Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Il difficile rapporto tra gli editori e Google News segna il suo punto più basso. In Spagna, Google ha annunciato che dal prossimo 16 dicembre il servizio verrà chiuso. La decisione era stata anticipata ieri da alcuni media spagnoli e l’azienda americana ha confermato con un post firmato da Richard Gingras, il responsabile globale di Google News.
«Ci dispiace, ma in seguito a una nuova legge spagnola a breve dovremo chiudere Google News in Spagna» scrive. La legge citata è quella sulla proprietà intellettuale e obbliga gli aggregatori di notizie a pagare gli editori per ogni porzione del loro lavoro che viene utilizzata. Nella fattispecie, Google News nella sua vetrina propone un elenco di articoli presi da decine di fonti che vengono presentati in un ordine deciso da un algoritmo che non è pubblico, e nel farlo mostra qualche riga di anteprima per ogni news.
Google sarebbe obbligata a pagare per la pubblicazione di questi sommari e gli editori non si possono rifiutare di chiedere questo compenso. Google spiega che «visto che Google News non genera ricavi (non pubblichiamo pubblicità sul sito) questo nuovo approccio è semplicemente non sostenibile». Ecco perché il 16 dicembre, prima che la legge sia operativa, ovvero da gennaio, verranno rimossi i contenuti e poi, quando Google News sarà vuoto, non risulterà più raggiungibile.
Google spiega la sua decisione con ragioni di business, ma si tratta soprattutto di una presa di posizione di principio. Il servizio è attivo in 70 Paesi e non ha voluto che quello spagnolo diventasse un precedente. Gli editori da tempo contestano a Google l’utilizzo dei sommari negli articoli oltre che lo sfruttamento commerciale se non direttamente all’interno di Google News, nelle pagine che arrivano dal motore di ricerca grazie a link e rimandi al servizio. Inoltre, i servizi di Google sono decisamente integrati: portare utenti su News è un modo per portarli all’interno del mondo Google. La risposta di Google è che News è fatto di link che generano traffico per le pagine web dei singoli editori, e dunque potenziali ricavi.
Era successo qualcosa di simile in Germania circa un mese fa: una legge chiedeva a Google di pagare il diritto d’autore per l’anteprima degli articoli. L’azienda aveva passato la palla agli editori, dando a loro la scelta: rimanere gratuitamente (scelta non permessa in Spagna) oppure lasciare solo il titolo e il link, senza foto e sommario. Axel Springer, grande editore tedesco e tra i promotori della battaglia a Google, aveva tenuto duro qualche giorno per poi decidere di rimanere gratuitamente in seguito al crollo degli utenti. Una scelta «non volontaria», aveva spiegato l’editore, ma dettata dal fatto che al momento non vede «altre possibilità considerato il dominio di mercato di Google e la pressione economica che ne consegue».
È chiaro che anche in Spagna la dura presa di posizione di Google sta dando fiato a un dibattito tra favorevoli e contrari alla legge sul copyright. Già a maggio, quando la legge era in fase di dibattito, l'antitrust spagnola aveva espresso diverse perplessità. Lo stesso vale per i piccoli editori, preoccupati dal perdere traffico per i loro siti.
La cronaca sta facendo il giro del mondo almeno quanto fece a febbraio 2013 la foto della firma tra il primo ministro François Hollande e il ceo di Google Eric Schmidt. L’accordo sanciva la possibilità per Google di utilizzare le news a fronte di un finanziamento di 60 milioni di euro in un fondo destinato a sostenere lo sviluppo dell'informazione online.
Via IlSole24Ore.com
Il servizio di photo-sharing ha festeggiato un nuovo traguardo: 300 milioni di utenti hanno utilizzato il servizio almeno una volta al mese. E' un numero in crescita del 50 per cento negli ultimi nove mesi, ha detto la società Mercoledì. Instagram aveva annunciato in precedenza di aver raggiunto 200 milioni di utenti al mese di marzo di quest'anno.
Instagram, che è stata acquistata da Facebook due anni fa, ha anche detto che conta 70 milioni di foto e video condivisi ogni giorno, altro dato in crescita da marzo, quando erano 60 milioni i contenuti condivisi quotidianamente.
"Siamo entusiasti di vedere questa comunità prosperare", ha dichiarato il CEO di Instagram Kevin Systrom in un comunicato.
Instagram è osservata dagli investitori come un caso di studio della strategia di Facebook di acquistare alcune startup e consentire loro di crescere investendo su di esse. Il servizio di messaggistica WhatsApp, che aveva 600 milioni di utenti attivi al mese di agosto, e la startup specializzata nella tecnologia della realtà aumentata Oculus VR acquistata da Facebook lo scorso anno, sono state soggette della stessa strategia da parte del social network.
Per Instagram, la crescita è anche l'affermazione dei suoi sforzi nel rimuovere lo spam disattivando account associati a persone inesistenti, account doppi o creati solo per fare spam sul servizio. Negli Stati Uniti, si stima che circa un utente su sei di smartphone utilizza Instagram, secondo la società di ricerche di mercato eMarketer. La maggior parte di questi utenti, circa il 79 per cento, sono di età compresa tra 12 e tra 34 anni.
Instagram ha anche detto che prevede di offrire un sistema di certificazione di alcuni account, quelli più popolari, dopo aver verificato la loro autenticità - sistema che ricorda la spunta blu in Facebook con lo stesso scopo. Questa mossa, che è simile anche alla soluzione di Twitter, aiuterà gli utenti a identificare gli account di celebrità e personaggi pubblici, ed far loro evitare di seguire gli account fasulli.
Via PianetaCellulare
I dispositivi mobili stanno diventando sempre più il primo dispositivo per le comunicazioni e il consumo di contenuti tanto che, dice Gartner, nelle economie emergenti gli utenti stanno adottando gli smartphone come i loro dispositivi mobili esclusivi, mentre nelle economie sviluppate le famiglie multi-device stanno diventando la norma, con i tablet che crescono al ritmo più veloce di qualsiasi dispositivo informatico. Per questo motivo Gartner prevede che, entro il 2018, oltre il 50% degli utenti sceglierà tablet e smartphone come prima opzione per svolgere tutte le attività online.
“Il modello di utilizzo che è emerso per quasi tutti i consumatori è che lo smartphone è il primo dispositivo che viene portato quando si è in mobilità, seguito dai tablet che viene utilizzato per sessioni più lunghe, con l’uso del PC riservato a compiti più complessi”, ha spiegato Van Baker di Gartner “Questo comportamento si amplierà a incorporare device indossabili, non appena essi saranno ampiamente disponibili per gli utenti.” In sintesi, questi “nuovi” usi legati alla mobilità, dice Gartner, determineranno uno spostamento sempre più massiccio verso i device mobili a svantaggio del pc. Anzi, per quasi la metà degli utenti i device mobili saranno gli unici strumenti di accesso e consumo della rete.
Per effetto di questo panorama, entro il 2018 Gartner prevede che il 40% delle imprese specificherà la connessione Wi-Fi come la modalità predefinita per i dispositivi non mobili, come i desktop, telefoni fissi, proiettori, sala conferenze.
“Mano a mano che smartphone, laptop, tablet e altri dispositivi consumer si sono moltiplicati, lo spazio dei consumatori si è ampiamente convertito al mondo wireless “, ha detto Ken Dulaney, Vice President e Distinguished Analyst di Gartner.” Se l’uso del BYOD, ovvero il portare il proprio dispositivo personale sul luogo di lavoro, è aumentato in molte organizzazioni, l’incontro del mondo imprese e di quello dei consumatori, ha cambiato le richieste stesse dei lavoratori. “ E il wifi come prima modalità di connessione aziendale non solo offrirà la possibilità di muoversi senza preoccupazioni ma farà risparmiare tempo e denaro alle imprese in caso di spostamenti e/o l’installazione di nuove postazioni di lavoro.
Entro il 2020, il 75% degli acquirenti di smartphone pagherà meno di 100 dollari per un dispositivo. Entro il 2018, secondo Gartner, il 78% delle vendite globali di smartphone verrà dalle economie in via di sviluppo e per device a basso costo. Questo per effetto di due trend: da una parte i nuovi acquirenti in queste regioni crescono costantemente e, dall’altra, nei mercati più maturi,e gli smartphone di fascia premium hanno raggiunto livelli di saturazione poichè sempre più legati alla sostituzione di un device invece che ad un nuovo acquisto. Altro importante cambio di scenario, dice Gartner, è che se gli smartphone diventeranno sempre più strumenti unici di accesso alla rete e strumenti per accedere a servizi e anche pagamenti, è presumibile che anche sovvenzioni e sponsorizzazioni dovrebbero aumentare, con un ulteriore impatto sull’abbassamento dei costi dei device.
Entro il 2018, più della metà di tutte le applicazioni mobili B2E (business to employee) saranno create utilizzando strumenti che non necessitano di scrivere codice. L’uso di tali tool per il rapido sviluppo di progetti semplici da parte dell’IT e degli analisti di business aziendali, diventerà un’alternativa all’outsourcing limitando anche il coinvolgimento di partner per lo sviluppo di progetti più avanzati. In questo modo i reparti IT che forniscono API pulite per le applicazioni interne e anche strumenti di supporto senza codice creeranno un quadro che consente e accelera la crescita del business digitale affidabile.
Via Tech Economy
I nuovi iPhone 6 e iPhone 6 Plus hanno fatto registrare alla Apple un enorme aumento delle vendite di melafonini a livello globale, secondo un nuovo rapporto.
Per i tre mesi terminati nel mese di ottobre, la quota di vendite in Europa di smartphone della Apple è aumentata di 5,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo di un anno fa, al 20,7 per cento. L'incremento viene associato ai nuovi iPhone dal ricercatore di mercato Kantar Worldpanel ComTech.
Questo dato è significativo se si considera che i nuovi telefoni non sono usciti prima del 19 settembre, in particolare negli Stati Uniti, Australia, Canada, Francia, Germania, Hong Kong, Giappone, Puerto Rico, Singapore e Regno Unito.
"Nelle principali economie europee, gli Stati Uniti e l'Australia, la quota di vendite di Apple è aumentata", ha detto Dominic Sunnebo di Kantar in un comunicato. "Questo successo è particolarmente evidente in Gran Bretagna, dove Apple ora ha la sua più alta percentuale di vendite al 39,5 per cento" - un picco di oltre 10 punti percentuali rispetto all'anno precedente.
"La maggior parte di queste vendite sono state guidate dagli utenti fedeli di Apple", ha detto Sunnebo. "Circa l'86 per cento degli acquirenti britannici si sono aggiornati da un vecchio modello di iPhone, solo il 5 per cento proviene da [un dispositivo della] Samsung."
Nel Regno Unito, l'iPhone 6 ha superato l'iPhone 6 Plus con un rapporto di quattro a uno, Kantar ha detto [un iPhone 6 Plus venduto ogni quattro iPhone 6 venduti].
Le prime ragioni citate dai consumatori britannici per cui hanno acquistato iPhone 6 sono il supporto per le reti 4G (51 per cento), le dimensioni dello schermo (49 per cento) e il design (45 per cento).
Il sistema operativo mobile iOS di Apple è ancora indietro rispetto alla quota che ha Android di Google in tutto il mondo. iPhone 6 è però diventato più competitivo grazie all'aumento delle dimensioni dello schermo. Da uno schermo da 4 pollici che si trova in iPhone 5S e 5C, l'iPhone 6 è cresciuto a 4,7 pollici, mentre l'iPhone 6 Plus (che si può definire a tutti gli effetti un phablet) ha una dimensione dello schermo di 5,5 pollici.
Negli Stati Uniti, gli utili delle vendite di iPhone non sono così impressionanti, in crescita di appena 0,7 punti percentuali al 41,5 per cento in termini di quota di mercato, rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Gli abbonati Verizon hanno rappresentato il 42,2 per cento delle vendite di iPhone 6, mentre i clienti di AT&T riguardano il 41,4 per cento delle vendite, Kantar ha detto. Ma gli abbonati AT&T hanno scelto più il modello da 5,5 pollici, in quanto rappresentano il 63 per cento delle vendite di iPhone 6 Plus negli USA.
L'iPhone 6 ha superato iPhone 6 Plus con un rapporto di tre a uno negli Stati Uniti, Kantar ha detto. Ancora, l'iPhone 6 Plus ha rappresentato il 41 per cento del mercato dei dispositivi ibridi smartphone/tablet - noti anche come phablet - con le vendite negli Stati Uniti per i tre mesi conclusi ad ottobre. Le vendite di phablet, come Kantar definisce gli smartphone con schermi di dimensioni di 5,5 pollici o più, hanno rappresentato il 10 per cento delle vendite complessive di smartphone nel periodo di riferimento.
Gli acquirenti che hanno optato per l'iPhone 6 Plus hanno detto che la dimensione dello schermo è stata la motivazione principale per l'acquisto, mentre la compatibilità con le reti 4G LTE è stato il secondo fattore che ha influenzato l'acquisto.
In particolare, gli iPhone di Apple hanno rappresentato quattro dei cinque più venduti smartphone negli Stati Uniti nei tre mesi terminanti in ottobre, Kantar ha detto.
Via PianetaCellulare
I braccialetti per il fitness stanno per diventare scatole nere che rivelano dati sul nostro corpo, a fini legali o assicurativi. A nostro vantaggio…o contro noi stessi. È uno scenario che sta prendendo forma rapidamente. Negli Usa è in corso il primo processo dove i dati di un fitness tracker (il Fitbit) sono addotti come prova per ottenere un risarcimento assicurativo. Nel contempo, è appena nata la prima app connessa a un’assicurazione sanitaria. Si chiama Pact e permette di aumentare o abbassare la franchigia di un’assicurazione a seconda se facciamo poca o molta attività fisica, monitorata da uno strumento come Jawbone Up o Fitbit.
L’idea di portare i dati a un processo è venuta a uno studio legale che sta assistendo una giovane personal trainer, per una causa assicurativa. La ragazza ha avuto un infortunio. I dati del Fitbit (confrontati prima e dopo l’evento) provano che ha dovuto ridurre di molto la propria attività fisica e ha così diritto a un adeguato risarcimento dall’assicurazione. Lo studio legale ha fatto subito sapere che l’idea si sta diffondendo: gli stanno arrivando numerosi clienti che vogliono usare i dati di un fitness tracker a supporto delle proprie cause, per un motivo o per l’altro.
Per ora è una cosa volontaria, domani chissà: alcuni giuristi americani (come Neda Shakoori dello studio McManis and Faulkner) già prevedono un giorno in cui un giudice obbligherà qualcuno a svelare, al processo, i dati del proprio braccialetto. Proprio come si fa con le scatole nere degli aeroplani in caso di incidente. Lo stesso può avvenire con le assicurazioni. Per ora solo Pact consente ai datori di lavoro di legare l’attività fisica dei propri dipendenti a una copertura assicurativa più o meno vantaggiosa. Ma se questa soluzione si rivelerà più competitiva, sarà imitata da altre assicurazioni e quindi non sarà più una libera scelta.
Insomma, man mano che i fitness tracker si diffondono, se ne rivelano le implicazioni sociali e legali. Smettono quindi di essere strumenti (solo) personali e cominciano ad avere una ricaduta sui propri rapporti con il mondo, le leggi, le istituzioni.
Ma può succedere solo negli Usa, dove i valori della privacy sono meno stringenti? «In Italia non ci sarebbero grandi difficoltà a utilizzare in giudizio anche questo genere di dati proprio come si utilizzano già tanti dati acquisiti dai dispositivi mobili o dai computer di bordo delle auto o dai social network – risponde Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti di diritti digitali -. Nel caso in cui il monitoraggio dell’attività fisica divenisse sistematico, invece, mi sembra un po’ diverso».
«È davvero libero – mi chiedo – il mio consenso a permettere all’assicurazione un trattamento tanto invasivo dei miei dati personali, a fronte di uno sconto importante?». E ancora: «Che cosa ci farebbero gli assicuratori con una quantità di dati tanto preziosi? Siamo sicuri che, con un apposito consenso, non finirebbero per utilizzarli anche commercialmente? Chi assicurerebbe e a che condizioni le persone più a rischio?».
«Nella sostanza – aggiunge Scorza – l’idea non mi piace e mi sembra muovere da una concezione della privacy – addirittura quella legata ai dati sensibili – un po’ troppo business oriented. Il diritto alla privacy dovrebbe essere meno disponibile di quanto in genere si pensa».
Via IlSole24Ore.com
Il 16% degli internauti italiani si collega a Internet solo da smartphone e tablet, il 42% solo da Pc e il restante 42% lo fa da entrambe le piattaforme. I dati emergono da un’indagine di ComScore presentata stamani a Roma in occasione del seminario Mobile Measurement & Monetizing organizzato dalla stessa ComScore e da Yahoo.
In base allo studio, 24,3 milioni di italiani guardano video da desktop e 12,3 milioni lo fanno da mobile. A fruire di video sullo smartphone almeno una volta a mese è il 49%. Il dato, relativo al settembre 2014, si mostra in crescita rispetto al 38% registrato nel settembre 2013. Nello stesso arco di tempo, la percentuale di chi guarda video su smartphone almeno una volta a giorno è passata dal 12% al 15%. “L’utenza si sta spostando sul mobile ed è lì, insieme al social networking, che stiamo investendo fortemente”, ha detto Lorenzo Montagna, numero uno di Yahoo! Italia.
Sul mobile Yahoo ha messo al lavoro globalmente 500 ingegneri, e nel settore ha investito con diverse acquisizioni, a cominciare da Tumblr. Il sito di microblogging, che secondo l’ultimo rapporto del Globalwebindex è il social con la maggiore crescita di utenti (+120%), ha 400 milioni di utilizzatori, di cui 120 milioni in Europa. E 400 milioni di utenti attivi al mese li conta la stessa Yahoo, mentre BrigtRoll, la piattaforma di video advertising della società, ne ha ha 160 milioni. “L’obiettivo è avere massa critica e veicolare una pubblicità targettizzata“, ha spiegato Montagna. Sul fronte degli spot mobile “pop-up e banner non funzionano, occorre una soluzione ponte tra desktop e mobile, che è il native advertising”
Via Tech Economy
Ho ricevuto con piacere da Netcomm dei dati sulle tendenze dell’e-shopping natalizio, che testimoniano come progressivamente l’e-commerce sta entrando nelle vite degli italiani e che mi piace commentare nell’ottica della rivoluzione digitale che sta avanzando, talvolta senza clamore ma inesorabilmente.
Infatti si conferma in crescita il numero d’italiani che acquisteranno online almeno un regalo per amici:9,2 milioni di individui acquisteranno almeno una parte dei propri regali di Natale online, a fronte dei 7,2 milioni che hanno utilizzato il canale eCommerce nel periodo natalizio 2013, per un controvalore stimato in 2,5 miliardi di euro.

Tra gli acquirenti online di regali natalizi si riscontra anche quest’anno un aumento di quelli definiti“Online first”: salgono infatti a quota 2 milioni coloro che compreranno i propri regali di Natale principalmente o esclusivamente su internet, registrando un aumento del +35% rispetto allo scorso anno.

Il 18,6% degli acquirenti online di regali di Natale dichiara che farà meno acquisti rispetto all’anno scorso, ma ben il 34,8% degli acquirenti online di regali di Natale dichiara che farà più acquisti rispetto all’anno passato. Le categorie che ricavano maggior impulso dagli acquisti della stagione natalizia sono, nell’ordine: prodotti di Salute & Benessere, Attrezzatura sportiva, Biglietti di viaggio, Abbigliamento e scarpe, Soggiorni di vacanza.

Che cosa ci dicono questi dati? A mio avviso un primo punto è che l’abitudine degli italiani a usare più canali per i loro acquisti avanza, magari senza un certo clamore tipico di certi hype mediatici ma proprio per questo secondo me in modo più persistente. Si pensi poi ai dati sull’e-commerce da mobile, che confermano una “dieta digitale” molto più evoluta di quanto talvolta pensiamo.
Il fatto che poi l’e-commerce sia una fonte di acquisti che si abbina ad altri canali dovrebbe suonare come un forte promemoria a quei player che possono agire sul terreno dell’omnicanalità, che sempre più dovranno saper sfruttare tutte le occasioni di contatto e incanalare percorsi complessi di customer journey.
Anche nel recentissimo Osservatorio sull’Innovazione Digitale nel Retail si è dimostrato un grande interesse per l’apporto delle nuove tecnologie unito a molta prudenza, il punto è farsi trovare preparati, perché il consumatore forse va più veloce di quanto non ci immaginiamo.
Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Secondo il Pew Research Center il 90% degli americani usa il proprio smartphone per qualsiasi tipo di comunicazione, sia privata, sia pubblica. Grazie a tali dati i funzionari governativi hanno capito che proprio tramite la velocità delle comunicazioni via mobile i residenti erano in grado di mettersi in contatto con i vari operatori urbani. Città, quindi, come Atlanta, Philadelphia e Chicago stanno tentando di attingere alle potenzialità tecnologiche e alle varie app per ristabilire e creare un rapporto co-partecipativo con i cittadini.
In questa rete di stategiche esplorazioni e scoperte, Boston pare sia la metropoli più smart, tecnologicamente adulta. Citizen’s Connect, infatti, è un’applicazione municipale approvata e sostenuta dal sindaco che funziona come una sorta di numero verde, disponibile 24 ore su 24, attraverso cui i residenti possono segnalare problemi come buche, graffiti abusivi, semafori malfuzionanti, segnaletica stradale inesistente, incidenti che mettono in pericolo la vita urbana. Gli utenti, attraverso l’applicazione (sia per Android sia per IOS), scattano una foto e la inviano al centro di monitoraggio che codifica la posizione e manda soccorsi. Oltre all’utilizzo della app è possibile usare il servizio via web e comunicare via chat con un operatore. La risposta è garantita. Per facilitare le operazioni, infatti, il comune ha assunto una serie di City Workers che aiutano gli impiegati municipali a raccogliere data e vigilare costantemente sulle varie attività.
Citizen’s Connect è stata sviluppata dal team di Nigel Jacob, co-presidente del Dipartimento di New Urban Mechanics: una sorta di una società di consulenza digitale strettamente legata al comune che ha l’obiettivo di instaurare relazioni solide e di fiducia con i cittadini, al fine di scoprire quali sono i reali bisogni di ogni individuo e come la partecipazione attiva dei residenti possa sviluppare e migliorare l’efficienza urbana. Con questa iniziativa, quindi, Boston, si è aggiudicata il titolo di città “tech savy” e presa dall’entusiasmo dei risultati positivi ottenuti, ha recentemente istituito Darg (Design Action Reserach with Government), una sorta di laboratorio di ricerca che si avvale di tecnologie civiche per migliorare la sicurezza cittadina. Per tale progetto il comune di Boston ha collaborato con Eric Gordon, direttore del Game Engagement Laboratory dell’Emerson College, che esamina come i giochi e social media possono influenzare la vita urbana. Attraverso Darg, il team di Gordon analizzerà i vari sistemi messi a disposizione dal comune per capire quale comportamento civico ha bisogno di un cambiamento radicale e quali sono gli strumenti migliori per raggiungere tale scopo. “E’ tutta una questione di porre le domande giuste prima di distribuire una applicazione civica, in modo che l’attenzione, non tanto sul successo assoluto o il fallimento, sul trovare un sistema e un meccanismo che i residenti possano usare”, ha detto Gordon in un comunicato pubblicato sul sito del comune. Per essere più efficaci in questa ricerca Darg ha promosso “Via Cred”, un’applicazione che misura l’ impegno civico degli utenti in base a un sistema di punteggi che vengono dati secondo la loro partecipazione al benessere urbano.
Via IlSole24Ore.com
Oggi vi segnalo questa infografica tratta dallo studio globale che GlobalDMA in partnership con Winterberry Group ha realizzato sul data-driven marketing mettendo insieme le risposte di oltre 3.000 partecipanti provenienti da 17 mercati globali.  Ringrazio Kawakumi per la segnalazione e vi rimando al suo articolo per un’ottima sintesi dei principali finding dell’executive summary della ricerca. Da parte mia mi piace tornare ad evidenziare come creatività e dati si stiano sempre più avvicinando in un approccio multidisciplinare che richiede una doppia anima ai marketing manager. Noi italiani come siamo messi rispetto a questo tema? A leggere le statistiche presenti nella ricerca di Global DMA non sembriamo tra i più fiduciosi nella possibilità di fare crescita attraverso questo tipo di approccio, il che contrasta con un certo ottimismo su temi affini, come i big data, che emerge da altre ricerche.  A mio avviso ciò si spiega con una certa ritrosia di molti marketer rispetto alla tecnologia, che inoltre è ancora spesso limitata dalla presenza di silos chiusi di dati e da una governance carente. La mancanza di competenza in effetti è ancora una delle principali preoccupazioni, e non solo nel nostro paese, quando si parla di maneggiare grandi fonti di dati.  Ragionare però in un’ottica dove i dati sono una guida e un supporto al processo decisionale non è più qualcosa di evitabile. Si tratta di un cambiamento culturale importante, che non può che migliorare le professionalità delle persone che fanno marketing. Last but not least, bisogna capire quali di tutti questi dati sono davvero importanti e bisogna dotarsi di sistemi efficaci di data visualization e di sintesi che possano dare degli strumenti per decidere. Ma su questo magari ci sarà spazio per un altro post… Gianluigi Zarantonello via Internetmanagerblog.com
Premessa: i rapporti sulla poduttività delle tecnologia tendono a essere molto ottimistici. Secondo una analisi di Frost & Sullivan nel corso dei prossimi cinque anni, le 50 tecnologie più importanti a livello globale genereranno un potenziale di mercato complessivo di 2,8 trilioni di dollari. Soltanto nel 2013, l'investimento globale in ricerca e sviluppo per queste 50 tecnologie ha superato i 120 miliardi di dollari. L’analisi si basa sul programma TechVision di Frost & Sullivan pensato su misura per identificare le tecnologie specifiche che possono influenzare e rafforzare il business di un'azienda. Afferma Ankit A. Shukla, Practice Director del gruppo Technical Insights (Europa) di Frost & Sullivan: «Abbiamo creato un programma specifico per tenere traccia delle nuove tecnologie e sfruttare le opportunità di diversi miliardi di euro che nascono dalla possibile convergenza tecnologica».
Le previsioni
Il valore quindi è generato dalla convergenza che genera (o dovrebbe generare nuovi mercati). Per esempio, secondo gli analisti emergeranno delle opportunità collegate alle infrastrutture oil & gas “self-healing” (o autoriparanti) come risultato della convergenza dell'elettronica flessibile e dei rivestimenti superidrofobici. Le tecnologie di realtà aumentata assimilate all'elettronica indossabile offriranno una migliore user experience per i settori consumer, difesa, istruzione e videogiochi. Il settore della sanità trarrà vantaggio dalla tecnologia di stampa 3D, rendendo possibile la guarigione personalizzata delle ferite grazie alla pelle artificiale stampata in 3D. Queste tecnologie registreranno un tasso di adozione significativo intorno al 2019-2020.
Ecco le 50 tecnologie più innovative. Le 50 tecnologie più innovative identificate da Frost & Sullivan spaziano in nove diversi settori, tra cui: ict, tecnologie per dispositivi medici e di imaging, manifattura avanzata e automazione, sensori e controlli, materiali e rivestimenti, microelettronica, tecnologie “green” per l'ambiente, energie sostenibili, salute e benessere. Qui il pdf con la mappa delle tecnologie. A questo indirizzo invece il motore per trovare le 50 tecnologie emergenti.
Via IlSole24Ore.com
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