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  mymarketing.it: l'isola nell'oceano del marketing... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

A febbraio 2017 continua la crescita delle audience digitali in Italia, trainata dagli utenti che accedono a internet attraverso terminali mobili (28,2 milioni di visitatori unici) ormai allineati a quanti accedono tramite desktop (28,4 milioni). Sono ora il 24% del totale gli utenti che si collegano alla rete esclusivamente mediante un device mobile, in aumento del 15% nell’ultimo anno, mentre gli utenti che accedono solo da desktop nello stesso periodo sono diminuiti del 24%. 

Il ranking comScore Top 20 multi-piattaforma di febbraio 2017 evidenzia che le prime 10 properties vantano una reach complessiva superiore al 50% con Mondadori che rappresenta il primo editore digitale italiano e, insieme a Mediaset e Yahoo, consente alla concessionaria Mediamond di raggiungere oltre 30 milioni di visitatori unici per una penetrazione superiore all’80%. Il Gruppo Editoriale Espresso rappresenta invece la prima property italiana per numero di utenti su mobile (17,9 milioni), mentre i siti della RAI sono quelli ad aver registrato la maggiore crescita degli utenti mobile nell’ultimo semestre, avendone raddoppiato il numero dallo scorso settembre.


via DailyOnline
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Di Max Da Via' (del 04/04/2017 @ 07:23:54, in Mobile, linkato 1591 volte)

Lo spostamento dei consumatori in direzione dello shopping online è continuo e i retailer tradizionali si trovano a dover fronteggiare un panorama sempre più competitivo. Questo quanto emerge dall’ultima Total Retail 2017, la ricerca annuale di PwC che ha analizzato i comportamenti di consumo online e l’attitudine alla multi-canalità di 24.500 consumatori in 32 paesi, tra i quali oltre 1.000 italiani.

Ecco i principali risultati e trend numerici emersi:

1 - L’Italia è il terzo paese al mondo per penetrazione del mobile, dietro solo a Spagna e Singapore, con l’85% della popolazione che ne utilizza abitualmente uno. Questo si riflette nella scelta di acquisto, che vede una costante crescita della frequenza di acquisti online tramite app e siti “mobile responsive”. Nel dettaglio:
- Il 20% dei consumatori italiani acquista tramite smartphone almeno una volta alla settimana (+43% rispetto al 14% del 2015);
- Il 19% acquista tramite tablet (+58% vs. 12% del 2015);
- Il 32% acquista almeno una volta a settimana tramite PC (+33% vs. 24% del 2015).

2 - Il ricorso allo smartphone è particolarmente forte nelle fasi precedenti l’acquisto. Lo scopo è quello di ricercare informazioni sui prodotti (43% degli intervistati), leggere recensioni su prodotto e retailer (40%), visualizzare codici promozionali o confrontare brand concorrenti (31%). Anche nella fase conclusiva, l’acquisto del prodotto, gli italiani si affermano tra i primi a livello mondiale (36% vs. media globale del 37%), segno di una forte fiducia dei consumatori nel pagare con uno strumento non tradizionale.

3 - Il prezzo rimane la variabile principale che influenza l’acquisto online (49%) dei consumatori italiani – più di ogni altro Paese al mondo tra le economie mature, preceduti solo dai consumatori di Cile e Brasile di un punto percentuale. Seguono la comodità (30%) e l’assortimento, che tuttavia è un driver indicato solo dal 18% dei rispondenti.

4- Social media vetrina sempre più rilevante. La maggiore fonte di ispirazione per gli acquisti dei consumatori italiani risultano essere i siti web di confronto prezzi, indicati dal 46% dei rispondenti rispetto al 35% del 2015. Seguono i siti web di retailer multi-brand (38%) ed i social network (37%).

Le proporzioni cambiano tra i Millennial: il 42% trova ispirazione nei social network tradizionali, distaccando i siti web di confronto prezzi (38%) e i siti web di retail multi-brand (34%). Crescono inoltre nella generazione più giovane i social network visivi come Instagram e Pinterest, utilizzati dal 23% dei Millennial contro il 16% del campione totale (ma solo 10% tra gli over 35).

Il 56% degli italiani, inoltre, è stato portato a spendere di più dall’interazione che ha avuto via social con un brand, e quasi il 60% dichiara di sentirsi più coinvolto dal brand proprio attraverso i social media.

5 - Si resta fedeli al negozio, ma non senza una certa delusione.
Nonostante lo shopping online abbia iniziato a prevalere su alcuni canali tradizionali, la fedeltà al negozio è uno dei maggiori trend, con il 51% dei consumatori italiani che lo visita almeno una volta alla settimana. Nel punto di vendita il 73% dei consumatori ricerca un addetto con profonda conoscenza dei prodotti, mentre al secondo posto si chiedono offerte real-time personalizzate (70%) e la possibilità di verificare rapidamente lo stock di un altro negozio (65%).

Nel complesso, il cliente non ritrova in negozio gli elementi che reputa importanti per una soddisfacente esperienza d’acquisto: la soddisfazione circa la preparazione degli addetti vendite è indicata dal 58% dei consumatori (mentre il 73% ritiene tale fattore fondamentale), come nelle offerte personalizzate che registrano un gap di oltre il 20% tra la soddisfazione (45%) e l’importanza attribuita (70%).

via Mark Up
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È il mobile a trainare la crescita del tempo speso sul digitale negli Stati Uniti. A sostenerlo è il report di comScore “2017 US Cross-Platform Future in Focus”: la società ha scoperto che il 69% del tempo speso su internet è da attribuire al mobile con il desktop che continua a perdere terreno. Oggi circa il 60% del totale riguarda le app su mobile, con lo smartphone che da solo arriva fino al 51%.

Marketing Land, che ha dedicato un articolo sulla ricerca, ha subito sottolineato un risultato: su dieci minuti di consumo video su YouTube, sette avvengono tramite mobile. Un dato in linea con quello generale, ma che nei giorni in cui la piattaforma di Google è finita nell’occhio del ciclone per non aver garantito la brand safety di numerosi inserzionisti, assume un significato importante.

Per quanto riguarda le prime mille properties online, se si aggrega l’audience i visitatori da mobile sono circa due volte dell’audience desktop. E la fascia socio-demografica che utilizza principalmente il mobile per navigare è quella composta da donne tra i 18 e i 24 anni.

Il podio delle tre principali properties sorprende. Non tanto per le prime due posizioni, Google e Facebook, ma per la terza, rappresentata dal network Yahoo. Spostando l’attenzione sulle app mobile, è Facebook a dominare, seguita da Messenger e Facebook. Ma la crescita assoluta più importante la segna Snapchat(+114%), in nona posizione. L’app del fantasmino è seconda per engagement.

Al top tra le categorie di fruizione dei media digitali figurano i social e l’entertainment, con i primi che catturano il 20% del tempo speso complessivamente. Il 79% dell’utilizzo dei social è da attribuire ai canali mobile e il 60% attraverso app per smartphone.

Secondo comScore gli investimenti in mobile advertising sono più efficaci di quelli desktop: in questo canale la pubblicità è più performante. È questo è ancor più vero quando i consumatori sono vicini a concludere acquisti. Tuttavia, la divisione della spesa tra mobile e desktop non è ancora equilibrata: nella categoria retail l’80% della spesa va al desktop, un canale che assorbe solo il 33% dello shopping time dei consumatori.

Via DailyOnline
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Di Max Da Via' (del 30/03/2017 @ 07:45:22, in Mercati, linkato 1539 volte)

Duro colpo per le emittenti televisive tradizionali, a causa della sempre maggiore affermazione delle piattaforme di streaming. È quanto dimostra una recente indagine condotta nel Regno Unito, che conferma come Netflix e Amazon Prime Video abbiano comportato un rilevante innalzamento dell’età target per la classica audience TV. Una conseguenza, questa, che potrebbe avere serie conseguenze dal punto di vista degli investimenti pubblicitari.

Secondo quanto riportato da una ricerca di BBC Trust, l’avvento delle piattaforme di streaming ha comportato un innalzamento dell’età media dell’audience per i canali più importanti del Regno Unito, BBC One e BBC Two. Con una media rispettivamente di 61 e 62 anni, le proposte dell’ammiraglia britannica hanno perso il supporto, in pochissimi anni, non solo della fascia dei giovanissimi, ma anche della mezza età, quella maggiormente spendente e centrale per il target pubblicitario.

Più di 5 milioni di famiglie britanniche hanno sottoscritto un abbonamento a Netflix, mentre 1.6 milioni hanno scelto l’alternativa di Amazon Prime Video. La popolarità di queste piattaforme, e la loro grande versatilità d’uso, hanno comportato il trasferimento delle fasce più giovani, in particolare quella dai 16 ai 34 anni, dalle classiche emittenti televisive alla fruizione digitale. Ma non è tutto, poiché Netflix e Amazon sembrano aver causato anche contraccolpi per gli utenti dei servizi digitali lanciati dalle stesse emittenti: BBC iPlayer, il popolare sistema di streaming del gruppo, in nove anni ha perso progressivamente interesse e oggi è scelto solo dal 21% dei giovani consumatori, una volta la settimana. Davvero poco, se si considera come più della metà dei fruitori appartenenti alla stessa generazione acceda alle altre piattaforme di streaming quotidianamente.

Nonostante questo, le indagini dimostrano come il pubblico, con una percentuale di oltre il 73%, ritenga che BBC sia ancora in grado di proporre dei contenuti di elevatissima qualità sul fronte dell’intrattenimento, con un lieve calo su quello informativo: il 62% degli spettatori, contro il 70% del 2008. Si viene a creare, di conseguenza, una condizione abbastanza anomala, e del tutto nuova, per le tradizionali stazioni televisive: la qualità degli show non sembra poter competere con la comodità d’accesso garantita da altre soluzioni. L’utente non sembra essere più disposto ad attendere la messa in onda settimanale del proprio programma preferito, vuole accedervi istantaneamente, secondo i propri ritmi, in qualsiasi momento della giornata e in ogni luogo si trovi.

Il trend britannico potrebbe risultare interessante per predire quel che potrebbe accadere nelle altre nazioni europee, considerato come il Regno Unito disponga dei servizi di streaming da ben più anni rispetto ai Paesi limitrofi. Anche in Italia Netflix e Amazon causeranno una deriva geriatrica della classica TV?

Via Webnews
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Di Altri Autori (del 29/03/2017 @ 07:07:49, in Mercati, linkato 1635 volte)

Internet e il digitale arrivano prepotenti a minare le basi di un altro settore: quello della vendita delle automobili. Nel corso della settimana scorsa due notizie hanno acceso i riflettori su come l’e-commerce è potenzialmente dirompente anche quando si tratta di prodotti di alto costo e di alta complessità e variabilità delle configurazioni.

Le due notizie sono state l’annuncio dell’investimento da 10 milioni di dollari effettuato da due fondi europei su MotorK, scaleup italiana che ha sviluppato piattaforme di digitalizzazione per la vendita di automobili coinvolgendo sia gli utenti finali sia i dealer , e l’annuncio della nascita del negozio online di Alfa Romeo all’interno di Alibaba che al debutto ha venduto in poco più di 30 secondi 350 vetture modello Giulia nella configurazione ‘Milano’ appositamente realizzata a un prezzo per unità vicino a 63mila dollari e circa 60 Giulia Quadrifoglio Verde al prezzo di quasi 150mila dollari. Tutto online.

Tesla vende automobili a un prezzo medio di 120mila euro esclusivamente online, non ha rete di vendita e fa mai sconti sul prezzo pubblicato. Bmw ha lanciato nel Regno Unito, e a giorni anche in Cina, uno strumento online che consente di configurare la propria vettura e di procedere all’acquisto in ogni momento della giornata tra le 8 del mattino e le 10 di sera, sabato e domenica compresi, questo programma della casa tedesca è stato sviluppato con la collaborazione della rete dei concessionari che hanno aderito all’iniziativa per il 95%. In Cina i concessionari di auto vendono le vetture direttamente dall’interno di WeChat, popolare app che integra tantissimi servizi, assistendo l’acquirente in ogni fase fino a completare l’acquisto (tutti esempi questi illustrati in occasione di Internet Motors, due giorni dedicata alla digitalizzazione dell’industria automotive organizzata proprio da Motork).

Le automobili si vendono già online, anche se resta importante la rete dei concessionari fisici perché il test drive è un passaggio che molti acquirenti vogliono fare, perché non sempre è possibile consegnare la vettura presso l’indirizzo del cliente, perché per firmare i contratti di vendita bisogna che cliente e venditore si incontrino, perché una vettura ha una vita in cui servirà assistenza e supporto.

Ciò che sta accadendo è che il modello di business e soprattutto il processo che porta alla vendita sta cambiando anche quando si tratta di automobili. Se fino a ieri ci si poteva permettere di rispondere alla richiesta di un potenziale cliente in tempi misurati in ore, se non addirittura in giorni, oggi bisogna rispondere in tempo quasi reale altrimenti si rischia di perdere il cliente, le concessionarie sono sempre più grandi, multimarca, multi-provincia per accrescere da un alto le economie di scala ma anche per essere sufficientemente strutturate al fine di poter fare gli opportuni investimenti per cogliere al meglio possibile questa opportunità. Opportunità che vale per il mercato delle auto nuove, così come per quello dei veicoli usati come ha dimostrato in Usa Carvana.com che ha messo a punto una piattaforma che utilizzando anche tecnologie di realtà virtuale consente di visionare fino al più piccolo dettaglio, e difetto, prima dell’acquisto: tecnologia, servizio, trasparenza sono le chiavi di questa organizzazione che ha rivoluzionato il mercato statunitense dell’auto usata, mercato che in Italia è aggredito da startup come BrumBrum  e GoodBuyAuto . Realtà virtuale, screencast, chat sono strumenti che sempre più verranno utilizzati anche per organizzare appuntamenti online tra venditori e acquirenti.

Certo la diffusione del car sharing e l’avvento delle auto elettriche modificano da un lato il concetto stesso di rapporto con l’automobile che non è più vista unicamente come prodotto da acquistare, ma può essere anche considerata sotto forma di servizio e minano, dall’altro, il modello dei servizi di assistenza tecnica perché le auto elettriche avranno solo gli pneumatici e i freni da fare controllare ogni tanto, per il resto la manutenzione, salvo forse la periodica sostituzione delle batterie, è non necessaria.


E così cambia profondamente anche il mercato come recita questo articolo del World Economic Forum del 24 febbraio 2017  in cui si spiega come sta modificandosi il mercato negli Usa, come le nuove generazioni vedono l’automobile e come è sempre maggiore il ruolo dell’online, non solo come canale di vendita, ma anche come strumento per raccogliere informazioni e confrontare le offerte e i modelli.

Naturalmente però la vera rivoluzione ci sarà con l’avvento delle auto a guida autonoma che modificheranno il concetto stesso di base: vi saranno meno auto che viaggeranno più spesso invece delle tante auto che ci sono oggi che, per la gran parte della loro vita (si è calcolato che in Usa l’automobilista guida mediamente per 46 minuti al giorno) sono ferme tanto che qualcuno inizia a battezzare le automobili con il nomignoli di ‘autoferme’, non più ‘driving device’ ma ‘parking device’ e a pensarci bene quasi quasi un’auto oggi inquina di più, in termini di spazio ambientale occupato, quando è ferma che quando cammina.

Certo il processo di adozione dei veicoli autonomi non sarà immediato e richiede ancora alcuni elementi da perfezionare come per esempio la gestione della privacy ma, sempre secondo il World Economic Forum, è questo il futuro che ci aspetta, secondo questo articolo si analizza anche il processo di ownership delle auto a guida autonoma che dapprima saranno di proprietà dei singoli utenti come oggi avviene con le auto a guida umana, poi saranno gestite con modelli di multiproprietà e infine si arriverà alla self ownership dei singoli veicoli.

I veicoli a guida autonoma, elettrici e quindi a bassa necessità di manutenzione oltre che a basso impatto ambientale, saranno la svolta che modificherà profondamente la mobilità di ognino di noi e avrà impatto sostanziale non solo sull’industria dell’automobile ma su tantissimi altri settori: dalle assicurazioni, all’edilizia, dalla ristorazione alla sanità, dai trasporti pubblici ai media come descrive in modo puntuale un’analisi condotta di CBInsights.


via Startupbusiness
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La National Football League (NFL) sta vendendo i diritti per lo streaming della prossima stagione di Thursday Night Football. E almeno quattro grandi aziende di tecnologia sono interessate. Facebook, Amazon, Twitter e YouTube hanno tutte presentato proposte alla NFL, nella speranza di trasmetterne le partite. Lo scrive Recode riportando fonti vicine alle società, che avevano già partecipato anche lo scorso anno per lo stesso accordo, poi vinto da Twitter con un’offerta di 10 milioni di dollari per il diritto di trasmettere 10 partite. Il campionato dovrebbe prendere una decisione entro il prossimo mese.

Il mercato dei diritti

Proprio come le reti televisive, anche le aziende di tecnologia sono interessate allo sport in diretta. Facebook e Twitter stanno facendo offerte per qualsiasi sport dal vivo su cui riescano a mettere le mani. Amazon è interessata agli eventi sportivi in diretta ma ha anche comprato diritti cinematografici. I diritti sportivi dal vivo sono costosi e difficili da trovare, però; i diritti televisivi tradizionali per le grandi leghe sportive come NFL, NBA e MLB sono già assegnati per anni. Cosa che rende quelli per Thursday Night Football i più ambiti sul mercato in questo momento. Ma Twitter l’anno scorso non ha segnalato un picco significativo nella crescita dei ricavi utente grazie allo streaming dei giochi. Twitter sostiene che 3,5 milioni di persone abbiano visto ogni partita in media, ma secondo le metriche televisive questo numero si abbassa a un paio di centinaia di migliaia di spettatori a partita. La media di CBS si avvicinava a 15 milioni di spettatori a partita nella scorsa stagione. Il pubblico più ridotto è uno dei motivi per cui i match sono stati venduti a soli 10 milioni di dollari l’anno scorso, una frazione di quello che NFL porta a casa con i diritti televisivi. Gli stream non sono esclusivi: gli spettatori possono anche guardare le partite su NBC, CBS, NFL Network e Verizon, che ha i diritti di distribuzione per la telefonia mobile. Inoltre, a Twitter è stato consentito di vendere solo una piccola percentuale della inventory pubblicitaria complessiva delle partite.


via DailyOnline
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Di Altri Autori (del 27/03/2017 @ 07:35:15, in Mercati, linkato 1643 volte)

Verallia, terzo produttore globale di contenitori in vetro per l’industria alimentare e Nomisma Wine Monitor, hanno presentato lo studio “Il ruolo del packaging nelle scelte di consumo di vino: un confronto tra i Millennials statunitensi ed italiani”. La ricerca, realizzata da Wine Monitor, si è posta l’obiettivo di valutare comportamenti e stili di consumo di vino da parte dei Millennials nei due mercati più importanti per le imprese vinicole del Belpaese: oggi 5 bottiglie di vino italiano su 10 vengono ancora consumate nel mercato nazionale, mentre delle 5 rimanenti che vengono esportate, una finisce direttamente negli Stati Uniti. Gli USA rappresentano infatti il primo mercato di export per le nostre produzioni; un mercato che nel 2016 ha importato complessivamente oltre 5 miliardi di euro di vino, di cui il 32,4% di origine italiana, facendo del nostro paese il leader di settore. La crescita a valore delle importazioni totali di vino negli Stati Uniti è stata del 52% nel corso dell’ultimo decennio (3,3% nell’ultimo anno, 2016 vs 2015).

image002L’universo di riferimento dello studio sono stati i Millennials (popolazione di età compresa tra 18-35 anni in Italia e 21-35 in USA – per legal drinking age). Si tratta della generazione su cui stanno puntando tutti i produttori e che in futuro sostituirà – in particolare in Italia – quei consumatori di vino che per anni ne hanno sostenuto il consumo in virtù di un approccio più tradizionale, per il quale questa bevanda ha spesso ricoperto un ruolo funzionale (di alimento) più che voluttuario. Nel caso degli Stati Uniti, dove questo approccio non è mai esistito, i Millennials rappresentano già oggi la generazione che in quantità consuma più vino di qualsiasi altra: 42% di tutti i consumi.

image002“I Millennials rappresentano la generazione cui stanno puntando tutti i produttori - afferma Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma. Però questa generazione ha un approccio all’acquisto di vino nettamente differente da quella che tradizionalmente ne ha sostenuto i consumi (i baby-boomers): maggiore attenzione all’innovazione, alla sostenibilità, alla creatività, tutti fattori spesso legati al packaging e per i quali ancora molte imprese italiane non ne hanno colto la strategicità a fini di mercato. L’obiettivo di questa ricerca è stato proprio quello di fornire ai produttori italiani uno strumento in più per cogliere le opportunità nei due principali mercati di vendita del nostro vino: Italia e Stati Uniti”.

La ricerca ha messo a confronto l’approccio al vino dei Millennials statunitensi e italiani, fotografandone le percezioni e i principali driver di scelta nell’acquisto e consumo di vino, tra i quali il packaging dimostra di avere un ruolo di primaria importanza. Le differenze di atteggiamento tra le due sponde dell’Atlantico sono ragguardevoli. I giovani adulti USA, ad esempio, scelgono il vino per la notorietà del brand (32%) e molto meno per il tipo di vino (21%). All’opposto, il primo criterio di scelta dei Millennials italiani è la tipologia del vino (51%), mentre la notorietà del brand è del tutto marginale (10%).
Le percezioni divergono anche sull’importanza del prezzo basso o promozionale, alta negli USA (20%) e bassa in Italia (11%), nonché sulla rilevanza del paese/territorio di origine, più alta in Italia (21%) che negli USA (15%).
Nella scelta del vino entrano anche fattori puramente estetici e di design come il packaging e le etichette, indicati dal 10% del campione USA e dal 5% di quello italiano.

Quando il campo si restringe sulle bottiglie di vino, emerge che i Millennials italiani sono più sensibili agli aspetti “etici” di sicurezza e sostenibilità del vetro (55%) dei loro omologhi USA (44%), mentre il rapporto si ribalta nell’apprezzamento degli aspetti “sensoriali”(trasparenza, freschezza al tatto) con un 53% a 40% a favore degli USA.
La distanza tra italiani più aderenti alla sostanza e americani più inclini a essere attratti dall’estetica è messa in rilievo anche dalla diversa importanza assegnata alla forma e colore dell’etichetta (82% USA - 55% Italia), forma della bottiglia (74% USA - 47% Italia) e presenza di loghi/grafiche in rilievo sul vetro (71% USA - 40% Italia).
Non stupisce, perciò, che il 76% dei Millennials USA ritenga che le bottiglie personalizzate contengano vini di qualità superiore contro il 53% degli italiani, né che dinanzi a una bottiglia di vino sconosciuto, ma dal design molto innovativo o particolare, il 92% dei consumatori USA tra i 26 e i 31 anni sarebbe interessato all’acquisto, contro il 70% dei loro coetanei italiani.

“La scelta se raccogliere le indicazioni emerse dalla ricerca spetta esclusivamente alle singole imprese italiane, però ritengo sia già un inizio promettente che se ne discuta serenamente, senza preconcetti in un senso o nell’altro - ha dichiarato Roberto Pedrazzi, direttore commerciale e Marketing di Verallia Italia. Noi di Verallia, come sempre, siamo pronti ad affiancare il made in Italy mettendo a disposizione il know-how, le risorse industriali e la ricerca avanzata su materiali e design di un gruppo internazionale interamente dedicato al packaging in vetro per il food and beverage.”

Via Mark Up
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Di Max Da Via' (del 24/03/2017 @ 07:07:42, in Comunicazione, linkato 1651 volte)

Nel mercato televisivo, Rai e Mediaset si confermano i due principali operatori in termini di audience, rispettivamente con il 36% e il 31% di quote d’ascolto, pur attestandosi su livelli di share inferiori rispetto al 2012 (-3,8% e -2,9%). Sky si attesta al 8,4% e Discovery, grazie anche ad operazioni di M&A, si assesta ad una quota pari al 6,9%. Lo rivelano i dati dell’Osservatorio sulle Comunicazioni pubblicato oggi da Agcom.

Relativamente al settore dell’editoria, sintetizza l’Ansa, a dicembre 2016 le vendite di quotidiani è risultata di poco superiore ai 2,5 milioni di copie, in flessione del 9,8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Rcs MediaGroup resta leader nella distribuzione di copie vendute con il 21,7%, seguito dal Gruppo Editoriale l’Espresso che si attesta al 18,7% (+0,7%), dal Gruppo Monrif 8,6% (+0,5%) e dal Gruppo Caltagirone Editore, che raggiunge l’8,6% delle copie vendute (+0,2%).

Nel mese di dicembre 2016, oltre 30 milioni di individui si sono collegati ad Internet giornalmente. Da dispositivi mobili sono risultati 25,4 milioni (+17,7% rispetto a dicembre 2015). Le prime 4 posizioni non presentano variazioni su base annua: in particolare, Google resta stabile al primo posto con il 95,9% degli utenti che navigano in Internet. Ma Mondadori, che nel 2016 ha comprato Banzai, recupera nove posizioni e chiude al sesto posto con il 52,3% degli utenti che navigano sul web. La navigazione su Whatsapp e Facebook supera le 24 ore mensili per utente.

Riguardo all’audience radiofonica, invece, il secondo semestre 2016 segnala dati sostanzialmente stabili, con l’emittente Rtl 102.5 che mantiene la leadership.

Leggi o scarica i dati completi dell’Osservatorio Agcom sulle comunicazioni

Via Prima Comunicazione
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Di Max Da Via' (del 23/03/2017 @ 07:29:59, in Internet, linkato 1871 volte)

Dai 900mila login effettuati su Facebook ai più di 751 mila dollari spesi online, passando per i 156 milioni di mail inviate e i 3 milioni e mezzo di ricerche effettuate tramite Google.Ecco riassunto in un’infografica cosa succede in un solo minuto in Rete.

 

Via Prima Comunicazione



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Di Max Da Via' (del 22/03/2017 @ 07:09:31, in Social Networks, linkato 2200 volte)
Le festività scandiscono, oramai da anni, la vita dei brand sui social e sono gli unici eventi in “real time” programmabili con largo anticipo. La giornata del sorriso, della cioccolata, quella del cane o il primo giorno d’autunno: tutti questi momenti possono riempire i vuoti dei calendari editoriali o semplicemente trasformarsi in ottimi spunti per realizzare contenuti originali.

Oggi gli utenti, non solo si aspettano un post per “la festa della nonna”, ma arrivano anche a giudicare negativamente i brand che non cercano di andare oltre a dei semplici auguri. Allora cosa possiamo fare per non risultare banali e allo stesso tempo  per spingere anche i nostri prodotti?

Il 14 maggio sarà la festa della mamma, l’occasione giusta per mettersi alla prova e iniziare a ripensare i propri contenuti in modo strategico. Qualche settimana fa Facebook è stato invaso da migliaia di post legati alla festa della donna e abbiamo deciso di prendere spunto da quanto è successo sul web per capire quali sono le tipologie di post più apprezzate dagli utenti.

In prima posizione si trova Ceres che, con l’ ironia che da tempo ormai contraddistingue la sua comunicazione, consiglia agli utenti di sostituire con una Ceres la classica mimosa.  Nel caso della festa della donna, il gioco si presta bene, ma l’idea non è così banale e i fan della pagina lo apprezzano. L’obiettivo in questo caso non è solo intrattenere e divertire, ma si ribadisce anche un concetto chiaro: una Ceres è adatta ad ogni occasione. Pensando alla festa della mamma si potrebbe ad esempio proporre un prodotto, anche del tutto estraneo all’universo tipico femminile, al posto del solito profumo o dei fiori.

Amazon invece approfitta dell’8 marzo per avvicinare gli utenti alla parte più umana dell’azienda, per ricordare che dietro al suo marchio lavorano migliaia di donne. L’obiettivo in questo caso è ben diverso da Ceres, ma se strutturato in modo adeguato può rafforzare i valori del brand e renderlo più vicino ai fan.

Samsung invece ci ricorda l’importanza di conoscere a fondo i propri consumatori, con un avvincente spot dal claim “il tempo di ogni donna è ogni giorno”. Il colosso giapponese non si accontenta di un semplice post e  in un coinvolgente video racconta le donne con cui il brand più si identifica: moderne, tecnologiche e impegnate. In questo caso l’obiettivo è quello di ribadire un legame con il proprio target parlando a quelle donne che si riconoscono in determinate situazioni. Segue la stessa linea Decathlon con un augurio alle fan affinché possano conquistare la propria vetta e raggiungere il massimo. A questo punto non resta che chiedersi: qual è il tipo di mamma che immaginate come consumatrice dei vostri prodotti?

 

La semplicità e la dolcezza sono i temi portati in scena da Nutella, forte ovviamente della sua alta riconoscibilità. Gli amministratori della pagina hanno pensato bene di consigliare l’uso del prodotto per fare un regalo speciale, senza nemmeno scriverlo. Infatti l’immagine, da sola, sembra dire “basta un piccolo gesto, come la colazione a letto per renderla felice”. Questo tipo di post ci mostra come con un po’ di fantasia e flessibilità ogni nostro prodotto o servizio può essere mostrato da un altro punto di vista.

 

 

Un’altra tipologia di “augurio” che ottiene spesso successo è quella volta a sorprendere l’utente con un vero e proprio regalo. Tim e Vodafone hanno offerto 8 giga ai propri clienti, Alitalia un rossetto a tutte le donne sui voli in partenza, noi possiamo limitarci ad uno sconto o a un offerta speciale ottenendo un doppio vantaggio: utenti soddisfatti e ambasciatori dei nostri prodotti.

Media World si allontana invece dall’idea del target e, con una gif che alterna varie referenze, cerca di porsi come luogo perfetto in cui trovare il regalo adatto ad ogni donna, dalla nonna alla sorella. Questa tipologia di contenuto permette di rispondere a una necessità d’acquisto dell’utente che probabilmente, in quel momento, si trova a dover fare più regali in un solo giorno.

Via Tech Economy
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