Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
In queste settimane su eBay è possibile trovare in vendita oggetti scampati all’uragano Katrina ma anche gadget, souvenir e T-shirt dedicati a quanto successo in quelle tragiche giornate. I venditori assicurano che il ricavato sarà utilizzato per la ricostruzione, ma il dubbio dello sciacallaggio rimane. Sempre a questo proposito sembra che due avvocati abbiano registrato il nome dell’uragano per lanciare un nuovo drink, sulla cui etichetta dovrebbe esserci una foto satellitare di Katrina. Iniziative di marketing come questa lasciano molto a desiderare, quando si cerca di trarre profitto da eventi drammatici. Il pubblico apprezzerà l’iniziativa? Secondo me no.
Dopo una battaglia lunga e dall’esito incerto la RIAA (Recording Industry Association of America) è riuscita (anche se non ufficialmente) a oscurare il sito di Winmx, uno dei software peer to peer più diffusi.
Al momento la FrontCode Technologies, titolare di Winmx, non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali per verificare se il blocco è conseguenza della diffida, ma è l’ipotesi che sembra più probabile.
Continua quindi la battaglia delle major discografiche contro lo scambio di contenuti d'autore sui siti P2P, che ha registrato lo scorso 5 settembre una sentenza di un tribunale australiano secondo il quale gli utenti di Kazaa, altro popolare sito di condivisione file, violano i diritti d'autore. Il giudice aveva anche ordinato ai titolari del software di prevenire attività di pirateria online.
I software peer to peer sono ormai ampiamente diffusi, e se da un lato l’industria discografica li vede come nemici da sconfiggere dall’altro sono comunque guardanti con interesse da operatori che li vedono come possibile “modello distributivo” per molte tipologie di contenuti, ovviamente nel rispetto delle regole e del copyright.
Ieri non abbiamo parlato di Google, e oggi mi tocca rimediare. E’ ufficialmente in fase di lancio, infatti, Google WiFi, il nuovo servizio internet wirelesstargato Mountain View.
I dettagli non sono ancora molti, ma tanto basta ad animare centinaia di blog. Alla pagina http://wifi.google.com/faq.html, si fa genericamente riferimento a un servizio chiamato "Google Secure Access", che garantisce una maggiore sicurezza quando si utilizza Google WiFi.
Nella sezione http://wifi.google.com/download.html, è possibile scaricare gratuitamente e in anteprima Google Secure Access, ancora in versione Beta, quindi poi non prendetevela con me .
Mancano però commenti ufficiali da parte di Google, anche se da mesi ormai circolano rumors su questo nuovo servizio.
Andiamo sempre più verso un internet googlecentrico?
Di Eli (del 21/09/2005 @ 08:09:52, in Internet, linkato 1686 volte)
Dilaga la moda dei siti myprodotto.com. Dedicati specificatamente alla promozione del brand in questione hanno come scopo quelli di creare una community tra appassionati o semplici curiosi. Questa tendenza si sta affermando sempre di più, e come il caso iPod (attorno al quale si è costituita una vasta community di interessati) ha dimostrato recentemente può portare ottimi risultati in termini sia di popolarità che di vendite. Accesso a screensaver e giochi on line, chat possibilità di costruirsi un blog e altro ancora per la Coca Cola. Se invece siete appassionati di motociclismo fate due chiacchiere sugli ultimi modelli, organizzate motoraduni o mettete in vendita il vostro vecchio modello. Dove? Ma sul sito dell’Aprilia!
Vale la pena di dare un'occhiata. http://www.mycoke.com/ , http://www.myaprilia.com
Navigando su internet ieri sera mi sono imbattuto in questa notizia, che potrebbe
apre più di un dibattito... Abile operazione di marketing o "marchetta"
virtuale? King non è però nuovo a questi esperimenti, n 2000 aveva pubblicato il
romanzo "Riding the Bullet" che poteva essere acquistato solo su
internet.
Una donna pagherà 25.100 dollari pur di trasformare suo fratello
in uno dei protagonisti del nuovo manoscritto dell'autore di Portland
(ITnews)
Sarà un donna americana, una delle tante fans dello scrittore
horror Stephen King, a scegliere il nome ad un personaggio del prossimo romanzo,
intitolato 'Cell'. Ad aggiudicarsi il primo round dell'asta chiusosi stanotte
per la somma di 25.100 dollari, è stata l'americana Pam Alexander, che vive a
Fort Lauderdale, in Florida.
La
moda inaugurata da Stephen King potrebbe presto essere seguita anche da altri
scrittori considerato il vantaggio, oltre che economico, di fidelizzazione con i
propri lettori.
Microsoft e Google potrebbero avere un blog
dedicato, visto che ormai non passa quasi giorno nel quale non ci siano rumors
su qualche loro futura mossa. Questa anticipazione pubblicata da "La Stampa" è però clamorosa, perché segnerebbe la fine di un
matrimonio che all’epoca aveva fatto scalpore...
Cinque anni fa sembrava la fusione che avrebbe
dominato la scena mondiale delle comunicazioni: adesso la Time Warner sta
pensando di sbarazzarsi di America Online. La soluzione preferita sarebbe quella
di venderla alla Microsoft, ma non si esclude una cessione a Yahoo o Google.
(...)
La favola era cominciata nel 2000, quando proprio il
topolino aveva inghiottito l'elefante. America online non era esattamente
un'azienda minuscola, perché era il principale servizio per l'acceso ad internet
via telefono. Aveva oltre 26 milioni di clienti, che pagavano non solo per
accedere alla rete, ma anche per ricevere il suo contenuto esclusivo. Sembrava
la strada da seguire per le comunicazioni del futuro e il suo capo, Steve Case,
passava per il ragazzo prodigio della rivoluzione
digitale.
La Time Warner invece era un colosso dei contenuti,
con giornali tipo il settimanale Time, una delle più famose case
cinematografiche e discografiche al mondo, e in seguito anche la televisione di
notizie Cnn. Era l'azienda più grande e antica delle due, ma formalmente era
stata fagocitata da Aol perché il futuro si era preso in carica il
passato.
Sembrava un matrimonio voluto in cielo, come dicono
gli americani, perché avrebbe unito i contenuti al nuovo mezzo mediatico per
distribuirli. I film, gli articoli, le trasmissioni televisive della Time Warner
sarebbero arrivate in tutto il mondo, attraverso il collegamento ad internet
garantito da America online.
La tecnologia, però, fa brutti scherzi: proprio
quando pensi di averle messo il sale sulla coda, lei scappa via. Dal punto di
vista culturale, la fusione tra la nuova generazione di Aol e la vecchia di Time
Warner non aveva mai funzionato sul serio. Poco alla volta, però, aveva perso
anche la sua attrattiva economica. Il colosso dei contenuti, infatti, aveva
conservato tutta la sua forza, restando un punto di riferimento nel settore e
allargandosi anche alla fornitura dell'accesso ad internet con la banda
larga.
Il topolino della nuova tecnologia cibernetica,
invece, aveva progressivamente perso colpi, proprio perché il suo modello si era
inceppato. La gente si era stancata delle lunghe attese nei collegamenti
«dial-up», e i contenuti esclusivi di America online non erano più sufficienti a
trattenerla dalla corsa verso la banda larga e la libertà sconfinata di
internet.
La fusione aveva finito per bruciare circa 200 miliardi di dollari in
termini di valore delle azioni, cioè grosso modo il costo dei danni fatti
dall'uragano Katrina in Louisiana e Mississippi, tanto per capirsi. La testa di
Case era saltata e i dinosauri di Time Warener avevano ripreso il controllo
della sua compagnia. Adesso, però, stanno considerano l'ipotesi di sbarazzarsene
del tutto, come un corpo estraneo che non vedono l'ora di espellere.
(...)
La prima ipotesi sarebbe quella di cedere il 50%
delle azioni alla Microsoft, che poi gestirebbe l'impresa a metà con la Time
Warner, collegandola ai propri servizi.
La seconda, però, non esclude di passare la
mano integralmente alla concorrenza, girando tutta la proprietà a Yahoo oppure a
Google, che proprio in questi giorni sta rastrellando altri soldi sul mercato.
Comunque vada a finire, la bella favola di Aol sembra arrivata all'ultimo
capitolo.
In molti blog
Google viene citato almeno tre volte al giorno. Questo libro potrà fornire nuovi
e inaspettati spunti?
Anche Google protagonista di un
libro,Autore il co-fondatore della rivista
Wired
Si intitola “The Search: How Google
and Its Rivals Rewrote the Rules of Business and Transformed Our Culture” ed è
interamente dedicato al motore di ricerca più famoso della Rete. È il libro
appena pubblicato dal giornalista hi-tech John Battelle – tra le altre cose
co-fondatore della rivista Wired - che in 288 pagine racconta l’intera storia
dell’incredibile successo di Google, passo dopo passo, dalla sua nascita (nel
1998) a oggi.
Capisco che competer con Google sia ogni giorno più difficile, ma questa notizia mi ha lasciato alquanto perplesso…
Yahoo, tutte le guerre del mondo
Yahoo mostrera' su Internet tutte le guerre del mondo. La compagnia ha creato a Santa Monica, California, un dipartimento che produrra' servizi multimedia su tutti i conflitti del nostro pianeta da presentare su un sito Web che sara' inaugurato il 26 settembre.
Questo articolo nasce dalla necessità di trattare, sotto una luce diversa, uno tra i temi più conosciuti: lo spam, o meglio ciò che l’utente può percepire come tale, ogni qualvolta viene mal guidato.
Partiamo da un concetto di base: quando l’utente naviga in internet è a caccia dei suoi contenuti, riflesso dei suoi desideri. La bravura dei marketer sta nel riuscire a soddisfare quel desiderio in quello specifico momento, offrendo al consumatore ciò che egli cerca, sia che egli sia arrivato a noi attraverso un link o tramite uno dei tanti motori di ricerca a disposizione, sia che abbia digitato il nostro indirizzo nella barra delle Url. Il concetto non cambia.
Forse molti di voi ignorano alcuni servizi che i big del contextual advertising hanno pensato per far guadagnare i Registrar di siti internet (eh già proprio quelli cui vi rivolgete voi) che hanno a disposizione una notevole quantità di domini parcheggiati. Cosa sono? Beh i c.d. parked domains sono in sostanza tutti quei domini che vengono acquistati da un utente (pagando) e che in attesa di essere utilizzati al meglio dal legittimo proprietario, vengono sfruttati economicamente dal registrar-publisher, che in breve si arricchisce sulla vostra inerzia. Come? Semplicemente aderendo ad uno dei vari servizi disponibili in rete come ad esempio: Google AdSense for domains.
Approfondiamo un attimo il concetto di contextual advertising che trova la sua applicazione pratica quando determinati tipi di pubblicità vengono mostrati all’utente dinamicamente ed in modo automatico, basandosi sul content di una pagina, ossia sull’argomento che quella pagina tratta. Per fare un esempio pratico: se voi navigatori vi trovate su una pagina che parla di viaggi, il tipo di advertising che verrà visualizzato seguirà il content e quindi vedrete con tutta probabilità pubblicità relativa a vacanze, offerte last minute su voli aerei o su pacchetti turistici. Questo perché il software che gestisce il funzionamento degli ads riconosce piu’ o meno correttamente il contenuto trattato.
Il problema nasce qui, ossia nel momento in cui per portare pubblicità mirata sui gusti dell’utente viene a mancare la base di sostegno, ossia il content.
In questo caso, pur di bombardare il navigatore e sperare in un suo click su uno sponsored listing (che fa guadagnare il registrar-publisher grazie al vostro dominio), il software che gestisce la pubblicità ha solo un elemento su cui basarsi per targettizzare l’advertising: l’url del sito. Mi pare un pò pochino!
Considerazioni personali a parte, in questo particolare caso il software si basa su elementi semantici (e non lessicali, come di solito avviene con Adsense, Adwords et similia), vale a dire su elementi che valutano il significato delle parole contenute nel nome del dominio.
Il grosso limite di questo sistema semantico (che siamo ben lontani dal realizzare) sta proprio nel fatto che dovrebbe proporre un risultato profilato sulla necessità dell’utente, sulla base di un unico parametro, peraltro assolutamente variabile, con il rischio più reale che virtuale di danneggiare l’utente forzando la mano con sistemi che mal funzionano, almeno per ora.
Immaginate ad esempio che il nome di dominio non abbia alcun significato. Cosa si troverebbe a visualizzare l’utente? Come si comporterebbe a questo punto il sistema di advertising semantico? E poi perché dovrebbe essere il Registrar a guadagnarci in tutto questo, nonostante il dominio sia registrato e quindi di proprietà di un altro soggetto?
Con tutta probabilità mostrerebbe qualche sponsored listing che non ha nessuna attinenza con ciò che il navigatore internet sta cercando. Le conseguenze?
Di tutto rilievo, in quanto il navigatore internet si trova di fronte a ciò che non cerca, a ciò che non vuole, vedendo inoltre fortemente deluse le sue aspettative, per non parlare poi del danno che ricevono più o meno direttamente tutti quegli advertiser che pagano per utilizzare gli annunci sponsorizzati, legati come sono ad un meccanismo di impression/cpc/performance ed inseriti in un circuito semantico che non può funzionare tecnicamente in un discorso di dinamiche forzate.
Il rischio che si viene a presentare con questo tipo di advertising semantico su larga scala (attualmente Google da solo gestisce più di 3 milioni di parked domains) è la percezione che gli utenti ne hanno. Si è ormai talmente insofferenti allo spam che anche le newsletter sottoscritte volontariamente sono percepite come indesiderate se anche appena non combaciano con gli interessi degli utenti. Di questo passo, tutto diventa spam. Un pericolo molto grave, la cui soluzione a mio avviso è ben lontana dall’essere ritrovata nel semantic advertising, ma un buon punto di partenza può essere individuato partendo dal massimo rispetto degli utenti.
Sono infinite le discussioni che questo motore di ricerca sta generando, da tutti i punti di vista, rendendoci spesso inobiettivi e googleofili per il solo gusto di esserlo. Ormai che tu legga un giornale, accenda la TV, o vada su internet, Google è sempre lì. Non solo. Google è diventato un verbo, “to google” (almeno nello slang americano) sinonimo di ricerca e di motore di ricerca (il più grande del mondo) citato e definito da vocabolari ed enciclopedie di tutto rispetto, e questo basta a spiegare quanto penetrante sia la sua presenza nelle nostre vite.
Credo che la ragione, il comune denominatore di tutto ciò, sia che Sergey Brin e Larry Page, due ragazzi ora poco più che trentenni, stanno rivoluzionando (se già non lo hanno fatto) l’informazione su scala mondiale ed il modo in cui questa vada concepita. E non accennano a fermarsi, in fondo perché dovrebbero farlo? Hanno iniziato in due con un “piccolo” motore di ricerca all’università di Stanford, arrivando ad avere oggi circa 4.200 dipendenti in tutto il mondo, oltre 100.000 server per gestire praticamente tutte le pagine web esistenti sul pianeta (per la cronaca abbiamo superato quota 8 miliardi di pagine), oltre al fatto che l’80% delle ricerche fatte online vengono fatte attraverso i suoi 100 ed oltre domini nazionali.
Partiamo dalla google mission (http://www.google.it/intl/it/privacy.html), oserei dire il loro manifesto programmatico:
“La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili”.
Affascinante senza dubbio, d'altronde un obiettivo di tale ambizione e portata non poteva che provenire da una nazione che ritiene che tutto sia possibile, e che qualunque problema possa e debba essere superato, non importa a quale costo. Ma che vuol dire nello specifico ve lo chiedete mai? E a quale prezzo questo potrebbe avvenire? E la nostra privacy? Basta pensare che Google, sia attraverso la sua interfaccia di ricerca che attraverso la sua toolbar, acquisisce informazioni sul nostro utilizzo del web (fonte http://www.google.it/intl/it/privacy.html: Google non raccoglie informazioni che permettano di identificare l'utente (come il nome e l'indirizzo di posta elettronica) a meno che non sia l'utente a fornirle esplicitamente. Google acquisisce e salva informazioni quali l'ora del giorno, il tipo di browser, la lingua utilizzata dal browser e l'indirizzo IP per ciascuna richiesta ricevuta. Tali informazioni vengono confrontate con i record a disposizione di Google e servono a fornire servizi più mirati agli utenti. Ad esempio, Google può utilizzare l'indirizzo IP o la lingua del browser per stabilire quale lingua utilizzare per la visualizzazione dei risultati delle ricerche e degli annunci pubblicitari).
Inoltre come molti sanno, è diventato anche un Registrar, anche se non consente la registrazione di domini, almeno per ora. Ciò vale a dire che, comunque sia, ha accesso a tutte le informazioni che riguardano la vita dei siti web su scala mondiale (fatevi due conti), e grazie anche a queste informazioni (almeno a detta sua) può rendere migliore e più affidabile per il navigatore l’esperienza online, in modo da poter combattere più efficacemente lo spam, terribile piaga del mondo virtuale. A tal proposito, leggevo ieri una curiosa statistica secondo cui almeno la metà dei blog ospitati da Blogger (società acquistata di recente da Google) sarebbe in mano agli spammer.
Tornando al loro manifesto programmatico, sembrerebbe un concetto talmente democratico da non poter destare timori o sospetti. Eppure non è così. La missione del Googleplex non ha precedenti nella storia dell’uomo, e vale da sola a giustificare le paure che ne seguono, forse proprio per la mancanza di un “precedente”. Ci sono schiere di governi in tutto il mondo che stanno cominciando a tremare pensando al tanto folle quanto ambizioso servizio Google Print (http://print.google.com/), (altro che biblioteca di Alessandria) applicazione online di imperialismo culturale a matrice americana. Non sapete ancora che cos’è? Un americano ti risponderebbe: “Well, just google it”...
In breve il progetto, che coinvolge editori, biblioteche ed università prestigiose, consiste nella digitalizzazione e messa online di milioni di libri, per un totale di miliardi di pagine. Meno male che è intervenuto il copyright, giusto in tempo, a frenare un processo quantomeno frettoloso. Già il fatto che per accedere a tutta questa mole di informazioni ci sia bisogno di connessioni internet o di un cellulare limita e rende meno democratica la sua accezione di universalità. Qualche miliardo di persone ad oggi non ha acqua potabile, figuriamoci se puo’ accedere ad internet. Comunque sicuramente Google Print è un progetto interessante, e chi lo nega? Fa sorridere pensare che un progetto di questa natura sia stato promosso e dovrebbe essere gestito da un paese che, con tutto il dovuto rispetto, di cultura, intesa in senso ampio ne sa ben poco (forse è più corretto parlare di nozionismo).
Ma la ricerca continua anche tramite cellulare, ed ecco qui spuntare Google Mobile (http://mobile.google.com/), tramite cui puoi accedere a quasi qualunque informazione che il noto motore abbia da offrire. Interessante, sicuramente un servizio utile, che si andrà rafforzando anche grazie alla recente acquisizione di Android (società specializzata nella realizzazione di software per disposivi mobili, ma rispetto alla quale nulla di più è dato sapere) da parte del colosso californiano.
Tornando alla privacy, lettori tremate: Google può decidere di divulgare le informazioni personali degli utenti alle società che utilizzano Google a scopo pubblicitario, ai partner commerciali, agli sponsor ed altri. (fonte http://www.google.it/intl/it/privacy.html)
E poi ci sono le mappe, quasi dimenticavo. Consiglio a chiunque non lo abbia ancora fatto, di farsi un giro del pianeta visto dai satelliti. Il servizio online si chiama Google Maps (http://maps.google.com/) e permetterà gratuitamente di vedere in modo dettagliato praticamente qualunque città o luogo del globo. Analoga funzione svolge poi Google Earth (http://earth.google.com/), realizzato sulle impronte del software della Keyhole (ennesima società acquisita). Non parliamo poi dei problemi di sicurezza che taluni hanno sollevato in merito alla libera fruizione di un prodotto del genere e alle conseguenze che essa genera. Tralasciamo anche la mancanza di concorrenza che si respira nella Silicon Valley, (tra le altre acquisizioni vale la pena di segnalarvi anche quella della brasiliana Akwan Information Technologies, società specializzata nello sviluppo di sistemi di ricerca delle informazioni, e l’acquisto del 2% di Baidu, il primo motore di ricerca in Cina. Vi ricordo che i cinesi sono oltre 1 miliardo) dove le società che si trovano sulla rotta di interessi economici del Googleplex vengono direttamente acquisite, senza mezzi termini, e quelle che non riescono a stargli dietro (e chi ci riuscirebbe, considerando che anche Yahoo e Microsoft faticano nell’intento) chiudono direttamente bottega (beata concorrenza), altre ancora direttamente rinunciano ad aprire. Potrei continuare all’infinito, ma penso che sia palese che di imperialismo e monopolio incontrollabile dell’informazione si possa parlare quando questi due concetti vengono associati a quel numero seguito da cento zeri (http://it.wikipedia.org/wiki/Googol).
Siamo ancora tanto sicuri che sia giusto che un gruppo di ragazzi decida quello che dobbiamo sapere, oltre al come e al dove? In fondo ha ragione Sergey Brin, nel dire che se le cose vi stanno bene così tanto meglio, altrimenti un altro motore di ricerca è sempre a portata di click.
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