Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Gli investimenti pubblicitari in Italia scendono nel primo trimestre del 18,9% a 1,6 miliardi di euro, con perdite tra il 20% e il 30% per i principali media, con solo internet in crescita (+2,1%).
E’ quanto evidenziato dai dati Nielsen, che sottolinea come questi risultati siano “frutto della congiuntura economica molto critica ma anche della incertezza politica pre e post elettorale”.
Marzo è andato stato peggiore di Gennaio e febbraio, che insieme avevano registrato una contrazione del 16,5% (-15,3% gennaio, -17,7% febbraio). In queste circostanze è difficile prevedere un’inversione i tendenza almeno nella prima metà dell’anno, “ragionevole” sperare in un miglioramento del mercato nell’ultimo trimestre dell’anno se saranno adottate misure di stimolo all’economia e ai consumi.
La raccolta della Tv registra nei tre mesi un calo del 19,1%, i quotidiani segnano -26,1% e i periodici -22,3%. Piccolo rialzo per Internet con +2,1%, in calo del 19,2% la radio.
Via Tech Economy
Ai nativi digitali non piace la pubblicità su internet. Secondo una ricerca di K&A BrandResearch svolta sul mercato americano, i teenager d’Oltreoceano rispondono in maniera più efficace agli annunci radiotelevisivi rispetto a quelli online.
Il 45% degli intervistati ha dichiarato senza pensarci troppo di preferire gli spot sul piccolo schermo rispetto a quelli su Facebook o altri siti web, mentre solo il 23% si è schierato a favore di banner e affini.
Ancor più eclatante il responso sulle reazioni rispetto alla pubblicità online: il 48% prova in ogni modo a non badare a video virali, promozioni linkate e pop up, rifiutando anche solo l’idea di cliccare per saperne di più sul prodotto reclamizzato. Gli investitori del settore dovranno quindi inventarsi qualcos’altro: i ragazzi nati e cresciuti con internet tollerano poco la pubblicità sul loro mezzo di comunicazione naturale.
Via Quo Media
Provenendo da una lunga carriera come pubblicitario, naturale che il tema m’interessi, molto. E ogni tanto ne scriva. Anche perché regolarmente mi capita di imbattermi in opinionisti che predicano la fine di questa disciplina, sorpassata dalle magnifiche sorti del social/digitale.
Un digitale, mi permetto di aggiungere, che ancora raggiunge poco più di una metà degli italiani. E che quindi è inutile per comunicare con l’altra metà. Sulla metà che c’è, ci sono da fare un po’ di distinguo.
La parte più visibile e glorificata dell’utenza è quella che spinge l’innovazione nei modi di rapportarsi socialmente col prossimo, di relazionarsi con marche e prodotti. L’italiano 2.0, se volete. Ma facendo un giro in Rete in occasione di eventi nazional popolari, ascoltando quella maggioranza che normalmente interagisce poco, scopriremo un’Italia (ovvio, dati i tempi dei movimenti culturali epocali) ancora parecchio 1.0. Specialmente al di sopra di una certa età. Su questa fascia di utenza, tanti dei discorsi che leggiamo non si applicano molto. Non basta comprare ogni tanto i biglietti per le vacanze online per essere dei veri e propri digitali.
Niente push, non facciamoci notare Potremmo tentare di farli interagire con iniziative social, aprendo per esempio una nuova pagina Facebook; ma come farlo sapere? Non a caso ormai sappiamo che la maniera migliore per lanciare un’iniziativa social è quello di fargli un po’ di pubblicità. Così facciamo della metacomunicazione, pubblicizziamo una nostra forma di comunicazione commerciale… ma ormai il mondo funziona così.
Non possiamo poi negare il fatto che uno spot potente possa arrestarci, emozionarci, farci di botto pensare, prendere coscienza. Possa convertirci a una causa sociale, farci cambiare idea su un prodotto, con una potenza emozionale che spesso il digitale si sogna. Ma nemmeno sorvolare su un altro fatto: che la pubblicità è più superficiale del digitale, che non è un buon strumento per dare informazione e approfondimento e che non è una verità indipendente essendo pagata da una parte in causa.
Ci sono alternative? Potremmo tentare di farli interagire con iniziative social, aprendo per esempio una nuova pagina Facebook; ma come farlo sapere? Non a caso ormai sappiamo che la maniera migliore per lanciare un’iniziativa social è quello di fargli un po’ di pubblicità. Così facciamo della metacomunicazione, pubblicizziamo una nostra forma di comunicazione commerciale… ma ormai il mondo funziona così.
Non possiamo poi negare il fatto che uno spot potente possa arrestarci, emozionarci, farci di botto pensare, prendere coscienza. Possa convertirci a una causa sociale, farci cambiare idea su un prodotto, con una potenza emozionale che spesso il digitale si sogna. Ma nemmeno sorvolare su un altro fatto: che la pubblicità è più superficiale del digitale, che non è un buon strumento per dare informazione e approfondimento e che non è una verità indipendente essendo pagata da una parte in causa.
Quello che cambia è prendersi i rischi La vera differenza è che la pubblicità è sempre (o quasi) stata fatta facendo attenzione a non rischiare troppo, prioritario non fare un autogol. Mentre online il perbenino non buca, non se lo fila nessuno, non interessa e non funziona. Ma soprattutto quello che conta è avere un’idea. Senza di quella, ne’ la pubblicità ne’ i social cosi funzioneranno mai.
Via Tech Economy
L’11 aprile un potente terremoto si è scatenato al largo della costa di Sumatra, in Indonesia. Mano a mano che le agenzie di stampa battevano la notizia del sisma, il pensiero di tutto il mondo è corso al 26 dicembre 2004 quando, in quella stessa zona, una violenta scossa dava origine a un terrificante tsunami che provocò oltre 230.000 vittime.
La scossa di mercoledì scorso è stata distintamente avvertita in quasi tutto il Sud-est asiatico e il Pacific Tsunami Warning Center ha immediatamente emesso un’allerta tsunami per tutto l’Oceano indiano. L’allarme ha riguardato anche la Thailandia e le autorità locali hanno allertato le popolazioni della costa, invitandole a tenersi a distanza dalle spiagge e a stare al sicuro. Anche i social network, ovviamente, si sono fatti megafono delle notizie provenienti dall’Indonesia e hanno invitato tutti a mettersi al riparo da una possibile onda anomala che, in quel momento, rappresentava un pericolo più che concreto.
La stato di allarme e la certezza che un buon numero di thailandesi in quelle ore stava sul Web alla spasmodica ricerca di notizie e aggiornamenti sul terremoto, deve aver risvegliato qualche genio della lampada: perché non piazzarci un po’ di sana pubblicità? È quello che deve aver pensato l’Admin della FanPage di KFC Thailand – la nota catena di fast food statunitense specializzata in pollo fritto, 13.000 ristoranti in 80 Paesi – quando ha postato un aggiornamento di stato che recitava:
“Let’s hurry home and follow the earthquake news. And don’t forget to order your favourite KFC menu.” (“Corriamo a casa a seguire le notizie sul terremoto. E non dimenticatevi di ordinare il vostro menù KFC preferito.”)
Non ci vuole la sfera di cristallo per immaginare che un simile status in una tale circostanza non sarebbe stato troppo gradito…. E infatti, nell’arco di pochissime ore, mentre le autorità thailandesi revocavano l’allarme maremoto, uno tsunami di proteste si stava abbattendo sulla suddetta FanPage e su numerosi forum, dove hanno cominciato a comparire messaggi che bollavano come “insensibile ed egoista” – per usare due termini garbati – il post di KFC Thailand. Questo accadeva mercoledì. Entro giovedì mattina il post incriminato era già sparito per lasciare spazio a un messaggio di scuse da parte dei vertici di KFC Thailand.
Il tutto è avvenuto così velocemente che i molti articoli dedicati alla faccenda, da Business Insider all’Huffington Post hanno ne hanno parlato a rettifica già avvenuta. In questo caso, l’epicfail non è stato tanto l’aver piazzato una pubblicità di troppo, ma piuttosto il non aver saputo riconoscere il momento poco propizio per promuovere il proprio marchio. È come quando si fa una battuta sbagliata nel momento sbagliato: un istante prima avrebbe stemperato la tensione, ma in quell’attimo scatena la risposta stizzita dell’interlocutore e innesca la polemica.
Il problema dei social media, e forse di Facebook in particolare, è che le notizie – specialmente quelle legate a eventi improvvisi e drammatici – viaggiano accompagnate da un’ondata emotiva potentissima, soprattutto quando l’evento drammatico sta avvenendo a distanza di sicurezza dai nostri monitor e siamo più propensi a guardare i particolari. Se KFC avesse invitato i thailandesi a scappare dall’ufficio per guardare la finale dei Mondiali di calcio in compagna di un bel secchiello di ali di pollo, probabilmente quel post avrebbe ricevuto molti Like e forse avrebbe portato qualche avventore in più davanti alle casse di un ristorante della catena.
Ma scegliere un evento drammatico per promuovere forzatamente il proprio brand ha prodotto un effetto non troppo diverso da quella volta che, nel 2009, il Tg1 si gloriò dei propri eccezionali ascolti in seguito al terremoto dell’Abruzzo: una sacrosanta polemica sul cinismo della società dello spettacolo che fa la conta degli spettatori anche nel momento della tragedia.
A guardare oggi la FanPage di KFC Thailand sembra che non sia successo nulla: esattamente come tutti siamo tornati a guardare il Tg1 dopo la gaffe degli ascolti, anche i fan delle alette di pollo sono tornati a popolare la pagina per chiedere informazioni sul cibo e postulare il ritorno del panino al cavolo nero. Come per la già nota faccenda di #McDStories, questo genere di incidenti difficilmente provoca un danno diretto e immediato: nessuno ha smesso di entrare in un McDonald’s per colpa di un hashtag finito male, così come KFC non fallirà per via di uno status decisamente inopportuno.
Ma il ricordo di incidenti come questi dura veramente solo una giornata?
Lesson Learned: Se volete fare intervenire il vostro brand in una discussione attorno a un evento straordinario o a un tema di attualità molto caldo, siate cauti e scegliete con ancora più attenzione del solito tempi e modi della comunicazione. Quando l’emotività degli utenti è alle stelle per fattori esterni, una mossa sbagliata può far esplodere una polemica che certamente non gioverà alla reputazione del brand.
Via Tech Economy
Tre responsabili marketing su quattro ha segnalato un segnalare un cambiamento di rotta negli investimenti pubblicitari: nel 2011 si è infatti passati dalla pubblicità tradizionale al quella digitale lo scorso anno. E’ quanto emerge dal recente rapporto di DataXu. La tendenza non sembra essere dover essere a breve termine, poiché i cambiamenti sono in corso già da circa 4 anni, e si pensa che possa subire ulteriori spostamenti nel corso del prossimo anno.
Sempre dall’indagine emerge che solamente il 22% degli intervistati prevede un aumento degli investimenti pubblicitari nei media tradizionali rispetto al 2011, mentre la metà prevede di aumentare il loro investimento nella pubblicità digitali.
Via Quo Media
Per la prima volta l'anno prossimo gli investimenti sull'online supereranno quella su carta stampata. La previsione è di Aegis Group secondo cui il mercato della pubblicità, online e giornali, salirà del 5,8% rispetto al 6% del 2012. "La carta stampata – ha dichiarato Jerry Buhlmann di Aegis al Financial Times – mostra progressi principalmente nei paesi in emergenti e in forte crescita come Cina e India".
Nei mercato più maturi, in Europa in particolare, Aegis ha dimezzato le previsioni di crescita degli investimenti pubblicitari (+1,5%), ridotti a un terzo le stime per gli Stati Uniti (5%).
Diverso il discorso per la televisione che continua a recitare la parte del leone mettendo a segno una crescita del 5,5% quest'anno, sempre secondo Aegis, e del 5,3 nel 2013. La tv raccoglie ancora oggi il 51% degli investimenti pubblicitari, mentre si è notevolmente ridotto lo scarto nei confronti dei quotidiani, che rappresentano una fetta pari al 16% del totale.
Via Quo Media
La spesa pubblicitaria globale dovrebbe crescere del 4,9% entro quest'anno, per raggiungere quota 465.500 milioni di dollari, secondo un rapporto di Strategy Analytics. Nello specifico, il totale della spesa per la pubblicità negli Stati Uniti è destinato a crescere del 2,7%, quindi di meno rispetto al tasso globale, anche se questo dato rappresenta comunque un notevole miglioramento rispetto al 0,6% di crescita ottenuto nel 2011.
Via Quo Media
Facebook guadagna terreno nella gara con altri colossi di internet. Durante l'anno in corso assorbirà il 5% degli investimenti in pubblicità online, secondo le previsioni della società di analisi Efficient Frontier. È una gara aperta con Google, Yahoo e Microsoft.
La lente d'ingrandimento del report di Efficient Frontier esamina, inoltre, gli annunci promozionali mostrati dagli schermi di cellulari e tablet: spesso sono la sorgente economica per remunerare chi ha progettato applicazioni software scaricate senza pagare nulla. E, segnala lo studio, durante il 2012 registreranno un aumento fino al 16-22% dei clic sulle inserzioni commerciali online.
Via Quo Media
L’advertising su internet torna continua a crescere, almeno negli Stati Uniti. Il giro d’affari della pubblicità online sembra non patire troppo i venti di crisi ed è arrivato a 7,88 miliardi di dollari nel terzo trimestre del 2011, in crescita del 22% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Il mercato ha quindi superato lo stallo del 2009, quando l’esplosione della recessione negli Usa aveva portato a dati negativi per la pubblicità su web. Anzi, la crescita negli ultimi diciotto mesi è stata costante e solida tanto che, secondo Zenith Optimedia, si può guardare al futuro con ottimismo: tra il 2011 e il 2014, la quota dell’adv online nel mercato pubblicitario globale salirà fino al 21,2% (dal 15,9% attuale).
A guidare il settore sono il search advertising (49% delle entrate totali), i banner (23%) e i video-spot digitali (6%).
Via Quo Media
Frenata del mercato pubblicitario italiano nella prima parte dell'anno. Secondo i dati diffusi da Nielsen sugli investimenti pubblicitari, rispetto al 2010 il volume d'affari è sceso del 4,2%, con un valore complessivo di poco superiore ai 4,5 miliardi di euro. Se il recente passato non è stato roseo per l'advertising, il futuro potrebbe riservare ancora incertezze.
Gli analisti di Nielsen infatti prevedono che "la revisione al ribasso dell'Ocse e del Fondo Monetario Internazionale delle stime di crescita del Pil, freneranno molto probabilmente anche la ripresa del mercato pubblicitario auspicata per la seconda parte dell'anno".
Guardando le stime per i singoli mezzi, la televisione, considerando anche i marchi Sky e Fox e le tv digitali, ha chiuso i primi sei mesi in calo del 4,7%. Il confronto giugno su giugno è favorevole al 2010 anche considerato che l'anno scorso si sono disputati i Mondiali di Calcio, da sempre veicolo importante per la pubblicità televisiva.
Per quanto riguarda gli altri media, gli investimenti su internet hanno superato i 300 milioni di euro, continuando a crescere in doppia cifra (+14,1%) rispetto al 2010. Ma giugno resta anche per il web un mese scuro: il +4,7% rispetto allo stesso mese del 2010 è una delle crescite più basse degli ultimi anni.
E' poi continuato la sofferenza per la carta stampata. In particolare la free press ha registrato un autentico crollo: -49,9%. I quotidiani hanno seguito sostanzialmente il trend del mercato e hanno perso il 5,1%, mentre i periodici hanno limitato i danni con un -1,5%.
Via Quo Media
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