Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Uan giornata di influenza aiuta a riflettere. Zappando da un canale all'altro mi è capitato di osservare due pubblicità di automobili: Ford Focus e una Opel (non ricordo il modello). Le due pubblicità sembravano, soprattutto quella della Focus, di grande impatto. La Ford ci mostra un'orchestra che suona strumenti ricavati da pezzi della Focus (ma non vi ricorda qualcosa?) per sottolinearci "la magnifica esecuzione" dell'automobile. La Focus è un capolavoro come un'orchestra che esegue in modo magnifico un componimento. Ma... Ma la Honda che dovrebbe dire? La pubblicità " Choir" per la Civic, dove un coro riproduceva i suoni ambientali esterni alla Civic (perché all'interno non ci sono rumori) non è molto simile? In senso dell'orchestra/coro come metafora del coordinamento armonico, tale che tutto funziona meravigliosamente (per cui è bello, perfetto, etc...) è stato già utilizzato. I creativi che hanno prodotto l'adv della Focus sono creativi? E il loro cliente Ford che indicazioni gli ha dato? oppure come può aver accettato di ri-utilizzare un concept simile alla Honda? Vi parlavo anche della Opel... che scivola su una pista da bob... ma non era stato utilizzato dalla Fiat per la sponsorizzazioni delle Olimpiani invernali? Questi due esempi sollevano sempre un dilemma: il bilanciamento creatività-esigenze di business; ma anche il rapporto cliente-agenzia. Troppo spesso il cliente pretende "idee" trite e ritrite, altre volte le agenzie non riescano a offrire spiragli di luce creativa... ma due pubblicità praticamente uguali... non è troppo? Ps. l'Honda ha prodotto anche un altro copy dove la Civic veniva smontata per costruire un marchingegno alla Willy il Coyote. Il concept della Focus è la somma dei due...
La spazzatura in Campania sta riempiendo in questi giorni le cronache in Italia e, purtroppo, anche all’estero e leggendo e ascoltando tutto questo mi sono ricordato di un mio vecchio articolo sulla cosiddetta Sindrome di Nimby.
L'acronimo sta per "Not in my back yard"(letteralmente "non nel mio giardino") e si riferisce a quei fenomeni di protesta collettiva che si scatenano contro la realizzazione di opere pubbliche nei pressi della propria città o del proprio paese, nel timore di gravi ripercussioni sulla salute e/o sulla qualità della vita in genere.
Alcune ricerche indicano che l'Italia è il paese europeo più soggetto a questo problema che coinvolge quasi il 90 % dei nuovi progetti. Ma che cosa c'entra la comunicazione con tutto questo?
Semplice, per riuscire a realizzare in modo pacifico e senza traumi sociali un progetto, come ad esempio una discarica, occorre lavorare con la popolazione, parlare con le persone, guadagnare la loro fiducia e soprattutto coinvolgerle, materialmente ed emotivamente, in ciò che si va a fare. Si devono evidenziare inoltre i vantaggi derivanti dal progetto per il singolo e per l'economia della zona in genere e preparare la popolazione ad affrontare eventuali disagi momentanei. Vanno coinvolti tutti i "pubblici influenti", siano essi enti statali, attori economici privati o opinion leaders, che possono favorire oppure ostacolare la riuscita dell'operazione.
Spesso infatti la sindrome di Nimby è causata da diffidenza e scarsa conoscenza. Inoltre è necessario fronteggiare a livello comunicativo i gruppi più irriducibili (o nel caso campano criminali) e non bisogna lasciare il campo comunicativo a disposizione di chi avversa il progetto rispondendo con campagne stampa informative alla loro opera di opposizione sui media.
Infatti, purché un progetto sia valido e sicuro, di solito la conoscenza dei dettagli e dei pregi dello stesso è l'arma migliore per il proponente, mentre la pura imposizione dall’alto delle decisioni è solo causa di scontri.
La situazione campana sicuramente è molto complessa, frutto anche di complicità politiche e di una criminalità padrona del territorio.
Tuttavia è un po’ diverso andare improvvisamente a sversare immondizia in un sito dove si era promesso di fare un campo da golf (come a Pianura) e invece spiegare alla gente che con un impianto sicuro non si corrono rischi per la salute e che ci si può ricavare energia risparmiando denaro (come a Lipsia).
Dunque la sindrome di Nimby si può affrontare con un'opera di marketing territoriale e di pr, naturalmente occorre che le aziende e le amministrazioni pubbliche siano preparate in materia. per questo è stato realizzato il Nimby Forum (http://www.nimbyforum.net/) che si pone come un osservatorio del fenomeno per capire e fronteggiare il problema.
La lezione più importante comunque è che per affrontare queste situazioni non servono imposizioni o tentativi di far passare le cose sotto silenzio bensì capacità di comunicazione e di informazione, con progetti seri e contrastando contemporaneamente chi fa controinformazione.
Già EMI ha accettato di vendere i propri brani musicali su iTunes privi di DRM. E anche su Amazon, da qualche mese, si possono comprare brani di alcune major senza "protezione"; brani di EMI, Universal e dovrebbe arrivare anche Warner.
Business Week ha recentemente annunciato che anche Sony mollerà presto il colpo sul DRM.
D'altra parte, visto quanto impazza la pirateria, visto il declino delle vendite, visto che ormai molte case discografiche stanno cambiando il proprio business dalla vendita di dischi a diversi tipi di valorizzazione dei propri asset, il DRM sembrava essere più una penalizzazione per gli utenti onesti, pronti a comprare la musica... che non una dissuasione a quelli che la musica non la pagano...
È tipico di ogni inizio anno un bilancio di quello appena terminato ed una lista di buoni propositi in grado di guidare scelte e decisioni future. Limitando il discorso all'area che ci interessa possiamo affermare che per il marketing e la comunicazione si è chiuso un anno abbastanza mediocre; certo qualche settore è cresciuto ma al di la delle stime e delle metriche proposte, la sensazione di stallo e di mancata innovazione è palese tra gli addetti ai lavori. La comunicazione tradizionale ha bisogno di rinnovarsi pur garantendo alle aziende la stabilità e la certezza dei risultati che esse si aspettano di raggiungere, e ciò in contrasto palese con quanto rilevano le principali ricerche che vedono un cambiamento dei media ed un utilizzo frammentato di essi. Il Censis rileva ad esempio come i media siamo diventati ormai otto con almeno venti differenti modalità di fruizione differenti. La comunicazione innovativa ha invece ben altri problemi ed una posizione diametralmente opposta; deve cioè ridimensionare la propria capacità innovativa per evitare il rischio che le aziende, ancora non pronte, rimangano disorientate dai troppi cambiamenti (di mentalità, di organizzazione) che tali forme di comunicazione propongono. Ed ecco quindi il dilemma da sciogliere per questo 2008, anno nel quale l'intero mercato della comunicazione innovativa - dal digitale al virale - ha la possibilità di mostrarsi solida e ben definita agli occhi delle aziende, accreditandosi non più come un "media alternativo" ma come un "media indispensabile". L'irrinunciabilità di tali attività deriverà dalla capacità che noi avremo di fare un passo indietro nella smania di mostrare fuochi di artificio e case history fantascientifiche alle aziende, nel tentativo di "apparire come il futuro". Non dobbiamo mostrarci come il futuro, ma come coloro che aiuteranno le aziende a raggiungerlo, questo futuro. Magari sperimentando strade nuove, magari scommettendo su una innovazione, forse anche commettendo degli errori ma sempre operando in "modalità beta" cioè mostrando una chiara e trasparente voglia di confronto con i consumatori e di cambiamento sulla base dei feedback ricevuti. Le innovazioni e le trasformazioni più importanti sono quelle invisibili, quelle che si compiono all'interno delle organizzazioni, quelle che portano tutti i livelli e le risorse di una azienda a valorizzare il proprio brand, a confrontarsi con esso ad amarlo così come vorrebbero lo amassero i propri consumatori. Solo dopo la preparazione del terreno potrà essere possibile andare all'esterno e mostrare, attraverso una comunicazione innovativa nell' approccio e non nei media utilizzati, il valore del brand e dell'azienda stessa. I consumatori vi ameranno per questo.
Gianluca Arnesano su comunicazioneitaliana.com
Va ormai di moda su tutte le maggiori pubblicazioni internazionali (economiche e non) tracciare delle analisi piuttosto nefaste sul futuro dell'industria discografica. Non quella musicale, attenzione, ma proprio quella "discografica", cioè quella che ha sempre concentrato il suo core business sul disco (vinile, cd, audiocassetta), sulla musica registrata. Internet e l'esplosione della musica digitale non hanno affatto svalutato la musica, ma hanno di certo dato una significativa spallata al valore commerciale della musica registrata. L'ultimo articolo in ordine di tempo è stato pubblicato ieri dall'Economist. Si intitola From major to minor e lo potete leggere qui . La parte più significativa mi sembrano l'aneddoto d'apertura e la malinconica vignetta che lo accompagna:
"Nel 2006 la Emi, la quarta maggiore casa discografica del mondo, invitò alcuni teenager nel suo quartier generale di Londra, perchè parlassero con i top manager dell'etichetta a proposito delle loro abitudini musicali. Alla fine dell'incontro, i boss della Emi li ringraziarono e dissero di servirsi liberamente da un tavolo pieno di cd. Ma nessuno dei teenager prese alcun cd, nonostante fossero gratis. "In quel momento abbiamo capito che era finita", dice una persona che era lì.
Non è che per i cd sia proprio finita. Si vendono e si venderanno ancora. Persino quelli che sono stati prima distribuiti più o meno gratis su Internet (ogni riferimento ai Radiohead primi in classifica negli Usa e in Gran Bretagna è puramente voluto). Ci sarà sempre qualcuno che preferirà avere tra le mani un supporto fisico. Ma sembra ormai evidente che quello non sarà più il metodo di fruizione principale della musica, sarà solo più una nicchia della "lunga coda". Fino a pochi anni fa il cd era la musica. Adesso, soprattutto tra i giovani, il cd è solo una fastidiosa e inutile gabbia. La musica è sull'iPod, sui computer, sul telefonino. E se proprio devono pensare a un supporto fisico, tanto vale che sia una chiavetta USB. Ci sono ormai milioni di giovani appassionati che trascorrono le loro giornate ad ascoltare musica e non hanno mai tenuto in mano un cd (e non hanno alcuna intenzione di iniziare a farlo). Per le vecchie generazioni sarà anche un trauma incredibile: sia da un punto di vista sentimentale, che ideologico, che economico. Per le nuove non è affatto un problema. A loro interessa la musica.
Via LASTAMPA.it
Viviamo in un mondo fatto di reti. Oggi non è possibile sottrarsi al fatto che è necessario sempre più interagire con una rete di connessioni vasta, non sempre sviluppata solo nei luoghi che ci sono più vicini e fortemente caratterizzata dalla tecnologia.
I media infatti hanno contratto spazio e tempo, creando nuovi modi di relazione e gli strumenti di cui disponiamo attualmente ci permettono di interagire in modo ricco e multimediale con delle persone che si trovano a migliaia di chilometri da noi come se ci stessero davanti, con costi che si approssimano sempre di più allo zero.
In questa situazione sta ritornando evidente qualcosa che gli antichi avevano capito già qualche tempo fa, ossia che “l’uomo è un animale sociale. Le persone non sono fatte per vivere da sole” (Seneca).
In tempi un po’ più recenti poi altri si sono pronunciati per evidenziare in modo forte ed esplicito quanto siano importanti per noi le relazioni.
Ad esempio il teologo Raimon Panikkar scrive:”Si può anzi dire che il grado e il valore dell’esistenza di un uomo sono tanto maggiori quanto più numerose sono le relazioni che egli instaura con gli altri e il mondo circostante. L’identità delle persone non si rafforza, ma s’indebolisce o addirittura viene annientata se si riducono o si eliminano le relazioni con l’alterità in generale. La relazione non è accidentale rispetto all’identità: come i nodi di una rete non esisterebbero senza i fili che li collegano, così nessun essere umano potrebbe esistere o sarebbe tale senza le relazioni con l’altro”.
E ancora, in relazione ad un discorso più strettamente economico, cito un pensiero del 2005 di Jeremy Rifkin, Presidente di The Foundation on Economic Trends di Washington D.C.: "Il reale valore nel terzo millennio delle aziende e dei manager che le dirigono, non sarà il fatturato che essi producono, bensì il numero e la qualità delle relazioni da essi instaurati con i propri target interlocutori e di riferimento interni ed esterni“.
Questo valore insito nelle relazioni è stato poi moltiplicato all’ennesima potenza dalle nuove tecnologie. Infatti a livello di scambio d’informazioni una recente ricerca britannica ha calcolato che un abitante di un paese occidentale in un giorno medio viene a contatto con un numero di nozioni e di notizie superiore a quelle che un contadino inglese del medioevo acquisiva nel corso di un’intera vita.
Non mi sembra difficile pensare che qualcosa di simile si possa ipotizzare anche per il numero delle relazioni con altri soggetti, più o meno vicini geograficamente, che esso intraprende.
Dunque che ci piaccia o meno siamo all’interno di una grande rete di scambi di merci e d’informazioni, di relazioni, di azioni e reazioni, una vera e propria ragnatela nella quale, per riprendere la felice metafora di Alberto De Toni e Luca Comello , possiamo essere prede o ragni, ossia protagonisti o vittime.
Proprio l’inevitabilità dell’essere nella rete è una delle principali fonti di disagio dell’impresa, specialmente quella medio-piccola, che in tal modo avverte il suo mercato come caotico e incontrollabile dal momento che non si relaziona in modo efficace con tutti i possibili interlocutori di riferimento ma ne subisce comunque in modo più o meno diretto le influenze. Ma ciò si può superare, gestendo le relazioni.
La nostra rete è fatta di tanti nodi, ciascuno dei quali, per rimanere nell’ambito aziendale, può essere metafora di un’azienda, collegata a diversi altri punti che rappresentano altrettanti soggetti.
I flussi che viaggiano nella ragnatela creano delle forze che toccano tutti i nodi, con due elementi prevalenti, ossia vantaggi e pressioni. Essere in rete infatti è un insieme di costi (pressioni) ed opportunità (vantaggi) e in nessun punto della rete uno di questi due elementi è pienamente assente, tuttavia possiamo dire che i vantaggi aumentano andando vero il centro della rete e le pressioni invece aumentano andando verso l’esterno.
Dunque i nodi più centrali (più relazioni, direttamente gestite) presentano un prevalere dei vantaggi sulle pressioni in quanto di fatto essi hanno una gestione più ampia e controllata dei rapporti con gli altri soggetti, a differenza di chi si trova in posizione più periferica e dunque subisce in modo più passivo le azioni e reazioni interne alla ragnatela.
Questa semplice e schematica rappresentazione ci permette di capire che la gestione della relazione ed il suo valore sta diventando il terreno della nuova competizione globale, in cui anche i correnti in determinati contesti di collaborazione di massa (cfr. ad es. il libro Wikinomics) si scambiano informazioni e interagiscono in quanto ciò crea una logica in cui entrambi sono vincitori e nessuno sconfitto.
In tale approccio relazionale ovviamente è incluso un passaggio culturale da fare, quello dell’evoluzione da una cultura del possesso ad una del presidio.
Collaborare con i proprio concorrenti, accettare i feedback del proprio cliente attraverso le tecnologie del web 2.0, aprire la propria ricerca e sviluppo a un ecosistema esterno di tecnici, scienziati e semplici cittadini attraverso uno strumento di collaborazione di massa vuol dire cedere una parte del proprio potere.
Eppure la visione del manager (e della persona) che ha capito il nuovo scenario competitivo gli permette di essere colui che presidia e governa queste relazioni, ricavandone un vantaggio assolutamente premiante, in quanto la fiducia e la relazione si costruiscono nel tempo e sono un patrimonio che ci si porta dietro indipendentemente dal luogo dove si lavora e si vive.
Naturalmente ciascuno a seconda il ruolo che ricopre e anche la propria natura può essere pronto ad una più o meno ampia apertura, ciò che è importante però è percepire il valore culturale che c’è in questo nuovo paradigma.
Può sembrare complicato ma in realtà, come in tutte le novità, all’interno di questo nuovo modo di competere ci sono delle grandissime opportunità, anche perché, come ci insegnano la teoria della complessità, dall’interazione di due elementi nasce un risultato che è maggiore della mera somma delle parti.
Infine tutto questo, al di là degli aspetti economici, ci può insegnare qualcosa di molto importante, cioè che davanti al caos la certezza delle strutture e dei meccanismi non è più così salda e ciò che ci permette davvero di mantenere l’equilibrio fra ordine e disordine sono le persone e perciò sono esse che vanno messe al centro dell’attenzione.
Come dovrebbe essere da sempre.
Segnaliamo due Corsi in Area Commercio Estero di potenziale interesse per il lettori del blog
Pagamenti Internazionali
Coordinatore e relatore della giornata Prof. Antonio Di Meo
28-29 gennaio 2008 dalle ore 9.30 alle ore 17.30
presso Adico - Via Cornalia, 19 - Milano
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Marketing Internazionale e Strategie di Internazionalizzazione
Coordinatore e docente della giornata Giorgio Gabellini
Giovedì 13 Marzo 2008 Giovedì 27 Marzo 2008 dalle ore 9.30 alle ore 18.00
presso Adico - Via Cornalia, 19 - Milano
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L'altro giorno parlavo con un executive di una casa musicale che, con la solita condizione di non essere citato, mi diceva che la sua / loro impressione è che la battaglia per vendere i dischi sia cosa persa.
E che quindi stiano facendo di tutto per individuare altre fonti di revenue, altri modi per far rendere i loro asset (gli artisti e la musica derivante), nuove strategie di marketing per nuovi tipi di prodotti o di versioning dei prodotti esistenti.
In effetti i segnali che arrivano dagli USA vanno, almeno in parte, in quella direzione. Le vendite di dischi sono infatti scese di quasi un altro 10 - 15% nel 2007 rispetto al 2006.
Il che non è un bel risultato. Anche perchè non è stato compensato da un aumento del 45% (!) delle vendite (!) di brani musicali online (su iTunes si sono già passati da tempo i 3 miliardi di brani venduti dal lancio....).
Secondo i dati Nielsen, sono stati venduti online più di 800 milioni di brani nel 2007, arrivando ad un 10% circa delle vendite totali.
A questi vanno poi in un qualche modo sommati i servizi che permettono di ascoltare o di scaricare gratuitamente e legalmente la musica (Pandora, last.fm, downlovers, we7, le mille stazioni radio di iTunes e non...)
I soldi le majors se le fanno allora vendendo la musica in altri formati - per esempio come suonerie (220 milioni vendute negli USA), come DVD (quelli si vendono un po' meglio, pare, anche perchè sono più lunghi da scaricare, specialmente se non hai la banda...), coi concerti etc.
Nel frattempo si parla sempre di più di un ritorno dei tradizionali dischi di vinile, come prodotto di nicchia per audiofili.
Curioso ciclo storico sarebbe: da prodotto detronizzato dai CD, che nessuno voleva più nemmeno se li regalavi, a prodotti premium priced rispetto al dischetto scintillante.
Ci sarebbe poi da riflettere come il fosco futuro del mercato della musica su supporto fisico possa rallentare l'investimento in ricerca e sviluppo della prossima generazione di supporti musicali, del prossimo CD... del resto, se non lo compreranno, se il supporto sembra solo servire per archiviare musica ottenuta (legalmente o meno) online, perchè sbattersi per trovare una soluzione migliore?
Qui ci sarebbe da fare il discorso degli audiofili che sostengono che i CD non hanno la qualità ottimale, anzi che il digitale non è la soluzione giusta per una perfetta musica... ma basta guardare il numero di persone con le cuffiette digitali nelle orecchie per capire che ormai quella della qualità musicale è una battaglia di retroguardia.
Nel sesto bimestre 2007 la radio sfonda quota 39 milioni nel giorno medio e cresce dell’1,8% rispetto al quinto bimestre. Radio Uno Rai guida con 7,2 milioni la classifica generale, migliora molto Isoradio (+10,5%), ma tra i dati più ‘sensibili’ c’è quello di DeeJay (+8,6%) che risorpassa Rtl 102,5 e, a quota 5,8 milioni, riconquista la testa tra le commerciali. Radio 24 (+9,8%) sfonda il muro dei due milioni, mentre Kiss Kiss (+7,8%) quello dei due e mezzo. Bene le altre radio Manzoni (Capital +4%, m2o +4,8%), appare in lieve crescita Radio Due (+1,1%) mentre sono stabili R101 e Rismi. Se risultano in lieve flessione (-1,9%) Radio 3 e Rete105, calano più sensibilmente RMC (-6%) e Rds (-5,8%).
Rtl 102,5 (-2,2%) perde la leadership nel giorno medio ma mantiene quella nei sette giorni superando i 15 milioni e precedendo, in questa graduatoria, Dee Jay e Radio Uno Rai. Il sesto ciclo 2007 di Audiradio chiude il primo anno di rilevazioni effettuate con il nuovo metodo dei sei cicli confrontati secchi uno sull’altro, senza le vecchie medie mobili, più stabili. Ecco i commenti di alcuni editori radiofonici sui propri risultati. Da Rtl 102.5 fanno notare come l’emittente superi, per la prima volta, i 15 milioni di ascoltatori nei 7 giorni (+3,2% sul quinto bimestre), mantenendo il primato in questa classifica (dove però Radio Deejay, seconda, si avvicina). Nel giorno medio, però, Rtl cala del 2,2%, tornando nuovamente terza sotto Radio Deejay. Radio Kiss Kiss, che cresce nel giorno medio arrivando a 2,5 milioni (+7,8%) sottolinea però anche la crescita del 19,9% registrata confrontando il secondo bimestre 2007 (dato risultante dalla media degli ultmi tre bimestri) con l’omologo periodo dell’anno precedente. Mette in evidenza la crescita del 17,1% fra il secondo semestre 2007 e lo stesso semestre del 2006 anche Mario Volanti, presidente di Radio Italia, che nel giorno medio è restata stabile (-0,1%) guadagnando però una posizione per il calo di R105. “E’ sempre più vicino il traguardo dei 4 milioni”, aggiunge Volanti. Massimo Soleri, direttore commerciale di Radio e Reti, concessionaria sia di Kiss Kiss che di Radio Italia, dichiara: “Ottima e costante per tutto l’anno la crescita per le nostre reti nazionali, Radio Italia solomusicaitaliana e Radio Kiss Kiss, e clamoroso risultato di Radio Subasio: una grande radio areale che supera Rmc e Radio 24, tallonando da vicino Radio 101”.
Radio 24 festeggia invece il suo record storico dei due milioni di ascoltatori (+9,8%), che le permette di posizionarsi al decimo posto nella classifica. Rds invece perde il 5,8%, pur restando al quarto posto in classifica. Il suo presidente Eduardo Montefusco preferisce però parlare da presidente dell’associazione di editori radiofonici Rna: “Il 40% dei 39 milioni di ascoltatori è saldamente in mano alle prime tre radio commerciali del nostro Paese. La leadership nelle rilevazioni, invece, rimarrà almeno per qualche tempo ancora una sorta di scommessa da giocarsi ad ogni bimestre a seconda anche degli investimenti effettuati sul brand”. Infine Carlo Mandelli, ad di Monradio Mondadori, si dichiara soddisfatto dei risultati di R101, ormai stabile sui 2 milioni di ascoltatori. “Abbiamo registrato la miglior crescita, +40%, fra il 2006 e il 2007”.
Via Pubblicità Italia
Capita che L'Oreal apra dei negozi per sole 5 settimane in zone di villeggiatura alla moda. Che un punto vendita di Target apra per un mese e mezzo nel Rockfeller Center per poi chiudere e rispuntare su un battello nel bel mezzo del fiume Hudson (a NY). O ancora che Nike apra dei negozi in giro per Tokio che durino solo un paio di mesi.
Stiamo parlando dei temporary shop ovvero "negozi temporanei", che occupano per un periodo di tempo predeterminato e limitato (si va da qualche mese a pochi giorni) uno spazio in zone altamente rappresentative. L'obiettivo dichiarato è quello di creare "l'evento" e di giocare sulla curiosità indotta dalla limitatezza. Lo spazio, naturalmente, riveste un ruolo fondamentale nel successo del negozio a tempo, deve essere altamente caratteristico, perché rappresenta il packaging e lo stesso negozio è il prodotto. Così i temporary shop vengono aperti in gallerie d'arte, spazi abbandonati, in centri commerciali fortemente caratterizzati. Dopo la prima esperienza italiana del gruppo L'Oreal, arriva il negozio di Lancôme, che resta aperto per 2 settimane nel febbraio 2005 nell'esclusivissima via Sant'Andrea a Milano. A seguire questa iniziativa di marketing non convenzionale fu Levi's che dal 31 dicembre 2005, per pochi giorni e soprattutto all'improvviso, in corso Vittorio Emanuele, a Milano, dedica 250 mq all'innovativo Store. Una distribuzione di questo tipo consente al tempo stesso di testare i nuovi concept di prodotto e di trasmettere esperienze emozionali legate al brand. Una sequenza di iniziative ibride, un cocktail di eventi, promozioni e servizi offerti gratuitamente ai visitatori con conseguenze strepitose in termini di marketing convenzionale (prova prodotto, prenotazione e vendita). L’esperienza più significativa in questo ambito è sicuramente lo Store di Nivea aperto il 13 aprile e chiuso il 13 maggio 2007 con risultati eccellenti in termini di fatturato e visibilità.
Tra le più recenti esperienze va menzionata la Fuel For Life Factory lanciata da Diesel a ridosso delle feste natalizie, in cui, grazie alle 150.000 combinazioni disponibili, si aveva la possibilità di creare un vero e proprio pezzo unico, un’esemplare esclusivo e anche un’idea originale per i regali. Quale occasione migliore per entrare nella Diesel Community? La Fuel For Life Factory è una esperienza di customizzazione a 360°: si parte scegliendo il colore del pouch in pelle per decidere poi qual è il logo preferito, senza lasciare al caso nessun dettaglio.
Naturalmente ai temporary shop cominciano ad aggiungersi anche le sottocategorizzazioni: i pop-up shop. Quelli aperti all'improvviso senza annunciare nulla a nessuno e che contano solo sul tam tam sotterraneo opportunamente innescato.
Via BIweb.it
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