La linea di demarcazione tra TV e video digitale è sempre meno netta. Sempre più spesso, la televisione sta diventando un canale di digital ad buying, con la possibilità di automatizzare le decisioni d’acquisto guidate dai dati ad una target audience specifica. Mentre il video on demand e lo streaming guadagnano viewer e i produttori di contenuti sono in cerca di piattaforme dove distribuire i loro prodotti,l’acquisto di annunci pubblicitari su canali e dispositivi sta diventando un processo sempre più singolare.
Con questo cambiamento,l’acquisto di annunci televisivi sta subendo una rapida evoluzione, passando da un approccio one-to-many a uno “one-to-one addressable, audience based e cross screen”, ossia indirizzabile a ogni singolo spettatore a partire dai dati sul pubblico e multischermo. Si sta allontanando dalle metriche gross rating points (GRP) e cost per point (CPP) per raggiungere i target demografici generali e i target di pubblico.
Utilizzando la tecnologia di trading in programmatic e i dati di prima e terza parte per raggiungere la target audience,la possibilità di acquistare spot televisivi in linea con il digitale sta finalmente diventando una possibilità.
Come si presenta il tv ad-buying landscape?
Come per qualsiasi tecnologia emergente, le definizioni possono variare e causare più confusione che orientamento. Proveremo quindi a fare un confronto tra la TV tradizionale lineare rispetto alle opzioni di acquisto “addressable”. La suddivisione si può riassumere essenzialmente in tre categorie:
TV tradizionale lineare
Con l’ad buying per la tv tradizionale, rispetto alla tv via cavo e alla programmazione in broadcasting, una pubblicità è servita a più consumatori, a livello nazionale o locale, attraverso le filiali di broadcasting televisive o satellitari. Gli annunci sono acquistati su una base contestuale e non rispetto ad ampi target demografici come quelli fissati dal GRP di Nielsen (ad esempio, gli uomini di età compresa tra i 25 e i 34 anni). Gli annunci sono acquistati in anticipo – spesso in upfront.
Addressable linear TV
I marketer possono rivolgersi a specifiche utenze domestiche utilizzando i dati forniti dai decoder delle emittenti e da altri fornitori di dati. Gli operatori hanno implementato la tecnologia sui loro decoder per permettere a diverse case di vedere annunci diversi. La maggior parte delle principali compagnie televisive satellitari e radiotelevisive hanno implementato funzionalità di questo tipo. Quasi 50 milioni di famiglie americane, ad esempio, sono già selezionabili tramite i decoder abilitati di Comcast, Time Warner Cable, AT&T e altri distributori.
Addressable over-the-top & connected TV
Per Connected TV si intende semplicemente qualsiasi schermo TV che si collega a Internet attraverso un dispositivo di streaming over-the-top (OTT) come Apple TV, Google Chromecast, Roku o Amazon Firestick o una console di gioco. Le Smart TV, invece, si collegano in modo nativo. Negli Stati Uniti, secondo comScore, la metà delle famiglie abilitate al WiFi guarda in streaming contenuti OTT da servizi come Netflix, Hulu e Amazon in media 40 minuti al giorno . “Pensiamo che la vera opportunità sia quella di coinvolgere il pubblico digitale e attivarlo sugli OTT. La tecnologia e l’ impiantistica sono già pronti per prendere decisioni in real-time” ha dichiarato Tore Tellefsen, VP of TV solutions di dataxu. Dunque, ormai è concreta la possibilità di acquistare annunci pubblicitari in tempo reale decidendo cosa servire e mostrare al consumatore dall’altra parte del televisore. Gli inserzionisti possono anche misurare le prestazioni dell’OTT usando le stesse metriche che usano per il digital e il mobile. “Quello che è possibile fare in TV sta cambiando radicalmente. Stiamo facendo leva sugli stessi pubblici digitali e sui dati relativi ai loro consumatori e clienti e li ritroviamo sulle smart TV “, ha continuato Tellefsen.
What about programmatic TV?
Qui ci riferiamo alla TV programmatica come metodo di acquisto che utilizza i dati STB (Set-Top-Box, ossia dal decoder) per informare l’audience targeting utilizzando attributi come in-market, HHI (redditi familiari), status della famiglia e così via oltre ai dati proxy GRP di Nielsen e che può utilizzare software per automatizzare il processo di trading. Mentre il programmatico fornisce una migliore comprensione del pubblico rispetto alle GRP, lo svantaggio rispetto al metodo addressable è che gli annunci pubblicitari possono comunque raggiungere gli spettatori al di fuori delle specifiche del pubblico. C’è meno spreco rispetto a un tradizionale acquisto televisivo, ma ci sono ancora “rifiuti” lasciati indietro. Solo l’addressable tv consente agli inserzionisti di effettuare collegamenti davvero one-to-one. Acquistare in questa modalità, infatti, non significa necessariamente che vengano utilizzati processi automatizzati o programmatici; molto è ancora fatto manualmente.
Quanto è grande il mercato?
In breve, non è ancora un grande mercato, ma è in crescita. Videology, che offre una piattaforma per l’addresable tv buying e per il video advertising, sostiene che nella prima metà del 2017 il 25% delle impressions sulla piattaforma utilizza i dati di prima parte (dei marketer) per il targeting, dato in aumento rispetto 16% del 2016. Dal primo al secondo trimestre di quest’anno, l’ad spend nel comparto dell’addressable linear TV è aumentata del 150% sulla piattaforma di Videology. Nella prima metà del 2017, il numero di inserzionisti che hanno condotto una campagna esclusivamente sulla TV connessa (CTV) è aumentato del 21 % rispetto a tutto il 2016. Più della metà delle campagne sono state condotte con un componente CTV e il 90% ha adottato un approccio cross-screen.
Quali sono le maggiori sfide?
L’abilitazione tecnologica, compresa l’automazione e l’attrito di comunicazione tra i team digitali e televisivi sono solo un paio delle barriere alla crescita del dell’addressable TV media buying e del media buying cross-device e cross-platform.
Sfide di scala
La porzione di spese pubblicitarie televisive destinate all’addressable TV è ancora esigua, ma in crescita. eMarketer si aspetta che superi i 2 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel 2018, rispetto ai 900 milioni spesi nel 2016. Questo dato rappresenta, tuttavia, solo il 3% di tutta l’ad spending televisiva. I distributori, però, stanno iniziando ad aprire inventory addressable sui network e sulla programmazione via cavo nazionale.
Sfide di misurazione
Un’altra preoccupazione riguarda la mancanza di standard di misurazione e di parametri di riferimento su tutte le varie piattaforme e i vari publisher. Solo a febbraio, il Media Rating Council ha accreditato il Digital in TV Ratings di Nielsen che misura la visione dei contenuti televisivi su computer e dispositivi mobili. Nel mese di marzo, invece, comScore ha lanciato OTT Intelligence che misura la visione domestica dei contenuti OTT negli Stati Uniti. Il servizio fornisce una sola fonte di visualizzazione di decine di fornitori di contenuti OTT tra cui Netflix, Amazon, Hulu e YouTube. Le misure riportate includono la portata delle famiglie, le dimensioni del pubblico e la demografia, insieme a una varietà di metriche d’uso. Ma i provider di misurazione aumentano costantemente.
Non dimentichiamo Facebook e Google
La minaccia posta dai giganti digitali che entrano in TV, naturalmente, dipende dalla prospettiva dalla quale si guarda, ma sia Facebook , sia Google, stanno scuotendo lo status quo. L’autunno scorso, Facebook ha confermato che sta testando la distribuzione di annunci su piattaforme TV collegate a Internet come Roku e Apple TV attraverso il suo Audience Network. Acquistare attraverso Facebook offre agli acquirenti la possibilità di targetizzare il pubblico in modo uniforme tra tutti i fornitori di streaming, che non sarebbe possibile raggiungere direttamente. Facebook ha iniziato a prendere in licenza contenuti e a sviluppare contenuti originali e ha debuttato nel mese di agosto conWatch, il suo nuovo centro video, per competere con altri servizi di streaming. YouTube è lo strumento più grande e potente di Google per attirare dollari televisivi verso il digitale. Questa primavera Google ha introdotto un nuovo pacchetto, YouTube TV, in cinque mercati e ha anche annunciato all’inizio di quest’anno che DoubleClick Bid Manager s’inserirà in diverse SSP per consentire agli inserzionisti di acquistare annunci televisivi e confrontare le prestazioni in TV e digitale sulla piattaforma.
Cosa ci riserva il prossimo futuro?
“Ci sarà un continuo aumento e una diffusione dei consumi sui televisori connessi e sulle smart TV, e non solo attraverso i pacchetti più economici”, spiega ancora Tellesfen. Le più grandi content company avranno le loro applicazioni – come Disney che estrae contenuti da Netflix per le sue app OTT. Naturalmente, vorranno una connessione diretta con il consumatore. Questa spinta dell’industria cambia le regole dei giochi per chi ha sempre distribuito contenuti attraverso altri e ora ha la possibilità di connettersi direttamente. “Se si creasse la giusta predisposizione di tutte le parti in causa alla collaborazione per far aprire i broadcaster nazionali ad un approccio addressable, si verificherebbe un’esplosione di inventory indirizzabili” continua. “Addressable”, però, non è solo per la TV. Non appena si dice multi-dispositivo, la gente pensa al desktop, al tablet, al telefono – ma si dovrebbe pensare ben oltre. E’ la nostra auto, il nostro frigorifero, il nostro televisore, è fuori casa con cartelloni pubblicitari connessi. Si tratta di una convergenza massiccia ed è proprio davanti ai nostri occhi. Questa convergenza e la proliferazione di opportunità stanno cambiando il modo in cui le company danno forma ai propri budget per la produzione di reach media. I marchi possono finalmente acquistare famiglie invece di programmi e momenti di visione utilizzando i dati, il che rappresenta un enorme passo avanti. Questo è un grande momento per i marketer per includere la TV indirizzabile in una campagna cross-screen con il digital video. Ci aspettiamo di vedere i primi esperimenti già dal mese prossimo.
Tre nuove ricerche di IAB Europe – presentate oggi e disponibili sul sitodatadrivenadvertising.org- dimostrano quanto i dati comportamentali permettano non solo di migliorare il gradimento e l’efficienza delle campagne di digital advertising, ma rappresentino anche una risorsa cruciale per tutto il settore dei media e per l’economia digitale nella sua globalità.
I consumatori europei che accedono al Web quotidianamente (e il 52% di questi lo fa per tre o più ore al giorno) sono più soddisfatti delle loro esperienze gratuite e supportate da annunci rispetto a quelle a pagamento (63% vs 40%). Inoltre, più di 8 utenti su 10 preferiscono visitare siti gratuiti supportati da annunci e i due terzi dei navigatori sarebbero contenti di condividere i propri dati per ricevere pubblicità mirata. (fonte: “GFK Europe online: an experience driven by advertising”)
“I dati ci dimostrano l’importanza del tacito accordo tra utenti e inserzionisti sulla gratuità dei contenuti online, resa possibile dagli investimenti pubblicitari” ha commentato Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia. “Questo ci dà un’ulteriore conferma di come una regolamentazione troppo restrittiva, quali quella sull’ePrivacy (la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo 25 maggio 2018), rischierebbe di compromettere l’equilibrio di tutto il settore digitale, rendendo più macchinosa la navigazione degli utenti e mettendo a rischio la qualità dei contenuti”.
Le campagne di advertising targettizzate sulla base dei comportamenti degli utenti, supportate da logiche ben gestite di programmatic adv, rappresentano un modello vincente non solo per gli inserzionisti, grazie alla maggior efficacia ed efficienza delle campagne di comunicazione mirate ai consumatori, ma anche per i consumatori, che ricevono contenuti pertinenti, interessanti e tempestivi. Gli annunci focalizzati sul target, infatti, hanno un tasso di click-through superiore di 5 volte in media rispetto alla pubblicità standard. Inoltre, quando i dati comportamentali vengono utilizzati per raggiungere persone che hanno già visto lo stesso prodotto in precedenza, il tasso di click-through è addirittura di 10 volte superiore.
Il behavioural targeting sta segnando un nuovo paradigma per la pubblicità in tutti i media: per la radio, l’out-of-home, la Smart TV e anche la TV lineare. Ad esempio, nei principali mercati europei, i dati comportamentali acquisiti digitalmente già contribuiscono al 20% della spesa pubblicitaria radio. (fonte “The Economic Value of Behavioural Targeting in Digital Advertising”)
Un’analisi economica più ampia, inoltre, fa emergere il forte contributo della pubblicità digitale in termini di investimenti, indotto e occupazione. È un settore che si è evoluto molto velocemente, da industria emergente al principale mezzo pubblicitario in Europa: nel 1999 deteneva una marginalissima quota dello 0,5% sul totale della pubblicità, mentre nel 2016 ha registrato investimenti del valore di 41,9 miliardi. Considerando anche altre componenti meno dirette, come la creazione di contenuti e il sostegno all’evoluzione degli altri media e degli altri settori del digitale, il contributo del digital advertising è stimato a 118 miliardi di euro in termini di BIL (Benessere Interno Lordo). (Fonte: “The economic contribution of digital advertising in Europe”)
“Alla luce di questi dati, è indubbio che le nuove regolamentazioni mettano a rischio la salute della pubblicità digitale e quella dell’intero settore dei media, con un risvolto nettamente negativo sull’indotto, sull’occupazione e, di conseguenza, sull’intera economia digitale”, ha continuato Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia. “Non condividiamo, quindi, la nuova Proposta di Regolamento ePrivacy, tra cui l’opt-in come unica base per l’erogazione di pubblicità: come Associazione, ci impegniamo a promuovere la democraticità del Web, grazie a una logica di mercato basata sulla fruizione gratuita di contenuti e servizi di qualità, consentita proprio dalla pubblicità. Le nuove regole, inoltre, andrebbero a danneggiare le parti “deboli” della catena degli operatori online e ad incrementare ancora di più i vantaggi competitivi dei BIG del web. IAB Italia si sta muovendo da diversi mesi – assieme alle altre IAB dei principali mercati europei e a IAB EU – per convincere le Istituzioni europee a rivedere il testo della proposta di Regolamento e ad approvare una serie di emendamenti che garantiscano il nostro mercato e allontanino i rischi di impatto negativo evidenziati in questi documenti. L’Associazione ha già incontrato i principali a Bruxelles coinvolti nell’iter di approvazione della proposta di Regolamento ePrivacy e continuerà a sensibilizzare i più importanti stakeholder che seguono questo dossier”.
Il modello di analisi proposto da IAB Europe dimostra, quindi, che l’attuazione dei regolamenti porterebbe ad una ulteriore concentrazione del mercato e influenzerebbe la redditività della pubblicità digitale come modello di finanziamento per gli editori.
Facebook vuole la musica sui social. Secondo Bloomberg Mark Zuckerberg sarebbe pronto offrire centinaia di milioni di dollari alle case discografiche per liberalizzare l’inserimento di musica nei video postati dagli utenti.
Facebook intende introdurre un software il quale segnerà con una "spunta" la musica che viola i diritti d'autore. Per Bloomberg, però, ci vorranno almeno due anni prima che questo sistema sia pronto. Il progetto andrebbe a rafforzerebbe i piani di Zuckerberg di fare concorenza a YouTube con la piattaforma Watch, che consente la condivisione e la visualizzazione di video.
Facebook Watch offrirà possibilità analoghe a quelle di YouTube agli utenti e ai creatori di contenuti. Questi ultimi, infatti, potranno caricare e monetizzare con le loro opere, con conseguente ritorno pubblicitario per Facebook in caso di buona riuscita del progetto.
Si tratta di una soluzione che gioverebbe a tutti i soggetti in questione. Facebook attirerebbe pubblicità e creatori di contenuti, più liberi nel loro lavoro e contenti della monetizzazione. Gli utenti riceverebbero un servizio migliore e più creativo mentre le etichette riceverebbero ingenti somme e si libererebbero del problema di controllare tutti i contenuti potenzialmente illeciti.
Sarebbe proprio quest’accordo a rendere Facebook un cliente scomodissimo per YouTube. La nota piattaforma video, infatti, non ha mai risolto la questione copyright se non limitandosi a eliminare tutti i contenuti che contenessero canzoni protette. Se Facebook Watch dovesse espandersi velocemente e notevolmente, YouTube sarebbe costretta a operare cambiamenti importanti, magari simili.
Di Max Da Via' (del 05/09/2017 @ 07:18:12, in Aziende, linkato 1446 volte)
LaTv onlineesocialdiFacebookha iniziato le sue "trasmissioni". La scorsa settimana, per ora solo negli Stati Uniti, il nuovo prodotto di casaZuckerbergchiamatoFacebook Watchha lanciato la sua sfida aYouTube,Netflixe tutte le altre piattaforme rivali, broadcaster tradizionali compresi, non solo a colpi di audience ma di introiti pubblicitari. E' nelvideo online, infatti, che si dirigono sempre più i soldi della pubblicitàdigitale, come osserva in una notaCCS Insight.
Watch, cui si accede da web browser, app mobile e app persmart TvdiFacebook, non è il primo tentativo dell'azienda diMark Zuckerbergdi affermarsi nel mondo delvideo: ilsocialnetwork ha lanciato negli Usa l'anno scorso un apposito tab o bottone su cui cliccare per trovare facilmente tutto il materialevideopresente suFacebook.
Watchoffrevideodi ogni genere e durata, dalle serie Tv agli spettacoli live con ospiti che rispondono in tempo reale alle domande degli spettatori fino agli eventi sportivi, baseball compreso. Il servizio diFacebookaccoglie contenuti che arrivano da aziende del digitale comeBuzzFeedma anche da gruppi dei media più tradizionali comeA&E(network televisivo via cavo). Tra gli show di punta c'è il dietro le quinte sul Real Madrid raccontato dall'attore Orlando Bloom - segno cheZuckerbergnon sta risparmiando sull'investimento.
Facebooksostiene cheWatchè diverso dalle offerte rivali: la marcia in più è la caratteristica personale, community-oriented, che la renderebbero la più compiuta dellesocial Tv.Facebookpuò infatti suggerire ivideoda seguire in base agli interessi dell'utente e gli amici possono condividere i loro commenti mentre guardano unvideoo partecipano a gruppi dedicati a un determinato show. Ivideodi qualità, con storie sceneggiate da autori accreditati, sono considerati daFacebooklo strumento giusto per attrarre quei giovani spettatori cui laTvtradizionale non interessa più. I dati sugli show più seguiti aiuteranno l'azienda a tarare e personalizzare ulteriormente la sua offerta.
Gli analisti diCCS Insightsi aspettano che nei prossimi anni le aziende deldigitaleentrate nell'arena delvideoprofessionale -Facebook,Amazon,Netflix,Apple, e così via - investiranno miliardi di dollari per avere contenuti dai grandi studios di Hollywood o per produrre serie esclusive.Watchnon fa che aumentare la pressione sulle piattaforme rivali a migliorare la propria offerta.
Questo non significa dare per scontato il successo della "Tv online" diFacebook.Facebookha la forza di un pubblico gigantesco e una capacità unica nel mondosocial, tuttavia dovrà dimostrare di essere un canale credibile per chi produce o possiede contenuti. Gli analisti si aspettano inoltre cheWatchresti per lo più una piattaforma gratuita e finanziata dalla pubblicità: un ottimo modo per moltiplicare gli spettatori ma non sempre efficace per generare guadagni. Senza contare cheFacebooksta perdendo appeal fra i giovani: l'ultimo studio dieMarketerha confermato un trend che rischia di compromettere la crescita della piattaforma diZuckerberga scapito diSnapchateInstagram, più forti nel permettere la comunicazione per immagini chiesta dai teenager. Col potenziamento dell'offertavideoFacebookcercherà probabilmente anche di colmare questo gap.
Ne abbiamo già parlato:il packaging è un venditore silenzioso, ma va preso sempre più sul serio come asset fondamentale all'interno del processo di vendita. Non si tratta solo della lotta allo spreco o dell’allungamento della shelf life, come già rilevato con itrend del packaging design dal Fuorisalone 2017, parliamo anche di una crescente capacità di coinvolgimento e comunicazione della brand identity.
Dagli esperti diTrendHunterecco allora alcune macro tendenze del settore che, grazie a tecnologia e creatività, stanno rivitalizzando le confezioni del food&beverage ed aprendo a un nuovo engagement alimentare. Il tutto corredato da esempi concreti.
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Audio packaging L'interattività delle confezioni si fa sempre più musicale ed estende il dialogo con il consumatore alla dimensione audio. Il marchio arricchisce così la propria identità sensoriale e di lifestyle. Ad utilizzare questa tecnica sono stati tantissimi brand di rilievo, a partire daCoca-Cola, che ha utilizzato bottigliette ad hoc per riconnettersi ai giovani rumeni attraverso la musica. Qui sotto un video che spiega bene la strategia attuata.
Un altro esempio? Lacollaborazione tra la realtà musicale Shazam e Nestlèper un packaging promozionale e interattivo dedicato allo snack Kit-Kat e che con una semplice foto permette di partecipare a un concorso a premi. Altro caso di audio packaging: l'azienda di dolciumiHesheyper la propria barrettaTake5, creata dall'unione di 5 sapori diversi, ha creatouna confezione "da suonare", che consente ai consumatori di mixare 5 ritmiche diverse. A seguire un video dimostrativo.
2Confezioni "aumentate" Ovvero: l'utilizzo di elementi della realtà aumentata applicati al packaging sempre per dare vita a nuove forme di coinvolgimento a partire già dalla visita in store. Emblematico in tal senso il caso delleuova Vital Farm, che per enfatizzare il fatto che il prodotto provenga da galline allevate all'aperto ha elaborato un cartone che guardato attraverso lo smartphone si arricchisce di un scenografico prato verde dove gli animali scorrazzano felici. Per vedere il pack delle uova aumentato è necessario scaricare l'apposita app Roar, il cui utilizzo dà diritto anche a un coupon per le uova stesse. 3Packaging artistico-dichiarativo Dalla grafica esclusiva, impattante e altamente creativa (magari in collaborazione con determinati artisti) passando per forme dal rimando scultoreo. Non parliamo solo di una maggior attrattiva dal punto di vista estetico ma dell'utilizzo di etichette e design capaci di esprimere un messaggio profondamente agganciato ai valori della marca. Un packaging che già da solo è in grado di fare forti dichiarazioni d'identità, come nel caso dellelattine di birra femministe Her, pensate in opposizione all'estrema sessualizzazione della donna in ambito pubblicitario. Ad essere ritratte figure come Frida Kahlo o Yoko Ono. Parliamo di una tendenza particolarmente vitale proprio nel settore bevande ed alcolici. Si pensi anche alla limited edition di vodka Absolut Mixlanciata dalla nota azienda in occasione del mese del Gay Pride e creata da artisti diversi. Parafrasando McLuhan in sintesi:il packaging è il messaggio.
Di Max Da Via' (del 31/08/2017 @ 07:31:45, in Mobile, linkato 1547 volte)
Android è il primo sistema operativo, mentre tra i brand Huawei lancia la sua sfida a Samsung e Apple. E’ questa la foto dello scenario del mercato smartphone italiano scattata da Mobilens di comScore, alla vigilia di Ifa, l’evento dedicato all’elettronica di consumo in programma a Berlino dall’1 al 6 settembre prossimi. Stando ai dati registrati nel nostro Paese nel mese di giugno, il 74,4% dei possessori di telefoni cellulari possiede uno smartphone,dato questo che ha registrato una crescita progressiva se si osserva il medesimo nello stesso mese del 2015 (60%) e dello scorso anno (70%).
Considerando la sola smartphone audience italiana, composta da 34 milioni di utenti, Android mantiene la leadership con il 73,5% (era al 69,7% nello stesso mese del 2016), seguito da Apple/iOS con una quota di mercato pari al 18,7% (nel 2016 al 17,9%). In calo Microsoft, scesa al 6,9% (era al 10,5% un anno fa), mentre si assiste alla scomparsa progressiva degli altri sistemi operativi (tra cui BlackBerry), complessivamente intorno all’1%.
Tra i leader di mercato, Android può anche beneficiare di una crescente fidelizzazione. Tra gli utenti del sistema targato Google che intendono cambiare dispositivo, solo l’11% ha dichiarato di voler passare a piattaforma iOS (erano 13,5% a giugno 2016), a fronte del 19.6% di utenti iOS pronti a fare il percorso inverso (contro il 15,3% di un anno fa). In più, nota ancora la ricerca, la stessa Android si prepara ad accogliere gli utenti con dispositivi di vecchia generazione prossimi ad un upgrade, che nel 75% dei casi sceglierebbero proprio il sistema operativo di casa Google.
Prendendo in considerazione la ripartizione delle quote di mercato dei singoli brand, Samsung detiene il primato con il 37,5%, anche se in calo rispetto al 41,9% di giugno 2016, seguito da Apple (18,7%), e Huawei con il 16,3%. Il produttore cinese ha raddoppiato il numero di utenti dell’anno scorso, registrando un +413% su scala biennale. Seguono Nokia (che perde 3,6 punti percentuali in un anno), LG, Wiko e Asus, che raggiungono complessivamente il 14,5% della quota di mercato.
A giugno 2017 risultano 1,7 milioni gli utenti che dichiarano di aver acquistato un nuovo smartphone negli ultimi 30 giorni. Tra questi il 79% sceglie un dispositivo con sistema operativo Android, mentre il 18,6% sceglie un dispositivo Apple/iOS, con Microsoft ferma al 2,2%. I brand più acquistati sono ancora Samsung (32,1%), Huawei (20,7%) e Apple (18,6%).
Nella top ten dei modelli più acquistati nei 30 giorni, il Samsung Galaxy S8 risulta essere il più scelto, anche se Huawei è presente nella graduatoria con 5 modelli (dal P9 Lite, secondo con il 3,8%, ai fortunati P8 Lite, anche in versione 2017, passando per i più recenti P10 Lite e P10 Plus). Oltre al Galaxy S8 (4,1% sul totale dei nuovi dispositivi), La casa coreana piazza altri due dispositivi, il Galaxy J5 (3,7%) e Galaxy S7 (2,6%), tra i primi quattro modelli. Primo dei due modelli Apple presenti nella top 10 è l’iPhone 5s 16GB, che con il 2,5% si posiziona al quinto posto, davanti al più recente iPhone 7 32GB al 2,1%.
Analizzando il costo dei nuovi smartphone, oltre un quinto degli acquirenti ha speso più di 400 €, mentre il per 17% degli utenti il costo del nuovo dispositivo era compreso nella fascia tra i 170 € e i 249 €. A seguire, con il 15,2%, la fascia tra i 125 € e i 169 €. Tra i criteri decisivi nel processo di acquisto di un nuovo smartphone, il sistema operativo rappresenta il principale driver che guida la scelta (49%), mentre al secondo posto per importanza attribuita (43,8%) si posiziona la disponibilità di App presenti per il modello desiderato (in crescita rispetto al 41,8% dello scorso anno). Le considerazioni legate ai costi rivestono invece un minor peso per gli intervistati, che in percentuale minore rispetto allo scorso anno attribuiscono un alto grado d’importanza a costo specifico del piano dati (36,6% a giugno 2017 vs 43,6% di giugno 2016), prezzo del dispositivo (32,9% vs 36,7%) e costo mensile complessivo del servizio (30,6% vs 34,8%).
Schermi più grandi e fotocamere con risoluzioni migliori alcuni dei fattori tecnici presi in considerazione per i nuovi acquisti. Gli smartphone acquistati negli ultimi 30 giorni, hanno dimensioni dello schermo comprese tra i 5’’ e i 5,5’’ per il 43,7% dei casi, e superiori ai 5,5’’ nel 27,9% dei casi. La tendenza a schermi sempre più grandi viene confermata prendendo in considerazione l’intera smartphone audience italiana, che fa registrare le maggiori crescite in termini di utenti per gli schermi oltre i 5,5” (+69%), e per quelli compresi tra i 5’’ e i 5,5’’ (+57% rispetto a giugno 2016), che rappresentano ormai la gran parte degli smartphone (utilizzati dal 40,1% degli utenti). In calo del 3% invece il numero di chi possiede un dispositivo con dimensioni dello schermo tra i 4,5” e i 5” (quota al 22,2%).
La risoluzione della fotocamera frontale che risulta più diffusa nella platea italiana è 5 megapixel (+67% rispetto al 2016), ma quella che registra una maggiore crescita rispetto allo scorso anno va dai 5 megapixel in su (+ 353%). Tra le fotocamere posteriori, le più diffuse risultano avere una risoluzione compresa tra i 10 e i 14 megapixel, in crescita dell’89% rispetto al 2016. Dispositivi più grandi, più potenti e più performanti si traducono anche in nuove possibilità di utilizzo per i possessori di smartphone, e attività diverse dalla chiamata tradizionale. Tra queste sempre più diffuse la visione di contenuti video o televisivi (19 milioni di utenti, +16% rispetto allo stesso mese dello scorso anno), l’ascolto di musica (15 milioni, +11% rispetto allo scorso anno), la condivisione di foto e video sui social (+13%) e l’acquisto di beni e servizi (+22%), con la maggiore crescita registrata dalle videochiamate (+74%).
I numeri di telefono degli esercizi commerciali saranno accompagnati da un simbolo di autenticità. Un'occasione per agevolare la comunicazione con i clienti o un altro strumento di telemarketing asfissiante?
WhatsApp viene incontro alle esigenze delle aziende con iprofili verificati. La piattaforma di messaggistica istantanea associerà un simbolo di autenticità dei numeri di telefono che fanno capo a negozi, esercizi commerciali e brand. Attraverso questinumeri verificati le imprese possano entrare direttamente in comunicazione con ilmiliardo di utenti che usa WhatsApp. Resta da capire se questi sarannoutilizzati per una comunicazione più efficaceo solo per nuove iniziative ditelemarketing.
PROFILI VERIFICATI DI WHATSAPP AL SERVIZIO DELLE AZIENDE
Scrivendo a un numero verificato, evidenziato da una spunta bianca su fondo verde, nella chatapparirà automaticamente il nome del negozio o dell'azienda, anche se questi non sono registrati in rubrica. Nei piani di WhatsApp, che stasperimentando questa funzionalità su un numero ristretto di attività, questa funzione è pensata soprattutto per i negozi localiche potranno usare i messaggini per contattare i clienti o proporre sconti. Per prevenire gli abusi, le aziende più "insistenti" potranno essere bloccate come avviene con qualsiasi contatto. Anche igrandi brand potranno sfruttare questa funzionalità, creand oun canale diverso dalle normali pagineFacebook eInstagram.
Di Max Da Via' (del 28/08/2017 @ 07:17:11, in Aziende, linkato 1263 volte)
Dopo l'acquisizione diWhole Foodsda parte diAmazona metà giugno, un'operazione da 13,7 miliardi di dollari, ecco la risposta di Google e Walmart, con un'alleanza che porterà i prodotti del retailer a portata diGoogle Assistant.
Alleanza Google e Walmart
La partnership è stata annunciata sul sito del colosso statunitense, attraverso una dichiarazione del presidente e CeoMarc Loree partirà di fatto a fine settembre, quando sarà possibile acquistare i prodotti Walmart attraverso l'assistente vocale di Google. Per quanto riguarda Google Assistant, Lore dichiara che si tratterà del numero maggiore di prodotti messi a disposizione da un singolo retailer su questa piattaforma.
La carrello della spesa più facile
Grazie alla alleanza Google e Walmart possono incrociare le tecnologie a vantaggio degli utenti. Tra le possibilità aggiuntive offerte c'è per esempio quella di costruire il carrello della spesa di ciascun utente basandosi su prodotti acquistati in precedenza, e che fanno parte di quella base di acquisto che ciascuno di noi tende a ripetere, perché sono prodotti essenziali. La funzione si attiva grazie all'integrazione profonda tra la funzioneEasy Reorderdi Walmart, che fino ad oggi ha venduto online esclusivamente attraverso il proprio sito, e Google Express.
Easy Reorder di Walmart è già un mezzo potente, perché integrando online e negozi fisici è in grado di riconoscere il cliente e gli acquisti di ciascuno, indipendentemente dal
La spesa con i comandi vocali nella sinergia tra Google e Walmart
canale. Questo permette di riconoscere coerentemente le abitudini d'acquisto, ovvero con una visione d'insieme e non parcellizzata dai canali di vendita. Lato utente, significa semplificare in modo notevole gli acquisti più ripetitivi: è già tutto nella app Walmart. L'utente che sceglie di collegare il proprio account Walmart a Google Express trasferisce questo risparmio di tempo direttamente sul servizio di Google.
Sviluppi prossimi
Il Ceo Marc Lore annuncia a breve sviluppi del servizio coinvolgendo i 4.700 punti vendita Walmart e la logistica. "Creeremo una customer experience che ad oggi nessuno offre, nel campo dell'acquisto tramite comando vocale -precisaLore-, per esempio la possibilità di scegliere se prelevare la spesa in negozio, con uno sconto, o di usare i comandi vocali per acquistare prodotti freschi in tutti gli Stati Uniti. Le nuove possibilità di voice shopping, abbinate all'offerta distintiva dell'insegna, che per esempio include la consegna gratuita in due giorni e lo sconto per il pickup instore, offrirà ai nostri clienti una nuova e avvincente maniera di ottenere ciò che desiderano a prezzi bassi".
Perché una alleanza Google e Walmart
La scelta di allearsi con Google va nella direzione della semplificazione degli acquisti lato consumatori. Walmart valuta positivamente gli investimenti e gli sforzi di Google su
L'alleanza tra Google e Walmart porterà una grande quantità di prodotti nel carrelli riempiti via mobile
intelligenza artificiale ed elaborazione del linguaggio naturale, quindi crede che la tecnologia sia all'altezza delle aspettative. "Sappiamo -prosegue il CeoMarc Lore-che questo implica che Walmart verrà reso direttamente confrontabile con altri retailer, e crediamo che sia giusto così. Un universo di acquisto aperto e trasparente è la cosa migliore per i clienti".
Nella classifica di giugno dell’informazione online, stilata da Primasulla base dei dati di Audiweb Database,Repubblica,it è sempre saldamente in testa, come è ormai tradizione.Nelle posizioni successive ci sono stati però diversi sommovimenti, a cominciare dal secondo posto, conquistato da TgCom24. Il giornale online di Mediaset prosegue infatti la sua corsa (nell’ultimo anno è cresciuto del 31%) e supera di slancio il sito del Corriere della Sera, calato del 5,5% rispetto a maggio.
Perde terreno (-17%) anche l’altro quotidiano di Rcs, la Gazzetta dello Sport, che mantiene comunque il quarto posto. Al quinto si piazza Citynews, con i suoi 42 giornali locali online (più uno nazionale, Today.it), conquistando due posizioni rispetto al mese scorso. Anche LaStampa.it guadagna due posizioni, salendo al sesto posto, a spese di Donna Moderna. Nell’ultimo anno il sito del settimanale femminile di Mondadori è cresciuto del 57%, ma in giugno la sua corsa si è arrestata, con una perdita del 9% del traffico rispetto a maggio. Ancora più accentuata (-24%) la flessione del settimo classificato, il Messaggero, che dal quinto scende all’ottavo posto.
Nono si conferma Tiscali, con 538mila utenti unici nel giorno medio. In decima posizione si piazza TuttoMercatoWeb.com, superando l’Ansa. Quando il calciomercato stava entrando nel suo periodo clou, il sito fondato e diretto da Michele Criscitiello è cresciuto del 23%, in controtendenza rispetto agli altri siti sportivi: Gazzetta.it, come abbiamo già detto, ha perso il 17%; la stessa flessione ha registrato il Corriere dello Sport, mentre l’altro quotidiano del gruppo Amodei, Tuttosport, è calato del 12% rispetto a maggio.
Notevole l’exploit del Sole 24 Ore, che in giugno ha registrato un +16,2% rispetto a maggio e che in meno di un anno (dal settembre 2016) è salito dal 17° al 12° posto. Un’escalation che il quotidiano spiega con la nuova linea editoriale voluta dal direttore Guido Gentili di aumento della quantità e miglioramento della qualità dei contenuti specialistici, grazie al rafforzamento dell’integrazione tra carta e web. In particolare hanno influito in maniera positiva sugli accessi l’appuntamento con la dichiarazione dei redditi, gli effetti sui mercati dei recenti fatti di cronaca e le notizie dall’America di Trump.
Per interpretare i cali di diversi giornali online rispetto a un anno fa c’è da considerare che, come abbiamo più volte ripetuto, le rilevazioni di Audiweb per ora non tengono conto del traffico in app sui social network, che rapprersenta una quota importante dell’audience dei siti di informazione. Non ci sono stati invece fatti particolarmente rivelanti nel giugno dello scorso anno che potessero catalizzare l’interesse dei lettori online, salvo il referendum sulla Brexit del 23 giugno 2016, che ha suscitato un ampio dibattito anche da noi. Nel confronto con il mese precedente bisogno tener conto che in maggio c’è stata la conclusione del campionato di calcio italiano, con la vittoria della Juventus, fatto che indubbiamente ha inciso in particolare sul traffico dei siti sportivi. Da considerare anche gli accordi commerciali tra i vari siti (le cosiddette TAL, traffic assigment letters), che incidono direttamente sull’audience rilevata. A questo proprosito, la principale novità di giugno riguarda Repubblica, che ha eliminato il channel ‘Tom’s HW – Computer & Consumer Electronics News’, che era l’unica TAL attiva del quotidiano online.
Sulla base dei dati di Audiweb Database si può stilare anche un’altra classifica: quella degli editori di siti d’informazione. Nettamente in testa a questa particolare classifica è Gedi Gruppo Editoriale (la nuova denominazione del Gruppo Editoriale L’Espresso), con 2 milioni 79mila utenti unici complessivi nel giorno medio (nel giugno 2016 erano 2 milioni 175mila), cifra a cui vanno aggiunti i 598mila di LaStampa.it, visto che proprio in giugno si è compiuta l’integrazione di Italiana Editrice (che pubblica La Stampa) nel gruppo presieduto da Marco De Benedetti.
Al secondo posto sale il gruppo Mondadori, con 1 milione 998mila utenti unici, contro i 558mila di un anno prima; un exploit dovuto all’acquisizione di Banzai Media, che ha portato in dote siti frequentatissimi come PianetaDonna, Giallo Zafferano, Smartworld, Studenti.it e altri (in totale circa 2 milioni di utenti unici nel giugno 2016).
Terzo è Rsc Mediagroup (1 milione 722mila utenti unici); quarto Mediaset (1 milione 531mila); quinto Caltagirone Editore (913mila) con i siti dei suoi sette quotidiani (Messaggero, Corriere Adriatico, Gazzettino, Mattino, Leggo e Nuovo Quotidiano di Puglia). Triboo con i suoi 21 siti (tra cui i più frequentati sono DireDonna e Html.it) totalizza 764mila utenti unici; Citynews 633mila, la Rai 542mila, Tiscali 543mila, TC&C (l’editore di TuttoMercatoWeb) 510mila, Sky Italia 473mila.
Anche durante il periodo estivo, agli italiani piace guardare le trasmissioni tv e farsi coinvolgere nei dibattiti che le riguardano, postando i loro commenti sui social network. Secondoi dati Nielsenrelativi alla Social Tv, nel mese di luglio nel nostro paese sono stati più di 2,8 milioni gli utenti unici attivi su Facebook e Twitter durante la visione di un programma sul piccolo schermo, con un totale di 7,4 milioni di interazioni registrate.
A coinvolgere di più i telespettatori sono gli eventi sportivi, che hanno generato poco meno della metà delle interazioni totali (46%), seguiti a 17 punti di distanza da talent e reality (29%). Alle spalle del duo di testa, conquista il terzo gradino del podio i grandi eventi musicali, trasmessi nel corso del mese (12%). Seguono poi, appaiati, le serie tv/fiction (6%), l’intrattenimento (4%) e i talk e i programmi di approfondimento politici (3%).
Il trend del mese sui programmi più socializzati ha di fatto confermato quanto emerso nel primo semestre del 2017, con le trasmissioni sportive che hanno fatto la parte del leone.Secondo i dati del Social Content Ratings di Nielsentra gennaio e giugno sono stati in tutto 5,4 milioni gli utenti attivi ogni mese, senza considerare tutti quelli che sono stati semplicemente esposti a commenti e tweet relativi ai programmi televisivi, per 124 milioni di messaggi tracciati nel corso del periodo.