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  mymarketing.it: perchè interagire è meglio!... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Alessandro Figus (del 13/10/2005 @ 12:38:32, in Internet, linkato 1747 volte)

A breve l'interazione tra i due noti networks di messaggeria istantanea sarà resa possibile grazie ad un apposito accordo. Gli utenti di Msn e di Yahoo, mantenendo il proprio indirizzo, potranno scambiarsi files e comunicare tramite messaggi o voce.

 La portata di questa intesa è ampissima coinvolgendo ad oggi quasi 50 milioni di persone per una quota che si aggira intorno al 44% del mercato. Cosa ne penseranno quelli di AOL che fino ad oggi controllavano il settore con un (non più) rassicurante 55%? Ma oltre a minacciare così da vicino AOL, questa mossa potrebbe essere stata pensata anche per prendere subito le distanze dal recente servizio di instant messaging Google Talk, che pur potendo contare solo su una quota dell' 1%, rimane sempre un componente della famiglia Google e come tale da non sottovalutare. 

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Di Gianluigi Zarantonello (del 13/10/2005 @ 19:11:37, in Marketing, linkato 1934 volte)

Il Marketing non è certo una disciplina statica e per sua natura evolve continuamente per far fronte ai cambiamenti del consumo e dell'economia.

Qualche volta però deve fare un passo indietro e recuperare qualcosa che sembra appartenere al passato per affrontare il futuro.

E' il caso del Buzz Marketing o Viral Marketing, niente altro che la sublimazione tecnica del passaparola, semplice, economico e convincente, basato sulla forza degli opinion leaders, persone dotate di carisma che riescono ad influenzare il comportamento e le idee di un gran numero di individui.

Non è certo di oggi la scoperta della loro influenza, Paul Lazarsfeld ne aveva individuato l'importanza parecchi anni orsono (1940-1960) teorizzando, in quel caso per le elezioni americane, il “Two steps flow of communication”, ossia il flusso di comunicazione a due stadi.

In breve Lazarsfeld aveva notato che gli elettori ricevevano informazioni sia direttamente dai media e dai candidati, sia da mediatori (gli opinion leaders) che riportavano, commentando e analizzando, notizie e dati appresi da altri.

Il ruolo di questi mediatori (non semplici trasmettitori ma veri e propri filtri che rielaborano l'informazione) e la loro influenza avevano un peso notevolissimo.

C'è chi allora ha iniziato ad applicare questi principi a una precisa strategia, ad esempio la società americana BzzAgent, che detiene un esercito di “apostoli” del brand più o meno stimabile in 100 mila adepti.

Mode? Può essere ma di fatto l'azienda nel suo portafoglio clienti ha già nomi come Coca-Cola, Estée Lauder, Lee Jeans, Kelloggs, Ralph Lauren e altri.

E la Procter&Gamble disporrebbe, secondo Panorama, di 250 mila giovani leader d'opinione che promuovono i suoi tanti prodotti.

Diversi guru del marketing USA, come Seth Godin e Malcolm Gladwell, si sono pronunciati con interesse sul tema, dato che il suggerimento e il passaparola tra amici, parenti e conoscenti è da sempre il motore delle mode.

La conoscenza e l'interesse per un bene cresce fino a raggiungere il tipping point di cui parla Gladwell in un suo libro recente, il punto oltre il quale il fenomeno decolla e contagia masse enormi di individui.

Il punto più delicato sta nel convincere le persone a diventare veicoli del contagio (di solito avviene gratis), infatti esse nel dare un consiglio a qualcuno del proprio gruppo di riferimento si giocano in parte nome e attendibilità, perché dunque dovrebbero farlo?

Normalmente è un fatto d'immagine, dunque un ritorno di tipo intangibile legato al rafforzamento della propria leadership in fatto di opinioni e al propri prestigio sociale nel gruppo.

Questo comporta anche una maggiore attenzione nel svolgere il proprio compito perché più si diventa influenti e più una brutta figura o un suggerimento sbagliato diventano pesanti.

Qualche benfit tangibile poi viene da campioni omaggio e altri piccoli regali/gadget, ma in effetti è l'aspetto immateriale a farla da padrone nella motivazione.

Quanto costa tutto ciò in termini economici? Per ora relativamente poco, visto che si tratta di una materia ancora in evoluzione e che i costi per la gestione degli opinion leaders sono pressoché nulli, una campagna tipo con la Bzz Agent viene a costare grossomodo 100mila dollari.

I costi di fatto sono uno degli elementi di forza del viral marketing ma anche i risultati in termini di efficacia non sono da buttare.

Con espedienti di Buzz Marketing Penguin ha venduto tirature record di romanzi di autori sconosciuti, le salsicce Al Fresco hanno raddoppiato le loro vendite, Hasbro e Lego sono riusciti a far diventare popolari dei giochi fra i bambini prima ancora che fossero lanciati sul mercato e la già citata Procter&Gamble ha fatto lo stesso con le Pringles in Italia.

Alla base del successo però ci deve sempre essere un'idea valida per spingere l'opinion leader a farsi carico, di fatto spontaneamente, del suo ruolo di “untore” del brand.

Altrimenti detto: non sempre funziona.

Iniziative come se porti un amico ti faccio uno sconto non sono vero viral marketing (ma sales promotion), occorre che le persone siano realmente coinvolte per spingere avanti il prodotto, anche senza niente in cambio.

Ci vogliono individui legati al prodotto da interessi personali e appartenenza sociale, l'oggetto da pubblicizzare deve avere davvero qualcosa di innovativo e altrettanto deve esserlo il modo di presentarlo.

E bisogna sapere osare, avendo alle spalle un brand forte.

GIANLUIGI ZARANTONELLO

LINK UTILI E BIBLIOGRAFIA WEB DELL'ARTICOLO

http://www.bzzagent.com/

http://www.permission.com/

http://www.gladwell.com/

http://www.sethgodin.com/

http://www.percheinternet.it/autoformazione/viral-marketing.html

http://www.buzzmarketing.com/

http://www.undicom.it/ (link completo >>)

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Di Max Da Via' (del 14/10/2005 @ 06:55:01, in Blog, linkato 3300 volte)
Il progetto è sicuramente ambizioso: un gruppo di esperti di internet ha unito le forze per creare una rete di news e di approfondimento online.
Fin qui niente di nuovo, verrebbe da dire. La novità consiste nell’organizzazione di questo network di informazione: si tratta di cento blog professionali, monotematici curati da esperti,
giornalisti ma anche semplici appassionati.

Questo progetto, battezzato Blogosfere, punta dichiaratamente alle nicchie dell’informazione, avvalendosi di un network di blog monotematici gestiti da un appassionato del’argomento. L’organizzazione cura gli aspetti tecnici, di comunicazione e marketing, mentre gli autori avranno il compito di scriveranno e aggiorneranno i loro blog.
Il blogger viene pagato tramite il riconoscimento di una percentuale sulle delle entrate pubblicitarie derivanti dal blog di cui si occupa (fino ad un max del 50%), mentre il rimanente sarà di competenza di Blogosfere. Tra i benefici collaterali derivanti dal partecipare a questo progetto gli ideatori assicurano un’elevata visibilità e la possibilità di entrare in contatto con gli altri partecipanti, creandosi quindi un network di contatti.

Nel mio precedente post ho parlato di come Yahoo! intendesse avvalersi anche dei blog per arricchire la propria offerta di news, mentre oggi stiamo parlando di un network italiano di informazione, sempre basato sul principio dei blog, resi complementari e opportunamente integrati per offrire informazioni su svariati argomenti. In questi giorni sembra quindi che un po’ tutti, sia in Europa che in altri continenti, stiano puntando molto, con diverse modalità, su questi nuovi canali di informazione. Questo ritengo sia prima di tutto una prova di come questo diverso modo di gestire le informazioni si stia affermando ritagliandosi un proprio spazio, ma anche di come i canali tradizionali spesso siano meno efficaci e diretti rispetto ad alcuni di questi siti.

Ultimamente si parla infatti fin troppo dei blog, e credo che parte dell’interesse esponenziale che si sta manifestando possa derivare da una sorta di “febbre collettiva” verso lo strumento, diventato improvvisamente di gran moda e il toccasana di tutte le esigenze di contro-informazione. Ma potrebbe essere, come molte improvvise infatuazioni, un interesse destinato a ridimensionarsi nel momento in cui ci sarà un’ulteriore evoluzione nelle modalità di comunicazioni o uno strumento che il tam-tam multimediale vorrà mettere sotto la lente di in gradimento esaltandone i pregi e minimizzandone i difetti. Fino a quel momento comunque godiamoci questo momento di grande popolarità, in attesa di vedere la prossima idea che vedrà i blog ancora una volta protagonisti.
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Di Alessandro Figus (del 14/10/2005 @ 23:23:47, in Prodotti, linkato 1752 volte)
Questa volta non è un film e non è neanche americana. E' una Volkswagen Touareg che è stata provata in un percorso extrastradale al Motorpark di Oschersleben. Il suo segno distintivo è che accelera, curva, cambia marcia e arriva a destinazione senza che qualcuno la guidi, o meglio, senza l' intervento di un pilota umano. Il conducente è il frutto dell'eccezionale livello di automazione raggiunto attraverso il coordinamento di sette schede madre Pentium M in rete, sensori radar che permettono di "vedere" la strada, il GPRS che assicura il raggiungimento del luogo desiderato ed un complesso software capace di generare i comandi di guida. Fa notizia anche perchè a vederla sembrerebbe una comunissima automobile e non una macchina così lontana dalla realtà.

La prova è stata superata a pieni voti lasciando intuire quali saranno gli scenari futuri. La tecnologia utilizzata non permette di sbagliare strada, di distrarsi, di superare i limiti di velocità.

Probabilmente le prime sostituzioni di piloti avverranno in ambito militare e chissà quando la diffusione riguarderà l'intero pubblico. Sarà un cambiamento radicale per molti aspetti; per quanto riguarda gli uomini impegnati al fronte ma anche per la sicurezza nelle strade e per l'opportunità di facilitare gli spostamenti a chi per motivi fisici non è in grado di poter guidare.



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Di Matteo B. (del 15/10/2005 @ 10:04:09, in Media, linkato 2403 volte)
L'Espresso pubblica un interessante articolo, dove si parla delle nuove strategie di Rupert Murdoch per il futuro, e sembra che abbia le idee molto chiare.

Oggi negli Usa metà dei ragazzi tra i 15 e i 25 anni passano più tempo davanti a Internet che di fronte alla tv. Quanto ai giornali cartacei, nemmeno li guardano. In Rete, le nuove generazioni si dilettano con strumenti come l'instant messaging, che tra i ragazzi ha già mandato in pensione le 'vecchie' e-mail, e soprattutto i blog (ogni 7,4 secondi ne nasce uno). Poi cercano videogiochi, musica, divertimenti, strumenti di socializzazione immediata e di comunicazione facile.

Il plutocrate australiano ha riflettuto un paio di mesi attorno a queste considerazioni, ha convocato i suoi direttori di giornali per comunicare loro che ormai appartenevano al Pleistocene e quindi ha cercato qualcosa che gli consentisse di creare il nuovo polo mediatico per i giovani basato appunto sull'entertainment. Infine ha scelto MySpace, un sito fondato nel 2003 da un chitarrista losangelino che oggi ha 29 anni e di nome fa Tom Anderson.

Semplice ma geniale, MySpace è un luogo in cui ognuno si può creare una specie di 'cameretta virtuale', con il suo blog, la sua musica, le sue foto, una frasetta di benvenuto, qualche poster, più naturalmente un elenco di modi per essere contattato. MySpace è una comunità virtuale che consente allo stesso tempo di proclamare la propria identità, di esprimersi in libertà assoluta, di definire un'appartenenza a un gruppo e di socializzare con altre persone. Al momento gli iscritti, in gran parte teen-ager, sono quasi 27 milioni, ma la cifra è in continua lievitazione e si è già quadruplicata dall'inizio dell'anno.

MySpace è già oggi il quinto sito più visitato del mondo: con sette miliardi e mezzo di pagine viste al mese ha superato anche il mitico Google.

Pochi pensano che il tycoon di Sky abbia in mente di far pagare il servizio, attualmente gratuito. Molto più probabile che ad aprire il borsellino siano invece quelle aziende che ai ragazzi di MySpace vogliono comunicare un loro prodotto, a iniziare dalla musica (diverse band devono le loro fortune proprio al tam tam digitale del sito). Ma non solo. Gli stessi blog sono ormai un fenomeno talmente esteso che una piattaforma planetaria può provare a venderne gli spazi pubblicitari a prezzi da spot televisivo.

E in ogni caso, My Space potrà diventare l'epicentro attorno a cui ruoteranno anche le altre attività della Internet corporation di Murdoch, quando avrà completato gli investimenti per i quali prevede di spendere almeno 2 miliardi di dollari. Ad esempio, l'imprenditore australiano ha già ingoiato Scout Media (un gruppo di informazione sportiva i cui contenuti si adeguano perfettamente al target giovanile di MySPace) e Ign.com, network specializzato in giochi elettronici (altra passione degli adolescenti e non solo). Ora sta trattando l'acquisto di Blinx, uno strumento di ricerca per audio e video.

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Di Tiziana P. (del 15/10/2005 @ 16:28:26, in Viral Marketing, linkato 1679 volte)
A proposito di Viral Marketing anche se è già in giro da un pò vi segnalo la campagna pubblicitaria di parla.it, ideata da Effects.

L'idea è molto semplice ma ben congeniata. Un paio di labbra femminili, dopo il primo trillo, cominciano a parlare rimproverandovi, ed è praticamente impossibile farle smettere, in quanto la protagonista è ben consapevole che tanto le telefonate non le paga, grazie all'offerta VoIP dell'azienda.

In attesa di una versione "politically correct" che ci consentirà di far tacere anche un uomo eccessivamente logorroico qui potete godervi questa simpatica animazione. Ovviamente, come ogni iniziativa viral che si rispetti, è anche possibile inviarla ad un amico.
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Di Max Da Via' (del 16/10/2005 @ 09:39:11, in Marketing, linkato 1655 volte)

Ecco le tariffe per organizzare un esproprio proletario in qualche punto vendita di proprietà:

Offerta base

esproprio tradizionale con volantinaggio, striscione e megafonata sul caro vita con un centinaio di manifestanti

costo: fino a 5.000 euro in merce (più 20% spese di produzione)


Offerta de luxe

esproprio con processione della statua di San Precario, almeno due striscioni coreografici e oltre duecento manifestanti

costo: oltre 5.000 euro in merce (più 25% spese di produzione)


Offerta elite

esproprio con processione della statua di San Precario, soluzioni pirotecniche e presenza di almeno un leader no-global

costo: oltre 10.000 euro in merce (più 30% spese di produzione)

Queste sono le tariffe pubblicate sul sito di espropriproletari.com, un sito che applica in maniera non convenzionale alcuni principi di guerrilla marketing. Il funzionamente è decisamente semplice: il committente (proprietario del punto vendita, si spera), paga questa società per organizzare un cosiddetto esproprio proletario. Un certo numero di persone quindi, il cui totale varia in funzione della tariffa concordata, farà un vero e proprio esproprio nel punto vendita da voi segnalato, rubandovi la merce.

A questo punto qualcuno potrebbe legittimamente chiedersi perché pagare per farsi svaligiare il negozio…

La risposta è nascosta tra le righe delle Faq del sito: tramite un accurato lavoro dell’ufficio stampa infatti, i media saranno prontamente allertati di quanto sta per succedere (ovviamente senza sapere che si tratta di un esproprio organizzato), e assicureranno una buona copertura mediatica dell’evento.

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Di Cesare Amatulli (del 16/10/2005 @ 21:52:24, in Brand, linkato 2137 volte)

Lo studio riguardante le caratteristiche del brand, le opportunità del knowledge management ed il modo in cui questi si stanno evolvendo nel contesto economico della moda, rappresenta un’opportunità per capire un settore che negli ultimi anni si è accampato al centro della vita economica e sociale. Un approccio alla moda basato sul marketing risulta interessante soprattutto quando permette di avvicinarsi maggiormente ad una visione ed una strategia aziendale fondate sulla gestione delle risorse intellettuali, la valorizzazione del capitale umano, le sinergie e l’eccellenza totale. Alla base di ogni teoria di fashion marketing c’è un’attitudine a creare valore, un valore che non è solo economico, ma prima e soprattutto, estetico, morale, universale e fortemente legato alla centralità della persona, dell’umano. Alle conoscenze tecniche ed economiche si affiancano le intuizioni creative ed innovative. C’è bisogno della rinascita degli asset intangibili, spesso sottovalorizzati.

Le moderne sfide nel settore della moda si giocheranno in particolare sulla capacità di saper creare e gestire dei marchi fortemente coerenti con la cultura aziendale. La cultura aziendale dà unicità e deve essere forte e differenziante. Essa deve corrispondere a dei valori che devono essere vissuti dal management per poter essere trasferiti a tutti i livelli dell’immagine e dell’identità aziendale. Nel fashion marketing la ricerca assume un ruolo rilevante poiché aiuta l’osservazione e la comprensione di un particolare contesto, sempre in evoluzione e fortemente aderente ai cambiamenti sociali.

Le ricerche degli ultimi anni stanno cercando di capire in modo particolare il lusso; la moda di lusso. Il consumatore è sempre più disposto, addirittura con entusiasmo, ad investire un premium price in categorie di prodotti dai superiori benefici non solo funzionali, ma soprattutto emotivi, auto-finanziandosi con l’acquisto di prodotti a prezzo minimo in quelle categorie che non rivestono per lui un’importanza particolare (Silverstein e Fiske, 2003). Tra le categorie di prodotto capaci di creare un legame emotivo, un’aspirazione al sogno, i prodotti moda rivestono un ruolo da veri protagonisti. Si sente il bisogno di un neo management della moda proiettato verso questo new luxury, questo desiderio di un lusso sempre più elitario in cui i prodotti medi senza vero valore aggiunto perdono consistenza ed i prodotti di massa si elevano al prestigio potendosi permettere un premium price rispetto ai prodotti tradizionali ma restando molto al di sotto dei beni super-premium.

Il fashion marketing si arricchisce e si estende ad obiettivi sempre più profondi: cercare di accrescere la condivisione di know-how trasversali, identificare il marketing come essenza culturale per la conduzione complessiva del sistema azienda e preparare brand managers (o meglio brand developers) che sappiano incarnare il DNA del marchio andando a riscoprire l’elemento heritage (le origini e la storia) adattandolo al gusto del giorno, ad un lifestyle ed a un social target.

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Di Eli (del 17/10/2005 @ 07:39:24, in Marketing, linkato 1867 volte)
Notizia non molto recente ma sicuramente interessante: per festeggiare la vittoria del campionato NBA ad opera dei dei San Antonio Spurs la Nike ha deciso di fare un'operazione di marketing decisamente non convenzionale.
La copia parigina della Statua della Libertà, che si trova su un'isolotto nella Senna, è stata vestita con una copia esatta della maglia di Tony Parker, giocatore simbolo della squadra.

L'operazione non era stata autorizzata, e di conseguenza pompieri e polizia sono intervenuti per liberare la statua, con un'interevento che è durato ore sotto lo sguardo di una folla divertita.

La foto ha fatto il giro del mondo,offrendo un'ottima visibilità alla Nike. Qualche altro monumento potrebbe improvvisamente ritrovarsi con un capo d'abbigliamento firmato?

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Di Alessandro Figus (del 17/10/2005 @ 14:44:35, in Pubblicità, linkato 1730 volte)

Vi propongo due casi di affissioni alternative che hanno come protagonista una Mini. La foto in cui la celebre autovettura sembra scalare un palazzo fa parte di una campagna pubblicitria ideata dalla Blow-Up chiamata "Mini climbs the walls". Inizialmente si potevanono trovare solo in nove punti strategici del Regno Unito e per rendere ogni elemento di questa trovata il più esclusivo possibile, ogni creazione ha un padre diverso. A mio avviso l'impatto è immediato, peccato che in Italia raramente si provi ad investire in publicità di questo genere.

 

 

 

 

 

 

 

 

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