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Di Altri Autori (del 24/11/2015 @ 07:28:06, in Social Networks, linkato 1913 volte)

Facebook at Work è ora accessibile da una applicazione mobile ufficiale. Chiamata Work Chat, l'applicazione consente agli utenti di Facebook at Work - il social network per le aziende - di comunicare tra loro via chat, singole o di gruppo, e di effettuare chiamate vocali. Si tratta fondamentalmente di Facebook Messenger, ma esclusiva per gli utenti di Facebook for Work.

Facebook ha iniziato nelle scorse settimane il test di 'Facebook at Work', una versione professionale di Facebook che mette il social network di oltre 1 miliardo di persone in diretta concorrenza con Google, Microsoft e LinkedIn.

Facebook sta facendo tutto il possibile per monopolizzare il tempo che si trascorre on-line e, dopo aver puntato su video, messaging e notizie, ora è pronta per un portale tutto nuovo dedicato ai lavoratori. Chiamato Facebook at Work, il servizio annunciato Mercoledì funziona più o meno come la versione normale di Facebook, tranne che lo si utilizza per connettersi con i colleghi che possono o non possono essere amici nella versione normale del sito. Più importante di tutto, la combinazione di colori della schermata è diversa, quindi se avete il vostro capo dietro le spalle può con un colpo d'occhio sapere se siete su Facebook o se state ancora "lavorando" su Facebook at Work.

Per ora, Facebook dice che sta rendendo disponibile Facebook at Work ad una manciata di partner, che testeranno il prodotto prima del suo lancio ufficiale, provvisoriamente in programma per la fine di quest'anno. Facebook dice che è sta utilizzando la piattaforma internamente tra i suoi dipendenti ormai da anni.

"Abbiamo scoperto che utilizzando Facebook come strumento di lavoro rende il nostro giorno di lavoro più efficiente," Lars Rasmussen, direttore dell'ingegneria di Facebook, ha detto a Wired.com. "Efficienza" e "passare il tempo su Facebook at Work" sono termini che possono suonare come una contraddizione. Ma se Facebook può effettivamente fare uno strumento che aiuta le persone a lavorare meglio in ufficio, ben venga. Facebook fa soldi quando si spendono più ore sul sito, se sei al lavoro o a casa. Più tempo i vostri occhi sono su Facebook, più la vostra attenzione fa monetizzare l'azienda.

Facebook at Work abbiamo quindi capito che è una piattaforma diversa dal Facebook normale, ma ha le funzioni già note come la pagina News Feed, i Gruppi, messaggi diretti e gli eventi, ha spiegato Menlo Park in una una nota. "Sarà quindi possibile restare in contatto con i propri colleghi nello stesso modo in cui lo si fa con i propri amici e familiari attraverso il social network", aggiunge. Facebook at Work, concepito e realizzato per essere utilizzato all'interno delle imprese, promette "che le informazioni degli impiegati su Facebook at Work sono al sicuro, protette, confidenziali e completamente separate da quelle del proprio Profilo Facebook personale".

Altra cosa importante di 'Facebook at Work' è che le informazioni condivise tra gli impiegati sono accessibili solamente ai dipendenti della compagnia. I commenti e feedback dei primi partner che testeranno la piattaforma "saranno fondamentali al fine di costruire il miglior prodotto possibile per loro e i loro impiegati", chiude Facebook in una nota.

Via PianetaCellulare.it

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“Le imprese devono guardare ai profondi cambiamenti avvenuti nei comportamenti degli acquirenti. Investire nella digital transformation è ormai un obbligo per il Retail tradizionale, come per la quasi totalità dei settori dell’economia. Anche se l’interesse nei confronti dell’innovazione non si è ancora tradotto in investimenti adeguati, non mancano interessanti sperimentazioni: un top retailer su due punta all’omnicanalità e uno su tre all’innovazione del punto vendita”. Sintetizza così Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, quanto emerso nell’indagine condotta dall’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano che ha evidenziato i principali trend di settore. Una sintesi che arriva da diverse evidenze: la rinnovata, anche se timida crescita dei consumi degli italiani con la spesa mensile per le famiglie  aumentata dello 0,7% rispetto al 2013 e un trend positivo dei consumi è confermato anche per il 2015 (+0,8% rispetto al 2014). Ma anche il ritorno al passato, in termini monetari, al livello di spesa corrente di 11 anni fa.

Ma i consumatori italiani, sono sempre più connessi e digitali: nel 2015, gli internet user del Belpaese sfiorano quota 38 milioni, in crescita del 3% rispetto al 2014, e i web shopper arrivano a 17,7 milioni, in crescita dell’11% rispetto al 2014.

L’Osservatorio ha condotto una survey sui top retailer italiani (primi 300 retailer per fatturato, presenti in Italia con negozi fisici) in cui sono stati indagati sia il livello di adozione di 30 innovazioni digitali nel 2015 (e negli anni precedenti) sia le intenzioni di adozione per il 2016. Le innovazioni digitali sono state classificate in tre categorie: innovazioni nel back-end (processi di interazione retailer-fornitori o processi interni del retailer), innovazioni nella customer experience in punto vendita e innovazioni a supporto dell’omnicanalità. Ecco cosa è emerso.

Le principali innovazioni
In testa le innovazioni digitali nel back-end: sono quelle su cui si è investito di più e di conseguenza oggi risultano le più consolidate. L’86% del campione ha già digitalizzato almeno una parte dei processi di back-end e completerà il percorso nei prossimi anni. Se concentriamo l’attenzione sul 2015, il 40% dei retailer rispondenti alla survey ha sviluppato un progetto nel back-end. Le innovazioni che hanno catalizzato i maggiori investimenti sono le soluzioni di CRM (18% del campione), i sistemi di business intelligence analytics (21%) per mappare il comportamento dei propri clienti e le soluzioni a supporto della fatturazione elettronica e dematerializzazione (18%).

L’area che più di tutte ha attirato l’attenzione dei retailer è stata quest’anno l’omnicanalità: nel 2015 il 50% dei rispondenti ha investito in innovazioni per interagire con i propri clienti a distanza, e, più nel dettaglio, il 21% ha sviluppato o potenziato il sito informativo, il 22% ha sviluppato o potenziato il sito eCommerce, il 29% ha sviluppato l’App o Mobile site e il 18% ha implementato programmi Social.

Le innovazioni nella customer experience in punto vendita sono state introdotte dal 33% dei rispondenti. Tra quelle più adottate troviamo lo sviluppo o il potenziamento di App o Mobile site con funzionalità in negozio (27%), sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi (18%) e sistemi di sales force automation o di online selling in punto vendita (17%). “I progetti per il futuro cambiano in funzione del comparto merceologico“, afferma Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano. “L’abbigliamento punta soprattutto su soluzioni “esperienziali” all’interno del punto vendita per catturare l’attenzione dei potenziali clienti e fidelizzarli. Oltre il 40% del campione ha dichiarato di voler investire in almeno una delle seguenti innovazioni: digital signage e vetrine intelligenti e interattive, chioschi, totem o touch point, sistemi per l’accettazione di couponing e di loyalty (digitali o Mobile). L’Alimentare nel 2015 ha puntato su App o Mobile site informativi da usare a distanza o in negozio e siti eCommerce, mentre nei prossimi anni investirà su sistemi che velocizzeranno il pagamento, come sistemi di cassa evoluti e Mobile POS”.

e-Commerce e risposte del retail tradizionale
L’eCommerce, inteso come la vendita da siti italiani a consumatori italiani e stranieri, nella sola componente di prodotto, ha superato nel 2015 i 7,2 miliardi di euro (in crescita del 28% rispetto al 2014). Tra i comparti di prodotto emergono Abbigliamento (con un peso del 32% sul totale eCommerce) e Informatica ed elettronica di consumo (con il 27%). Nelle vendite eCommerce di prodotto, il peso delle Dot Com è superiore al 70%. I retailer tradizionali, nonostante abbiano nel 61% dei casi sviluppato una propria iniziativa di eCommerce, pesano ancora poco sul valore delle vendite. La convivenza con il canale tradizionale e una scarsa propensione all’innovazione hanno, in passato, rallentato diverse imprese nello sviluppo del canale online. Tuttavia sono diversi i retailer che, in questi ultimi anni, stanno approcciando l’eCommerce in modo più convinto promuovendo non solo un cambiamento tecnologico, ma anche organizzativo e culturale con l’intento di sviluppare una strategia realmente omnicanale.
“Tra i modelli omnicanale evoluti più interessanti per i retailer tradizionali troviamo il Click&collect” spiega Pontiggia, “La possibilità di ordinare online un prodotto e di ritirarlo in negozio piace non solo ai retailer, ma anche ai consumatori. Per i clienti finali il Click&collect coniuga, infatti, i principali punti di forza dei canali fisico e online: è possibile, da un lato, accedere ai prezzi e alla gamma dell’online e acquistare in qualsiasi momento (7 giorni su 7, 24 ore al giorno) e, dall’altro, vedere e provare la merce prima di finalizzare l’acquisto. Mentre nell’Abbigliamento e nelle Profumerie il Click&collect è tuttora offerto da una minoranza di retailer (circa il 20% dei siti eCommerce), nell’Alimentare e nell’Informatica ed elettronica di consumo è una pratica molto più diffusa (oltre il 70% delle inziative). Chi ha implementato in maniera convinta il Click&collect, registra oltre il 30% del totale ordini eCommerce attraverso questa modalità”.

I retailer medio-piccoli
I retailer medio-piccoli utilizzano l’innovazione digitale per migliorare l’esperienza dei propri consumatori in negozio e per rendere più efficienti i processi di back-end, mentre l’omnicanalità non è ancora una priorità. L’88% dei rispondenti dichiara, infatti, di aver investito in almeno un’innovazione digitale per migliorare la customer experience. 8 rispondenti su 10 pubblicizzano la propria attività commerciale tramite almeno un canale innovativo (sistemi di pubblicità via web, email, Sms o Social Network), 6 su 10 hanno attivato sistemi promozionali (via Sms o con coupon digitali), 3 su 10 hanno adottato sistemi di sales force automation o installato sistemi di cassa evoluti e Mobile POS, 2 su 10 hanno attivato sistemi di loyalty (tramite carta dotata di banda magnetica o codice a barre) e meno di 1 su 10 ha installato chioschi, totem o touch point all’interno del negozio per fornire informazioni aggiuntive ai propri consumatori.
Il 60% dei rispondenti ha abilitato innovazioni a supporto dell’omnicanalità, anche se con un approccio molto timido. 6 rispondenti su 10 sono presenti online con un sito informativo, ma solo 2 su 10 permettono di acquistare online (sito eCommerce) o hanno attivato una presenza sul Mobile (con App o Mobile site).

Via Tech Economy

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Le festività natalizie si avvicinano e con esse analisi e previsioni dei principali trend di shopping e comportamento di consumo degli utenti quando si parla di acquisti digitali. Quest’anno Dynatrace ha annunciato i risultati di una ricerca sul mobile shopping realizzata intervistando oltre 5.000 utenti mobile: ne emerge un quadro interessante con i giovani tra i 18 e 34 anni posti alla guida di una nuova richiesta di eccellenza nel campo delle prestazioni digitali.

I Millennials sono sempre più mobile, social e si aspettano una qualità superiore nell’esperienza online rispetto alle generazioni precedenti. Questo dato è certo: “quest’anno il mobile shopping batterà tutti i record e il prezzo da pagare per quei rivenditori che non forniscono esperienze digitali di qualità sarà molto più elevato. Siamo in grado di prevedere il futuro del retail, proprio guardando a quello che i consumatori da mobile di età compresa tra i 18 e i 34 anni stanno facendo adesso. Chiedono un’esperienza di acquisto impeccabile e se vengono delusi sono pronti a lamentarsi sui social media”, spiega Erwan Paccard, Director of Omnichannel Strategy di Dynatrace. “Questo ‘Ritorno al futuro’ guidato dai Millennials sta cambiato il mondo della vendita al dettaglio per sempre. Le aziende vinceranno o falliranno in base alla loro capacità di fornire grandi esperienze ai clienti rispetto a ogni possibile punto di contatto digitale”.

Le principali evidenze

Smartphone e tablet sono lo strumento preferito per lo shopping online attraverso web, mobile web e applicazioni mobile:  il 60% dei Millennials e il 42% di tutti gli utenti mobile hanno in programma di utilizzare il proprio smartphone o tablet per lo shopping natalizio di quest’anno. Il sorpasso rispetto al negozio fisico tradizionale è vicino: globalmente il 50% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha dichiarato che farà shopping più dal dispositivo mobile che fisicamente in negozio. In UK il dato raggiunge il 60%.

Altra evidenza: gli acquisti in store sono ormai integrati nel digital shopping.  Più di un utente mobile su quattro (27%), infatti, e quasi 4 su 10 nel caso dei Millennials (37%) userà il proprio dispositivo per fare acquisti quando si trova in un negozio in cerca di regali. Il 62% dei Millennials utilizzerà il dispositivo per confrontare i prezzi, leggere le recensioni sui prodotti e scaricare coupon. Negli Stati Uniti in trend è più forte e il 71% dei consumatori entrerà nei negozi con il proprio smartphone per questo motivo.

Attenzione, suggerisce la ricerca, alle prestazione tecniche di app e siti: il 75% degli intervistati e l’81% dei Millennials abbandoneranno l’acquisto e si rivolgeranno altrove se il sito mobile o l’applicazione mobile presenteranno bug, saranno lenti o soggetti a crash. Gli utenti mobile in Germania perdoneranno ancora meno e l’abbandono dell’acquisto avverrà nell’87% dei casi. Considerando che, in caso di malfunzionamento, solo il 68% proverà in futuro a riutilizzare ancora una volta il sito mobile o l’app, la perdita dei possibili acquirenti si rivela immediata e consistente: il 32% di essi.

Il che dimostra come le app mobile si riveleranno una parte importante delle strategie omnicanale per chi fa commercio online: il 54% dei Millennials preferisce utilizzare le applicazioni specifiche dell’azienda scaricate da un app store per lo shopping online, invece che i siti web aziendali. La motivazione indicata dal 62% di essi è che le applicazioni mobile specifiche dell’azienda garantiscono una migliore esperienza utente rispetto alle prestazioni di un sito web. In UK anche questa percentuale è più elevata con il 71% dei Millennials che ha indicato le mobile app come preferenza.

Via Tech Economy

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Sono sempre di più gli italiani che scelgono di acquistare i regali di Natale online, confermando il periodo delle festività come quello di picco per lo shopping digitale. Lo rivelano i numeri e le previsioni che in queste ore si stanno moltiplicando per dare conto di un fenomeno che continua ad avere un andamento positivo.

natale“Per questo Natale (nei mesi di novembre e dicembre) saranno spesi online oltre 3,5 miliardi di euro (oltre il 20% della domanda online annuale), con una crescita del 16% rispetto al 2014.” afferma Alessandro Perego, Direttore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, dando conto di quanto emerso dall’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – School of Management del Politecnico di Milano relativamente agli acquisti online nel periodo natalizio (novembre-dicembre). ”Per il periodo natalizio saranno 27 milioni gli ordini conclusi via Internet, a testimonianza di un utilizzo sempre più consapevole del canale da parte dei consumatori italiani.”

Anche nel Bel Paese le giornate dedicate allo shopping come il Black Friday e del Cyber Monday stanno acquisendo, sul canale online, sempre più importanza: alcuni operatori hanno realizzato in due giorni oltre il 5% del totale fatturato online, circa 10 volte il valore delle vendite registrate nello stesso intervallo di tempo in altri periodi dell’anno. Negli Stati Uniti il fenomeno è ancora più rilevante: quest’anno oltre il 50% dei consumatori americani ha fatto acquisti online e il valore delle vendite eCommerce in queste due giornate ha superato quello dei negozi tradizionali. “Nel nostro Paese, la gran parte degli regali riguarderà prodotti tecnologici (smartphone, ma anche smartwatch, tv e tablet), capi di abbigliamento e accessori (borse e gioielli in primis), oggetti di design e cosmetici“, afferma Riccardo Mangiaracina del Politecnico di Milano. “Sempre sull’online, andranno molto bene i libri (sia fisici sia ebook), i giocattoli e i prodotti enogastronomici di nicchia. Da quest’anno si ricorrerà sempre più al canale online per addobbare casa con decorazioni natalizie uniche e originali e per acquistare cibo legato alla tradizione (panettone, torrone, frutta secca) o vino (spumante), in vista del pranzo di Natale e del cenone di Capodanno.”

Bene anche le stime sullo shopping online che arrivano dalla ricerca condotta da Netcomm, Consorzio del Commercio Elettronico Italiano in collaborazione con Human Highway, che ha analizzato la propensione all’acquisto online su un campione formato da uomini e donne di età superiore ai 18 anni, residenti su tutto il territorio nazionale e rappresentativi della popolazione italiana che si connette alla Rete con regolarità almeno una volta alla settimana. La ricerca si è concentrata sugli ultimi 3 mesi con un focus particolare sulla propensione verso gli acquisti natalizi. Cosa è emerso?
Nel 2015 il tasso di crescita del numero di coloro che decideranno di acquistare almeno un regalo in rete sarà superiore a quello dei consumatori che decidono di acquistare su internet durante tutto l’anno.Se nel 2014 erano 7,4 milioni gli individui che sceglievano di acquistare su internet almeno un regalo, quest’anno la cifra registrerà +22%, attestandosi a 9 milioni di acquirenti.

Le cifre confermano come lo shopping online nel periodo natalizio sia divenuta ormai una consuetudine, o la nuova normalità: nel 2012 era 580 mila gli individui che acquistavano la maggior parte dei regali di Natale online; nel 2015 gli italiani che scelgono l’online come primo o esclusivo canale di «approvvigionamento» per i regali di Natale sono quasi un milione e mezzo.
Un tendenza in continuo aumento e confermata dalle intenzioni rispetto ai volumi di acquisto per la stagione 2015: il 34% degli acquirenti online dichiara infatti che quest’anno farà più acquisti di regali di Natale online rispetto all’anno scorso. Allo stesso modo, la percentuale di acquirenti orientati a fare meno acquisti di regali online scende (-15,9%), indice che lo shopping in rete rappresenta una soluzione comoda nonché una risorsa per il consumatore italiano, sempre più soddisfatto e capace di apprezzare il commercio elettronico come una valida opportunità.

“Abbiamo stimato in 3,1 miliardi di euro il totale di acquisti online che saranno effettuati nei 45 giorni che precedono il Natale e ben 1,8 miliardi sono attribuibili ad acquisti di prodotti fisici – dichiara Roberto Liscia, Presidente di Netcomm, Consorzio del Commercio elettronico italiano.”

Lo shopping natalizio nel mondo
A livello globale, secondo una analisi Demandware, queste 5 settimane rappresenteranno il 22% del totale degli ordini di quest’anno, rispetto al 21% del 2014; l’aumento va attribuito alla presenza di un giorno in più di shopping, da calendario, a disposizione tra il Giorno del Ringraziamento e Natale. Negli Stati Uniti, Demandware prevede che la percentuale degli ordini durante il periodo di picco sarà leggermente superiore – dal 23% dello scorso anno al 25% del 2015. Non sorprende che Demandware stimi un deciso aumento nelle transazioni nel periodo compreso tra il Black Friday e il Cyber Monday. Per la società il “venerdì nero” rappresenterà il 23% degli ordini della ‘settimana cibernetica’ – in crescita del 10% su base annua – avvicinandosi al 25% degli ordini stimati durante ilCyber Monday.
La previsione è di un aumento del 22% delle visite per questo periodo di picco rispetto allo stesso periodo del 2014: i consumatori visiteranno lo stesso sito il 6% in più; su di esso ci sarà una crescita della spesa pari al 3%. Grazie all’aumento degli acquisti effettuati tramite più dispositivi e al miglioramento nell’utilizzo di device mobili per lo shopping, è possibile che tali dispositivi saranno largamente responsabili dell’aumento delle visite.

“I consumatori sono più propensi a effettuare acquisti utilizzando dispositivi differenti, ed è compito dei retailer unificare l’esperienza di acquisto del cliente attraverso smartphone, tablet e computer” spiega Elana Anderson, Senior Vice President of Worldwide Marketing di Demandware. “Il segreto è creare la connessione per il cliente e per ognuno attuare un’esperienza di acquisto valida e personalizzata adattando ad ognuno le attività di commercializzazione e sfruttando i nuovi modi con cui i consumatori interagiscono con i brand – che si tratti di utilizzare i carrelli come liste dei desideri, visitare i siti tramite dispositivi mobile o l’interminabile ricerca del miglior affare”.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 11/12/2015 @ 07:48:35, in Pubblicità, linkato 2450 volte)

A stilare la classifica è The Gunn Report. Presente anche un’agenzia italiana: la milanese RSCG MCM
Le migliori pubblicità dei primi anni del 21esimo secolo: è la singolare classifica stilata da The Gunn report, sulla base dei voti espressi da un panel di 1.754 persone. A ognuno degli intervistati è stato chiesto di scegliere i più bei 10 spot all’interno di una rosa preselezionata di 30. Le pubblicità opzionabili erano state mandate in onda tra il 2000 e il 2015. “Siamo stati molto contenti che l’adesione alle votazioni sia stata alta”, ha commentato Donald Gunn, fondatore di The Gunn Report: “Queste pubblicità non solo durano nel tempo, ma hanno anche influenzato il mondo della comunicazione di marca”.


LA CREATIVITÀ PARLA INGLESE

A dominare sono però soprattutto le agenzie creative inglesi: sei dei 20 spot sono stati realizzati nel Regno Unito. In particolare Fallon London e Wieden & Kennedy appaiono per ben due volte: la prima ha creato la pubblicità "gorilla" del 2007 per Cadbury's Dairy Milk e “Balls” per il televisore Lcd di Sony, mentre la seconda ha realizzato gli spot di Honda “The Cog” e “Grr”. Le altre realtà “british” sono Leo Burnett London e Abbott Mead Vickers BBDO. In classifica svetta anche un’italiana: la milanese RSCG MCM con la pubblicità per Peugeot 206 “Lo scultore”. Ecco, nella playlist qui di seguito, le migliori 20 pubblicità:

Buenos Aires - 2) Budweiser "wassup/true" di DDB, Chicago - 3) Cadbury's Dairy Milk "gorilla" di Fallon, Londra - 4) Canal+ "closet" di BETC Euro RSCG, Parigi - 5) Canal+ "the bear" di BETC Euro RSCG, Parigi - 6) Chipotle "back to the start" di Creative Artists Agency, Los Angeles - 7) Dove Self Esteem Fund "evolution" di Ogilvy & Mather, Toronto - 8) Guinness "noitulove" di Abbott, Mead Vickers BBDO, Londra - 9) Happy Dent Teeth Whitening Gum "happy dent palace" di McCann Erickson, Mumbai - 10) Honda "cog" di Wieden & Kennedy, Londra - 11) Honda "grrr" di Wieden & Kennedy, Londra - 12) John West Salmon "bear" di Leo Burnett Londra - 13) Metro Trains "dumb ways to die" di McCann, Melbourne - 14) Nike "tag" by Wieden & Kennedy, Portland - 15) Nike "write the future" di Wieden & Kennedy, Amsterdam - 16) Old Spice "the man your man could smell like" di Wieden & Kennedy, Portland - 17) Peugeot 206 "the sculptor" di Euro RSCG MCM, Milano - 18) Sony Bravia LCD TV "balls" di Fallon, Londra - 19) Volkswagen Golf DSG "kids on steps" di DDB, Berlino - 20) Volvo Trucks "epic split" di Forsman & Bodenfors, Göteborg.

Via Business People

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Di Altri Autori (del 14/12/2015 @ 07:52:35, in Internet, linkato 1847 volte)

Audiweb distribuisce il nastro di pianificazione, Audiweb Database, con i dati dell’audience totale di internet (total digital audience) del mese di ottobre 2015.

Il nastro di pianificazione, distribuito alle software house e fruibile attraverso i tool di pianificazione, offre il dettaglio dei dati della navigazione quotidiana sui siti degli editori iscritti al servizio, organizzati per device, PC e Mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni).

I nuovi dati sull’audience totale di internet e sulla fruizione dell’online da desktop e da device mobili sono disponibili anche sulla piattaforma Audiweb View per la consultazione dei dati mensili su tutto il mercato online.

Sintesi dei dati dell’audience totale di internet – Audiweb Database, ottobre 2015

L’audience totale di internet nel mese di ottobre risulta pari a 29.5 milioni di utenti unici, il 53,4% degli italiani dai 2 anni in su.

Nel giorno medio erano online da tutti i device rilevati (PC, smartphone e tablet) 22.3 milioni di utenti, collegati in media per quasi 2 ore per persona.

Più in dettaglio, in base ai dati sui device da cui si accede a internet, risultano 18.2 milioni gli utenti unici online da device mobili (smartphone e tablet), il 41,2% degli italiani tra i 18 e i 74 anni, e 12.6 milioni da PC, il 22,8% degli italiani dai 2 anni in su.

Per quanto riguarda il profilo dei navigatori nel giorno medio, risultano online il 41% degli uomini (11.3 milioni di uomini dai 2 anni in su), il 40% delle donne (11.1 milioni) e il 66,3% dei giovani tra i 18 e i 24 anni (2.8 milioni), 3 giovani su 5.

È online il 57,6% dei principali responsabili d’acquisto (10.8 milioni di italiani tra i 35 e i 54 anni) e, sebbene per il segmento 55-74 anni l’accesso a internet nel giorno medio sia ancora limitato al 24,8%, si registra un incremento del 32% in un anno degli utenti di questa fascia online da mobile.

Dai dati sulla provenienza geografica, risultano online nel giorno medio il 39,4% degli abitanti dell’area Nord Ovest (4.5 milioni), il 38,8% del Nord Est (2.9 milioni), il 35,6% del Centro (2.4 milioni) e il 33% dell’area Sud e Isole (5.8 milioni).
Gli italiani online dedicano alla navigazione circa 45 ore e 53 minuti complessivi nel mese, quasi due interi giorni per persona.

Tra i raggruppamenti di siti più visitati nel mese, si confermano le sotto-categorie di siti e applicazioni di ricerca “Search” (il 92% degli utenti online, 27 milioni), i portali generalisti “General Interest Portals & Communities” (il 90,2%, 26.6 milioni di utenti unici), i social network “Member Communities” (l’87,4%, 25.8 milioni di utenti unici) e, per i siti di intrattenimento e informazione, le sotto-categorie “Videos / Movies” (l’81,3%, 23.9 milioni di utenti) e “Current Event e Global News” (il 68,8%, 20.3 milioni di utenti che visitano siti di news).

Rilevanti anche i valori delle sotto-categorie di siti dedicati alle attività più pratiche e quotidiane, quali: gli acquisti online, con 21.7 milioni di italiani online che visitano siti di e-commerce, (sotto-categoria “Mass Merchandiser”), la gestione della posta elettronica, con 22.4 milioni di utenti (sotto-categoria “Email”), la consultazione di strumenti utili per la ricerca e l’approfondimento con 17.8 milioni di utenti ( sotto-categoria “Research Tools”) o di mappe e informazioni utili per viaggiare, con 17.8 milioni di utenti (sotto-categoria “Maps/Travel Info).

Via Spot and Web

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Di Gianluigi Zarantonello (del 15/12/2015 @ 09:00:00, in Digitale, linkato 2234 volte)

Lo spunto per questo contributo viene dall’interessante evento Digital Analytics Day cui ho avuto modo di partecipare qualche tempo fa dove, non a caso, la questione delle reportistiche per una logica data driven è stata toccata in molti interventi.

Tra gli altri cito quello di David McCandless, da cui ho tratto l’immagine sotto e che qui racconta appunto che cosa serve per una buona data visualization

what makes a good data visualization -

what makes a good data visualization – source http://www.informationisbeautiful.net/

 

Il valore della data visualization

Il punto di partenza è semplice, abbiamo montagne di dati e, posto di gestirli già in modo corretto, non è facile renderli leggibili e interessanti. Ecco che la visualizzazione diventa un mezzo potente ed efficace per comunicare ma anche per mostrare in maniera intuitiva le correlazioni più o meno nascoste.

L’obiettivo diventa quindi di raccontare storie ricche di senso e per essere di facile lettura, la presentazione deve essere creata da chi capisce i valori del business di riferimento e diventa quindi più complessa la skill per la preparazione dello storytelling.

Sicuramente questo si innesta anche nel grande trend della prevalenza del modo visivo di fruire le informazioni, testimoniato dalla diffusione delle infografiche ma anche di molti social largamente visivi come Instagram o Pinterest.

L’imperativo di rendere i dati azionabili e utili

Ecco quindi perché la visualizzazione assume sempre maggiore importanza: i dati ormai sono percepiti come centrali in molti ambiti aziendali, nel marketing come nell’HR management, e quindi il tema diventa sempre più quello di avere i dati corretti nel momento corretto, piuttosto che un grande volume che risulta invece non azionabile.

report, Measurement and Analytics 2015

source: report, Measurement and Analytics 2015 https://econsultancy.com

 

Come salta all’occhio dal grafico qui sopra, tratto da un report di Econsultancydecresce infatti la percentuale di aziende che dicono che l’analisi dei dati produce sicuramente raccomandazioni attuabili che fanno la differenza per la propria organizzazione: solo il 23% degli intervistati, rispetto al 40% dello scorso anno, un pesante calo del 43%. Quindi il bisogno di capire meglio i propri dati urge, decisamente.

Citando un recente documento di SAS, ecco che la data visualization viene in aiuto dato che “levisualizzazioni aiutano la gente a vedere cose che non erano loro evidenti prima. Anche quando i volumi di dati sono molto grandi, i modelli possono essere individuati rapidamente e facilmente. Effetti grafici trasmettono le informazioni in modo universale e rendono semplice condividere idee con gli altri. Consentono alle persone di chiedere ad altri: vedete quello che vedo io?”.

La cultura del dato, a che punto siamo?

Riprendo infine su questa domanda quanto scrissi quasi un anno fa, parlando dei risultati dell’Osservatorio Big Data e Business Intelligence del Politecnico di Milanoin attesa a fine mese del nuovo rapporto. All’epoca solo il 17% delle aziende lamentava infatti carenze di software adeguati, mentre nel convegno e nella ricerca si parlava molto di Data scientist e Chief Data Officer, che perònon erano previsti nemmeno nel futuro dal 73% delle organizzazioni e hanno invece un ruolo formalizzato nel 2% (è presente in qualche modo in altro 11%).

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Vedremo se quest’anno le cose cambieranno, almeno dei numeri. E nel mentre, speriamo che un nuovo modo di vivere e presentare il dato possa aiutare l’adozione di una nuova cultura data driven, che usi creatività e scienza in modo dinamico e combinato.

Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com

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Uno dei tanti problemi che affliggono le aziende e i dipendenti minando la produttività, è la distrazione: i social network site, se non usati in modo professionale, sono uno degli elementi principali di disattenzione per i dipendenti e per i professionisti. Facebook ha però pronta una soluzione a pagamento per risolvere il problema: “Facebook at Work”, la versione professionale di Facebook che è stata definitivamente annunciata e verrà lanciata tra qualche mese.

Dopo circa un anno di test, Facebook ha dichiarato che il servizio è ormai pronto per essere raccolto da tutte le aziende interessate: sarà completamente orientato alla collaborazione sul luogo di lavoro ma si presenta, nella sua struttura, in modo praticamente identico al classico Facebook, con un newsfeed, i tasti di condivisione, i like e un proprio servizio di messaggistica.

“Direi che il 95 per cento di quello che abbiamo sviluppato per Facebook è adottato anche per Facebook at Work,” ha dichiarato Julien Codorniou a Reuters, attualmente coordinatore delle partnership a livello mondiale di Facebook. La differenza fondamentale è che gli utenti di Facebook at Work avranno profili speciali distinti dai loro profili Facebook già esistenti. La società sta inoltre sviluppando prodotti esclusivi per Facebook at Work, tra cui strumenti e sistemi di sicurezza appositamente dedicati, ha aggiunto Codorniou.

Come è possibile leggere direttamente sul sito di Facebook, “con un account Facebook at Work, puoi usare gli strumenti di Facebook per interagire con i colleghi” e inoltre “i contenuti che condividi usando il tuo account di lavoro saranno visibili solo alle altre persone della tua azienda”. Si tratta, in sostanza, di un modo per comunicare all’interno delle organizzazioni sfruttando la piattaforma consolidata, impedendo forme di distrazione e ottimizzando la comunicazione.

Facebook ha iniziato i test del servizio a gennaio e ha mantenuto l’accesso alla piattaforma solo su invito, ma a breve sarà aperta a tutte le aziende con un pagamento di “un paio di dollari al mese per utente” per alcuni servizi premium, come la dashboard degli analytics o gli strumenti dedicati al CRM. Un modello che sembra convincente dato che già più di 300 aziende, tra cui Heineken, Royal Bank of Scotland e la gioielleria Stella and Dot, utilizzano il nuovo sistema.

Codorniou ha dichiarato che in sostanza, si tratta della versione normale di Facebook tranne che per alcune eccezioni o limitazioni, ad esempio, conclude “non si potrà giocare a Candy Crush”.

Via Tech Economy

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Di Altri Autori (del 17/12/2015 @ 07:36:11, in Tecnologie, linkato 1789 volte)

Secondo Gartner nei mercati maturi entro il 2018 una persona su due pagherà con i dispositivi mobile e i wearable. I portafogli elettronici legati a specifici brand tuttavia non avranno fortuna, a vantaggio dei servizi cloud based universali

Secondo Gartner, il 50 percento dei consumatori nei mercati maturi userà smartphone e dispositivi wearable per i pagamenti in mobilità. Questa la previsione per il 2018 che riguarda Giappone, Nord America e altri Paesi dell’Europa Occidentale. Amanda Sabi, analista presso Gartner va oltre: “L’innovazione portata dalle app e i servizi di telefonia mobile stanno rivoluzionando i modelli di business e il modo in cui le persone usano la tecnologia per produttività e piacere”. Torna il tema della centralità del cliente che deve essere ‘conosciuto’ non solo come “record” di un database, altrimenti si rischia di fallire.

Gartner tenta una classificazione dei pagamenti mobile: pagamenti con smartphone e indossabili, portafogli mobile offerti già oggi dai retailer (ma non in Italia), come Starbucks, e infine sistemi di pagamento mobile offerti da banche o dagli istituti di carte di credito tramite servizi specifici.

Gartner – I pagamenti con smartphone e wearable sono trend ineluttabile, ma vinceranno i modelli di servizio cloud-based non legati ai brand dei device
Secondo Gartner i sistemi di pagamento mobile tramite la tecnologia NFC non avranno un futuro brillante nel breve/medio termine per mancanza di partnership realmente globali tra i retailer e le organizzazioni finanziarie, e anche per sfiducia da parte dei clienti. Secondo Annette Jump, research director di Gartner, infatti: “Qualsiasi sistema di pagamento mobile legato a uno specifico device avrà un’adozione limitata, e possibilità di fare bene solo di fronte a una base di market share veramente dominante, invece una soluzione cloud-based avrà migliori chance perché intrinsecamente la base di utilizzatori è più estesa, se non universale, sia per quanto riguarda le possibilità di utilizzo da parte dei clienti, sia per chi vende”. Gartner rileva inoltre che in ogni caso i sistemi di pagamento mobile e l’adozione di portafogli mobile richiedono Paese per Paese un impegno ad investire in accordi e infrastrutture.

Quando si parla inoltre di tecnologie ‘personali’ ecco due trend che le cifre raccontano molto bene.

Nel 2018 il 75 percento del contenuto TV-Style sarà guardato attraverso servizi basati su applicazioni nei mercati maturi, con uno shifting dal modello di pay-tv alle sottoscrizioni di Video On Demand – cioè servizi come Netflix e Hulu Plus – in cui è l’utente a configurarsi completamente il palinsesto. In Italia vediamo bene in atto questa trasformazione anche da parte di Sky, che è già riuscita a predisporre questa modalità per alcuni canali (i film, per esempio). Gartner conferma che è questa la strada giusta, per gli operatori delle Pay-TV per fronteggiare l’invasione delle App.
Entro il 2019, il 20 percento degli utenti nei mercati maturi sottoscriverà esclusivamente piani dati e intenderà servirsene indipendentemente dal device utilizzato e da dove viene utilizzato, pretendendo o aspettandosi un’esperienza di connettività continua anche fuori dal proprio ufficio e dalle mura domestiche, quindi con la connettività offerta dal provider anche in strada. Vi sono però disparità significative nel consumo di banda larga nei mercati emergenti e in quelli maturi. nei mercati emergenti la connettività alle reti cellulari è decisamente tendenza più marcata, rispetto ai mercati maturi.

Via TechWEEKeurope

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Di Admin (del 18/12/2015 @ 07:48:10, in Social Networks, linkato 2171 volte)

La moda e il lusso corrono su Instagram. Lo dicono i numeri del social network, condivisi in esclusiva con Pambianco Magazine, relativi alla classifica dei brand che meglio hanno performato nel 2015. Tra i primi posti della lista globale dei marchi, gli unici account extrasettore sono quelli di Instagram stesso, di squadre sportive (Fc Barcellona, Manchester United, Nba), di media (National Geographic, 9gag, Vogue) e, a sopresa, della Nasa. Per il resto, a farla da padrone sono marchi di abbigliamento e accessori, con un buon alternarsi tra firme del lusso ed etichette del fast fashion. Questo tema verrà approfondito nel prossimo numero di Pambianco Magazine, in uscita ai primi di gennaio.

In cima alla classifica del settore (e al terzo posto globale), con i suoi oltre 28 milioni di seguaci, c’è Nike: il colosso americano dell’outerwear, nel 2015, ha più che raddoppiato i propri fan, guadagnandone quasi 20 milioni soltanto quest’anno. Segue a ruota, con 25 milioni, il marchio di lingerie sempre statunitense Victoria’s Secret che quest’anno ha accresciuto del 71% gli utenti che seguono il suo profilo. Al terzo posto del comparto, e nono a livello complessivo, c’è il fast fashion di H&M che segue i primi due a una distanza non indifferente, con i suoi ‘soli’ 10 milioni e mezzo di fan (+64 per cento). Man mano che si scende di posizione, la classifica testimonia come moda e lusso si sappiano ben muovere nel digitale, e quanto siano in grado di ‘fidelizzare’ i propri fan anche sul web: tutti i marchi della moda nel 2015 hanno fatto registrare una crescita a due cifre, e spesso sopra il 50%, dei propri follower su Instagram. Sotto al podio si trovano i nomi di Chanel, Zara, Adidas, Victoria Beckham, Dior. E proseguendo, la situazione non cambia: gli ‘igers’ di tutto il mondo dimostrano di avere un debole per moda e lusso.

Via PambiancoNews

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