Il 66% degli utenti sceglierebbe il suo eTailer in base alle modalità di consegna e alla facilità di consultazione del sito. Per il 76% è decisiva anche la policy contemplata per le restituzioni
Qual è il fattore determinante per lo sviluppo del business dell’eCommerce? Laconsegna senza intoppi. Stando infatti allo studioDifferentiating Delivery: How to Win the eCommerce Battle, per idue terzi dei clientil’affidabilità di consegna e la facilità di consultazione dei siti sono i due elementi che determinano la scelta dell’eTailer di riferimento. La ricerca, condotta daAccenture, prende in esame un campione di più di 1.100 aziende medio piccole, in dieci Paesi di cinque continenti.
LA CONSEGNA È TUTTO. È emerso che il66% dei consumatorisceglie il fornitore in base allediverse modalità di consegna. Inoltre, prima di finalizzare l’acquisto, il 76% degli utenti visiona i termini dellapolicy di restituzione del prodotto.A loro volta, per tutelarsi da imprevisti e ritardi nelle consegne, la maggioranza di aziende dell’eCommerce (76%) tende adaffidarsi a diverse aziende di trasportie, nel 26% dei casi, ci si avvale addirittura diben tre società differentiper la consegna dei prodotti. In molti non disdegnano i colossi come eBay e Amazon. In generale, l’86% delle aziende campione prevede investimenti nel 2017 per potenziare i propri canali di vendita on line.
LE 5 REGOLE D’ORO PER LE AZIENDE. Fare la differenza però non è semplice. Così, alla luce dei dati emersi, la ricerca indica le “cinque regole d’oro” da seguire per distinguersi sul mercato degli eTailer. La prima è investire sullasoddisfazione del cliente: la si può ottenere rendendo trasparente il tracking del prodotto e fornendo notifiche sui tempi e gli orari di consegna. In secondo luogo, servonoprocedure di restituzione del prodotto semplici e rapide. In terzo luogo, bisogna puntare sulprezzo: deve essere conveniente in rapporto ai volumi. Quarto: offrire unafornitura di servizi segmentati. Infine, è necessario “customizzare” l’offerta per le consegne di merci transfrontalierenel segmento dell’eCommerce B2C, il cui valore è stimato sui 994 miliardi di dollari nel 2020.
Di Altri Autori (del 31/08/2016 @ 07:29:29, in Mobile, linkato 2013 volte)
el 2014 le banche italiane sono riuscite ad integrare in modo ottimale le strategie di mobile banking: il 36% degli italiani ha utilizzato in quell’anno i servizi bancari mobile. Il passo in avanti c’è stato nel 2015 con il 39% degli italiani in possesso di smartphone o tablet che ha gestito on line il proprio denaro.
Secondo l’Indagine Internazionale ING sul Mobile Banking2016condotta da ING Bank su un campione di circa 15.000 risparmiatori in 15 Paesil’Italiasi confermaal di sotto della media europea pari al 47%, mentre spiccano tra i Paesi che maggiormente utilizzano il mobile banking l’Olanda (63%), il Regno Unito (55%), Lussemburgo (52%) seguiti dalla Spagna (51%) e Austria (50%).
Tra gli italiani si evidenzia unaforte propensione a passare al mobile bankingnei prossimi 12 mesi: il 24% dei connazionali si dichiara infatti interessato a passare ai servizi bancari digitali tramite smartphone e tablet contro la media europea del 16% e il 10% di Australia e USA.
Il 75% degli italiani e il 71% degli europei ritiene che l’utilizzo dei nuovi canali ha migliorato la gestione delle proprie finanze. Relativamente ai benefici percepiti il dato italiano, insieme a quello di Romania (72%), Polonia (75%) e Turchia (85%) si colloca al di sopra della media europea, ferma al 71%.
“La prima forma di risparmio è il controllo delle proprie risorse e la consapevolezza delle spese –commentaSergio Rossi, Head of Marketing & Customer Centricity e Chief Innovation Officer di ING Bank Italia–Il mobile banking sta aumentando questa consapevolezza, con il 75% dei risparmiatori intervistati che si sente più “padrone” delle proprie finanze personali (50%), oppure è più puntuale nei pagamenti (23%), fino anche a risparmiare di più (21%).”
Insieme alle abitudini dei consumatoricambiano anche i metodi di pagamentoa loro disposizione: in Italia il 66% del campione dichiara di aver usato molto meno contante durante l’ultimo annoe il61%si dichiara propenso ad utilizzare molto di più i pagamenti tramite smartphone. Anche prendendo in esame nuove forme di pagamento come iBitcoin, gli italiani sembrano essere molto positivi, e nel 48% dei casi li considerano la nuova frontiera dei pagamenti. Molto più cauta la visione europea che registra percentuali del 33%.
Nonostante la facilità (45%) e la velocità (53%) riscontrate, prevale comunqueun certo scetticismo nei confronti delle app di pagamento di operatori non bancari: il 75% degli intervistati ha, infatti, affermato di fidarsi più delle banche che dei gruppi come Google e Apple o dei social media, che comunque registrano un incremento significativo nell’ultimo anno: 16% complessivo rispetto al 9% dello scorso anno.
Di Altri Autori (del 01/09/2016 @ 07:11:26, in Retail, linkato 1823 volte)
I retailer italiani ed europei stanno cercando di cambiare ed adattarsi alle nuove esigenze di mercato che scaturiscono dalla nascita di una nuova tipologia di consumatore definito: Flex Shopper. Questo tipo di acquirente si aspetta di spostare velocemente e in comodità la propria “esperienza d’acquisto” da un canale all’altro, da un device all’altro, mostrando una preferenza netta per i dispositivi mobile.
La ricerca condotta da UPS denominata UPS Pulse of the Omni-channel retailer ha visto la partecipazione di 700 aziende di retail, di cui 100 italiane. Oltre il 30% dei dirigenti intervistati ha parlato degli ingenti investimenti da effettuare a livello di IT, organizzazione logistica, comprensione del comportamento dei consumatori e passaggio ad una gestione omni-canale.
Tre risultano gli aspetti fondamentali da seguire per venire incontro alle esigenze dei flex shopper:
negozi fisici;
esaurimento dei prodotti;
resi transfrontalieri.
I negozi fisici
Per rimanere competitivi i retailer di oggi devono concepire il punto vendita come una parte integrata del network di gestione e scorte di distribuzione.
Il 27%, un terzo delle aziende retail, utilizza già i negozi come centri di fulfilment per gli ordini online, anche se esistono dislivelli tra Paese e Paese. I dati indicano che il 21% dei retailer italiani ha espresso l’intenzione di utilizzare il network di negozi o luoghi di ritiro alternativi nei prossimi 12-24 mesi per offrire una maggiore comodità di raccolta ai clienti che ordinano online. Il dato italiano è il più basso a livello europeo, dove la media è del 31%, e ben il 40% nei Paesi Bassi. Lo studio mostra che il 63% dei retailer italiani utilizza il proprio network di negozi fisici per offrire servizi a valore aggiunto come click & collect (solo il Regno Unito mostra una percentuale superiore).
Esaurimento dei prodotti
In caso di articolo esaurito, il 41% dei consumatori europei ha dichiarato di spostarsi sul sito internet o sull’app di un competitor e il 20% di recarsi nel negozio fisico della concorrenza, mentre solamente il 17% ha affermato di essere intenzionato ad acquistare e attendere.
Il 68% dei retailer online offre il tracking del prodotto e la consegna all’indirizzo preferito del cliente quando il prodotto diventa disponibile e il 59% traccia gli ordini, informando proattivamente il cliente sulla disponibilità, mentre i negozi fisici non riescono a tenere il passo. Quasi la metà di questi ultimi (il 45%) si limita infatti a consigliare al cliente di attendere, senza proporre un’alternativa.
I resi transfrontalieri
Il 58% dei retailer italiani offre possibilità di reso di fronte di una media europea del 47%. La fiducia del cliente e l’integrità del marchio sono correlati all’efficiente gestione dei resi. I retailer dichiarano che le principali sfide in quest’area sono dettate dalla gestione dei beni difettosi (64%) e dall’esecuzione dei controlli di qualità (50%). Lo studio evidenzia inoltre la necessità del supporto da parte di fornitori terzi di servizi logistici. Oltre il 60% degli intervistati afferma di affidarsi a molteplici fornitori terzi di servizi di logistica per gestire i resi e oltre il 70% dichiara che il motivo di questa scelta risiede in un’ottica di efficientamento dei costi.
Sono sempre di più imarketerche stanno approcciando laproximitytechnology, nel tentativo di meglio targettizzare i consumatori e raccogliere più informazioni sul comportamento dei clienti. A spiegarlo è una ricerca condotta a luglio 2016 daUnacastripresa daeMarketer, per cui oltre il 50% delle aziende legate a industry come retail, turismo, viaggi e sport sta già utilizzando strumenti legati al marketing di prossimità.
Beacon al top
Esistono diverse soluzioni tecnologiche per implementare piani di proximity marketing come ibeacon, ilGPSo ilgeofencing. Stando a quanto indica l’analisi di Unacast, i provider tecnologici offrono per la gran parte beacon (94%), seguiti da GPS o geofencing (54%). L’indagine è relativa al secondo trimestre dell’anno.
Beacon difficili da maneggiare
Se il grande sviluppo dei beacon tra i marketer è un fatto innegabile, ciò non significa che questi li sappiano utilizzare in modo efficace. A febbraio 2016, infatti,Retail Systems Researchha affrontato la questione con risultati non del tutto incoraggianti. Solo il 23% dei retailer americani che ha adottato i beacon in-store è soddisfatto mentre un altro 22% gli ha installati ma prevede cambiamenti. Con il 32% ancora non dotato di quella che promette di essere una delle più rilevanti tecnologie marketing.
Il lavoro di ricerca delMaster in Social Media and PR dello IED presenta i dati sull’utilizzo diSnapchatda parte dell’utenza italiana. La ricerca è stata effettuata su un campione di circa 1.000 persone (dai 18 ai +50 anni). Nell’infograficai dati più interessanti.
via Tech Economy
Di Altri Autori (del 13/09/2016 @ 07:34:53, in Mobile, linkato 1405 volte)
Nel mercato italiano della telefonia cellulare la vendita dismartphoneha raggiunto a maggio 2016 il68,7% di penetrazione, con 30,6 milioni di utenti, numero che registra unacrescita del 17%rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Questi i dati emersi dalla ricerca diMobilens – ComScorerealizzata a maggio 2016.
Per gli italiani lo smartphone non è semplicemente un mezzo con cui telefonare ma ormai sempre più un device multitasking con cui guardare video, sentire musica, orientarsi. Secondo la ricerca quasi16 milioni di utenti hanno guardato videoo contenuti televisivi con una crescita del 17%. Oltre 13 milioni di utenti hanno condiviso foto o video con una crescita del 14%. Gli utenti che ascoltano la musica sui propri device è cresciuta dell’11%.
Importante per gli utenti anche la risoluzione della fotocamera: i nuovi smartphone acquistati vedono per la maggior parte fotocamere comprese tra i 12 e i 14 Megapixel (39,7%, erano al 12,3% nel 2015) seguiti dalle fotocamere con risoluzione tra 8 e 10 Megapixel (28,9%, erano al 41,7% nel 2015).
Limitandosi ai soli smartphone, ilmercato italiano è dominato da Android, installato sui dispositivi del 69,5% della smartphone audience (67,6% nel 2015), seguito da Apple/iOS, con una quota di mercato pari al 17,7% (17,2% nel 2015), e Microsoft, oltre la soglia del 10% ma in calo rispetto all’11,1% dello scorso anno.
Nella diffusione dei brandSamsung è il più diffuso(con una quota del 42,4% della smartphone audience), seguito daApple (17,7%), ma èHuaweia registrare la crescita più elevata in termini di utenti:+140%. Otto dei primi dieci smartphone più acquistati a maggio 2016 sono dispositivi Samsung o Apple, anche se il più acquistato in assoluto però risulta essere (con il 6,7% del totale acquisti)Huawei P8 Lite, seguito da iPhone 6s (4,8%) e 5s (4,4%), Samsung Galaxy J5 (3,1%) e S6 (2,7%). Quasi4 acquirenti su 5 hanno speso oltre 400 € per il nuovo smartphone(19,2%), segue la fascia di chi ha speso tra i 170 € e i 249 € (18,6%).
Se da un lato il video sembra essere il presente – e il futuro – del settore digitale, dall’altro non mancano comunque “lamentele” a riguardo: infatti nove utenti su dieci (92%) in Europa sono d’accordo sulla necessità di intervenire per migliorare i video di pubblicità in rete. È questo il risultato di una ricerca su 4.000 consumatori nel Regno Unito, in Francia e Germania condotta da Brightcove, fornitore leader di servizi cloud per i video.
I motivi Alla richiesta di evidenziare le problematiche emerse nell’esperienza di consumo dei video di pubblicità online, gli utenti hanno indicato la scarsa rilevanza dei contenuti rispetto ai loro interessi, le dimensioni eccessive dei video e le difficoltà nella riproduzione – il 67% ha interrotto la riproduzione di video pubblicitari per uno di questi motivi. Ulteriori domande agli utenti hanno evidenziato che: = il 73% degli intervistati ha riscontrato molte difficolta nella riproduzione dei video (ad es. buffering, errori di caricamento); = più della metà (51%) sono frustrati dalla quantità di video di pubblicità online; = il 74% ha avuto esperienze negative con i contenuti di video pubblicità online; = più di un terzo (36%) ha mai o raramente visto un video di pubblicità rilevante per i suoi interessi personali.
Il confronto I risultati, pubblicati nella ricerca “The Ad-Verse Consumer: European Video Advertising Tolerances in a Digital Age”, evidenziano che, nonostante molti utenti abbiamo notato miglioramenti nella varietà (54%) e nella qualità (47%) dei contenuti video online nell’ultimo anno, i video pubblicitari hanno difficoltà a tenere il passo: = il 73% dichiara che la qualità dei video pubblicitari online è rimasta uguale o peggiorata; = il 72% dichiara che la varietà dei video pubblicitari online è rimasta uguale o peggiorata; = circa un terzo (23%) dichiara che il volume e la frequenza dei video pubblicitari in rete è notevolmente peggiorato.
Questione ad blocking… In un contesto in cui aumenta l’adozione di tecnologie per l’ad blocking, la ricerca suggerisce che gli editori devono modificare il loro approccio per monetizzare i contenuti dei video online o rischiano di perdere visite e quindi le entrate che ne derivano. A oggi, infatti, l’82% degli intervistati da Brightcove afferma di conoscere queste applicazioni-filtro, e tra questi oltre la metà ne fa uso; un 23% invece dichiara di essere intenzionato a installarle. Tra i principali motivi che spingono gli utenti a utilizzarle ci sono innanzitutto le caratteristiche delle inserzioni: troppo lunghe (56%), irrilevanti (45%) e poco interattive (20%). … e monetizzazione Tuttavia, con il 50% degli utenti che si dichiarano non disponibili a pagare per qualsiasi tipo di contenuto video online, il semplice passaggio ad un modello ad abbonamento non sembra essere la soluzione corretta.
Le soluzioni Alla richiesta agli utenti su quali interventi ritengono più necessari, le risposte sono state: = il 57% chiede video pubblicitari più corti; = il 41% chiede la funzionalità di scorrimento veloce; = il 21% chiede video più simili agli interessi personali; = il 58% dichiara di essere più disposto a tollerare i video di pubblicità in rete se interattivi. “La soluzione che fa incontrare le parti è trovare un equilibrio migliorando l’esperienza utente, le persone sono più propense a consumare i contenuti pubblicitari”, ha affermato Mark Balir, vice president of Emea di Brightcove.
Di Altri Autori (del 16/09/2016 @ 07:15:01, in Mobile, linkato 1597 volte)
Che le aziende di tutto il mondo non potessero più ignorare il mobile commerce come canale di vendita era abbastanza ovvio, ma un’analisi di Criteo aggiornata ai primi sei mesi del 2016 indica che in Italia già oggi i top retailer generano quasi la metà delle loro vendite su mobile, con una crescita del 29 percento anno su anno. Estendendo l’analisi a tutti i retailer questa percentuale di crescita non è più così marcata, attestandosi comunque al 9 percento anno su anno.
Criteo pubblica il suo State of Mobile Commerce Report a cadenza semestrale per mettere in evidenza le principali tendenze relative al mobile commerce. Le cifre dell’ultima edizione indicano che in Italia gli smartphone sono i dispositivi di acquisto privilegiati: il 66 percento delle transazioni via mobile è avvenuta tramite smartphone. Le transazioni da device Android e iOS crescono in maniera quasi analoga (25 percento anno su anno) ma la base utenti di Android è di molto superiore, con l’80 percento del mercato.
Tra i settori di mercato, quello che registra il maggior tasso di acquisti in mobile commerce è il comparto Health & Beauty, seguito dal settore Fashion & Luxury e poi da quello sportivo, che ha visto la crescita maggiore anno su anno.
Italia a parte, le rilevazioni del report Criteo indicano che a livello mondiale la tecnologia sta favorendo lo sviluppo del mobile commerce sotto molti aspetti. Lato hardware grazie a funzioni come il riconoscimento delle impronte digitali per effettuare le transazioni, ma anche lato software perché le app specifiche dei retailer generano più acquisti rispetto ad altri canali di vendita digitali, convertendo tre volte di più rispetto al mobile web e con ordini superiori. E le app che si dimostrano più efficaci sono anche quelle più avanzate, con funzioni che rendono l’esperienza di mobile shopping più ricca e allo stesso tempo semplice.
Di Altri Autori (del 19/09/2016 @ 07:16:02, in Mobile, linkato 1588 volte)
Il Mobile negli Stati Uniti oggi rappresenta i due terzi dei minuti spesi sui media digitali, con le Mobile App (utilizzate soprattutto tramite smartphone) vicine al 60% del tempo totale; a Facebook si aggiungono nuovi casi di successo che hanno sfruttato un target specifico (Snapchat), il cambiamento dei comportamenti di consumo già esistenti nel mondo fisico (Waze, Uber, Tinder) o fenomeni di massa (Pokémon GO).
Questi sono alcuni dei dati che emergono dalloUS Mobile App Report 2016pubblicato ieri da comScore, che grazie ai dati rilevati a giugno 2016 dalle piattaforme Media Metrix Multi-Platform, Mobile Metrix e Mobilens, ha fotografato lo stato dell’arte e i principali trend del panorama Mobile oltreoceano.
L’Audience dei media digitali è sempre più mobile
Negli Stati Uniti il tempo di utilizzo dei media digitali è esploso dal 2013, con un +53% guidato soprattutto dalle Mobile App e, in misura minore, dal Mobile Web Browsing, anche se la crescita inizia a rallentare su tutte le piattaforme.
L’ultimo anno ha infatti visto per la navigazione mobile tassi di crescita positivi ma più deboli (+11% per il Mobile App, +5% per il Mobile Web), mentre il tempo di utilizzo del desktop è diminuito dell’11%.
La comodità nell’utilizzo di smartphone e tablet, e il processo di innovazione relativo alle Mobile App hanno quindi completamente modificato il panorama di fruizione dei media digitali.
Analizzando il comportamento delle diverse fasce demografiche emerge in maniera chiara come la propensione al maggiore utilizzo delle app sia inversamente propozionale al crescere dell’età dei consumatori, con la fascia 18-24 che registra addirittura il 70% del tempo speso sulle app. Probabilmente a causa di una maggiore familiarità e di schermi più grandi, desktop e tablet registrano un maggiore engagement al crescere dell’età dell’utente.
Il Mobile Web Browsing per estendere le audience, le Mobile App per fidelizzarle
Negli ultimi due anni, la dimensione media dell’audience complessiva delle principali 1000 Property digitali statunitensi è aumentata del 36% grazie all’audience Mobile (+81%), a fronte di un calo del 4% su desktop.
Tale crescita del numero di utenti unici è determinata dal Mobile Web Browsing più che dalle Mobile App. Nonostante il dominio di queste ultime nel tempo speso, l’audience che accede tramite i browser mobile è quasi il triplo nelle dimensioni e cresce a velocità doppia rispetto all’audience delle applicazioni.
Il rovescio della medaglia è che l’audience, quando accede a Internet via browser dal proprio device, pur essendo estesa, tende a essere scarsamente e progressivamente sempre meno ingaggiata. Quando invece accedono via app, gli utenti sono più “fedeli”, in quanto restano connessi per un tempo medio complessivo quasi 20 volte superiore a quello trascorso sui browser mobile.
Editori e player digitali si trovano quindi di fronte ad una sfida difficile: da un lato devono continuare ad attrarre audience prevalentemente attraverso la navigazione in browsing per poi riuscire a fidelizzarla facendole scaricare e mantenere attiva le proprie app.
L’ecosistestema delle App: un mondo altamente contentrato e competitivo.
Il 45% del tempo complessivamente speso in app è concentrato sulla app più utilizzata mentre le prime 3 app ammontano a ben il 75%. Se consideriamo che il 50% degli utenti smartphone non scarica nessuna nuova app in un mese e che la frequenza di utilizzo è altamente influenzata dalla presenza sull’home screen del cellulare (spazio ovviamente limitato), si evince in maniera molto chiara come sia difficile costruirsi un posizionamento forte in questo contesto.
Il processo di installazione di un’app si sta muovendo da una logica “pull” a una logica “push”. Gli App Store rimangono ancora lo strumento più importante (scelto dal 21% dei possessori di smartphone negli Stati Uniti), ma non stanno più crescendo in termini di rilevanza.
Nel frattempo, un numero sempre maggiore di utenti sta scoprendo le App dai siti web (dal 9% all’11%), pubblicità online (dall’8% al 9%) e sui media tradizionali (dal 6% al 9%), evidenziando la crescente importanza del ruolo del marketing per l’acquisizione di utenti.
I trend emergenti e le Mobile App di successo negli Stati Uniti.
Facebook supera tutte le altre App in termini di engagement (in media una persona trascorre 13 ore al mese sulla App) e di penetrazione, sia nella popolazione totale (150 millioni di utenti unici) sia tra i Millennial (88% di penetrazione).
Snapchat registra una crescita nelle diverse varie fasce di età: da un lato vanta una penetrazione elevata tra i Millennial, dall’altro sta irrompendo anche nel target mainstream. L’audience principale di Snapchat di 18-24enni è in via di saturazione (raggiunto il 70% di penetrazione), e in futuro, gran parte della crescita dovrebbe provenire dai Millennials tra i 25 e i 34 anni (al 41%), che rappresentano ancora una grande opportunità.
È interessante notare come il segmento “over 35” stia raggiungendo una massa critica di utenti avvicinandosi a una penetrazione del 15%.
In termini di tempo speso, Snapchat è diventato una vera ossessione per molti dei suoi utenti: si posiziona tra le tre applicazioni più utilizzate per il 25% dei suoi utenti, e ancora di più se si considerano solo quelli tra i 18 e i 24 anni (37%).
Molte delle app in rapida ascesa rappresentano servizi che facilitano comportamenti già esistenti nel mondo fisico, come chiamare un taxi, fare esercizio fisico o uscire con qualcuno.
Waze (+195% di utenti rispetto a giugno 2014) aiuta a muoversi attraverso il traffico in modo più efficiente. Uber (+828%) e Lyft (+494%) migliorano la prenotazione di un passaggio. Tinder (+220%) rende più facile chiedere appuntamenti. Fitbit (+1524%) permette di monitorare i propri parametri di fitness. Bitmoji (+2371% rispetto a febbraio 2015), d’altra parte, fa leva su un comportamento digitale più recente, consentendo agli utenti di creare avatar animati di se stessi per una comunicazione più espressiva.
Nel mese di luglio, infine, ha debuttato nel mercato l’app Pokémon GO, gioco in realtà aumentata basato sulla geolocalizzazione e ultimo fenomeno tra le Mobile App.
Lanciato il 6 luglio negli Stati Uniti in pochi giorni è stato in grado di catturare costantemente più di 20 milioni di utenti al giorno. Per tutto il resto del mese, Pokémon GO non è mai sceso sotto tale soglia, e il 13 luglio ha raggiunto il picco con 28,5 milioni di utenti giornalieri.
Insight evoluti in arrivo anche in Italia.
“Stiamo assistendo ad una radicale e rapida trasformazione nell’utilizzo di Internet che impone a tutti gli attori del settore il ripensamento dei propri modelli di business”, commenta Fabrizio Angelini di comScore Italia. “Proprio per questo abbiamo deciso di accelerare il processo di innovazione e sviluppo dei nuovi prodotti in Italia. Già nelle prossime settimane rilasceremo i primi dati del panel Smartphone italiano che, anche grazie all’integrazione con le nostre rilevazioni censuarie sui device mobili, consentiranno analisi approfondite sulle audience digitali e sulla effettiva adozione dei nuovi trend anche nel nostro Paese”.
Ryan Mcready, content editor della piattaformaVennagage, ha svolto un’analisisu oltre 137.000tweetin una settimana. Tra itweetanalizzati da Ryansolo il 35% provenivano da account verificati. Il57%di questi provenivano da account “discutibili” con un elevato numero di seguaci e strane attività di condivisione; il7%di questi tweet risultavano di account cosiddetti “zerospam” presenti su twitter da meno di otto mesi, che non seguono nessuno, con meno di 10 seguaci e con più di 17.000 condivisioni/retweet.
La ricerca mette in evidenza comel’utilizzo deglihashtag, secondo Mcready, possa rivelarsiinutile e addirittura dannosaper le campagne di marketing nel momento in cui questi vengono utilizzati in modo inopportuno dagli spammer. Nell’infograficatutti i dati della ricerca.