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 mymarketing.it: e tu cosa ne pensi?... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Altri Autori (del 09/10/2006 @ 08:39:06, in Segnalazioni, linkato 2020 volte)

Il programma propone un'ampia panoramica della creatività mondiale, con spot nuovi e grandi classici, pubblicità inedite o censurate, filmati ironici o spettacolari che, esattamente come per il cinema, sanno provocare emozioni negli spettatori e raccontare storie a volte toccanti e coinvolgenti, il tutto in poco più di trenta secondi.

Tra le curiosità di quest'anno:
- il meglio della produzione pubblicitaria francofona
- le stelle del cinema in pubblicità
- le campagne choc e i grandi spot umanitari
- il Brasile: per festeggiare i 25 anni di cinema pubblicitario brasiliano
- la Corea
- una sorpresa per gli amanti della saga di Star Wars
- gay friendly advertising
- i grandi classici de La Notte dei Pubblivori

Questo il calendario degli appuntamenti:
- Genova - 6 ottobre - Cinema Universale
- Bologna - 7 ottobre Auditorium - Teatro Manzoni
- Firenze - 13 ottobre - Teatro Cinema Odeon
- Roma - 20 ottobre - Cinema Adriano
- Bari - 21 ottobre - Teatro Kursaal Santa Lucia
- Milano - 27 ottobre – Superstudiopiù.

Per informazioni: http://www.lanottedeipubblivori.it

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Di Roberto Venturini (del 06/10/2006 @ 07:18:53, in Marketing, linkato 2388 volte)
Da adesso lo spot televisivo si compra "off the shelf", già pronto...

Una volta si andava tutti dal sarto, a farsi fare i vestiti su misura.
Poi è arrivata l'industria della confezione - dove non solo ci sta bene di comprare capi fatti in grande serie e che non si adattano perfettamente alle nostre forme - ma godiamo del indossare esattamente lo stesso capo che milioni di altre persone indossano.

Se l'abito non fa il monaco, la comunicazione fa l'azienda - e la regola storica della comunicazione TV era quella di investire tempo e denaro per farsi realizzare uno spot ad hoc, strategicamente e creativamente adatto a noi (sempre che l'agenzia fosse brava e curasse i nostri interessi, non solo i suoi).

Le cose stanno però cambiando: Spot Runner, una startup di San Francisco (e mi pare non sia la sola) propone ai clienti di comprare degli spot già belli e pronti, a scaffale.

L'azienda sceglie dal sito, il commercial che più gli piace e se lo fa solo personalizzare (modello Vistaprint). In aggiunta Spot Runner si può occupare anche della pianificazione media, il tutto a partire dalla ridicola cifra di 500 dollari - anche grazie alla capacità del sistema informatico di Spot Runner di lavorare sugli spazi televisivi invenduti (e quindi che vengono via per poco)

Insomma una comunicazione che magari non ci starà benissimo addosso, sarà un po' generica, sarà quasi identica a quella di altre aziende... ma che ha il vantaggio di costare poco.

E sospetto che, rispetto al lavoro che possono fare "ad hoc" certe agenzie da poco e poco professionali, il danno che può fare Spot Runner all'azienda non sia maggiore... (quanto ai risultati.. beh si sa, quella è un'altra storia - e spesso un terno al lotto).
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Di Danilo Arlenghi (del 04/10/2006 @ 07:33:54, in Marketing non convenzionale, linkato 6587 volte)

"Un bravo ed attento marketer non può non tener conto dei cambiamenti socio economici del contesto in cui si misura, cosi come un buon comunicatore non è tale se non presta attenzione all'evolversi dei diversi linguaggi con i quali si confronta". Assunto realistico e veritiero questo del Cluetrain Manifesto. Infatti tutto cambia! E’ nello stato naturale delle cose. E così in un mondo ipervelocizzato mutano repentinamente gli stili di vita, le abitudini d’acquisto, i comportamenti di consumo, i desideri, i bisogni, le motivazioni e le aspettative degli individui e dei consumatori/acquirenti. Cambiano quindi i profili dei consumatori: le diverse fasce di età si differenziano sempre di più come gusti e preferenze. Il consumatore chiede che i suoi desideri vengano riconosciuti e che abbiano una adeguata risposta. Non vuole più essere considerato solo un mero numero o segmento nella quota di mercato, una astratta entità quantitativa sociale, ma aspira ad essere apprezzato come un individuo con tanto di emozioni, passioni, e raziocinio. Vuole essere informato, conosce i propri diritti e decide a chi assegnare le proprie preferenze in base a fattori come: nozioni complete sul prodotto, genuinità, affidabilità ed efficienza, provenienza, sicurezza e modalità d’uso. In poche parole sembra quasi silenziosamente chiedere un contatto diretto con il brand , una esperienza ravvicinata attiva e positiva con il prodotto. E’ fondamentale dunque e consequenziale che alla luce di ciò anche le imprese trasformino le loro tattiche e strategie di marketing e adeguino le tecniche e gli strumenti di comunicazione ai nuovi mercati ed ai nuovi scenari che si profilano all’orizzonte.


Innovazione è la parola d'ordine. Innovare ossia differenziare anche e soprattutto le funzioni, i paradigmi, le attività e le iniziative di marketing e di comunicazione per essere più attuali, più vicini ai nuovi consumatori.
Nella mar-com e business community le vie del marketing e della comunicazione sono (quasi) infinite.
E soprattutto in questi anni di profonde e sostanziali evoluzioni di queste stesse discipline, non smettono di aprirsi nuovi percorsi. Logico quindi che fra tante e nuove rotte si finisca a che fare con una comunicazione ed un marketing diversi, definiti non convenzionali. Tra gli addetti ai lavori sono intesi come marketing e comunicazione alternativi, inusuali, innovativi, creativi, fuori dai canoni e dagli schemi tradizionali, insomma originali, e sono percepiti, talvolta, come addirittura estremi. Non disturbano, sono poco invasivi , sono attraenti, stupiscono e si fanno notare e ricordare moltissimo. Il vecchio marketing e la vetusta comunicazione R.I.P (riposano in pace).


I nuovi modelli non convenzionali sono sempre più utili ed indispensabili per fronteggiare le esigenze più attuali dei consumatori che 'sentono' istanze differenti da quelle precendenti, anche di un passato molto recente, e credono in nuovi valori. E così in tempi in cui si parla di "lifetime value dei clienti", di "creazione del valore", di personalizzazione e di spettacolarizzazione, assintendo al passaggio epocale dall'Advertising all'Advertainment e del lento e graduale cambiamento dalla < customer experience > alla < human experience > molti manager aziendali preferiscono starsene nelle confortevoli sale riunioni dei piani alti a guardare tutti (clienti soprattutto) dall'alto. Senza scendere in strada. Per magari mettersi a fianco del cliente, ascoltarlo, rimettersi in discussione, cambiare. Per assecondare le aspettative ed i bisogni palesi e latenti dei nuovi 'clienti' che si delineano sulla scena. Per assecondare la società che muta nelle forme e nei contenuti: giovani informatizzati, anziani che stanno contribuendo alla crescita di un nuovo mercato, insediamenti di comunità etniche multirazziali, flussi migratori che generano nuove classi sociali, nuovi paradigmi esistenziali che danno vita a maggior disponibilità di tempo libero. Per attrarre target ormai impermeabili ai classici messaggi pubblicitari , refrattari ai più comuni mezzi e forme di comunicazione e non più segmentabili con i consueti criteri socio-demografici. Per rispondere ad una serie di fenomeni che stanno modificando il nostro modo di relazionarci con il mercato.


E' quindi inutile pensare di comunicare in modo tradizionale, in un mercato che tradizionale non è più. E' indispensabile utilizzare nuovi assets comunicazionali in modo più mirato, relazionale, esperienziale, one-to-one, one-to-each, tailor made, glocal, con investimenti ragionevoli, e in modo socio-compatibile.
Gli approcci alle innovative tecniche di comunicazione e di marketing non convenzionale si basano sullo studio "dal basso" della psicologia del target, delle leve razionali ed emozionali, dello spazio-ambiente in cui si muove, delle necessità o voluttà che lo spingono a volere e a desiderare, dei codici che ne regolano ed influenzano il comportamento ad agire, a comprare ed a consumare.


Ma in particolar modo ribaltano la strategia di approccio e la fenomenologia di relazione azienda-consumatore: non è più il consumatore che va alla azienda (entrando in negozi o ipermercati o centri commerciali), ma è l'azienda che va dal consumatore. E' il prodotto che si avvicina al suo fruitore scendendo dal piedistallo che lo ha retto per decenni, uscendo dagli scaffali e dalle vetrine. Si potrebbe affermare che è il consumatore ad attrarre il prodotto (nuova filosofia mediatica) e non viceversa (vecchia e stantia mission delle imprese marketing oriented). L'azienda, il brand ed il prodotto incontrano dunque il consumatore non solo dove egli compra, ma anche dove abita, dove si diverte e dove vive. Tendono la mano a clienti acquisiti e prospect per instaurare una relazione duratura, biunivoca ed interattiva e non un "mordi e vendi" inefficace, impalpabile e non profittevole. Per meglio capire ed assecondare le loro percezioni, preferenze, comportamenti e transazioni precedenti.


Inoltre l'imperativo contemporaneo e la nuova istanza competitiva di ogni impresa o organizzazione sono quelli di trasformarsi da "market driven" (trainate dalle sole esigenze dei consumatori) a "market driving" (rivolte a creare nuovi bisogni e di conseguenza nuovi mercati) per rispondere alle pressanti richieste di maggior qualità, di miglior servizio e di accresciuto valore per innalzare il livello di vita. Per far fronte alla nuova vision clientecentrica e rispondere a tutte queste istanze essendo attori protagonista del mercato in divenire sempre più etnicamente promiscuo, multiculturale, tecnologico ed informatizzato è indispensabile mettere in atto una nuova filosofia della comunicazione e del marketing che prevede la svolta , come afferma Alex Giordano, "dal fare comunicazione ad essere comunicazione ". E come confermo io "dal fare marketing all'essere marketing" grazie al guerrilla marketing ed alle tecniche limitrofe e complementari in tutte le loro declinazioni: ambient, street, action, buzz, grass-root, behavioral, edge, tribal, mediterraneo, viral, trojan, psicogeo, gonzo, event, black, stealth marketing & communication.


“Un non-conventional marketer”, come asserisce Mirko Pallera, “è un po’ come un cool hunter della comunicazione, un cercatore di tendenze: è sempre connesso con i blog di tutto il mondo, con la sua ‘tavola da surf’ si muove sulle onde della società postmoderna; non segue le strade già percorse, ma crea nuove opportunità per le aziende. Per questo ci vogliono capacità critica, flessibilità, curiosità e aggiornamento costante su tutti i nuovi trend”.


Il guerrilla marketing nella sua espressione mediterranea sa che la tendenza del consumo postmoderno è quella verso una sorta di “ri-radicamento” sul territorio, attraverso la ricerca di radici e legami sociali. Mentre il marketing americano/atlantico risponde essenzialmente a una richiesta di individualizzazione da parte dei consumatori, l’approccio mediterraneo vede soprattutto individui sempre più isolati che cercano di ristabilire un legame sociale arcaico e comunitario. Il cosiddetto Guerrilla Marketing è una filosofia più che una strategia, oppure una strategia che si regge su una certa filosofia che radicalizza i principi dei rapporti tra comunicazione e realtà. Si tratta di un tipo di marketing sensazionalista che si pone l’obiettivo di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. Nasce dalle controculture comunicative che sorgono negli anni ’90 e 2000 oltreoceano e in un baleno conquista tutte le latitidini e longitudini del pianeta. Si prefigge di ottenere la massima visibilità e notiziabilità, espressività sensazionale, posizionamento dell'immagine, significativo contagio e coinvolgimento del pubblico, forte motivazione, alta memorabilità e concreto approccio proattivo attraverso strumenti multimediali ed iniziative on the road a basso costo e al tempo stesso dirompenti. Stupire con novità (linguaggi, simboli, azioni) creative e con effetti sorpresa per attrarre attenzione, per farsi riconoscere ed apprezzare, per relazionare e fidelizzare. Come chiosa Andrea Natella: "La parola “guerrilla” ha un’origine ben precisa che in qualche modo spiega le radici, i mezzi e forse anche i limiti di questo modo di fare marketing. Per guerilla si fa riferimento alla resistenza dei gruppi militanti spagnoli durante l’occupazione napoleonica. I guerriglieri, inferiori per armi, mezzi e numero di uomini, combatterono sfruttando e massimizzando le risorse di cui disponevano: una migliore conoscenza del territorio, un radicato legame con la popolazione e la possibilità di contare su individui mediamente più motivati. Con tutte le metafore del caso, traslando questa situazione di guerra in un ambiente socio-economico contemporaneo è possibile intuire quali possano essere le leve del Guerrilla Marketing".


Dal marketing "invasivo" dunque al marketing "non invasivo", dal marketing dell'"interruzione" al marketing del "permesso",
dal traditional marketing al guerrilla marketing.
Il marketing tradizionale richiede costi ingenti per le proprie operazioni, quello di guerriglia investimenti modesti dando importanza al tempo, all'energia e all'immaginazione.
Il primo spesso usa la sperimentazione, naturalmente incerta e pressapochista come eufemismo dell'indovinare, il secondo invece utilizza le scienze psicologiche e sociologiche secondo le più consolidate ed attuali leggi del comportamento umano. Il primo misura i risultati sul traffico, sulle risposte e sulle vendite al prezzo lordo generate, il secondo misura risultati basati solo sul profitto. Il marketing tradizonale è appannaggio della grandi aziende nazionali o multinazionali con capacità di spesa immensa, il guerrilla è più consono, oltre che alle mega-imprese, anche alle società medio-piccole a ridotta disponibilità di budget. Il TM mira a procurarsi il maggior numero di clienti ma raramente li segue dopo che gli stessi hanno realizzato l'aquisto, mentre il GM imposta un rapporto ben più profondo e continuativo per acquisire ulteriore fiducia, consenso e fedeltà.


Il TM tende a evidenziare la concorrenza e l'estrema competitività, il GM predica la non aggressività e la cooperazione evitando i confronti e lotte con i competitor cercando nuovi territori di conquista ed aiuti dagli stessi clienti.
Ed ancora: il TM spesso (non sempre) si indirizza verso una unica strategia supportata da una unica tattica consuetudinaria, mentre il GM persegue l'uso di differenziate strategie e tattiche combinate ed innovative. Il TM indirizza i suoi messaggi ad un mass-market (grandi gruppi) soprattutto attraverso la pubblicità televisiva ed in parte quella radiofonica o a mezzo stampa; il GM mira ai singoli individui o a piccoli target grazie a differenti "media" più mirati. Il TM notoriamnete ha una visione di insieme, mentre il GM cura i minini dettagli. Il TM è orientato all'"io/me" ed il GM è proiettato sul "tu/te". Il traditional marketing si basa strutturalmente e fondamentalmente sul modello delle 4 P ( prodotto, prezzo, punto vendita, promozione), il marketing di guerriglia va oltre ed essenzialmente lavora anche sulle 4 C (cliente , costo , convenienza , comunicazione , ossia sul valore per il cliente. Che è sempre e dovunque re! Perchè come ebbe a dire Sam Walton, fondatore e presidente dei celebri magazzini Wal-Mart: "Il cliente è l'unico che può licenziarci tutti". Sam Walton fondò il colosso nella distribuzione organizzata, portandolo ad essere la più grande azienda del mondo con 176 milioni di persone che entrano nei vari supermercati della catena almeno una volta alla settimana, basato su tre principi: Rispetto per l'individuo, assecondare esoddisfare le aspettative dei clienti, dimostrare eccellenza in ogni azione ed iniziativa. Tre parametri che sono anche i fondamenti, le regole, i criteri basilari del Guerrilla Marketing. Sam Walton per questo è stato antesignano del GM.


Il marketing, nella sua accezione più generale e completa, svolge un ruolo guida nella definizione della strategia d'impresa sia essa micro o macro. Peter Drucker lo affermava già più di trent'anni fa: " Un' azienda ha solo due funzioni fondamentali: l'innovazione ed il marketing". Ma che sia Guerrilla!

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Di Altri Autori (del 02/10/2006 @ 08:45:23, in Marketing non convenzionale, linkato 3269 volte)

Opel lancia la nuova campagna di comunicazione per avvicinare i giovani ventenni che vivono in città alla nuova Opel Corsa. La campagna europea è incentrata su attività di guerrilla e passaparola. La creatività internazionale è a cura di un'agenzia tedesca, mentre l'adattamento italiano è di McCann Worldgroup.

Per riflettere lo spirito e l'essenza dei giovani Opel ha ingaggiato l'artista tedesco Boris Hoppek che ha creato i C.M.O.N.S., cinque pupazzi, ciascuno con una sua personalità e storia, che riflettono diversi profili psicografici dei ventenni (White, Moo, Blue, Red e Cherri) e nascono a Barcellona.
Una campagna di guerrilla marketing e PR ha caratterizzato la prima fase della comunicazione per creare credibilità e generare passaparola sui C.M.O.N.S. Durante l’estate i C.M.O.N.S hanno invaso le città europee con adesivi sistemati su vari arredi urbani, mentre cartoline promozionali con i C.M.O.N.S sono state distribuite in diversi tipi di locali. E' stato realizzato un micro-sito privo di brand (
www.thecmons.com) che ha dato il via alla fase teaser e i contenuti della campagna sono stati inseriti anche su spazi web gestiti dagli utenti, come Myspace.com e YouTube.com, e sugli schermi di telefonini e pc grazie a pacchetti tematici realizzati MSN Messenger. L'attività di guerrilla ha interessato anche le testate di tendenza.
La campagna pan-europea ha inoltre previsto concorsi radio in Germania, Francia e Spagna e partnership con testate online in tutti i paesi. In Italia è stato promosso un concorso online che ha messo in palio due week-end a Bologna per otto persone in occasione dell’MTV Day del 16 settembre, con possibilità di accedere all’area Vip.
MTV è un partner strategico di Opel. MTV Under The Radar, realizzato da MTVNI Creative, è un ‘rockumentario’ che racconta la carriera dei The C.M.O.N.S. in quattro mini-video da un minuto ciascuno, presenti anche sul sito ufficiale (
www.mtvutr.com). A completamento della partnership, Opel sarà main sponsor degli MTV European Music Awards il prossimo 2 novembre a Copenhagen e la nuova Corsa sarà l’auto ufficiale dell’evento e l’oggetto di una promozione pan-europea che si svolgerà a ottobre 2006.
Una campagna above-the-line con i C.M.O.N.S. come protagonisti prenderà il via nei sette paesi chiave. La campagna presenterà la nuova Opel Corsa a un pubblico più ampio e di tendenza del tradizionale.

Via Pubblicità Italia

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Di Roberto Venturini (del 29/09/2006 @ 07:45:58, in Marketing, linkato 3853 volte)

Un altro strumento interessante ma un po’ complesso ( se ne sta discutendo in questo periodo anche su mlist) è l’accoppiata poster col Bluetooth - che permette alle affissioni di dialogare con i nostri telefonini.

In molte città europee si possono incontrare degli impianti speciali che ci richiedono di attivare il Blutooth del nostro cellulare. Fatto questo, il poster potrà inviare contenuti multimediali pubblicitari al nostro telefono ( o PDA), files, buoni sconto, jingle o spot.

Ah, questa forma di comunicazione, ovviamente ha un nome in codice: "Bluecasting"

Permettendo al poster di collegarsi al telefonino è possibile scaricare materiali di comunicazione come spot, un salvaschermo sviluppato per l'occasione, suonerie per i cellulari...

Qualche link utile:

Digital Lifestyles
Wall Street Journal
Cosa ne dicono gli altri blogger...

Che siano Telefonini, GPS, o poster, le forme di comunicazione di cui ho dato dei cenni presentano un elemento in comune. Questi approcci di comunicazione contestuali alla location offre un significativo vantaggio rispetto ad altre forme di advertising precedentemente ipotizzate, specificamente nella loro mancanza di intrusività.

Erano infatti stati spesso vaticinati modelli di pubblicità basati sull'invio di SMS in modalità "push", in cui un sistema collegato al provider telefonico avvertiva la prossimità del cellulare ad un punto sensibile (ad esempio un negozio) e automaticamente inviava a quel cellulare un messaggio pubblicitario in merito.

Questo tipo di comunicazione non è in realtà mai stata introdotta significativamente sul mercato, anche per il timore di reazioni negative da parte dell'utente, che avrebbe probabilmente percepito questa attività come "spam", per di più in un luogo tanto privato come il cellulare, in cui l'arrivo di messaggi indesiderati tende a provocare reazioni fortemente negative.
Le nuove forme di pubblicità ora proposte sono invece basate su un modello "pull" in cui è l'utente stesso a richiedere la comunicazione, rispondendo perfettamente al detto "La pubblicità è una gran seccatura...fino al momento in cui hai bisogno di essere informato su un prodotto. In quel momento diventa Customer Service".

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Magliette e ancora magliette?? Ma no, la maglietta è stato lo spunto per introdurre quest'argomento così complesso che è il merchandising, la comunicazione del marchio tramite gli oggetti non avviene solo con una maglietta! Quest'ultima è un veicolo, il mezzo per trasmettere il messaggio, certo è un buon mezzo, ha un'alta probabilità di essere usato ma non è certo l'unico!
Ho detto usato?!? Ebbene sì, un oggetto non ha senso di esistere se non viene utilizzato, se non circola non promuove un bel niente, anzi può anche generare l'effetto contrario, un oggetto insignificante, brutto o troppo banale, può portare un'immagine negativa! Ne consegue che le magliette, così come tutti gli oggetti promozionali, devono essere utilizzati. Ma dimentichiamoci, ora, le magliette e cerchiamo di approfondire l'oggetto promozionale, saliamo di un livello e facciamoci qualche domanda. Un'azienda, quando decide di entrare nel mondo degli articoli promozionali dovrebbe farsi almeno queste quattro domande:

• Perché voglio personalizzare un prodotto?
• Cosa voglio comunicare?
• A chi devo comunicare?
• Che articolo scelgo?

Ma vediamo una per una il ragionamento che c'è dietro:

Perché personalizzare un prodotto?

I motivi possono essere svariati: semplice emulazione, "tutti lo fanno quindi vuol dire che a qualcosa serve ." O.k. un'ottima ragione, però ci possono anche essere delle motivazioni più serie, per esempio: "voglio che il cliente abbia sempre con sè qualcosa di mio che mi faccia rimanere nel suo set di scelta" (mi viene da pensare a quella canzone di Battisti ".E nel far le valigie ricordati di non scordare qualche cosa di tuo che a te poi mi faccia pensare.") sino ad arrivare a "voglio che quest'oggetto sia il mio simbolo, contenga in sé i miei valori ed il mio potenziale cliente, usandolo, capisca - CHI - sono". Ovviamente queste sono solo alcune delle motivazioni, ogni azienda dovrebbe cercare le sue ogni volta che si avvicina all'idea di produrre degli articoli a marchio proprio.

Cosa voglio comunicare?

Se per esempio mi sono accorto che il mio marchio non è conosciuto presso una categoria di utenti ed ho deciso di usare la leva degli oggetti personalizzati per farmi conoscere (ho così risposto alla prima domanda.), utilizzerò il mio marchio ben visibile su quei prodotti che possono, con maggior facilità, circolare presso il target scelto. Per esempio tra i giovani, sino a poco tempo fa, erano molto in voga i porta-badge utilizzati poi come porta-cellulare o portachiavi al punto che erano collezionati o "esposti" tutti contemporaneamente attaccati alla tasca dei pantaloni. L'unica cosa da prendere in considerazione anche quando si vuol "solo" far circolare il marchio è che non si deve dar nulla per scontato, soprattutto se tale circolazione è voluta perché il marchio non è conosciuto. In questo caso la scarsa conoscenza di cosa fa l'azienda renderebbe vana l'azione, si dovrebbe, quindi, associare un pay off (ci viene da pensare a "il posto più morbido dove mettere il naso"), una frase che molto sinteticamente ci rappresenti e faccia capire cosa facciamo (senza poi escludere un rinvio ad internet in modo da ottimizzare al massimo la comunicazione).

A chi devo comunicare?

Abbiamo detto perché (brand awareness), abbiamo detto cosa (marchio, pay off, sito web) ci manca l'ultima domanda, molto importante per arrivare all'oggetto. Chi è il target della comunicazione? Senza questo elemento potremmo scegliere l'oggetto sbagliato, finire nel dimenticatoio e, peggio ancora, avere un ritorno di immagine negativo. Cosa direste se ad un evento dedicato agli ultra cinquantenni ci presentassimo con un porta badge? (Ce l'aveva proposto il venditore come "l'articolo più in voga del momento".) Bellissimo, sì, chi lo riceve è sicuramente contento . è gratis . Ma poi dove credete che finirà? Penzolante dalle tasche dei pantaloni di quest'attempato signore o in qualche cassetto pieno di inutili cianfrusaglie?

Che articolo scelgo?

Finalmente ci siamo! Abbiamo oculatamente risposto a tutte le domande, non abbiamo ceduto all'emozione o alle insistenze di un caparbio venditore, ci siamo chiariti le idee ed ora dobbiamo scegliere l'articolo e . "finalmente vedrò il mio bellissimo marchio stamp. Si ma cosa scelgo, ho visto interminabili cataloghi di gadget, abbigliamento, impermeabili, ombrelli aiutoooo".

Ebbene sì, rispondere alle domande precedenti era, forse la cosa più facile, scegliere ora nel mare magnum delle possibilità è un'altra storia.

E per questo ci siamo noi! Abbiamo pensato di approfondire e scomporre razionalmente ogni prodotto, cercando di capire quali sono le variabili chiave che fanno di un prodotto un buon articolo promozionale.

• Compatibile col target
• Facile da personalizzare
• Innovativo
• Impattante
• Utilizzabile
• Visibile
• Emozionale
• Lanciabile

Ovviamente non tutte queste variabili dovranno essere presenti in un oggetto, nello schema vediamo che il cerchio si stringe sempre più man mano che andiamo ad aggiungere un'altra variabile. Abbiamo già accennato alla compatibilità col target , ogni prodotto deve essere rappresentativo del target che vogliamo colpire, in caso contrario l'omaggio non avrà alcun effetto ed avrete sprecato l'investimento.

La facilità della personalizzazione è una variabile auto-controllata, generalmente chi vi propone un oggetto saprà che è personalizzabile, se invece siete voi a sceglierne uno dovete ricordarvi che un articolo difficile da stampare renderà sicuramente l'operazione più costosa se non addirittura infattibile.

Un'altra buona regola è che scegliate un articolo innovativo che, possibilmente, non sia presente nel vostro mercato di riferimento, le cose nuove, in linea di massima attraggono di più ma ricordatevi che questa regola deve sempre prendere in considerazione il vostro target.

Se c'è qualcosa che vi ha attratto di un oggetto ve lo ricorderete meglio, ecco la 4 variabile, un oggetto deve essere impattante.

Se pensiamo al nostro target, se lo conosciamo bene, possiamo visualizzare tutti i momenti della sua giornata, quali sono i suoi gesti quotidiani, cosa usa di più durante il giorno e potremo compilare una lista di oggetti che con più frequenza si "troverà in mano". Tutti questi oggetti, ricordandosi che maggiore uso equivale a maggior ricordo, diventano dei buoni articoli promozionali. Utilizzabile è, quindi, un'altra variabile.

Arriviamo ora alla visibilità , questa variabile determina la forza della comunicazione, il nostro target possiede l'oggetto e lo usa ma quante persone ruotano intorno a lui? Quanti di loro sono potenziali nostri clienti? Ecco che se l'oggetto è visibile e trasmette bene il messaggio la forza comunicativa aumenta.

Ritorniamo un istante all'utilizzo, dobbiamo valutare ora l'emozione che vi è associata. E' importante comprenderle bene in quanto le emozioni provate durante l'utilizzo di un oggetto vengono inderogabilmente associate all'oggetto stesso/marchio. Uno spazzolone per lavare i pavimenti, probabilmente, non genererà un buon ricordo proprio a causa dell'emozione negativa che, a livello di inconscio, si legherà al marchio.

L'ultima nota che abbiamo preso in considerazione, non si può parlare di una vera e propria variabile, è una riflessione su come l'oggetto sarà consegnato al consumatore, se volessimo sviluppare una tazza col nostro marchio non potremmo certo pensare di lanciarla da un palcoscenico!

Lorenzo Iazzetti

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Di Max Da Via' (del 25/09/2006 @ 07:21:09, in Marketing, linkato 5487 volte)
Sempre più aziende sono alla ricerca di forme alternative per promuovere i propri prodotti e servizi che possano riuscire ad attirare l’attenzione di un consumatore continuamente sottoposto a bombardamenti pubblicitari e, di consulenza, difficile sia conquistare che soprattutto da fidelizzare.
Tra le tendenze in maggiore crescita c’è il product placement, che consiste nel collocare i propri prodotti, in maniera più o meno “trasparente”, all’interno di film, spettacoli, videogiochi e in generale in tutto quello che appartiene alla sfera dell’entertainment.

Di product placement cinematografico avevamo già parlato in un precedente articolo. Si tratta di una tecnica consolidata, utilizzata in innumerevoli produzioni. I vantaggi del product placement sono evidenti: si viene a “colpire” il consumatore in un momento in cui è rilassato e quindi potenzialmente più disposto ad apprezzare la presenza del prodotto sullo schermo.

Se il placement è ben fatto il prodotto non si limita a comparire in maniera anonima sullo sfondo, ma diventa parte integrante della vicenda, assicurando maggiore efficacia alla comunicazione. Basti pensare agli orologi Omega Pierce Brosan quando vestiva i panni di James Bond, che di volta in volta diventavano detonatori esplosivi o laser, o all’Audi di Will Smith in Io, Robot, derivante da un’autentica concept car ideata dall’azienda tedesca.

Anche le produzioni cinematografiche beneficiano di queste alleanze, riuscendo a ribaltare sulle aziende partner parte degli elevati costi di realizzazione delle pellicole, mentre queste ultime possono approfittare di un nuovo ed efficace canale di comunicazione. Esistono in America vere e proprie aziende specializzate nel product placement che, lavorando a stretto contatto con gli studios, identificano ancora nelle prime fasi realizzative, i film che possono creare utili sinergie con i prodotti delle loro aziende clienti, che delegano loro la scelta della pellicola più adatta per il placement.

L’integrazione di un prodotto all’interno del film è infatti un’operazione particolarmente delicata, in quanto per garantire reali vantaggi competitivi deve essere in linea con il posizionamento del prodotto stesso, evidenziandone le qualità. In più di un’occasione posizionamenti non efficaci sono stati la causa scatenante di animati diverbi tra la produzione del film e l’azienda che fornisce i prodotti. Nessuna azienda produttrice di super alcolici gradirebbe, ad esempio, che l’eroe del film avesse un incidente automobilistico dopo essersi ubriacato con il suo whiskey, così come il produttore di macchine non ama vedere uno dei suoi modelli di punta che lasca a piedi i protagonisti non appena usciti dal concessionario.

Nel 2006, secondo i dati forniti da una recente indagine PqMedia, il mercato mondiale di questi investimenti dovrebbe toccare quota 7,5 miliardi di dollari, con un incremento di oltre il 25% rispetto al 2005. Ma le previsioni sono tutte al rialzo, visto che nel 2010 la cifra spesa dalle aziende per il product placement dovrebbe raggiungere la cifra record di 14 miliardi, di cui solo 5,5 negli USA. Se i casi di integrazione “spinta”, come ad esempio la presenza di FedEx nel film Cast Away, sono ancora una minoranza, l’indagine evidenzia come sempre più risorse pubblicitarie saranno destinate a questo scopo nei prossimi anni.


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Di Roberto Venturini (del 22/09/2006 @ 08:25:39, in Internet, linkato 3126 volte)

Google ha rilasciato la versione beta di Writely, text editor che funziona online, via web, senza applicazioni da scaricare e che tiene i documenti in memoria su un qualche server e quindi sempre disponibili anche quando siamo in viaggio o considivibili con altri ( ma invisibili a Google e agli altri motori a meno che non si disponga il contrario).

Potenzialmente un applicazione molto interessante per PDA e simili, non richiedendo una applicazione residente

A breve lo testerò a fondo con il portatile e il Nokia 770, provando ad esempio a scrivere qualche pezzo dal bar della palestra (dotato di wifi gratuito, con mia grade gioia) - unico problema riscontrato: non funziona con Safari, ma con Firefox si' (e del resto anche blogger funziona molto meglio con Firefox...)

Writely permette di pubblicare direttamente sul proprio blog, quindi si configura anche come blog editor - ma qui non ci siamo ancora del tutto, ho incontrato qualche baco da risolvere.

La beta di Writely la trovate qui.

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Di Altri Autori (del 19/09/2006 @ 19:43:51, in Marketing, linkato 4995 volte)

Che si venda un prodotto o un servizio, uno degli assi nella manica per farsi percepire come sinonimo di qualità è prendersi cura dei propri clienti. Le aziende lo sanno e da tempo hanno cominciato a investire nel customer relationship management (crm), ossia in politiche mirate di re l azione con la clientela. Eppure non tutti si sono mossi con gli stessi tempi e le stesse modalità: se il turismo e la grande distribuzione già negli anni Ottanta legavano a sé viaggiatori e acquirenti con sconti immediati o reward differiti nel tempo, nella moda e, più in generale nei prodotti di lusso, si è dovuto attendere la fine del millennio perché si consolidassero le prime esperienze di crm. Che, tuttavia, stentano ancora a decollare.

  E se i vantaggi della gestione mirata della clientela sono evidenti, si pensi per esempio alle minori rotture di stock, all'aumento dello scontrino medio e, in un'ottica di lungo periodo, alla fidelizzazione al marchio, appare chiaro che le ragioni della lentezza del settore nell'adeguarsi al nuovo sistema devono essere più profonde. Una di queste risiede nelle caratteristiche stesse del prodotto o del marchio di lusso, notoriamente per pochi. E' lo snob effect, per il quale tanto più aumenta la domanda di un bene, tanti meno clienti lo acquisteranno nel tempo, cosa che induce le aziende a contenere le vendite pur di mantenere il valore d'immagine del prodotto. Tutto il contrario di quanto sarebbe necessario per sviluppare il customer relationship management, che nella maggior parte dei casi si basa su strategie tarate per alti volumi di vendita.

 A porre il maggior freno, però, è la dinamica stessa della vendita del prodotto di lusso. Una borsa di Luis Vuitton non è certo un prodotto consumer, non la si compra in un grande magazzino ma in boutique. Ciò significa che il principale punto di contatto tra cliente e marchio resta l'addetto alla vendita, che spesso è anche l'unico depositario delle informazioni sul cliente stesso. La raccolta dei dati personali, operazione fondamentale per centralizzare le relazioni produttore-consumatore, diventa un'operazione complicata e frammentaria, complice la maggiore riservatezza degli habitué del lusso e la loro minore sensibilità a incentivi standardizzati. Moda e lusso, a differenza di altri settori, hanno dunque delle specificità che devono essere tenute in debito conto, al momento di immaginare e sviluppare un sistema di gestione mirata della clientela. Serve spesso un ripensamento dell'intera organizzazione, con infrastrutture di supporto e forte motivazione da parte di dipendenti e collaboratori.

A fronte di costi non certo trascurabili, vi sono però notevoli vantaggi: la messa a punto di strategie di incentivazione su misura favorisce l'ottimizzazione degli investimenti, mentre la fidelizzazione al prodotto o al marchio aumentano la frequenza di acquisto, lo scontrino medio e la cosiddetta quota di guardaroba. Esempio lampante dell'utilità delle politiche di crm anche nel lusso è il caso di Ermenegildo Zegna, che ha giocato d'anticipo e oggi è considerato un punto di riferimento in questo campo. Tra gli elementi che hanno sancito il successo dell'approccio di Zegna al customer relationship management ci sono la creazione di un solo database, che centralizza dati e inform azioni, una visione condivisa del cliente a livello globale, ma soprattutto un coinvolgimento dell'intera azienda nello sviluppo di una relazione unica e duratura con il cliente.

Paola Cillo e Emanuela Prandelli


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Di Max Da Via' (del 18/09/2006 @ 07:36:35, in Marketing, linkato 12070 volte)
L’Ingredient branding, nella sua forma più semplice consiste nell’utilizzare all’interno dei propri prodotti componenti di aziende terze facilmente riconoscibili, sfruttando così la notorietà di queste ultime come ulteriore vantaggio competitivo.

Un tipico esempio è il famoso marchio “Intel inside”, che segnala la presenza di un processore Intel all’interno del pc. Grazie alla notorietà di questo brand il bollino che indica l’utilizzo del processore viene interpretato dalla maggior parte dei consumatori come una garanzia della qualità dei componenti e aggiunge valore sia ai pc di marche note che a quelli di fascia bassa, improvvisamente più attraenti.

Si tratta inoltre di una relazione vantaggiosa per tutte le parti coinvolte: ne beneficia l’azienda che sponsorizza il componente noto ma anche l’azienda fornitrice di quest’ultimo, che approfitta di un prezioso ritorno in termini di immagine.

Altri esempi riusciti di ingredient branding sono la collaborazione tra Adidas e Goodyear, che ha dato origine ad una linea di scarpe sportive con la suola in gomma “griffata” e quella tra Harley Davidson e Brembo, grazie al quale le motociclette del colosso americano potranno beneficiare di un impianto frenante appositamente realizzato dall’azienda bergamasca.

Grazie a questa strategia anche prodotti di marchi poco noti possono acquisire un plus da rivendere sul mercato, come nel caso dei prodotti abbigliamento che esibiscono i marchi “Pura lana vergine” e “Vero cuoio”, i cui consorzi di gestione percepiscono royalties a fronte dell’utilizzo del marchio.

Questi sono in sintesi i principali motivi che favoriscono il crescente ricorso all’ingredient marketing.

1. Il componente di un’azienda affermata è sinonimo di qualità, aiuta a differenziare il proprio prodotto da quello della concorrenza e consente molti casi di giustificare un prezzo finale più alto, riducendo allo stesso tempo il rischio di imitazione.

2. L’enfasi sul componente di terzi garantisce un buon ritorno di immagine anche per l’azienda fornitrice, favorendo una relazione win-win.

3. Anche l’immagine dell’azienda che ricorre all’ingredient marketing esce rafforzata da questa collaborazione, con un’influenza positiva sul processo idi acquisto del consumatore, che si sente più garantito per quanto riguarda la qualità del prodotto.



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