagna è durata 5 settimane, organizzata in 20 giorni, pianificata con budget irrisorio. Le cifre sono state eclatanti: 70 milioni di minuti di visibilità online, 700 milioni di hit sul sito, 10 Elf Play al secondo durante i 15 giorni prima di Natale. Una diffusione internazionale al di sopra di ogni previsione e controllo.

Inseguire modelli micro tralasciando le statistiche
Un successo straordinario, legato a fattori poco business ma molto psicologici. Un esempio che ha suscitato forti discussioni negli Stati Uniti su come valga la pena di seguire nuovi modelli che dedichino più attenzione e tempo ai dettagli, a immaginare al di fuori delle statistiche e dei grandi numeri. Articolazioni di pensiero che si diffondono. Si parla molto di new pear to pear marketing. Qualcuno lo fa. E nella situazione di mercato in crisi come quello attuale, e sicuramente anche di quello prossimo venturo, anche i paradigmi del pensiero macro dovranno lasciar posto a quelli del pensiero micro delle code lunghe.

Quello che gli elfi insegnano

• Riconoscibilità: Un limite della campagna su cui riflettere: 70 milioni di minuti di visibilità, ma, dopo un questionario, altissima notorietà di Elf Play (il gioco) e scarsa capacità di collegamento alla catena Office Max (il promotore). Vale di più il gioco che lascia sedimenti profondi, ma da recuperare e poi valorizzare (vedere il sito www.officemax.com) o una brand awareness immediata che poi non lascia traccia?

• New media: Evidente lo spostamento del marketing verso nuovi punti di vista. Il web marketing va usato in modo intelligente (guardare i dati non solo macro, ma sviluppare “drill”, carotaggi su segmenti).

• Focalizzazione:
Per Elf Play non è bastata la creatività, c’è stato poi un controllo puntuale estremo dei risultati. Focalizzazione: non bastano gli applausi. Interessante l’analisi di dettaglio dell’uso del pear to pear marketing.

• Costruire un processo: 100 è fatto da due volte 50, ma anche da 100 volte 1. Banale. Ma nelle aziende ci si dimentica. Perché è più coerente con il modello di Corporation gestire due grandi operazioni che rischiare di disperdersi in 100 piccole operazioni. Ma è anche la soluzione per avviare un processo di costruzione di brand e realizzazione di marketing campaign senza farsi fermare da budget ridotti.

• Spontaneo: Se è simpatico, il messaggio si diffonde. Sete di autenticità. Basta messaggi autoreferenziati non più credibili. Identici. Da spegnere. Altro che da spingere.

Via Marketing Journal

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