Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Nielsen Media Research, l’azienda di riferimento nel monitorare e valutare la comunicazione delle imprese, ha divulgato i dati riguardanti gli investimenti pubblicitari del primo trimestre 2007. In generale, la spesa pubblicitaria (superiore a 2.174 milioni) ha chiuso con un valore negativo nei mesi di gennaio e febbraio (-1,1% rispetto al periodo corrispondente del 2006), mentre il mese di marzo ha fatto registrare una inversione di tendenza con un recupero di +4,4%. La televisione ha avuto un calo di -4,7% e la radio di -3,5%. Bene, invece, la stampa, cresciuta del +5,1% (i risultati più positivi vengono dai quotidiani a pagamento, dalla Free Press e dai mensili, in calo invece i settimanali con -3,1%), e Internet che segnala un +44,2%, con un tasso di +50,4% per il mese di marzo. Infine, le prime rivelazioni del monitoraggio dei canali Sky indicano, per aprile, un passaggio pubblicitario di 53.000 annunci, per un totale di 256 aziende. Tra i maggiori investitori Ferrero, Wind e Unilever.
Via Lillo Perri
Uno studio condotto in Gran Bretagna da un gruppo di psicologi dell’Università di Liverpool ha dimostrato che esiste una corrispondenza diretta tra pubblicità e peccati di gola, perché i bambini, dopo avere guardato in tv spot di prodotti alimentari, sono indotti a mangiare di più. Il problema dell’obesità infantile non si può trascurare. L’Organizzazione mondiale della sanità parla di una vera e propria epidemia, che provoca danni alla salute, causa difficoltà relazionali, scarsa autostima e disturbi depressivi. Sul fronte europeo, la UE ha recentemente varato il nuovo regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sanitarie per i prodotti alimentari, che metteranno all’indice termini come “slim”, “snello” e “fitness”. Anche in Italia è da tempo scattato l’allarme. Il nostro Paese si assesta in cima alla classifica europea per cattiva alimentazione: il 36% dei bambini italiani fra i 6 e i 12 anni è in sovrappeso. Il Ministero della Salute ha deciso di correre ai ripari, siglando una intesa con diverse associazioni per l’attuazione del programma “Guadagnare salute, rendere facili le scelte salutari”. Iniziativa lodevole, peccato che, per il momento, non siano previste restrizioni sugli spot, come accaduto in alcuni Paesi europei. In Inghilterra, per esempio, è stata vietata la pubblicità di alimenti durante le trasmissioni per bambini. Un divieto simile è stato attuato in Norvegia e Austria. In Svezia, dove le regole sono ancora più severe, non esiste pubblicità diretta ai minori. Mentre la Francia ha optato per una politica meno drastica, anche se meno efficace: integrare gli spot tv sugli alimenti con suggerimenti per equilibrare la dieta dei bambini.
Roberta Villa e Roberto La Pira, Corriere della Sera
L’attuale programmazione di spot ci dà modo di osservare come si utilizza il testimonial nei commercial di prodotto...
Modo n° 1, il più classico: Kakà fa Kakà e a Ringo ben gli sta (fuori ruolo, invece, Totti e Gattuso massaie per famiglie numerose).
Modo n° 2, meno comune ma assai più raffinato: il testimonial in incognito, riservato a divi di insuperata notorietà. Attualmente non on air (forse perché bisogna essere come minimo Sophia Loren per apparire in incognito e non è detto che la Loren accetti).
Modo n° 3, il testimonial “svisto” e di proposito ignorato perché il protagonista vero è il prodotto - quindi Alessandro Gassman scambiato per Michele Grant o la Cucinotta e Arbore degradati a comparse perché è Unicredit Banca che conta. Beato chi ci crede.
Modo n° 4, il testimonial globale, come Chiambretti, che presta la faccia ad Alpitour e la voce alla Panda. Per restare in famiglia.
Più contorto il modo n° 6, adottato dalle patatine Amica Chips per rilanciare Rocco Siffredi che, pur di comparire e conservare l’allure di pornodivo, finge di essere quell’Omar Monti, di scarsa notorietà, che ne “La pupa e il secchione” sosteneva di essere, a 31 anni, ancora vergine. Cosa non si fa per una patatina.
Modo n° 7: il testimonial usa & getta – in genere un divo americano (vedi Travolta o Kevin Costner o anche George Clooney) che accetta di pubblicizzare qualcosa, ma solo in un certo paese e speriamo che nessuno se ne accorga altrove.
E adesso, la classifica. Per ora, nessuno ha ancora battuto Catherine Deneuve in “Oui, je suis Catherine Deneuve”, ma fra tutti i testimonial visti di recente o attualmente in onda, non c’è dubbio che the winner is non un volto ma una voce: quella di Jeremy Irons, testimonial per Croma. Mesto con sentimento lui, non proprio eccitante la Croma, ma con una voce così sei On the Road anche senz’auto.
Via Lillo Perri
Le attuali vicende Telecom e quelle della famiglia Alice - protagonisti Elena Sofia Ricci e Diego Abatantuono - portano a chiedersi se la pubblicità di un’azienda ne rifletta in qualche modo le caratteristiche o se sia un “prodotto” inventato a tavolino intorno a un’immagine anch’essa concepita in vitro.
Dalla privatizzazione in poi, Telecom ne ha effettivamente passate tante, ma non si può dire che non abbia mantenuto, almeno nella pubblicità commerciale, continuità e vivacità di discorso (a parte il bel film istituzionale, Gandhi, vincitore di molti premi). Le miniserie televisive, tra l’altro, sono state inventate proprio da Telecom, quasi 15 anni fa, e da allora, fra Tim e Telecom è stato tutto un florilegio di storie nate nel solco della commedia all’italiana.
Il format della famiglia Alice non si discosta dal genere e lo si apprezza per la gradevolezza degli interpreti, ma porta anche a chiedersi se la famiglia Alice ci è o ci fa. Possibile che, nel 2007, l’arrivo dell’ADSL provochi un tale effetto panico nella famiglia media italiana? Che un padre di famiglia ignori tutto della banda larga? E che un’azienda che fattura 31.000 milioni di euro l’anno (in un rapporto di dieci a uno con Rai e Mediaset) non sia riuscita a chiamare i propri prodotti altro che Alice e Aladino? Con nomi così sciocchi, non c’è da stupirsi che anche la pubblicità suoni falsa, leziosa e, alla fine, abbastanza insopportabile.
Spesso la commedia all’italiana è il risultato di un equivoco – o forse anche di un complotto che ci porta tutti a credere che Alice è qualcosa che si installa sul tetto.
Via Lillo Perri
Secondo lo studio EIAA Marketer's Internet Ad Barometer, gli investimenti in pubblicità online crescerebbero di questa bella percentuale.
Cresce infatti l'interesse degli inserzionisti verso il mezzo - il 74% dichiara che la Rete deve essere un media fondamentale all'interno della propria strategia.
Per l'80% l'aumento di attrattività di Internet come mezzo è anche dovuto all'arrivo della banda larga e quindi alla possibilità di poter uare formati più creativi (o la possibilità di replicare i soliti 30" in stile televisivo anche in Rete?)
Al momento un 42% degli inserzionisti destinerebbe già oltre un 5% del suo budget a Internet.
Ci si attende un forte incremento degli investimenti anche in Italia.
A livello Europeo, la regina degli investimenti sarà l'industry del Largo Consumo che dovrebbe far salire di un 25% i suoi investimenti complessivi in Rete.
La crescita del budget allocati a Internet andrà a discapito di altri mezzi, tra cui specialmente TV e stampa; circa il 51% del budget verrebbe infatti detratto da allocamenti media finora riservati a mezzi tradizionali.
Forte incremento atteso anche nelle azioni online di Direct Response.
Servono già per comunicare, scaricare la musica, navigare su internet, effettuare piccoli pagamenti. Ora, la nuova frontiera dei telefonini sembra quella della pubblicità : un'opportunità di profitto già ben sviluppata in Asia che sembra cominciare a sedurre anche l'Europa.
Se infatti, in un primo momento gli operatori del Vecchio Continente si dimostravano scettici nei confronti della trasformazione del cellulare in nuovo privilegiato strumento di marketing, le cose sembrano pian piano cambiare e gli advertiser e compagnie telefoniche stanno cominciando a valutare le opportunità del business.
Anche gli utenti sembrano più propensi a ricevere sms pubblicitari sul telefonino, a patto che si tratti di spot mirati e – soprattutto – che consentano di usufruire dei servizi in maniera gratuita o quanto meno scontata.
Molte aziende di successo, tra cui Coca Cola, Reebok, Jaguar, Peugeot e Air France hanno già utilizzato il telefonino come veicolo pubblicitario , trasmettendo pubblicità sotto forma di sms, banner per la versione mobile dei loro siti, o di contenuti speciali da scaricare. Forme di promozione che tuttavia hanno riscosso successo soprattutto sui mercati asiatici.
Anche gli operatori occidentali, tuttavia, hanno finito per credere alle opportunità del marketing mobile: in Francia, ad esempio, Orange offre agli advertiser un pacchetto pubblicitario ‘ triple play ' che abbina ai canali tradizionali – internet e tv – anche il telefonino.
Il telefonino, del resto, è uno dei mezzi di comunicazione dai quali più difficilmente l'utente si separa e rappresenta dunque un canale tra i più privilegiati per gli advertiser.
Si tratta inoltre di uno strumento estremamente ‘ flessibile ' che apre diverse opportunità e permette di diversificare l'offerta nei modi più disparati. Un sito di viaggi, ad esempio, può comunicare ai potenziali clienti informazioni sponsorizzate sul meteo.
Prima che il mobile advertising possa affermarsi come medium pratico, dicono gli analisti, bisogna risolvere alcuni aspetti fondamentali , tra cui i modelli di business, la condivisione dei profitti, oltre a questioni prettamente tecniche come la misura dello schermo dei cellulari, disponibilità di banda, interoperabilità delle reti e ancora il tipo, la lunghezza e la frequenza degli spot e via dicendo.
Se tutto andrà per il verso giusto, comunque, il settore dovrebbe decollare per generare quest'anno introiti per circa 1,5 miliardi di dollari , più o meno il doppio dello scorso anno.
Dopo aver invaso le strade, la televisione, internet e ogni mezzo di comunicazione disponibile – ivi comprese diverse parti del corpo di irriducibili della reclame – gli spot pubblicitari diventeranno dunque onnipresenti anche sui telefonini?
Alessandra Talarico
La rivista "People" è un magazine piuttosto popolare negli USA - tratta di celebrità e casi umani, con oltre 3,7 milioni di lettori e un fatturato di 1 miliardo e mezzo di dollari (fonte: wikipedia).
Da qualche anno si sono inventati la tradizione di farsi sponsorizzare il numero di Natale da una grande azienda (mica scemi... e mica per niente l'organo ufficiale della pubblicità americana, la rivista Advertising Age, ha nominato People "Magazine of the Year"nel 2005".
Quest'anno (e per il quarto anno) lo sponsor è la multinazionale del cibo Kraft che, per l'occasione ha ritirato fuori dall'armadio della storia pubblicitaria gli annunci "Scratch and Sniff", quelli che se li grattate emanano odori appropriati.
Su 31 annunci di Kraft contenuti nella rivista, 5 sono odorosi - come nel caso del formaggio Philadelphia protagonista di una torta di formaggio alle fragole, dei biscotti Chips Ahoy, della gelatina o del caffé alla cannella.
Non solo gli annunci sono odorosi, ma le fragranze sono "embedded" anche in un articolo che include foto di alimenti. L'idea di fondo è di accrescere l'impatto del messaggio per aumentarne il ricordo e aumentare l'effetto del budget pubblicitario.
Approfondimento: articolo sul Wall Street Journal
Il sito della rivista People
Relativamente all'uso creativo degli odori in comunicazione, si veda anche - o meglio si veda e odori - l'incredibile film Polyester di John Waters con l'indimenticabile partecipazione di Divine...
L’utilizzo di musica d’autore all’interno degli spot televisive e radiofonici sembra essere una delle tendenze più evidenti degli ultimi anni, al punto che la creazione di jingle e pezzi ad hoc è praticamente scomparsa. Quando l’abbinamento tra prodotto e musica è ben realizzato si tratta di una relazione reciprocamente fruttuosa: il prodotto entra in maniera molto più efficace nel ricordo del consumatore mentre l’artista beneficia di una visibilità straordinaria in termini di ampiezza di copertura e passaggi, che si va a sommare alle cospicue royalties percepite per il prestito. Ben poche case discografiche possono infatti garantire la stessa frequenza di passaggi radiofonici e televisivi che le grandi aziende pianificano nelle loro campagne di marketing a supporto dei propri prodotti.Tra i tanti casi di binomio vincente basti pensare a Ligabue e alla sua “Happy Hour” che ha fatto da colonna sonora per mesi ai frequenti spot Vodafone o a Vasco Rossi che con la sua “Senza Parole” ha accompagnato il lancio della nuova Punto.L’universalità e la forte componente emotiva legata alla musica, unita alla notorietà del pezzo che funge da colonna sonora dello spot favoriscono l’immediata identificazione del prodotto e del marchio sottostante, a patto però che ci siano affinità tra la canzone prescelta e il prodotto che a questa viene abbinato.
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