Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 22/12/2008
Questo post mi è stato suggerito dalla lettura di un interessante post di Fabio Sutto su Online-Marketing.it sui nuovi fattori di posizionamento sui motori di ricerca, che ho trovato proprio mentre mi apprestavo a tenere una lezione in un master in cui ero arrivato a conclusioni molti simili.
La link popularity, fattore ancora estremamente importante per il successo un’attività di search engine marketing, è oggi sempre meno una questione di quantità di link in ingresso verso il nostro sito a favore della qualità e del fatto che essi siano il frutto di un interesse spontaneo per le nostre pagine.
Detto questo più in generale trovo che sta maturando, in tutti gli operatori della rete, una maggiore consapevolezza di un fatto semplice e dimenticato: chi usa i motori di ricerca sono gli esseri umani che sono alla ricerca di qualcosa.
Dunque è importante farci trovare ma è anche altrettanto cruciale offrire un risultato che sia prezioso e coerente per il navigatore, ben scritto, accurato, documentato. Dobbiamo parlare al nostro visitatore, accoglierlo, parlare ad un essere umano e non, come si tende a volte, ad un motore di ricerca, farcendo la pagina di parole chiave a discapito della comunicazione.
Insomma, ben venga il fondamentale lavoro dell’ottimizzazione ma facciamolo sui meta tag ed il codice sorgente e lasciamo che sia la qualità delle nostre pagine a parlare per noi all’utente.
Fabio Sutto nel suo articolo parla di un interessante criterio, il tasso di ritorno sulla SERP, che “indica infatti il comportamento dell’utente che, una volta cliccato su un risultato e non ritenutolo soddisfacente, torna alla lista dei risultati di Google”. Se i motori applicheranno questa logica potranno veramente dare dei risultati qualitativi che non si basino su siti dalla posizione gonfiata dalla loro ottimizzazione a favore di quelli dalla comunicazione efficace.
Voi che cosa ne pensate?
Gianluigi Zarantonello via http://webspecialist.wordpress.com
Nel primo film mai proiettato in pubblico, il 28 dicembre 1895, i fratelli Lumiere mostrarono l’uscita degli operai dalle officine di loro proprietà e c’è perciò chi, un po’ maliziosamente, sostiene che il product placement sia nato con il cinema. La Coca-Cola compare già in un western del 1926, mentre due più recenti pietre miliari sono ET, grazie al quale le caramelle Reese’s Pieces sembrano avere aumentato le vendite del 60% nel giro di poche settimane, e Cast Away, nel quale i marchi FedEx e Wilson sono posti al centro della narrazione.
Dal 2004 il product placement cinematografico (ma non quello televisivo) è legale e regolato anche in Italia, che è subito diventata il terzo mercato mondiale dopo Stati Uniti e Francia per un valore che, nel 2005, era pari a 36 milioni di dollari. Poco rispetto agli Usa dove, nel 2007, il product placement è stato valutato 3,79 miliardi di dollari, ma abbastanza per attirare l’attenzione degli investitori pubblicitari, in un mercato sovraffollato di messaggi soprattutto televisivi e per dare un contributo alle spese di produzione dei film che, in alcuni casi, può anche arrivare al 15-20%, ma che di solito si attesta sotto il 10%. Una boccata di ossigeno, dunque, ma non il toccasana che si ipotizzava solo qualche anno fa.
Dopo alcuni anni di sperimentazione, anche il mercato italiano si sta strutturando ed è perciò puntuale il libro di Daniele Dalli, Giacomo Gistri e Dino Borello (Marche alla ribalta. Il product placement cinematografico in Italia e la sua gestione manageriale, Egea, 2008, 258 pagine + Dvd, 33 euro), che spiega il fenomeno anche attraverso numerose interviste ad agenzie specializzate, produttori cinematografici, distributori e aziende investitrici. Senza nascondere gli eccessi in cui talvolta si è caduti, né le opacità che hanno rischiato di screditare una pratica che, se ben realizzata, può rivelarsi innovativa ed efficace.
I numeri della cinematografia italiana fanno del product placement uno strumento di qualità, anziché di quantità, utilizzabile anche con investimenti limitati. Proprio per questo è davvero importante che l’inserimento dei prodotti in un film non risulti disturbante e si integri, anzi, nella narrazione. Si sono così sviluppate nuove professionalità che mediano tra il mondo cinematografico e quello aziendale e le agenzie più importanti impiegano persino sceneggiatori specializzati. Le campagne più efficaci non si risolvono, inoltre, nel semplice placement ma sono corredate da una serie di iniziative “ex-program” che lo rafforzano e valorizzano: concorsi legati al prodotto e al film, possibilità di interazione tra cliente e impresa via internet e così via.
Tra le aree critiche del product placement, che il libro illustra con casi aziendali concreti, c’è sempre il rapporto con sceneggiatori, registi e attori, non sempre ben disposti nei riguardi dello strumento. Così un’azienda investitrice, Cameo, racconta del placement estremamente positivo delle torte Versa e Inforna in Ho voglia di te, in cui i dolci assumono un significato simbolico perfettamente integrato nella narrazione, che ha reso possibili numerose azioni di supporto mentre il film era nelle sale e in occasione del lancio del Dvd; un placement ben fatto del lievito Pane degli angeli in Una moglie bellissima, ma senza il supporto delle operazioni di rinforzo per l’indisponibilità del regista-attore Leonardo Pieraccioni; e il fallimento delle trattative per l’inserimento di Ciobar in Caos calmo per il rifiuto di Nanni Moretti, nell’occasione solo attore del film.
Il libro, infine, presenta un modello interessante e praticabile di valutazione economica delle operazioni di product placement.
Via Affaritaliani.it
Fotografie del 22/12/2008
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