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 mymarketing.it: e tu cosa ne pensi?... di Admin
 
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Errare è umano, ma per incasinare davvero tutto è necessario un computer.

Arthur Bloch
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\\ : Storico : Digitale (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Max Da Via' (del 12/01/2021 @ 10:38:55, in Digitale, linkato 1088 volte)

L’esperienza di consumo è ormai frammentata e caotica. Può partire da un qualunque punto fuori e dentro la rete, ma difficilmente può prescindere da uno scambio sociale (di opinioni, di approfondimento, di verifica). Tale scambio avviene in parte in ambienti chiusi e privati e in parte in ambienti aperti e pubblici. Entrambi stanno diventando anche luoghi di transazioni commerciali.

Iluoghi privati della rete stanno riconquistando la rilevanza perduta dopo il periodo di diffusione dei social network, che avevano promosso l’idea di una condivisione pubblica continua. Da qualche anno siamo testimoni di una corrente di risacca, il ritorno alle conversazioni ristrette e private, che possono scaturire in ambienti semi pubblici o privati.
Esempi del primo caso sono quelle incoraggiate dalla diffusione dei gruppi di Facebook, la nuova versione dei vecchi forum di discussione, usati da oltre 1,4 miliardi di persone. Qui si sviluppa un senso di appartenenza e di esclusività, si condividono informazioni e si scambiano suggerimenti in nome di una passione o di un obiettivo comune.

I gruppi si formano anche grazie a specifici software, come Discord usato dai più giovani, o all’interno delle applicazioni di Instant Messaging, che costituiscono la spina dorsale delle conversazioni private tra singoli. Le chat nate per svolgere un’unica semplice funzione di comunicazione testuale, si sono arricchite di capacità multimediali, ma soprattutto stanno per diventare una scorciatoia per gli acquisti.

Lo dimostrano gli ultimi annunci di WhatsApp, l’infrastruttura più usata per la messaggistica (oltre 2 miliardi di utenti mensili) , che ha introdotto una serie di funzioni per venire incontro alle esigenze di vendita, soprattutto, dei piccoli negozianti.
Tra questi, la possibilità di creare un catalogo di prodotti (con foto e prezzi) e di gestire un carrello (che permette all’utente di inviare un ordine contenente più articoli). Presto verranno aggiunti i pagamenti ed altri servizi per le aziende (es. hosting, opzioni di promozione).
Non mi soffermo su Facebook Messenger perché il suo futuro si confonderà con quello di WhatsApp se Zuckerberg dovesse riuscire nel suo intento di unificare i sistemi di messaggistica.

Telegram, che si appresta a raggiungere il traguardo di 500 milioni di utenti attivi, inizia ad avere problemi finanziari. Se vuole rimanere indipendente, dovrà iniziare a generare ricavi. Durov ha annunciato che le funzioni attuali rimarranno gratuite, mentre ne verranno introdotte altre per le aziende e gli utenti premium. Nel 2021 verrà rilasciata una piattaforma pubblicitaria, che non servirà ad infilare pubblicità nelle conversazioni uno a uno e nei gruppi, ma solo nei canali uno a molti.

I canali sono pubblici e, di fatto, trasformano Telegram in un social media come Twitter. Infatti i messaggi dell’autore del canale sono anche commentabili. In termini di monetizzazione, il business model potrebbe essere quello di far pagare un account sulla base del numero di messaggi push che vuole inviare ai propri follower/abbonati.

Durov è tenace ed ha tante idee, ma ha bisogno di rendere Telegram un ruolo più ospitale per le aziende e quindi di ripulirlo dalla pirateria e dal porno. Inoltre la sua strategia di monetizzazione necessita, per aver successo, di un’adeguata struttura commerciale.

La via cinese all’Instant Messaging

Per Messenger, WhatsApp e Telegram, il modello di riferimento della loro evoluzione è quello di WeChat, un’applicazione a cavallo tra instant messenger e social medium. Con essa le aziende, ad esempio, possono:

  • comprare account speciali (service o subscription). In particolare i “service account” permettono di inviare 4 messaggi push al mese (composti da più link) ad alta visibilità (l’account appare come se fosse un contatto personale) e anche targettizzando un gruppo specifico di persone;
  • fare pubblicità attraverso due modalità distinte:
    • Moments Advertising è un formato simile alla pubblicità nel feed di Facebook. L’inserzionista può scegliere diverse opzioni di targettizzazione;
    • Banner Advertising consiste in banner con CTA che può essere fatto apparire alla fine di un articolo pubblicato da un account
  • abilitare i pagamenti in app, usando WeChat Pay
  • usare le API di WeChat per sfruttare alcune sue funzioni all’interno di proprie applicazioni (es. l’invio dei messaggi)
  • creare Mini-Programs ossia piccole applicazioni richiamabili senza lasciare WeChat, per mostrare informazioni sul brand o abilitare funzioni (Tesla ne ha creato uno per individuare le stazioni di ricarica e prenotare un test drive).

Gli Instant Messenger, già utili in fase di pre e post vendita, lo saranno anche per agevolare le vendite? Sicuramente si, quando dalla conversazione e dal passaparola si passa ad un acquisto. In tutti gli altri casi non saranno così efficaci perché difettano di un meccanismo di discoverability, cioè è necessario che l’utente abbia il contatto del negoziante prima di poter iniziare un processo di acquisto. Per ovviare a questo inconveniente, Zuckerberg ha deciso di perseguire la strada dell’integrazione, che permette alle persone di scoprire le aziende su Facebook o Instagram e proseguire la conversazione su Messenger o WhatsApp.
Una posizione di vantaggio competitivo che darà i suoi frutti, se non interverranno mannaie regolamentari.

Via Vicos blog
 
Di Max Da Via' (del 17/12/2020 @ 07:24:44, in Digitale, linkato 1173 volte)

L’anno in cui la pandemia globale ci ha costretti a rivedere il nostro modo di vivere ha migliorato o peggiorato le nostre abitudini digitali? E’ questa la domanda che mi ha assillato in questi mesi e alla quale ho dedicato un post a marzo, sul marketing al tempo del coronavirus, e uno ad aprile, sull’incidenza del primo lockdown

Oggi, nel pieno della seconda ondata pandemica, ho provato ad approfondire lo sguardo con nuovi dati (ottenuti in esclusiva da Similarweb) e avendo a disposizione un periodo di osservazione più lungo.

Cresce l’uso della rete, ma gli utenti?

Il primo elemento di valutazione riguarda l’intensità di utilizzo della rete. Dalle rilevazioni AGCOM si nota chiaramente un’impennata di dati consumati nel primo periodo critico. Più pronunciato l’incremento del traffico sulla rete fissa, coinciso con l’abbandono degli uffici e dalle scuole per ricreare una routine lavorativa a casa (+90% a marzo e +80% ad aprile rispetto agli stessi periodi del 2019).

L’euforia estiva è evidenziata dalla diminuzione dell’uso della rete fissa e dall’aumento di quella mobile (ad agosto + 49% rispetto all’anno precedente). A settembre l’utilizzo rimane ancora alto e sempre superiore a quello del 2019 (+33% per la rete fissa e +46% per la mobile). 

Complessivamente, da gennaio a settembre, il traffico dati in download da rete fissa è stato di 23,56 zettabyte e di 4,43 zettabyte da mobile (rispettivamente +44,5% e +57%). Anche in upload si sono registrati incrementi consistenti: +48% per la fissa e + 58% per la mobile.

Ma gli utenti sono cresciuti? Tra marzo e giugno c’è stato un incremento di 100 mila accessi alla rete fissa (+0,5%). Quest’ampliamento della platea, che dovrebbe continuare nei mesi successivi, si inserisce, però, in un trend decrescente che, da anni, vede la disattivazione delle linee voce sostituite, solo in parte, dall’uso del cellulare o dal passaggio ad abbonamenti internet su rete fissa (a giugno -368 mila accessi rispetto al 2019, pari al -1,8%).

Un fenomeno simile si registra anche per la telefonia mobile, con una leggera crescita nel secondo trimestre (+521 mila SIM ossia +0,5%) e un saldo negativo annuale (-889 mila SIM ossia -0,9%). Ma, a ben vedere, le cosiddette “SIM human” ossia usate dalle persone, non da dispositivi IoT, sono decresciute dello 0,4% nel secondo trimestre (300.000 unità) e del 4,5% nell’anno.

L’ecommerce

Costretti a rimanere a casa gli italiani hanno iniziato ad usare maggiormente i siti di ecommerce. Le rilevazioni Eurostat segnalano un primo incremento consistente soprattutto a maggio e giugno del 30% rispetto allo stesso periodo del 2019. Poi, dopo un luglio sotto tono, il ricorso allo shopping online è continuato fino a segnare un +40% ad ottobre. Probabilmente è il segnale di un consolidamento delle abitudini.
Vediamo quali sono stati i servizi di ecommerce più usati.

Dovendo limitare le uscite per comprare beni alimentari, sono aumentate le visite ai siti dei supermercati per ordinare via web. Lo si vede chiaramente dal balzo di visite fatto registrare da Esselunga a marzo (8,6 milioni di visite, +178% rispetto al mese precedente, e 2,1 milioni di visitatori unici, +52%), ma anche da Conad e Carrefour.

Molti hanno usano i servizi di consegna a domicilio. Justeat, leader del delivery in Italia, ha visto un incremento di visite già a marzo, con un picco a maggio e poi a ottobre. Andamento simile per Deliveroo, mentre UberEats è cresciuto gradualmente. Boom per Supermercato 24 nel terzo mese dell’anno.

Le catene di elettronica di consumo Mediaworld, Unieuro e Euronics hanno realizzato solo un leggero incremento di visite ad aprile e maggio. Segno che dei prodotti tecnologici si è potuto fare a meno durante il lockdown. Più positivo il “back to school” e il periodo del black friday, entrambi trainati dalle classiche offerte speciali.

Dinamica simile anche per quanto riguarda gli accessi ai due giganti del commercio elettronico, Amazon e eBay, che sono cresciute poco nei primi mesi dell’emergenza e molto negli ultimi mesi dell’anno.

Stando a casa è venuta meno anche l’esigenza di comprare capi di abbigliamento. Lo si vede dal crollo delle visite al sito di Zalando, leader di mercato, che subisce il calo più evidente a marzo ed aprile. Ma l’andamento è uguale per tutti i retailer della moda.

Informazione e Intrattenimento

La crisi sanitaria ha generato una naturale voglia di essere aggiornati, di approfondire gli aspetti sanitari e di cronaca legati al momento fuori dall’ordinario. Un fenomeno evidenziato dall’incremento delle visite ai siti di news online, più che raddoppiato a marzo.
In controtendenza i giornali sportivi come Gazzetta.it che hanno subìto un crollo consistente a causa della mancanza di notizie.

Anche l’uso della TV è cresciuto. Quella lineare solo nelle fasce destinate ai TG (a marzo il TG3 Regionale ha fatto un balzo di quasi 5 punti percentuali rispetto all’anno prima), mentre complessivamente è rimasta stabile (RAI +0,1% e Mediaset -0,6% a marzo).
Rispetto alla TV non lineare, in streaming, va registrato il consolidamento di Netflix che è riuscita a stimolare nuovi download proprio nei mesi di marzo e aprile (oltre 1 milione ogni mese).

Social, messaggistica e produttività

Nell’impossibilità di uscire, gli italiani, hanno sfruttato al massimo i social media e i servizi di messaggistica per “incontrarsi”, condividere esperienze e informazioni.
A crescere sono sia il numero di utenti che il tempo speso sui vari social media. Siccome i più usati rimangono Facebook e Instagram (rispettivamente 38 milioni e circa 29 milioni di audience), è interessante guardare la dinamica delle nuove istallazioni. Evidente l’interesse verso TikTok che, a marzo e aprile, ha stimolato 1,7 milioni di download al mese (solo su Play Store) e si appresta a diventare la social app più scaricata dell’anno. Al secondo posto Instagram che, nonostante la sua ampia popolarità, continua ad essere scaricata a ritmi sostenuti.
WhatsApp, usata da oltre 30 milioni di italiani, è stata l’app più utilizzata per scambiare messaggi. Da evidenziare la sua crescita da desktop proprio durante questa pandemia, con un primo picco a maggio e un altro ancora più pronunciato a novembre.

Questo è stato anche l’anno nel quale molti italiani hanno scoperto i software per lavorare e studiare da remoto. A marzo si sono affrettati a scaricare Zoom e Google Meet (oltre 2 milioni di download) e poi hanno iniziato ad utilizzarli gradualmente, fino al picco di maggio e a quello di novembre, più pronunciato. Anche questo potrebbe essere il segnale di un’abitudine che si va consolidando.

In conclusione, la pandemia non ha generato un corposo ingresso di nuovi utenti in rete, almeno finora. In compenso, i vecchi abitanti della rete, già forti utilizzatori, hanno iniziato ad usarla di più, per svago o per lavoro. Parallelamente, gli abitanti potenziali della rete (dotati degli strumenti di accesso ma frenati da ostacoli psicologici o da semplice pigrizia) e gli utilizzatori più occasionali ne hanno scoperto alcuni dei vantaggi.
Inoltre mi sembra si sia allargata la percezione di utilità della tecnologia, anche tra coloro che l’avevano sempre demonizzata.
Resta una domanda: questo ricorso forzato agli strumenti, in particolare software, avrà stimolato qualche riflessione sul loro utilizzo? Avrà generato una maggiore consapevolezza rispetto alla complessità degli stessi e all’impatto che possono avere sulle persone?

 
Di Max Da Via' (del 21/05/2020 @ 07:52:33, in Digitale, linkato 1417 volte)

Con l'ingresso nella cosiddetta fase 2 abbiamo varcato la soglia di un Nuovo Rinascimento, che mette al centro non l’uomo tout court, ma l’individuo che colloca il digitale alla base della piramide di Maslow. Queste le parole di Stefano Cini, marketing analytics director di Nielsen Connect Italia, in occasione della presentazione dei risultati dell’Osservatorio Multicanalità 2020 realizzato da Nielsen in collaborazione con la business School del Politecnico di Milano.

Due le tendenze rilevate che delineano il presente e cambiano il futuro: da una parte l’incremento dei consumi mediatici che coinvolge, con diverse caratteristiche e significati, tutto lo scenario dei mezzi di comunicazione, dall’altra la brusca frenata degli investimenti adv. Ma vediamo dinamiche e numeri nel dettaglio.

Il primo dei fattori a risaltare è quello del tempo speso davanti agli schermi televisivi: l’incremento è omogeneo in tutti i continenti.  Negli Stati Uniti la crescita misurata da Nielsen Global Media del time viewing nelle settimane successive all’inizio del lockdown (il 16 marzo in US) è del + 27%. L’aumento della fruizione e del tempo trascorso guardando la tv aumenta in modo rilevante in concomitanza con l’inizio della quarantena in tutti i paesi in cui Nielsen rileva i Tv Ratings.

Allo stesso tempo gli investimenti pubblicitari registrano, anche in questo caso in modo omogeneo su scala globale, una brusca frenata nelle stesse settimane (Usa – 11%, UK – 5%, Francia – 29% Paesi Bassi – 15%%, Spagna – 29%, Germania – 6%, Australia – 6%). Una reazione prevedibile. L’advertising si conferma un fenomeno ciclico e la preoccupazione per una possibile recessione è diffusa, sebbene in questa fase l’esposizione ai media da parte dei consumatori sia molto alta su tutte le piattaforme.

In Italia, la tv tradizionale (free to air e pay per view) si dimostra resiliente nonostante le pesanti ripercussioni di questa emergenza sui palinsesti - è infatti sospeso lo sport e molti degli show in diretta. Cresce l’audience media in particolare nelle settimane centrali di marzo e si mantiene in linea con la media degli ultimi mesi la rilevanza sui social network. Il lockdown spinge la diffusione delle offerte in streaming o Video On Demand, tendenza che emerge chiaramente attraverso il volume di commenti sui social network (+140% vs aprile 2019) stimolati proprio da questi contenuti. Ci si riferisce qui sia alle piattaforme “native” digitali (Netflix, Prime Video, Disney+, Tim Vision) che alle declinazioni digital dei broadcaster (Raiplay, Mediaset Play, Infinity, Dplay, Now Tv) che possono beneficiare di cataloghi molto profondi.

In crescita praticamente tutte le categorie dei siti rilevati da Audiweb. In alcuni casi si tratta di variazioni dovute alla contingenza (i siti di news e della pubblica amministrazione ad esempio), ma in molti casi si osserva una impennata nella intensità e numero di utenti unici di categoria che erano già in crescita costante da mesi. Due esempi interessanti sono i siti di web conferencing ed e-grocery. Per ciò che concerne i meeting online più utilizzati per lo smart working, ma anche dal bisogno di socialità a “distanza”, la novità in Italia, come nel resto del mondo, è Zoom che risulta la piattaforma più utilizzata (9,9 mn di utenti, + 1.067% rispetto a  febbraio) seguita da Skype (7 milioni utenti, + 176%) e Google Hangouts (5,6 milioni, + 155%).

Infine, la diffusione dei servizi digitali che hanno coinvolto, per necessità, anche gli italiani evidentemente meno propensi. Il 58% di chi ha fatto la spesa online non aveva mai provato questo servizio e l’83% di questi dichiara che continuerà a farla anche nel post-Covid.

Lo smart working è stato “testato” per la prima volta dal 53% di chi ha lavorato in questa modalità e sarà utilizzato anche in futuro dall’80% di questi. Le scommesse e i casinò online dal 33% e l’89% continuerà a farlo. I preventivi RC auto usati per la prima volta dal 31%, con l’85% che continuerà anche in futuro. Per l’home banking: 26% e 94%. Un numero rilevante quindi di “nuovi utenti digitali” con i quali le aziende avranno la possibilità di aprire un canale di comunicazione da ora in avanti.

Giuliano Noci, professore ordinario di strategia e marketing del Politecnico di Milano, sottolinea:

“In questa fase di emergenza sanitaria ancor di più la marca deve essere in grado di costruire una relazione con i consumatori lungo un customer journey che risulta più lungo, articolato e non esclusivamente finalizzato ad un percorso di conversione. È perciò fondamentale lato aziende, progettare un ecosistema omnicanale basato sulle reali esigenze dei consumatori, conquistare spazi di relazione e fedeltà prima e dopo l’acquisto e infine lavorare sul concetto di intimità della marca, consapevoli che il vantaggio competitivo non passa dall’ottenere la fedeltà del cliente quanto piuttosto nel costruire la fedeltà (dell’azienda) al cliente”.

 

La rivoluzione digitale avanza in Italia anche se il gap rispetto agli altri paesi dell’Unione europea rimane ancora rilevante, sia per le imprese sia per i cittadini. E’ quanto mette in luce “Ict, cittadini e imprese 2018”, il rapporto dell’Istat.

Lo scorso anno la quota di famiglie che accedevano a internet da casa mediante banda larga è salita al 73,7% rispetto al 70,2% del 2017. La connessione fissa è la modalità di accesso più diffusa. Sul territorio le differenze tra le regioni sono ancora notevoli e confermano il vantaggio del Centro e soprattutto del Nord Italia. Significativo che la maggior parte delle famiglie senza accesso ad internet da casa indica il non saper utilizzare il web come principale motivo (58,2%) e più di un quinto (21%) non considera il web uno strumento utile e interessante. Seguono motivazioni di ordine economico legate all’alto costo dei collegamenti o degli strumenti necessari (15,2%), mentre l’8,1% non naviga in rete da casa perché almeno un componente della famiglia accede a Internet da un altro luogo.

La popolazione connessa

Il 68,5% delle persone di 6 anni e più si è connesso alla rete negli ultimi 12 mesi (65,3% nel 2017) mentre il 52,1% accede tutti i giorni. I giovani restano i più grandi utilizzatori del web (oltre il 94% dei 15-24enni) ma la diffusione comincia ad essere significativa anche tra i 65-74enni, che nell’ultimo anno passano dal 30,8% al 39,3%. Tra le persone di 14 anni e più si utilizza soprattutto lo smartphone per l’accesso alla rete (89,2%), seguito dal pc da tavolo (45,4%). Il 28,3% utilizza un laptop o un netbook, il 26,1% un tablet mentre il 6,7%  altri dispositivi mobili come ebook e smart watch.

Il rapporto con le nuove tecnologie conferma un divario di genere, dal momento che navigano su Internet il 72,5% degli uomini e il 64,6% delle donne. Fino ai 44 anni le differenze di genere sono tuttavia molto contenute e si annullano tra i giovani di 18-24 anni. Permane un forte squilibrio nell’uso del web tra Nord e Sud, isole comprese (72,3% contro 62,2%). A Bolzano si trova la più alta percentuale di internauti (75,1%), seguono Lombardia (73,6%), provincia autonoma di Trento (73,4%) e Friuli Venezia Giulia (73,2%). La Calabria, nonostante abbia fatto registrare un incremento di 5,1% rispetto all’anno precedente, resta la regione con la più bassa quota di utenti di internet (59,8%). L’uso del web è ancora caratterizzato da un forte divario sociale anche se rispetto al 2017 le distanze si vanno a ridurre. Se l’utilizzo della rete presenta livelli prossimi alla saturazione tra i laureati (91,5%), i dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (92,7%), tra gli operai la quota di chi accede al web è passata dal 77,6% all’81,3%. Analoga tendenza si registra per chi è in possesso della licenza media (dal 63,9% al 66,5%).

L’evoluzione dell’ecommerce

Rispetto al 2017 aumenta dal 53% al 55,9% la quota di utenti di 15 anni e più che hanno acquistato online nei 12 mesi precedenti l’intervista; in particolare, il 34% ha ordinato o comprato merci o servizi negli ultimi 3 mesi, il 12,4% nel corso dell’anno e il 9,5% più di un anno fa. Sono più propensi a comprare online gli uomini (59,8%), le persone tra i 20 e i 34 anni (circa il 70%) e i residenti nel Nord (60,8%). Tra gli internauti che hanno fatto acquisti negli ultimi 3 mesi il 49,5% ha fatto uno o due ordini, il 30% tra i tre e i cinque, il 10,1% tra sei e dieci mentre solo una piccola quota dichiara di aver fatto più di dieci ordini (5,8%). I beni più acquistati sono abiti e articoli sportivi (45,0%), articoli per la casa (39,4%) e servizi riguardanti “viaggi e trasporti” (39%).

I servizi più utilizzati online dagli internauti sono quelli bancari (44,6%), soprattutto nella classe di età 25-44 in cui la quota di utilizzatori supera il 50%, e i servizi di pagamento, ad esempio il paypal (39,2%) con un picco tra i 20 e i 44 anni (oltre il 45%), mentre il ricorso alle rete per vendere merci o servizi è praticato dal 10,8% degli utenti assieme alle operazioni finanziarie (10,1%). Si registra nel 2018 una forte distanza tra il Nord e il Sud, di più di 20 punti percentuali per l’e-banking e di oltre 10 punti per i servizi di pagamento e l’acquisto di beni e servizi online. Pur non avendo fatto acquisti tramite il web negli ultimi tre mesi, il 43,9% ha comunque cercato informazioni online su merci o servizi, e/o ha usato il canale online per la vendita di beni.

Le imprese italiane e le nuove tecnologie

Passando al mondo delle imprese, tra quelle con almeno 10 addetti il 94,2% si connette in banda larga mobile o fissa. Aumenta in particolare la quota delle aziende che dichiarano velocità di connessione in download di almeno 30 Mbit/s (da 22,1% nel 2017 a 29% nel 2018). Passano inoltre dal 12,9% al 16,9% le imprese che investono sulle competenze digitali provvedendo alla formazione dei propri addetti.

Il divario tra grandi e piccole imprese nel livello di digitalizzazione rimane ancora ampio. Elevati livelli (“Alti” o “Molto alti) sono presenti nel 44% delle imprese con almeno 250 addetti e solo nel 12,2% delle imprese da 10 a 49 addetti.

Nell’uso di tecnologie emergenti, le grandi imprese italiane mostrano una propensione superiore o in linea con la media europea nell’analisi di big data (il 30% contro il 25% dell’UE28), nell’uso di stampanti 3D (13% come la quota UE28) e della robotica (26% rispetto al 25% dell’UE28).

Nel mondo dell’ecommerce risulta rilevante la crescita degli intermediari: il 64,1% delle imprese che nel 2017 hanno venduto via web (53,8% nel 2016) ha utilizzato almeno un e-marketplace e il 50,2% (39,1% nel 2016) ha realizzato almeno la metà del fatturato via web tramite intermediari.


Via Engage
 
Di Max Da Via' (del 29/11/2017 @ 07:29:57, in Digitale, linkato 1550 volte)

TheFork, tra le principali app di prenotazione online dei ristoranti a livello globale, ha realizzato una ricerca su tecnologia e , cercando di analizzare il sentiment degli utenti italiani riguardo l’utilizzo di strumenti tecnologici prima, durante e dopo l’esperienza gastronomica fuori casa.

“Anche in Italia si assiste a una crescita dell’utilizzo di strumenti digitali nell’ambito della ristorazione e la crescita di TheFork ne è un chiaro esempio. Talvolta, il timore dei ristoratori riguardo l’utilizzo di questi strumenti è privare i commensali dell’aspetto umano dell’esperienza. Questo sondaggio dimostra che strumenti tecnologici che semplificano aspetti come la prenotazione e le liste d’attesa sono apprezzati dagli utenti, che giustamente continuano a preferire e valorizzare la componente umana nel corso del servizio”, commenta Almir Ambeskovic, Regional Manager di TheFork.

Ecco i principali risultati emersi.

PRIMA DEL PASTO

  • Gli utenti apprezzerebbero che prima ancora di prenotare e consumare l’esperienza gastronomica, il gestore ricordasse il tavolo preferito (88%), ma anche date speciali e compleanni (57%), numero di volte in cui si è stati in quello stesso ristorante (40%) ed esigenze alimentari (71%). Il tutto però senza cercare informazioni in rete sul cliente stesso, cosa che risulterebbe negativa per il 78% dei rispondenti.
  • Ben l’89% degli utenti intervistati guarda di buon occhio la ricezione di promozioni, menù e offerte prima della prenotazione.
  • Oltre a prenotare il ristorante online, i clienti sarebbero felici di prenotare via app i posti in lista d’attesa in quei ristoranti dove è difficile trovare posto (87%).
  • La maggior parte degli utenti (59%) preferisce ordinare direttamente al cameriere e non con un app prima del pasto né vorrebbe pagare con carta di credito al momento della prenotazione (85%). 

DURANTE IL PASTO

  • Nel corso del servizio, i clienti intervistati affermano di preferire il contatto umano. Solo il 27% sarebbe soddisfatto se vi fosse un robot in cucina o in sala.
  • L’uso di smartphone durante i pasti è ritenuto fastidioso da metà dei rispondenti, mentre il 24% lo ritiene accettabile solo se legato all’esperienza (foto, condivisione social ecc.). Del resto solo il 20% afferma di non scattare mai una foto al ristorante. Infine, i telefonini sono ammessi a tavola quando si è da soli. Il 9% dice di farne sempre a meno, per gli altri è lecito.
  • Quanto all’ordinazione, pollice verso per i touch screen o altri dispositivi elettronici simili per oltre il 56% dei rispondenti.

DOPO IL PASTO

  • Dopo un’esperienza gastronomica positiva al ristorante, metà degli utenti ne scaricherebbe la app.
  • Il 62% dei rispondenti dichiara di non restare aggiornato tramite newsletter sulle attività di un ristorante.
Via Tech Ecopnomy
 
Di Max Da Via' (del 06/11/2017 @ 07:27:38, in Digitale, linkato 1764 volte)

Non è una novità, abbiamo già parlato di tutti i professionisti digitali che mancano alle aziende europee e ancor più italiane (e che allo stato attuale mancheranno sempre di più). A svelarci dati recenti e aggiornati in proposito è il report The Digital Talent Gap—Are Companies Doing Enough?, realizzato da Capgemini in collaborazione con LinkedIn.

La ricerca ha analizzato la domanda e l’offerta di lavoro relativa ad esperti con specifiche competenze in ambito digital e la disponibilità di posizioni digital all’interno di diversi settori e Paesi. A seguire i punti fondamentali emersi (globali e in dettaglio per l'Italia) di un grande gap.

Principali evidenze:

  • Tra le società intervistate a livello globale, più di una su due (55%) riconosce che il gap sulle competenze digitali si sta espandendo, in Italia questo dato si ferma al 43%.
  • Più della metà (54%) delle aziende mondiali è d’accordo sul fatto che questo divario stia ostacolando i loro programmi per la digital transformation e di aver perso il loro vantaggio competitivoproprio a causa della carenza di talenti digitali.
  • Sebbene il divario in termini di competenze digitali si fa più ampio, i budget per la formazione digitale sono rimasti invariati o hanno addirittura subito un calo in oltre la metà (52%) delle aziende.
  • Il report evidenzia il fatto che quasi il 50% dei lavoratori (percentuale che raggiunge il 60% per quei dipendenti con competenze digitali) sta investendo sia denaro che tempo libero propri per acquisire competenze digitali.
  • Molti degli attuali dipendenti sono preoccupati dal fatto che le proprie competenze siano ormai superate o che lo stiano per diventare. Complessivamente, il 29% dei lavoratori ritiene che siano già superate o che lo diventeranno entro due anni, mentre per oltre un terzo di loro questo succederà tra 4-5 anni.
  • Da un punto di vista di settore, dal report si evince che il 48% dei lavoratori del comparto automobilistico pensano che le loro competenze diventeranno superflue nei prossimi 4-5 anni, seguiti da quelli dei settori bancario (44%), delle utility (42%), delle telecomunicazioni e assicurativo (entrambi al 39%).
  • Più della metà dei dipendenti con competenze digitali (55%) afferma di essere disposto a trasferirsi in un'altra azienda nel caso in cui dovesse avvertire che le proprie capacità digitali siano in una fase di stallo presso l’attuale datore di lavoro. Allo stesso tempo, è probabile che quasi la metà dei dipendenti (47%) si indirizzi verso quelle aziende che offrono migliori possibilità di sviluppo di queste competenze.

I dati per l’Italia:

  • In Italia, il 43% delle società intervistate riconosce che il gap sulle competenze digitali si sta espandendo.
  • Il 43% delle aziende italiane afferma che questo divario stia ostacolando i programmi per la digital transformation
  • Il 34%, inoltre, afferma di aver perso il proprio vantaggio competitivo a causa della carenza di talenti digitali
  • Il 55% dei lavoratori (il 66% per quei dipendenti con competenze digitali) sta investendo sia denaro che tempo libero propri per acquisire competenze digitali.
  • Il 25% dei dipendenti italiani ritiene che le proprie competenze siano già superate o che lo diventeranno entro due anni, mentre per il 48% di loro questo succederà tra 4-5 anni.

La top 10 dei ruoli digital che nei prossimi 2-3 anni diventeranno i più significativi:

  • Information Security/Privacy Consultant
  • Chief Digital Officer/Chief Digital Information Officer
  • Data Architect
  • Digital Project Manager
  • Data Engineer
  • Chief Customer Officer
  • Personal Web Manager
  • Chief Internet of Things Officer
  • Data Scientist
  • Chief Analytics Officer/Chief Data Officer

Per rispondere a questa problematica si stanno progressivamente sviluppando alcune soluzioni. Tra queste la start-up GeekandJob, creata per aiutare le aziende a trovare programmatori e data scientist di talento.

Via Mark Up
 
Di Altri Autori (del 27/07/2017 @ 07:36:56, in Digitale, linkato 1533 volte)

Nel 2016, il mercato digitale italiano (informatica, telecomunicazioni e contenuti) è cresciuto dell’1,8% raggiungendo i 66.100 milioni di euro. Nel primo trimestre dell’anno in corso la crescita ha accelerato, toccando il 2,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e avvalorando le previsioni di crescita per il triennio 2017-2019 (+2,3% a 67.652 milioni di euro nel 2017; + 2,6% a 69.432 milioni di euro nel 2018 e +2,9% a 71.453 milioni di euro del 2019). In uno scenario che conferma una ritrovata vitalità, grazie al ruolo trainante delle componenti più innovative e ad un generale salto di consapevolezza sulle potenzialità del digitale compiuto dal Paese, permangono però criticità cui occorre dare rapida risposta. La prima riguarda il passo della ripresa che, per quanto buono, non basta ancora a colmare il ritardo accumulato e a coinvolgere le tante PMI che animano il nostro tessuto produttivo. La seconda riguarda il gap di specialisti digitali, che rischia di condizionare gli investimenti delle aziende e l’effetto delle politiche di stimolo all’innovazione. Sono queste le principali evidenze del rapporto “Il digitale in Italia 2017”, condotto in collaborazione con NetConsulting cube e Nextvalue e presentato oggi alla stampa a Milano e Roma.

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“Sino a due anni fa, il nostro paese, per carenza di investimenti in innovazione, correva il rischio di rimanere ai margini dello sviluppo digitale, protagonista dei principali trend dell’economia globale. Oggi possiamo dire che questo scenario si sta sempre più allontanando grazie all’inversione di tendenza degli investimenti in tecnologia che registriamo da due anni a questa parte e che, secondo le nostre stime, continuerà a manifestarsi per almeno i prossimi tre anni” – ha affermato il presidente di Assinform Agostino Santoni  “L’impatto dell’innovazione digitale sul business è sempre più rilevante in tutti settori dell’economia italiana. Cloud, Iot, Big data, Mobile Business, Cybersecurity stanno trainando il cambiamento dei modi di produzione, di interazione con clienti e fornitori in filiere sempre più integrate. Stanno cambiando i prodotti e lo scenario competitivo, che vede l’ingresso nei mercati di nuovi operatori e piattaforme digitali che abilitano nuovi servizi”.

Lo studio Assinform non lascia dubbi al riguardo. Il Mercato Digitale Italiano si è rimesso in moto, promettendo tassi di crescita in costante miglioramento almeno sino 2019 sulla spinta dei processi di trasformazione digitale in tutti i principali settori. I tassi di crescita medio annui stimati tra il 2016 e il 2019 sono del 4,4% ogni anno nell’industria (dai 7.044 milioni di euro, +2,4%, del 2016), del 4% nelle banche (dai 6.813 milioni di euro, +3,5%, del 2016), del 4,5% nelle Utility (dai 1.576 milioni di euro, +3,5%, del 2016), del 4,2% nelle Assicurazioni (dai 1.800 milioni di euro, +3,7%, del 2016), del 3,6% nei Trasporti (dai 2.209 milioni di euro, +2,5%, del 2016), del 4,7% nella Distribuzione (dai 3.991 milioni di euro, +3,5%, dei 2016). Tutte dinamiche incoraggianti, che tuttavia trovano meno riscontro nella PA, in cui la spesa in digitale è attesa calare con un tasso di crescita medio annuo di poco meno del 2%, ad eccezione della Sanità, che invece promette un tasso medio annuo di crescita del 3% circa (dai 1.450 milioni di euro, +1,6%, del 2016). Dal punto di vista territoriale aumenta la polarizzazione nel Nord Ovest che contribuisce al 38,3% della spesa digitale complessiva del Paese con una crescita del 2,3% nel 2016.

“Se è una notizia assolutamente positiva per le prospettive di crescita dell’economia italiana che si sia ripreso a investire nel digitale, dobbiamo essere consapevoli che molto resta ancora da fare – ha commentato Santoni, che ha concluso – Nel prossimo periodo sarà cruciale consolidare questo trend. Agli sforzi per far sì che la trasformazione digitale coinvolga una platea sempre più ampia di Pmi, oggi ancora troppo ristretta, vanno affiancate iniziative formative a tutti i livelli del sistema d’istruzione e formazione professionale per far fronte alla crescente domanda di competenze digitali e figure professionali specializzate. Questo è un nodo cruciale che va affrontato al più presto e in modo efficace, per evitare che causi ritardi e per creare vere opportunità per i giovani”.

Quello delle competenze digitali, secondo lo Studio Assinform, è un tema di portata strategica. Per il 2016-2018, è stimato un fabbisogno di 85.000 nuovi specialisti, 65.000 dei quali per soggetti di primo impiego, più della metà dei quali laureati e per fabbisogni che possono essere soddisfatti solo in parte. Già ora si manifestano forti criticità per i profili di Data Scientist, Business Analyst, Project Manager, il Security Analyst e altri ancora, necessari per i progetti di Trasformazione Digitale.

Sul fronte della strategia per la Crescita Digitale del Paese si registrano progressi importanti in particolare del sistema PagoPA (15.601 PA aderenti e 11.332 attive) e di quello della Fatturazione Elettronica per la PA, oramai generalizzate e best practice europea. Ma molto resta ancora da fare per accelerare sulla diffusione di SpID (con servizi in crescita, ma a fronte di solo 1,5 milioni di identità digitali rilasciate) e dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione.

Altro cantiere promettente è il programma Industria 4.0, che incentiva con iper e super ammortamenti le componenti sistemistiche e digitali della nuova automazione industriale, e che già ha cominciato a incidere considerevolmente su un mercato che a fine 2016 ha raggiunto 1.831 milioni di euro (+18,2%). Secondo un’indagine condotta da Assinform presso i fornitori ICT nel primo trimestre del 2017 la domanda di prodotti e soluzioni digitali 4.0 è cresciuta tra il 10% e il 20% e manterrà una dinamica sostenuta per l’intero anno.

La digitalizzazione , Industria 4.0, non sono solo iniziative tecnologiche – ha detto il presidente di Confindustria Digitale Elio Catania intervenendo alla conferenza stampa– Stiamo ridisegnando l’economia italiana, la sua competitività, la sua capacità di crescere. Industria 4.0 è  un grande progetto-paese, per il quale va dato atto alla collaborazione fra  Governo e sistema delle imprese.  E’ una grande sfida  che ci accompagnerà per molti anni,  su cui  l’impegno di tutti deve andare ben oltre il 2018”.

La leggera ripresa degli investimenti nel digitale – ha aggiunto Catania – testimonia che le imprese hanno iniziato a capire l’importanza dell’innovazione e a muoversi.  La strada è giusta, ma siamo solo agli inizi. Per chiudere il gap d’innovazione accumulato rispetto  agli altri paesi, dobbiamo puntare  a un raddoppio degli investimenti entro i prossimi cinque anni. Per questo abbiamo bisogno, oggi più che mai, oltre che all’impegno delle imprese, di un’amministrazione pubblica in grado di essere motore dell’innovazione, non freno.  I piani di digitalizzazione della Pa sono sul tappeto da tempo, ma la loro attuazione è troppo, troppo lenta. Il punto chiave su cui bisogna concentrarsi è sulla trasformazione dei processi, cruciale per una spending review efficace e per dare qualità ai servizi verso i cittadini e le imprese. Ci aspettiamo, perciò, che si dia vita a una mobilitazione politica e di leadership per la Pa 4.0, al pari e con la stessa determinazione con cui  Governo e sistema confindustriale stanno spingendo l’attuazione di Industria 4.0”.

I dati del 2016 più da vicino

Nel 2016 il mercato digitale nel suo complesso è cresciuto dell’1,8% a 66.100 milioni di euro. Già ad un primo livello di disaggregazione, i dati indicano che alla crescita 2016 hanno concorso un po’ tutti i comparti, tranne i Servizi di Rete di telecomunicazioni: Servizi ICT a 10.631,6 milioni di euro (+2,5%), Software e Soluzioni ICT a 6.259 milioni di euro (+4,8%), Dispositivi e Sistemi a 17.230 milioni di euro (+1,4%), Contenuti Digitali e Digital Advertising a 9.622 milioni di euro (+7,2%).

Il mercato dei Dispositivi ha comunque dato segno di tenuta, grazie alle componenti infrastrutturali e agli smartphone (16,7 milioni di unità, +8%), che sono nelle mani del 65% degli italiani e che hanno alimentato la ripresa dei servizi di rete mobile. La componente PC è calata in unità del 3,7% (dato risultante dal -8,8% dei desktop e dal -2,4% dei notebook), ma è rimasta relativamente stabile in valore per effetto dell’introduzione di nuovi modelli. E’ invece continuato il calo dei tablet (-7,1% in unità).

Il comparto Software e Soluzioni ICT, già in ripresa da due anni ha mostrato nell’insieme ancora più vivacità, raggiungendo 6.259 milioni di euro (+4,8%). Anche qui è evidente il segno della trasformazione in corso. E’ infatti cresciuto bene il software applicativo (4.498 milioni di euro, +6,5%) ancora sull’onda delle componenti più innovative quali piattaforme per la gestione web, IoT. Ha frenato il software di sistema (-0,3% a 546 milioni di euro) mentre il middleware (1.215 milioni di euro, +1,2%) ha rallentato la crescita, non per carenza di domanda, ma perché una quota crescente di essa tende ad essere soddisfatta in modalità Cloud e di Outsourcing infrastrutturale.

Bene anche i Servizi ICT, secondi solo ai servizi di rete per peso sul mercato digitale complessivo. La crescita rilevata, del 2,5% a 10.631,6 milioni di euro, mostra un’accelerazione rispetto allo scorso anno (+1,5%), e rivela tutta la consistenza dei nuovi e più evoluti trend di spesa. Il comparto è infatti trainato dai servizi di Data Center e Cloud Computing, che nell’insieme crescono del 16,1% a 2.264,7 milioni di euro, con la componente Cloud in crescita del 23%. Questi compensano largamente le performance negative dei servizi di Outsourcing (-1,3% a 3.689 milioni di euro), Formazione (-1% a 322 milioni di euro) e Assistenza Tecnica (-1% a 718 milioni di euro), pur con cali ridotti rispetto agli anni scorsi. Significativo, per quanto attiene l’evoluzione ai nuovi modelli dell’ICT è anche il ritorno alla crescita dei Servizi di Consulenza (+0,5% a 785 milioni di euro) e di Sviluppo Applicativo e Systems Integration (+0,1% a 2.853 milioni di euro). Esso appare infatti correlato proprio al progresso del Cloud e degli altri Digital Enabler e all’innesco di un processo di ammodernamento di applicazioni e infrastrutture funzionale all’accelerazione dei nuovi modelli di fruizione dell’ICT.

 

Le previsioni 2017-2019

Tra il 2017 e il 2019 le previsioni annunciano un progressivo rafforzamento del tasso di crescita del mercato complessivo, in presenza di dinamiche in progressivo recupero per i Servizi di Rete di Telecomunicazione (TLC) e software, soluzioni e servizi ICT. Più in particolare, la crescita stimata:

·         per il 2017 è del 2,3%, a 67.652 milioni di euro con i Servizi di Rete Tlc a 22.243 milioni di euro (-0,5%, contro il -2,4% del 2015 e il -1,1% del 2016), i Servizi ICT a 10.990 milioni di euro (+3,4%); Software e Soluzioni ICT a 6.616 milioni di euro (+5,7%), Dispositivi e Sistemi a 17.515 milioni di euro (+1,7%), Contenuti Digitali e Digital Advertising a 10.288 milioni di euro (+6,9%);

·         per il 2018 è del 2,6%, a 69432 milioni di euro, con i Servizi di Rete Tlc a 22.265 milioni di euro (+0,1%), i Servizi ICT a 11.399 milioni di euro (+3,7%), Software e Soluzioni ICT a 7.043,5 milioni di euro (+6,5%), Dispositivi e Sistemi a 17.752 milioni di euro (+1,3%), Contenuti Digitali e Digital Advertising a 10.973 milioni di euro (+6,7%);

·         per il 2019 è del 2,9%, a 71.453 milioni di euro, con i Servizi di Rete Tlc a 22.397 milioni di euro (+0,6%), i Servizi ICT a 11.848 milioni di euro (+3,9%), il Software e Soluzioni ICT a 7.500 milioni di euro (+6,5%), Dispositivi e Sistemi a 18.035 milioni di euro (+1,6%), Contenuti Digitali e Digital Advertising a 11.673 milioni di euro (+6,4%).

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Di Max Da Via' (del 28/06/2017 @ 07:35:33, in Digitale, linkato 1491 volte)

Procter&Gamble e Unilever hanno chiesto in modo aggressivo maggiore trasparenza nel panorama dei media digitali, arrivando a minacciare di tagliare gli investimenti pubblicitari digitali a meno che il sistema non venga ripulito. E adesso sembra che gli inserzionisti più grandi del mondo abbiano deciso di mettere in pratica i loro avvertimenti, riducendo sostanzialmente i budget e il numero di siti in cui acquistare inventory. Secondo le stime di MediaRadar, società di intelligence pubblicitaria di New York, la spesa di P&G è scesa del 41% anno su anno, mentre quella di Unilever è calata del 59%.

In dettaglio, P&G ha pubblicato annunci su 1.459 siti tra gennaio e maggio 2016, mentre nello stesso periodo di quest’anno tale numero è sceso a 978 siti con un calo del 33%. Unilever, invece, ha fatto pubblicità su 606 siti tra gennaio e maggio 2016, scesi a 540 nel 2017, (-11%). In termini di spesa, P&G ha pianificato annunci su 712 siti web tra il 2016 e il 2017, tra cui Yahoo News, BuzzFeed e Reuters. Ma ha ridotto gli investimenti a 560 di loro, che, secondo MediaRadar, significa una diminuzione del 79% del budget dal 2016. Unilever ha pubblicato annunci su 268 siti anno su anno, tra cui NBC News, Health e Time. Ma ha ridotto la spesa del 57% su 155 di quei siti.

“Gli inserzionisti chiedono maggiore trasparenza da parte di agenzie, publisher e compagnie ad tech – ha dichiarato Todd Krizelman, ceo e co-fondatore di MediaRadar -. Secondo i nostri dati, ciòha causato a una manciata di grandi inserzionisti la riduzione del numero di siti che acquistano e di conseguenza i loro budget”. MediaRadar tiene traccia degli investimenti digitali in base ad alcune variabili chiave, come il tipo di unità pubblicitaria, la sua posizione su una pagina web, la frequenza di visualizzazione e il costo medio di mercato. L’azienda calcola il prezzo per ogni singolo annuncio che traccia e quindi li riassume per misurare la stima completa della spesa.

Il responsabile marketing globale di Unilever, Keith Weed, ha ribadito la necessità che le marche prestino maggiore attenzione al processo di acquisti di spazi automatizzati, parlando ai Cannes Lions. “Dobbiamo assicurarci che la catena di fornitura digitale sia meno oscura”, ha detto, in un incontro ospitato dal Wall Street Journal. I budget pubblicitari passano rapidamente dalla tv al digital, dove gli inserzionisti stanno ora spendono solo in America 72 miliardi di dollari l’anno (eMarketer). Ma titani come Unilever e P&G, forti di una vasta gamma di brand nel loro portafoglio, possono optare in controtendenza per un ritorno alla pubblicità di massa piuttosto che per l’iper-targetizzazione che offre l’advertising digitale.

“Visti i recenti scandali sulla trasparenza e la qualità della pubblicità digitale, i marchi che vendono merci a un vasto pubblico di consumatori possono decidere per un ritorno alle comunicazioni di massa che ancora colpiscono nel segno”, ha detto Ben Kunz, svp of marketing & content di Mediassociates. “Poiché l’audience di P&G e Unilever è relativamente ‘piatta’ nei bisogni e nei valori, l’approccio di massa della pubblicità non digitale, come la tv, potrebbe funzionare bene per loro”.


Via DailyOnline
 
Di Max Da Via' (del 07/06/2017 @ 07:05:18, in Digitale, linkato 1663 volte)

Nel 2016 il mercato del turismo italiano cresce. Lo rileva l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Turismo del Politecnico di Milano, che da tre anni passa al setaccio la industry per aiutare i player a identificarne e risolverne le inefficienze. Al termine del 2016 il valore degli acquisti per turismo e viaggi nel nostro paese supera i 52 miliardi di euro, in crescita del 3% rispetto all’anno precedente. In dettaglio, la componente tradizionale cresce dell’1%, come nel 2015, mentre il canale digitale mette a segno il +8%, attestandosi su un valore complessivo di 10,3 milioni di euro. Nel 2016 il peso del digital sul mercato turistico italiano nel suo complesso è salito al 20% e da qui passa un quinto del transato. La maggior parte della spesa turistica che transita sul digitale è quella per i viaggi degli italiani all’estero (outgoing), che rappresenta il 43% del totale (era il 39% nel 2015), seguita dalla spesa per i viaggi domestici al 40% (41% nel 2015) e da quella dei turisti che vengono in Italia (incoming) al 17% (20% nel 2015). “Il nostro sistema di offerta digitale per l’incoming non è ancora in grado di aumentare l’attrattività della destinazione Italia nei confronti dei flussi turistici digitali provenienti dall’estero”, spiegano dall’Osservatori del PoliMi.

Segmentando la spesa digitale nei tre prodotti oggetto dell’indagine, strutture ricettive, pacchetti di viaggio e trasporti, sono proprio questi ultimi a raccogliere il 72% del mercato (in linea col 2015). Seguono con il 16% le strutture ricettive e con il 12% i pacchetti di viaggi. All’interno delle strutture ricettive, diminuisce il peso del comparto alberghiero dal 70% nel 2015 al 63% nel 2016, in parte grazie al crescente utilizzo delle piattaforme di sharing economy nel mondo dell’accomodation. La quota di mercato delle Online Travel Agency e dei vari siti aggregatori passa dal 23 al 24%, in crescita in valore assoluto del 10% rispetto al 2015.

L’incidenza del mobile commerce da smartphone sulla spesa digitale turistica è di poco inferiore al 10% e nel 2016 si attesta intorno ai 980 milioni in crescita di circa il 65% rispetto al 2015. Il tablet ha tassi percentuali più ridotti, ma comunque a due cifre.

Infine, il business travel incide per oltre il 10% sul transato online, attestandosi in valore assoluto in oltre un miliardo di euro. Considerando la sua incidenza nel mercato tradizionale, è secondo il PoliMi uno degli ambiti da cui è attesa la maggiore crescita futura.

Il digital tourist journey degli italiani

L’Osservatorio del PoliMi ha poi condotto uno studio sull’impatto del digitale nelle diverse fasi della vacanza breve degli italiani. Internet si conferma estremamente pervasivo soprattutto nella fase pre-viaggio. Ispirazione, ricerca e prenotazione avvengono online rispettivamente per il 67%, l’83% e l’84% del campione di 1013 turisti digitali coinvolti nella ricerca. Condivisione dell’esperienza, scrittura di recensioni, risposta a sollecitazioni commerciali post-viaggio riguardano rispettivamente il 34%, il37% e il 39% dei viaggiatori. Recensioni e commenti online sono essenziali per il 48% degli intervistati.

Le vacanze brevi così come quelle più lunghe vengono pianificate in media tre mesi prima, con una media di investimento di 361 euro contro i 755 della vacanza principale. I motori di ricerca sono lo strumento principale per la scelta della vacanza breve: ma è utilizzato al 75% per quella lunga e solo al 45% per quella corta. E il turista dello short break in 4 ore è pronto a prenotare.

È nella prenotazione dei servizi prima della partenza che internet la fa da padrone. L’81% degli intervistati, infatti, ha prenotato almeno un servizio online. In prima posizione l’alloggio al 73%, seguito dall’aereo al 27% e dal treno al 16%. Sul fronte dei servizi aggiuntivi pre-partenza, internet è usato soprattutto per attività culturali (13%), attività di relax (13%), ristoranti (12%) e assicurazioni (10%).

Infine, sono i giovanissimi (18-24 anni) a usare di più lo smartphone per la ricerca e prenotazione di vacanze brevi. E sono anche più attivi nel condividere l’esperienza sui social (40% rispetto al 34% sul totale), ma meno nella scrittura di recensioni (29% rispetto al 37%).


Via DailyOnline
 
Di Max Da Via' (del 16/01/2017 @ 07:24:35, in Digitale, linkato 2215 volte)

Dai nuovi dati dell’Audiweb Database*, il nastro di pianificazione con i dati dell’audience totale di internet (total digital audience), risulta che nel mese di novembre 2016 la total digital audience ha raggiunto 30,1 milioni di utenti, il 54,7% degli italiani dai due anni in su, online complessivamente per 54 ore e 51 minuti per persona.

Nel giorno medio erano online 23,1 milioni di italiani, collegati tramite i device rilevati – PC e mobile (smartphone e tablet al netto delle sovrapposizioni) per 2 ore e 23 minuti per persona.
Hanno navigato da mobile 20,1 milioni di italiani tra i 18 e i 74 anni, in media per 2 ore e 5 minuti per persona.

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A novembre era online nel giorno medio, sia da pc che da mobile (smartphone e tablet), circa il 60% della popolazione tra i 18 e i 54 anni e il 31,5% della fascia più matura tra i 54 e i 74 anni.

Dai dati sulla provenienza geografica degli utenti online il 45% degli italiani dell’area Nord-Ovest (6 milioni), il 42,6% dall’area Nord Est (3,7 milioni), il 41,2% dal Centro (3,7 milioni) e il 37,9% dall’area Sud e Isole (8 milioni).

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Per quanto riguarda la distribuzione del tempo trascorso online, il 77,2% è generato dalla navigazione da mobile (smartphone e tablet), con quote maggiori raggiunte in generale dalle donne, con l’83,5% del tempo complessivo trascorso online da mobile, e dai giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno dedicato l’84,1% del tempo online alla navigazione mobile.

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Più in dettaglio, dai dati sul tempo speso per persona, risulta che nel giorno medio hanno trascorso più tempo online i 25-34enni, con 2 ore e 41 minuti in media al giorno, seguiti dalla fascia più matura dei 35-54enni (quasi 2 ore e mezza).

Con 2 ore e 17 minuti online nel giorno medio, i 18-24enni continuano a preferire la fruizione di internet da mobile.

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Per quanto riguarda, infine, le principali categorie di siti visitati nel mesi di novembre, il 93% degli utenti online ha navigato tra i siti e/o applicazioni della categoria “Search” (28 milioni di utenti), quasi il 90% tra i portali generalisti (“General Interest Portals & Communities”, con 27 milioni di utenti) e oltre l’80% degli utenti online ha visitato almeno un sito e/o applicazione tra le categorie “Internet tools / web services”, dedicati ai servizi e tool online (86%), “Member Communities” (85,6%) e “Video/Movies” (83%). Raggiungono valori interessanti anche le categorie “Mass Merchandising” con circa il 75% degli utenti online (22,6 milioni) e “Current Event & Global News” con il 65,4% degli utenti (19,7 milioni). 

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